'Non vado da nessuna parte senza prima averti baciata'
Aiuta Zack a fare i compiti.
Nel frattempo metti apposto la cucina.
Taglia le cipolle per il soffritto.
Controlla le patate nel forno.
La vita da donna, qualsiasi età tu abbia, è sempre stancante.
Stavo letteralmente impazzendo, e meno male che erano solo le sette. Avevo fatto tardi a casa di Taylor, avevamo parlato tanto quel pomeriggio, la sua compagnia era stata piacevole. Peccato che ero svenuta, altrimenti avremmo passato un pomeriggio molto meno movimentato e più divertente.
"Reb, cosa cucini?" mi chiese Zack, colorando un disegno dal libro. "Sento puzza di cipolla"
"Infatti la sto tritando, ometto" risi osservandolo. Gli occhiali leggermente tondi gli contornavano il viso, facendogli assumere un'aria da bravo bambino quando in realtà era tremendamente furbo.
"Poi cosa cucini?" chiese ancora, continuando a colorare.
"Avevo pensato il roast beef con i funghi, ti piace vero?" annuì più volte, sorrisi. "Ho il via libera allora" gli feci l'occhiolino. Mi guardò col sorriso stampato sul volto, un sorriso che svanì osservando dietro di me.
"Reb sta prendendo fuoco il canovaccio!" urlò, indicando un punto preciso della stanza.
Mi girai di scatto, perdendo lo sguardo nelle fiamme arancioni che andavano nel rosso.
Il fuoco si muoveva in una maniera ipnotica. Osservai le fiamme nella loro danza, così passionale. Si chiamavano, s iincontravano, si rincorrevano, si cercavano, si volevano. Il loro ondulare in sincronia mi fece perdere la testa. La loro armonia era quasi soprannaturale.
Allungai il braccio toccando con le dita quelle fiamme. Strinsi il canovaccio tra le mani spegnendo le fiamme e sentendo il calore entrarmi nelle vene.
Era rigenerante.
Mi sentivo più carica.
"Come hai fatto?" chiese mio fratello con gli occhioni che quasi gli uscivano dalle lenti degli occhiali.
E adesso cosa mi invento?
"Be', vedi tesoro.. avevo le mani un po' umide, si è spento da solo" sorrisi, abbastanza soddisfatta della piccola bugia che avevo appena inventato.
Zack mi scrutò per qualche secondo, passò il suo sguardo dalle cipolle tritate al canovaccio ormai bruciato un paio di volteprima di annuire.
Sospirai per poi gettar via lo straccio nella spazzatura. Tornai a tritare la cipolla, facendola poi soffriggere. Riuscivo a percepire perfettamente il calore, era una di quelle sensazioni che non riesci a controllare. Come quando ti innamori di una persona, e ogni qual volta la vedi senti il tuo cuore battere. Le emozioni si fanno spazio, le sensazioni sono vive sulla tua pelle. Non mi sentivo così bene con nessuno, se non col calore. Col fuoco. Ero innamorata di quelle sfumature arancioni così forti, che sfumavano in un rosso così acceso da sembrare tetro e allettante. Ero innamorata della movenza di quelle fiamme, dal loro ondeggiare e volteggiare. I miei occhi si beavano alla loro vista.
"Becky, quando arriverà Justin?" mi girai di scatto, sentendo quel nome. Gli occhioni verdi di mia madre mi guardavano interrogativa. Posai per un secondo lo sguardo sull'orologio posto sulla parete per poi incatenare di nuovo i nostri sguardi.
"Alle sette e mezza dovrebbe essere qui" dissi solamente, con indifferenza.
Sentivo una strana sensazione al solo pensiero del suo viso. Non lesolite farfalle, ma bensì qualcosa di più distaccato. Distaccata, ma non indifferente. Ero arrabbiata con lui, dannatamente arrabbiata dato quello che mi stava facendo passare. E, sinceramente, non mi andava di soffrire ancora. Ogni qual volta vedevo il suo viso nei miei pensieri avevo uno strano istinto.
Mi surriscaldavo, letteralmente. Sentivo il mio corpo essere dominato dalle fiamme, fiamme che volevano scatenarsi sul corpo di quel biondino per fargli provare almeno un po' di dolore, come quello che stavo provando io.
Ancora non sapevo come sarei riuscita a controllare i miei impulsi omicidi verso Justin.
Driin. Driin.
Sospirai. Era appena arrivato.
Chiusi gli occhi e strinsi il mestolo in legno tra le mani, sentendo il mio corpo andare a fuoco.
Respira.
Respira.
Respira.
Continuavo a ripetermi che dovevo stare calma e che dovevo essere indifferente, ma non ci riuscivo. Sapere di lui, nella mia stessa casa, a respirare la mia stessa aria, dopo tutto quello che mistava facendo passare, mi stava facendo perdere la testa. Era come se tutto ciò che provassi per lui fosse svanito, lasciando spazio alla rabbia e alla delusione. Volevo essere amata, non usata. Quando invece, tutto ciò che riusciva a fare era proprio usarmi a suo piacimento.
"Oh, Justin, come facevi a sapere che adoro le orchidee?" senti la voce di mia madre, e i suoi passi farsi sempre più vicini.
"Hai una figlia che non fa altro che parlarmi di te" chiusi gli occhi. Era arrivata la mia fine.
O forse la sua.
"Credimi, lei non fa altro che parlarmi di te" arrossii. Perché doveva mentire spudoratamente in questo modo? Be'..del tutto forse non mentiva. Sentii la maniglia della porta abbassarsi, presi a mescolare velocemente le cipolle per non farle attecchire allapentola, poggiando poi il pezzo di carne per farlo cuocere."Visto che brava che è? Da un paio d'anni a questa parte è cresciuta tantissimo" arrossii ancora, lavando le mani conacqua calda. Bollente.
"Ho diciannove anni, mamma, ci credo che sono cresciuta" sorrisi leggermente, mentre asciugavo ogni singola goccia d'acqua dalle dita. Non volevo girarmi.
"Non vieni a salutare Justin, tesoro?"
Sospirai, impercettibilmente.
Sentii la strana sensazione presente dentro di me farsi sempre più forse. Sentivo il corpo accaldarsi, le mani sudare. Sembrava quasi che il loro colorito cambiasse, come se delle scariche elettriche mi passassero attraverso la pelle rendendomela luminosa. Chiusi le mani a forma di pugno. Non dovevo perdere il controllo.
Deglutii e mi girai, piano. Non appena i miei occhi si scontrarono con quelli di Justin ebbi uno strano impulso. Dovetti stringere le mani ancora di più per riuscire a non perdere il controllo.
I suoi occhi mi scrutavano.
I miei occhi lo fulminavano.
Si avvicinò piano a me, osservai ogni suoi movimento accigliata. Potevo sembrare antipatica ed arrogante, ma poco mi interessava. Non dovevo cedere al suo sguardo.
Non appena arrivò a pochi centimetri dal mio corpo allungò una mano verso il mio viso. Deglutii, quasi disgustata. Ma quando mi accarezzò un'altra sensazione si fece spazio nel mio cuore.
Era come se tutto quello che aveva fatto, il suo costante ignorarmi e usarmi a suo piacimento, fosse scomparso. Mi beai, per un paio di secondidi quel contatto. Le sue mani erano morbide -forse un po' troppo fredde- ma pur sempre lisce e delicate. Mi accarezzavano la gota con estrema delicatezza e gentilezza, quel tocco era magico. Solo lui riusciva a farmi sentire così bene, con un semplice contatto,con una semplice carezza. Aveva davvero i super poteri.
Super poteri non così utili. Perchéla sensazione che provavo dentro di me, quella di odio e didisprezzo, si fece nuovamente spazio dentro di me.
Mi scostai dal suo tocco, e sentii improvvisamente freddo ma decisi di non pensarci.
"Scusatemi ma devo continuare a preparare la cena. Aspettatemi in salotto, per favore" mi schiarii la voce,
prendendo più coraggio e determinazione.
Non dovevo farmi abbindolare, infondo era solo un belloccio che sapeva solo giocare.
E allora perché una parte di me continua a gridare di voler sentire ancora il freddo della sua pelle a contatto col mio corpo caldo?
Justin's POV.
Sospirai, frustrato.
La sentivo distante, troppo distante e avevo paura di quello che -molto probabilmente- le avevano fatto. Se quel Taylor era il Taylor del Lucas che conoscevo, allora eravamo davvero in un bel guaio. Harris ancora non mi aveva dato conferme e non era una cosa così allettante. Quando non riuscivamo a trovare informazioni per quanto riguardava una persona voleva dire solo una cosa: problemi in vista.
Non potevo permettere che accadesse qualcosa a Rebecca.
Eppure, dal modo in cui mi guardava, sapevo che qualcosa era già successo.
E se così fosse stato, non me lo sarei mai perdonato.
The Storm non era molto amato. Molte persone lo volevano con sé, date le sue doti così uniche. Peccato che queste persone, tutte essenzialmente metaumani, avevanosolo scopi vili, mentre The Storm aveva altri obbiettivi. "Potrai arricchirti e vivere nell'agio" - gli dicevano, cercando di convincerlo, di corromperlo. The Storm, a loro discapito, non era né un corrotto né un ladro. Da quando aveva ricevuto in dono i superpoteri aveva promesso a sé stesso di usarli almeglio per aiutare chi era in pericolo, chi aveva bisogno di aiuto. Voleva essere la causa di un sorriso, non delle lacrime. Avendo ammesso ciò, molti di loro avevano ben pensato di farlo fuori. Poteva essere pericoloso interrompere le loro rapine e i loro maltrattamenti, non potevano permettersi di perdere tutto ciò che avrebbe loro permesso di vivere nel lusso. Le loro coalizioni avevano con sé i membri più impensabili, per cui doveva stare ben attento.
Il pericolo era dietro l'angolo. E non poteva permettersi di rimanerci secco e di lasciare la città in mano alla distruzione.
Mi sedetti sul divano assieme a sua madre, che non faceva altro che parlarmi di Rebecca e degli altri suoi figli. Amava ognuno di loro, ma Rebecca e Ryley erano i suoi primi figli e provava verso di loro un senso di amore e gratitudine diverso, sopratutto dopo ciò che le era successo. Sentirla parlare mi infondeva forza. Anche se era palesemente debole e parlava lentamente, sapere che aveva già la forza di camminare, muoversi e vivere dopo la bruttissima malattia che aveva avuto infondeva forza anche a me. La forza di andare avanti, di vivere al massimo e di non perdermi nessun attimo della mia quotidianità.
E mi ritrovai a guardare Rebecca.
Era bellissima e mi sarebbe piaciuto tantissimo poterla vedere ogni giorno, poterla abbracciare ogni notte, poterla baciare ogni volta che volevo. Desideravo averla mia, desideravo farla mia. La conoscevo da poco, eppure avevo sempre più bisogno di lei. Come amica, fidanzata e, forse, anche qualcosa in più.
"È pronto!" urlò, dalla cucina, circa mezz'ora dopo averci liquidato sul divano. La vidi calarsi a novanta per prendere la teglia dal forno e dovetti girare lo sguardo, non volevo fare pensieri poco casti su di lei in presenza dei suoi genitori, ma sopratutto di suo padre che emanava un aurea particolarmente intensa.
Mi avviai al tavolo, seguito da sua madre e da tutti i bambini. Mirabelle era tenera e dolce, mi sarebbe piaciuto sbaciucchiarla. Alyssia, poi.. era la fotocopia di Rebecca, solo più piccola. E Breanna aveva la faccia da vera furbetta. Ma la migliore restava sempre Rebecca.
"Becky abbiamo fame!" urlò Jhonny, mentre il Ryley gli sistemava il bavetto. Sorrisi, era un fratello molto premuroso.
"Sto arrivando" urlò uscendo dalla cucina e portando, a mani nude, la teglia fumante appena uscita dal forno.
La guardai sbigottito, tutti la squadravamo impressionati. Come riusciva a portare una teglia, fumante, senza ustionarsi?
C'era qualcosa che proprio non andava.
"Becky, ma sei stupida?!" sbottò suo padre, con gli occhi fuori dalle orbite. Sorpreso, ma stranamente non impaurito.
"Perché?" chiese lei non curante, poggiando la teglia su un poggia pentole di legno che aveva portato con sé.
"Perché potresti ustionarti, a volte non penso che tu abbia diciannove anni per le domande stupide che fai.." Rebecca alzògli occhi su suo padre e lo fulminò, non proferendo una parola. Cominciò ad impiattare e tutti rimanemmo in silenzio, ancora troppo sotto shock per quello che era appena successo.
"E comunque era fredda" alzai gli occhi sulla ragazza posta al mio fianco e provai ad allungare la mano per vedere se effettivamente era fredda o meno. "Non ti conviene" sussurrò Rebecca sorridendomi.
Quello, però, non sembrava il suo sorriso.
"Porto questa di là e vengo, voi iniziate pure a mangiare" ci sorrise dolcemente, prendendo nuovamente la teglia bollente con le mani e portandola in cucina.
Quando tornò e si sedette al mio fianco riuscii a sentire lo strano calore che la sua pelle emanava.
"Non è che hai la febbre, piccolina? Sei calda" esordii, toccandole la fronte. Si scostò, socchiudendo gli occhi.
"Sto benissimo, grazie" rispose, fredda come non mai.
Che ne era della mia Becky, della mia Becky dolce e delicata?
Che fine aveva fatto la ragazza per cui avevo perso la testa?
Era insolita, strana e mi faceva paura quella situazione.
Era successo qualcosa quel pomeriggio, me lo sentivo.
Rebecca's POV.
Durante l'arco della seratavnon mi ero divertita ungranché. Sentivo ancora quello strano senso di repulsione e disgusto nei confronti di Justin e avevo scoperto di avere una grande padronanza perché se non mi fossi controllata avrei fatto una strage e non volevo che la mia famiglia scoprisse il mio nuovo lato oscuro.
A fine serata non riuscii più a controllarmi e mi alzai di scatto. "Scusate, devo andare al bagno" mentii, sentendo il cuore accelerare e il fuoco scorrermi nelle vene.
Entrai in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle. Mi accascia sul letto, stremata. Avevo bisogno di staccare la spina, i miei pensieri mi stavano divorando. La voglia di prendere Justin e di strozzarlo era enorme, grande quasi quanto la voglia che avevo di stringerlo e di baciarlo.
Odio e amore.
Amore e odio.
Lo odiavo a tal punto da volerlo uccidere, ma allo stesso tempo sentivo di amarlo e di volerlo baciare.
Non sapevo cosa pensare, cosa fare. La mente mi diceva 'uccidilo', ma il cuore mi urlava 'bacialo'. Avevo bisogno di sentirlo al mio fianco, ma allo stesso tempo mi sentivo disgustata e ferita.
Ero un mix di emozioni e stavo per scoppiare, ero una vera e propria bomba ad orologeria, nel vero senso della parola.
"Sapevo che non eri andata al bagno" sentii una voce, la sua voce, parlarmi. Ero talmente presa dai miei pensieri, che non mi ero nemmeno resa conto della sua presenza. "Proprio come la prima volta, anzi, la seconda volta che venni a casa tua. Ricordi?"
"Hai vinto un milione di dollari, guarda" ridacchiai stringendo il cuscino che mi aveva regalato tra le braccia. Kiss me, baciami.
"Becky, non so cosa ti sia preso, ma.." mi alzai di scatto, girandomi verso di lui.
"Non ho niente, Justin" risposi, fredda come il ghiaccio, quando dentro avevo il fuoco.
"Invece hai qualcosa, sicuramente hai qualcosa, Rebecca" si avvicinò pericolosamente a me, prendendomi il viso tra le mani."Mi hai evitato tutta la serata, mi hai risposto come se fossi uno zerbino e continui a trattarmi da tale. Hai sicuramente qualcosa ed è odioso non sapere cosa" si avvicinò, rimase a pochi centimetri dalle mie labbra.
'Bacialo'
'Allontanalo'
'Amalo'
'Uccidilo'
"Va via, Justin" chiusi gli occhi, sentendo la rabbia scorrermi dentro. Una rabbia insolita, verso me stessa. Non riuscivo a capire cosa mi stava succedendo e odiavo sentire milioni di emozioni e nessuna conclusione.
"Non vado da nessuna parte" continuò Justin avvicinandomi si di nuovo.
"Se non vuoi che ti uccida, farai bene ad allontanarti" strinsi i pugni e sentii il mio corpo andare a fuoco. Feci un passo indietro e sentii gli occhi riempirsi di fiamme e un incendio divampare dentro di me. "Vattene, Justin, prima che perda il controllo" continuai, chiudendogli occhi e girandomi per mantenere il controllo.
Ero talmente accecata dalla rabbia e dalle emozioni, che non mi resinemmeno conto che le mani erano state accerchiate dalle fiamme e che Justin si era praticamente pietrificato. Non respirava, non si muoveva. Aveva gli occhi spaventati e il cuore gli batteva, forte. Riuscivo a percepirlo. Riuscivo a sentirlo. Mi girai verso di lui, cercando di ritrovare la calma. Quando fissai i miei occhi nei suoi fece uno scatto in avanti e mi poggiò una mano sul viso e una dietro la schiena attirandomi a sé.
"Non vado da nessuna parte senza prima averti baciata" sussurrò, per poi unire il sapore delle sue labbra alle mie.
Così che dimenticai ogni cosa, tranne l'amore che provavo per lui.
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