'Penso di amarti'
Bip. Bip. Bip.
Sullo sfondo del macchinario, le onde si alzavano e si abbassavano ad un ritmo, finalmente, normale.
Sospirai, ormai a pezzi. La rianimazione era stata estenuante, in più i rimorsi stavano prendendo il possesso del mio corpo. Avevo quasi ucciso la ragazza di cui ero innamorato, non so se mi spiego.
"Harris, facciamole un controllo completo partendo dalle analisi del sangue e continuando con una radiografia, dato che non possiamo fare una tac" dissi, sfiorando le dita di quella ragazza che sembrava dormire beata. Era un vero miracolo quello che era successo, sopratutto per il fatto che non ero un medico. Avevo seguito un corso di pronto soccorso, ma non è la stessa cosa rianimare un estraneo e rianimare la ragazza che ami. Inoltre, ero stato io a ridurla in quello stato, per cui doppia, anzi, tripla fatica.
"Sì, signore" rispose Harris prontamente, così presi delle siringhe sterili e legai il laccio emostatico al braccio di Becky, per poi pungerla e prelevarle il sangue necessario. Lasciai il prelievo a Olly, uno dei miei robot, che l'avrebbe analizzato. Dopodiché, portai la barella con su Becky in una stanza che solitamente usavo per farmi vari controlli. Con cautela, la spogliai da tutti gli oggetti metallici che aveva addosso,e lasciai procedere Julian e Willy, due altri miei robot, con la radiografia.
Sentivo un senso di vuoto nel vederla in quello stato. Non sapevo come comportarmi, volevo solo che si riprendesse e tornasse a stare bene.
Non appena Julian mi portò i risultati, qualcosa attirò la mia attenzione. Dalla parte del lobo temporale destro si vedeva un quadratino, un corpo anomalo, che non doveva stare lì. Mi accigliai, guardando meglio. Cos'era?
"Harris, vedi anche tu quello che vedo io?"
"Sembra ci sia un microchip, signore"
"Dobbiamo prelevarlo e capire cos'è"
"Signore, c'è bisogno di operare e non abbiamo una sala operatoria"
"Harris, forse non hai capito che la mia ragazza ha qualcosa infilato nel cervello che le sta compromettendo le funzionalità cerebrali. E' una situazione di emergenza, dobbiamo operare adesso!" urlai, portandomi le mani sulla fronte. Infondo, però, Harris aveva ragione. Dovevamo praticamente asportarle un pezzo del cranio, prelevare il corpo estraneo e richiudere tutto. Avevamo bisogno di una sala sterilizzata, guanti e attrezzatura. Non sapevo come fare, ma in qualche modo dovevo procedere.
Mi fermai un secondo a guardare con accortezza la parte dove doveva essere situato quel quadratino tanto strano, notando che quella zona, ormai coperta dai capelli, aveva una cicatrice bianca ancora non del tutto rimarginata.
"Guarda, Harris, qui non si è ancora rimarginata la ferita, hanno inserito quel corpo estraneo da qui"
"Esaminando la ferita, non hanno aperto il cranio ma lo hanno solamente perforato"
"Quindi ha praticamente un buco nel cranio che non protegge il cervello?" mi piazzai una mano sul viso, esterrefatto.
"Esattamente. In questo caso, conviene anche a noi fare la stessa cosa, signore. Dopodiché possiamo sfruttare la tecnica sperimentale di accelerazione di calcificazione delle ossa su cui ha lavorato, signore".
Sospirai, in preda all'ansia. Dovevo prendere una decisione.
Asportare quel corpo non sembrava poi tanto complicato come pensavo, ma non volevo usare su di lei una tecnica sperimentale. A lei andava il meglio, e quello che avevo scoperto era solo una bozza. Non potevo e non volevo assolutamente farle ulteriore male. Se qualcosa fosse andato storto ancora di più, non me lo sarei mai perdonato.
D'altronde, se non avessi proceduto, lei sarebbe rimasta in quello stato e quel coso avrebbe compromesso ancora le sue capacità cerebrali.
Dovevo intervenire.
"Harris, preparo la stanza, disinfetto le mani e l'occorrente. Lo facciamo" esclamai, dopodiché preparai in un batter d'occhio la stanza, me stesso e anche l'occorrente.
Amore mio, non soffrirai più adesso.
Pochi minuti dopo, ero già pronto a operare. E no, non avevo una specializzazione, per cui era davvero pericoloso. Ma per lei, dovevo provare.
Dopo l'anestesia, cominciai a tagliare. Notai subito il foro, per cui non fu poi così lunga come operazione. Con estrema cautela e attenzione, infilai delle piccole pinzette all'interno del foretto ed estrassi quello che sembrava essere un microchip. Mi sentii più tranquillo, ma il peggio dovevo ancora passarlo. Con un ago sottilissimo ma resistente, le forai ancora il cranio iniettandole la sostanza sperimentale su cui stavo studiando e di cui prima aveva parlato Harris. Era una sostanza che serviva alla calcificazione delle ossa, contribuiva accelerando i tempi. Il cuore sembrava volesse uscirmi dalla cassa toracica e in quel momento pregai che tutto andasse per il verso giusto. Una volta conclusa l'operazione, con qualche punti di sutura chiusi la ferita e la medicai.
Doveva solo svegliarsi.
Chiusi gli occhi e sospirai, finalmente era tutto finito.
Lavai e disinfettai gli attrezzi usati, feci la stessa cosa con le mie mani. Portai Becky con me fuori dallo stanzino in cui avevo eseguito l'operazione e lasciai che l'anestesia finisse il suo corso, mentre nel frattempo analizzai in microchip.
Quando mi si aprì la casella con tutto ciò che conteneva, mi sembrava assurdo tutto quello che ci trovai.
Aprii una cartella, dove trovai decide e decine di cattive informazioni su di me. Ne aprii un'altra, dove trovai decine e decine di codici che il microchip mandava al suo cervello quando mi vedeva, che scaturivano emozioni diverse, ma tutte distruttive. Aprii l'ultima cartella, che parlava di lei, del suo esperimento, di ciò che era diventata e di ciò che era in grado di fare. Quel microchip stava seriamente domando la sua esistenza, rendendola schiava.
Non avevo mai visto nulla del genere, era qualcosa di nuovo e che metteva i brividi. La domanda che mi ponevo era: perché? Perché uccidermi? Perché usare lei? Perché farla diventare un mutante? Perché rovinarle in questo modo la vita? Sapevo che la sua quasi-storia con me poteva compromettere molte cose, ma non avevo mai pensato che potessero arrivare a fare qualcosa del genere.
Mi sentii in colpa, tremendamente in colpa.
Mi girai verso Becky, che ancora dormiva, abbassando poi il capo alla sua vista.
Non solo a causa mia era diventata un metaumano, ma l'avevo anche quasi uccisa.
Quale ragazzo che dice di amare la propria ragazza potrebbe mai fare una cosa del genere? Nessuno. Ma io non sono come gli altri.
Io sono un uomo che sa far scendere pioggia dal cielo, che sa volare col vento, che sa far nascere la natura sulla propria mano. Non sarò mai come gli altri, e non potrò mai avere una relazione tranquilla come tutti gli altri. Da quando Becky si era avvicinata a me, aveva avuto solo problemi su problemi. Non potevo lasciarla morire al mio fianco. Non volevo che questo fiore stupendo appassisse al mio fianco.
"Mi dispiace così tanto, tesoro mio" sussurrai, stringendole la mano e baciandole poi la fronte. "Spero potrai perdonarmi" sussurrai ancora, chiudendo gli occhi e aspettando un suo cenno..
Rebecca's POV.
Un dolore, un dolore lancinante alla testa mi fece aprire gli occhi. Avevo male un po' ovunque, ma il dolore alla testa era decisamente il più forte. Provai ad alzare una mano e a toccarmi dove mi faceva male, ma sussultai. Di conseguenza, aprii gli occhi. La luce forte e bianca, era accecante. Ma dov'ero? Non sentivo puzza di ospedale, ma c'era quel fastidioso rumore che si ode solitamente negli ospedali.
Bip. Bip. Bip. Bip.
Girai la testa a destra e a sinistra, notando solo tanti computer e macchinari che conoscevo fin troppo bene: erano quelli di Justin. Ma di lui, nemmeno l'ombra. Provai a tirarmi su, ma sentivo tutti gli arti indolenziti e doloranti e dovetti fare molta fatica. La flebo mi dava fastidio, pizzicava così limitai la fuoriuscita del liquido e sentii subito un po' di sollievo.
Mi massaggiai il collo cercando di mettere a posto tutte le idee, ma sentivo che mancavano alcuni pezzi della storia. Ricordavo fuoco, ricordavo acqua, ricordavo dolore fisico, ricordavo il viso di Justin.. e niente più. Era come se avessi eliminato molti spezzoni di ciò che era successo, non ricordavo un granché e quella sensazione era terribilmente brutta. Chiusi gli occhi e sospirai, mi sentivo debole e avevo bisogno di riprendere energie. Feci per staccare la flebo, desiderosa di scendere e andare a casa mia, quando una voce mi interruppe.
"Fermati!" Justin corse verso di me, con un sorriso che non avevo mai visto. Poggiò una busta che aveva in mano per terra, dopodiché si avvicinò a me. "Ti sei svegliata" mi accarezzò il viso, dandomi poi un bacio sulla fronte. "Pensavo di averti persa per sempre" continuò, così mi lasciai coccolare dalle sue braccia.
"Cosa intendi?" gli chiesi, rimanendo perplessa.
"Non ricordi nulla?" mi guardò negli occhi, sembrava che fossero stati attraversati da una scia di dolore.
"Nulla" chiusi gli occhi, sospirando.
"Be', allora fammi spazio che la storia è lunga" sorrisi, lasciando che Justin si sedesse accanto a me.
Finalmente sentivo il calore del suo corpo, senza sentire emozioni diverse da quelle che realmente provavo. Il disprezzo e il disgusto non esistevano più, non provavo più la voglia di ucciderlo e non sentivo più di dover portare a termine una missione. Mi sentivo tremendamente normale, e tremendamente innamorata.
"Allora?" chiesi, aspettando una risposta.
"Vedi, ultimamente non provi tanta simpatia per me e questa sera me ne hai dato la conferma. Dopo essere andata via da casa mia, dopo essere stata con me, ci siamo incontrati al vecchio magazzino abbandonato di Venice. Non volevo battermi con te, ma mi hai spinto a farlo altrimenti mi avresti ucciso. Avevi una forza tale da mettermi paura. Ci siamo battuti fino alla fine delle nostre forze e, proprio quando stavi per diventare Supernova, sei tornata in te e mi hai pregata di spegnere il fuoco perché non riuscivi più a controllarti. C'era solo un opzione e non potevo permettere che rasassi al suolo tutta Los Angeles e dintorni. Purtroppo ho fatto una scelta di cui mi sono pentito, perché ho spento l'incendio ma ti ho quasi uccisa"- sentii la sua voce tremare, così gli strinsi la mano"- Ho dovuto rianimarti, sei rimasta morta per pochi secondi prima che il tuo cuore cominciasse a battere. Dopodiché ti ho fatto le analisi ed tutto è, bene o male, nella norma, ma secondo una radiografia avevi un microchip inserito nel cervello.. proprio qui"- indicò la parte che tanto mi doleva, spiegando così la causa della mia sofferenza -"Così ho dovuto operarti per estrarre e analizzare il microchip. Avevi già un foro aperto, per cui ne ho approfittato per provare un acceleratore di calcificazione che ho studiato ultimamente, era l'unica scelta perché sarebbe stato molto pericoloso richiudere e non fare nulla. Così ti ho estratto il microchip, ho chiuso tutto e ho aspettato che ti svegliassi analizzando il contenuto del microchip. Ho trovato la causa dei tuoi sbalzi d'umore e delle tue manie omicida" mi sorrise, dandomi quel conforto di cui avevo bisogno.
Quindi, in poco meno di mezza giornata, avevo fatto l'amore con Justin, avevo lottato con lui, stavo per rasare al suolo la città, stavo per essere uccisa, sono rimasta morta per qualche secondo, sono stata operata e adesso sono qui, pensai. Figo.
"Adesso sto bene?" chiesi azzardatamente.
"Ti riprenderai" mi strinse le mani. "Non riesci ad immaginare la paura che ho avuto. Pensavo di averti uccisa, pensavo di averti persa. Pensavo di non poter più guardare questi occhioni meravigliosi, sai?" mi accarezzò il viso con la sua mano calda, così che sorrisi come non avevo mai sorriso prima.
"Be', mi hai salvata" mi morsi il labbro, incrociando il nostro sguardo. E non so perché, ma proruppi in un pianto.
Piansi, piansi come non avevo mai fatto. Cacciando via tutto il dolore, la frustrazione. Piansi, liberandomi da quella sensazione orribile che mi spingeva a sentirmi uno schifo, da quella sensazione che mi faceva sentire la causa di tutto. Svuotai me stessa, finché non mi sentii libera. Svuotai me stessa piangendo, perché in quel momento era tutto ciò che riuscivo a fare per sentirmi se non bene, almeno meglio. Avevo combinato un vero e proprio caos, avevo combinato un pasticcio. Potevo uccidere Justin, morire io o addirittura rasare al suolo Los Angeles. Potevo fare del male a molte persone, ma Justin mi aveva fermata, mi aveva aiutata. Avevo rovinato con lui un momento stupendo, piuttosto che restare a letto con lui avevo preferito dare la meglio a quelle sensazioni anomale e distruttive rischiando quasi di.. di ucciderlo. Potevo uccidere la persona che amavo. Ero stata una vera e propria stupida. Al ricordo di quei pensieri, piansi ancora di più e mi strinsi a Justin per quel che potevo.
Solo poco dopo, mi sentii libera.
"Cosa succederà adesso?" chiesi a Justin, facendomi cullare dal suo petto.
"Be', i tuoi sanno che siamo usciti e che torneremo stasera tardi. Tuo fratello si è un po' insospettito, ma alla fine mi ha creduto. Per le due devo riportarti a casa"
"E che ore sono adesso?"
"Sono le dieci, tesoro mio, hai dormito per un paio d'ore" annuii, non avevo la forza di continuare a parlare. "Vogliamo salire su da me? Te la senti?"
"Non posso farmi vedere nei panni di Blazing" mi torturai i capelli, tirando su col naso.
"Ho preso dei vestiti da camera tua" si alzò dal lettino e prese la busta che precedentemente aveva poggiato per terra, facendomi vedere il contenuto: un jeans scuro, una maglietta lunga bordeaux a maniche lunghe, degli stivaletti col tacco neri e un gilet nero. "Pensavo potessero essere adatti per la parte che dovevamo inscenare.." si grattò leggermente la cute, era così dannatamente dolce mentre lo faceva.
"Posso levare la flebo per vestirmi?" Justin annuì, venendo subito a staccare la flebo al posto mio. Con una garza sterile e un cerotto mi coprì la ferita, in modo tale da poter essere più libera nei movimenti.
Non appena poggiai i piedi a terra, sentii la testa girare. Chiusi gli occhi per un secondo, quando sentii due forti braccia prendermi e stringermi forte. "Vuoi che ti aiuti?" mi chiese Justin, annuii debolmente.
Riuscii a levare il costume interamente rimanendo in intimo davanti ai suoi occhi. Mi sentii osservata, ma allo stesso tempo protetta. Non volevo vedere com'ero ridotta, così lasciai che i vestiti mi coprissero. Misi la maglia, mentre Justin mi aiutò col jeans. Nonostante tutto, lui aveva ancora molte forze, ero io quella a pezzi. Una volta aver messo anche le scarpe, poggiai la tuta nella busta con cui Justin aveva portato i vestiti e mi guardai per un secondo allo specchio: avevo le occhiaie, il trucco era tutto sciolto, i capelli arruffati. Con un fazzolettino tolsi il trucco in eccessi e provai a sistemare i capelli alla meno peggio, ma ero pur sempre uno zombie ambulante, non sapevo come Justin potesse stare al mio fianco in quelle condizioni.
"Sei pronta?" mi chiese, all'uscio del suo laboratorio. Annuii e, con calma, uscimmo ritrovandoci nel garage.
"I miei sono ancora da te?"
"No, sono tornati a casa. Preferisci che andiamo a casa tua?" mi accarezzò il viso, annuii.
"Più che altro, se fai vedere a mio papà che mi riporti a casa già da adesso comincia a fidarsi di te.. cioè, si insomma.. hai capito" arrossii, non capendo nemmeno io cosa caspita stessi dicendo.
"Lo so che mi vuoi, bambolina" alzai gli occhi al cielo e arrossii ancora, senza controbattere. Aveva ragione, lo volevo e avevo bisogno di lui.
Prima di uscire dal garage, mi prestò un suo cappellino di lana così da non far vedere ai miei genitori la medicazione. Lo ringraziai con un sorriso, dopodiché ci avviammo verso la mia abitazione. A malapena mi tenevo in piedi, ma menomale che avevo Justin lì, a sorreggermi. Era pazzesco il modo in cui era riuscito a cancellare tutto il male che gli avevo fatto, dimostrandomi amore, l'amore più assoluto. Era bellissimo il modo in cui mi faceva sentire, non mi ero mai sentita più protetta e al sicuro che in quel momento. Certo, avremmo dovuto mettere apposto un bel po' di cose, ma in quel momento non ci volevo pensare. Una volta guarita, avrei pensato a tutto il resto. Nel frattempo, desideravo che l'amore di Justin curasse le ferite che mi ero inflitta e che avevo inflitto anche a lui.
E Justin sapeva bene di cosa avevo bisogno.
Una volta arrivati fuori l'uscio di casa mia, bussai al campanello. Quando mio papà mi aprì, rimase piuttosto sorpreso. "Ragazzi, non pensavo tornaste così in fretta"
"Abbiamo pensato di tornare prima, eravamo piuttosto stanchi" sorrisi, dando poi un bacio al mio uomo preferito. Il papà, è sempre il papà.
"Prego, entrate pure. Io e la mamma stavamo guardando un film mentre i bambini sono già a letto e Ryley invece è a lavoro, volete unirvi a noi?"
"A dire il vero, preferisco stare un po' in camera mia.. ti.. dispiace?" chiesi, imbarazzata.
"A fare..?" chiese mio padre, con aria sospetta.
"Avevamo pensato di riposarci un po'. Porta aperta, promesso" mi sorrise, come se avesse ottenuto un premio. Fece l'occhiolino al ragazzo che ancora mi teneva stretta a sé, scaturendo la nostra risata.
Dopo aver salutato anche mia madre, salii al piano di sopra con Justin. Entrai velocemente in camera mia e non mi chiusi la porta alle spalle, ma mi stesi subito a letto, Justin con me.
"Mi mancava dormire con te, sai?" dissi, strusciando il naso sul suo petto.
"A me mancavi tu" mi prese il meno tra il pollice e l'indice, avvicinandomi velocemente alle sue labbra per stamparmi un dolce e casto bacio.
"Dormi con me stanotte?"
"Tu mi vuoi accanto a te?"
Annuii. "Ti voglio qui con me, Justin. Davvero"
"A Venice sembravo il contrario" abbozzò una risata.
"Ma a Venice mi controllava un microchip" alzai gli occhi al cielo. "Io..non provavo davvero quello che dimostravo"
"E cosa provi realmente?"
"Vuoi saperlo davvero, Justin?"
"Voglio saperlo davvero, Rebecca"
Inaspettatamente, avvicinai le mie labbra alla sue, unendole in un bacio. Non un bacio qualsiasi, ma il bacio.
Il bacio con cui gli dimostravo il mio amore, la mia devozione, le mie paure.
Il bacio con cui davo una risposta alla sua domanda, facendogli capire che provavo davvero qualcosa di forte per lui.
Il bacio, con cui dimostrai di essere completamente sua.
"Justin.." sussurrai, non appena mi staccai.
"Rebecca.." ripeté, accarezzandomi il viso.
"Penso di amarti"
"Ed io penso di ricambiare, tesoro mio"
Il mio cuore perse un battito, non appena sentii quelle parole.
Sorrisi, come non avevo mai fatto. Mi strinsi forte al suo petto e socchiusi gli occhi, felice.
Il dolore fisico che provavo era forte,ma la felicità, in quel momento, superava di gran lunga il male.
"Io penso di vomitare" scattai, guardando furiosa e imbarazzata mio papà che si godeva lo spettacolo sullo stipite della porta.
"Papà, ho lasciato la porta aperta ma non per questo devi origliare" mi alzai e incrociai le braccia al petto. "O esci di qui, o chiudo a chiave"
"Va bene, esco. Justin, ricorda che ho un fucile e so come usarlo" urlò mio padre, uscendo dalla porta.
Completamente rossa in viso, tornai a letto e mi nascosi sotto il collo del ragazzo che, beato, rideva. "Scusa" farfugliai, imbarazzata.
"Ah, be'. Io farei lo stesso con Jazmyn ed è mia sorella" ridacchiò, ed io con lui. "Dove eravamo rimasti?"
"Dove vorresti essere?"
"Basta essere con te" sussurrò Justin, rendendo il mio corpo tutto un fremito.
Ecco cosa si prova ad essere felici..
Ad essere innamorati.
Oh Justin, cosa mi fai?
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