"Meglio andare di corsa"
Sù, forza!
Non è il momento di essere codardi!
Che sarà mai??
Posso farcela anch'io!
Rosie, le mani strette sulle maniglie del carrello, si ripeté quelle frasi per l'ennesima volta, lo sguardo fisso sulla barriera che divideva i binari nove e dieci, mentre frotte di persone le passavano accanto, salendo o scendendo dai vari treni in arrivo e in partenza.
Ma ripeterle non servì a nulla: i suoi piedi parevano incollati al suolo.
Alzò lo sguardo all'orologio della Stazione di King's Cross: le lancette di metallo nero puntavano sulle dieci e quarantacinque; se non si fosse data una mossa, L'Espresso per Hogwarts sarebbe partito senza di lei.
Sapeva benissimo come raggiungere il binario: non fosse altro perché aveva intravisto alcuni studenti come lei-perfettamente riconoscibili da gabbie con civette e da voluminosi bauli come il suo- correre verso la barriera con i loro carrelli e poi svanire, accedendo così al binario nove e tre quarti. In particolare, ricordava una ragazzina minuta, dai lunghi capelli neri e gli occhi grigi che, rivolgendole un sorriso timido, aveva però varcato la barriera senza alcuna esitazione.
Ma vederlo fare era un conto: farlo lei stessa era tutt'altra cosa.
-Va tutto bene, tesoro?-fece la madre, rivolgendole un sorriso.
-Certo-annuì lei con veemenza, cercando di non mostrare quanto fosse nervosa.-Mi stavo solo prendendo un attimo per...
-Come mai siete ancora tutti qui?-La voce del detective giunse alle loro spalle.-Vi credevo già al...
Si interruppe, notando l'espressione di Rosie e, non per ultimo, il modo in cui stringeva le maniglie del carrello.
-Stiamo solo aspettando che si liberi un po' la strada. Ci sono troppi Babbani-ribattè Mary, venendole in soccorso, e strizzandole l'occhio con fare complice. Rosie le rivolse un sorriso carico di gratitudine.
All'improvviso, però, avvertì qualcosa sfiorarle la gamba destra, e trasalì: per un istante, rimase rigida come una statua, col terrore irrazionale che l'incubo delle notti precedenti si stesse concretizzando.
Ma, quando ebbe abbassato lo sguardo, fu invasa dal sollievo, dandosi poi della stupida per averci anche solo pensato: vicino alla sua gamba, infatti, si stava strusciando un gatto dal pelo tigrato, a lei molto familiare.
-Quello non è il tuo amico?-fece improvvisamente suo padre, indicando un ragazzino che veniva verso di loro, coi genitori al seguito.
Il sorriso di Rosie si accentuò, mentre annuiva; Chris, che l'aveva vista, abbandonò per un istante il carrello nelle mani dei genitori, e corse verso di lei, che fece qualche passo per andargli incontro, seguita da Zeus.
-Meno male che stavolta non è andato tanto lontano-fece Chris a mo' di saluto, guardando accigliato il felino, che seguitava a strusciarsi contro i jeans di Rosie e a miagolare.
-Sono felice che tu l'abbia ritrovato-ribattè lei, con un sorriso.-Sai, dopo quello che...
Dato che sia i suoi genitori che Sherlock erano poco alle sue spalle, preferì non terminare la frase.
-Macchè! Pensa che, quando sono tornato a casa, dopo averlo cercato per ore come un disperato, ho trovato questo furbone in camera mia, sul mio letto, ad aspettarmi, come se nulla fosse! E io che mi ero pure preoccupato!
Zeus, a quel punto, forse avvertendo che il suo padroncino ce l'aveva con lui, prese a strusciarsi sulla sua gamba, per poi saltare direttamente sulla sua spalla, dove si accoccolò.
-Ruffiano...-brontolò Chris, ma con un mezzo sorriso affettuoso sulle labbra, grattandogli leggermente il collo, mentre il felino socchiudeva gli occhi, beandosi di quelle attenzioni.
-Speravo di rincontrarti-fece poi Chris, stavolta rivolto a lei, rivolgendole un sorriso timido ma chiaramente felice.-Spero che tu sia nervosa quanto lo sono io-aggiunse, con una risatina.
-...Di più-ribattè Rosie, ridendo anche lei, e mettendo a tacere, per un istante, l'agitazione.
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-Lei è Sherlock Holmes, non è vero?-Anche i genitori di entrambi si erano andati incontro, e la madre di Chris stava in quel momento rivolgendo al detective un sorriso.-Non abbiamo avuto neppure l'opportunità di ringraziarla per aver salvato nostro figlio da...!
-Non si disturbi-la interruppe il corvino con la freddezza che da sempre lo contraddistingueva.-Io non ho fatto nulla. Ringraziate lei, piuttosto-aggiunse, indicando Rosie con un cenno del capo: la quale, peraltro, già molto imbarazzata dal comportamento dello zio, riuscì a malapena a produrre un sorriso in direzione della coppia.
-Le siamo comunque grati-intervenne il padre di Chris, un uomo vestito con un elegante completo da ufficio, una ventiquattrore stretta nella mano destra e un sorriso affabile sul volto.-Ora è meglio andare. O i nostri figli perderanno l'Espresso, dico bene?-aggiunse, rivolto ai coniugi Watson, che sorrisero di rimando.
-Adoro il suo blog, dottor Watson!-aggiunse però la madre, tendendo la mano a quest'ultimo, che arrossì.
-La ringrazio, ma non è nulla di che-replicò, mentre Sherlock roteava gli occhi di fronte alla falsa modestia dell'amico.
-Ora sarà meglio andare-ripetè il padre di Chris, gettando un'occhiata all'orologio.-O rischio di far tardi alla riunione.
Chris annuì, riprendendo le maniglie del carrello con sopra i suoi bagagli, ma voltandosi nuovamente verso Rosie, Zeus ancora accoccolato sulla spalla.
-Tu non vieni?
Lei fissò nuovamente la barriera, che non pareva meno solida degli ultimi minuti in cui l'aveva guardata.
-... Tra un momento-disse, mordicchiandosi il labbro inferiore.
-Ti tengo un posto sul treno-le promise Chris, sorridendo.
-Sarebbe fantastico-ribattè lei, ricambiando il sorriso, seppur con un certo sforzo.
Chris, dopo un ultimo cenno di saluto, si avviò verso la barriera, seguito dai suoi genitori, mentre lo sguardo di Rosie si puntava di nuovo verso l'ostacolo che non si decideva a varcare.
Eppure per gli altri sembrava così semplice...
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-La madre lavora nell'ambito chimico, un laboratorio di pozioni, forse. E non sempre usa i guanti quando maneggia le sostanze. Il padre lavora al Ministero della Magia, suppongo negli uffici che si occupano delle relazioni coi Babbani. Di solito è un ufficio di poca importanza, ma considerato gli ultimi eventi che...
-Sherlock!!!-sbottò il medico, esasperato, bloccando la fiumana di deduzioni scaturite dalla bocca del detective.-Potresti spegnerti, ogni tanto?? Non puoi evitare di scannerizzare ogni singolo individuo che ti trovi di fronte??
-Tu lo chiami "scannerizzare", io lo chiamo semplicemente osservare-ribattè il detective, piccato.-E poi, a differenza di quello di quasi tutti gli altri, il mio cervello non è provvisto del tasto "off"!
-Dovremmo andare anche noi-si intromise Mary, troncando sul nascere una possibile discussione; ma vedendo Rosie eccessivamente pallida, si accigliò, scostandole un ricciolo dalla fronte.-Tutto bene, tesoro? Sei nervosa?
-No, no...-scosse lei la testa, regalandole un sorriso però poco credibile.
-È normale esserlo-intervenne suo padre, con un sorriso rassicurante.-Ricordo che anch'io lo ero, la prima volta.
Ma Rosie, seppur confortata dalla comprensione dei genitori, proprio non riusciva a decidersi; da una parte, però non capiva perché.
Non era la prima volta che aveva a che fare con la magia, dopotutto: aveva preso una Passaporta, aveva usato la Polvere volante... E persino la Materializzazione Congiunta.
Passare attraverso un muro all'apparenza solido avrebbe dovuto essere altrettanto semplice.
... Allora perché non riusciva a muovere neppure un passo??
Forse il problema non era varcare il muro in sè... ma la consapevolezza di quello che l'aspettava al di là di esso.
E se non fosse stata all'altezza delle nuove sfide che le si prospettavano?
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Mani strette sulle maniglie con insolita forza.
Pallida.
Si mordicchia il labbro inferiore: sintomatico di agitazione.
Sherlock colse al volo quei segni in Rosie, ma le conclusioni che ne trasse avevano un carattere diverso dal solito. Sembravano passati secoli da quando, stringendo appena con le pallide dita il polso di una donna e, notando le sue pupille dilatate, poteva affermare senza ombra di dubbio che fossero segni di una palese attrazione.
Era tutta questione di chimica, lo era sempre.
Almeno, questo aveva pensato finché un certo ex Auror/medico militare/Guaritore aveva ampliato la sua visione, aprendo i suoi occhi a un mondo sino ad allora per lui sconosciuto.
Quello dei sentimenti.
Forse tutti i fattori che lui analizzava erano sì il risultato di una semplice reazione chimica: le endorfine che si scaricano per adrenalina, la temperatura corporea, il battito cardiaco in aumento.
Ma si era sempre limitato ad analizzarli così com'erano e a trarne le corrette conclusioni, seppur limitate.
Lui aveva scalfito sempre e solo la superficie del mondo circostante:
John Watson, invece, gli aveva mostrato il lato umano, di esso; quello che stava dietro, e non solo quello che appariva.
Ed era un lato infinitamente più complesso da analizzare e comprendere.
Perché non tutto era deducibile, non nel profondo.
Come nel caso di Rosie.
Sherlock sapeva che lei era tutto fuorché una fifona: fin dalla più tenera età, la sua figlioccia aveva dimostrato un'intelligenza fuori dal comune e una spiccata curiosità, aperta a tutto ciò che per lei era nuovo, a dispetto delle conseguenze.
Gli sfuggì un sorriso: evidentemente non aveva preso solo dai suoi genitori, in questo...
Come quando, durante una gita, pur di salvare un coniglio che si era impigliato in un rovo, aveva cercato di usare la poca magia, che già possedeva, per liberarlo: ma con scarsi risultati, dato che i rovi non le avevano ubbidito e non si erano scostati come lei sperava.
Lei, comunque, non si era arresa e, alla fine, la creaturina era stata liberata. Sherlock ancora ricordava l'enorme sorriso stampato sulle sue labbra quando aveva fatto ritorno con la creaturina tra le braccia, noncurante degli innumerevoli graffi ancora sanguinanti sulle ginocchia e sui palmi delle mani.
Allora perché esitava a superare la barriera del binario?
Dopotutto, aveva già affrontato viaggi magici con diverse modalità di...
Ma questo non è il solito.
Non è come quelli che ha sempre affrontato con John, con Mary, o con me.
È il primo passo in una nuova fase della sua vita. Una fase completamente nuova, da sola.
È la fine di un'era.
Queste considerazioni passarono nel suo cervello con inaudita velocità, e andavano oltre il mero piano sensoriale o chimico che fosse.
Per quanto Rosie potesse essere coraggiosa o intelligente, era ora di fronte a una nuova fase della sua vita: andare ad Hogwarts, conoscere nuove persone- arricciò istintivamente la bocca in una smorfia-rapportarsi, prendere coscienza delle sua capacità, dei suoi poteri...
Non era passare oltre quella barriera, il problema.
Era il dover affrontare quel nuovo mondo da sola, lontano dal conforto datole dalla famiglia, seppur consapevole che loro ci sarebbero stati sempre.
Un altro ricordo, si fece strada nella mente del detective; ma stavolta, era suo.
Tendenzialmente, non amava indugiare nei ricordi, specie in quelli relativi alla sua infanzia, dell'adolescenza o di quando era ad Hogwarts: alcuni di essi erano fin troppo dolorosi.
Questo, però, gli risalì alla memoria rapido e nitido, come se si stesse svolgendo di fronte ai suoi occhi in quello stesso istante.
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-Sherlock, dobbiamo andare. Altrimenti L'Espresso partirà senza di te.
Sherlock, badando a malapena alle parole della madre, non distolse lo sguardo dalla barriera tra i binari nove e dieci.
Deglutì.
-Noi siamo proprio dietro di te, giovanotto-gli fece eco il padre, dandogli una piccola pacca incoraggiante sulla spalla.-Non c'è proprio niente di cui aver paura.
Il corvino strinse le labbra per impedire una replica che, in quel momento, sarebbe risultata fin troppo tagliente alle orecchie dei suoi genitori, che in quel momento cercavano solo di incoraggiarlo e confortarlo come meglio potevano, nei limiti delle loro possibilità.
Perchè c'erano cose di cui aver paura, altroché!
Frequentare una scuola nuova, circondato da... persone.
Già era stato difficile, per lui, sopravvivere in quella Babbana, figuriamoci in una con maghi e streghe come lui.
Come lui solo per i poteri, sia ben chiaro.
Avrebbe incontrato qualcuno con un minimo di cervello?
O anche lì sarebbe stato etichettato come uno strambo, uno da cui stare alla larga, da evitare?
Le pallide dita strinsero maggiormente le maniglie del carrello, mentre deglutiva nuovamente.
-È meglio che vai di corsa-bisbigliò una voce nota al suo orecchio.
Sherlock trasalì, e si voltò di scatto: Mycroft era appena comparso alla sua destra; Materializzato, senza ombra di dubbio.
-Non credevo che venissi-Sherlock fece una smorfia stizzita, squadrando il fratello.-Non dovresti essere al Ministero a lavorare su qualche questione terribilmente inutile e noiosa?
In verità, quell'atteggiamento volutamente sprezzante e ironico era atto a nascondere la felicità che provava nel vederlo lì, dato che, appunto, avrebbe dovuto trovarsi in ufficio.
Mycroft, infatti, gli rispose con un mezzo sorriso sarcastico, le braccia incrociate sul petto, intuendo perfettamente i suoi pensieri.
-Il Ministero può aspettare. Non mi perderei per niente al mondo il mio fratellino che va spontaneamente a schiantarsi contro un muro. Forse una botta in testa potrebbe giovare al tuo intelletto.
-È un muro finto. Non sbatterò da nessuna parte-sottolineò l'altro, quasi ringhiando.-E il mio intelletto va benissimo così com'è. È senz'altro migliore del tuo!
Sia sua madre che suo padre, intanto, avevano fatto qualche passo indietro, benevoli spettatori di quella sorta di schermaglia tra fratelli, che era solo una delle innumerevoli a cui assistevano ogni giorno.
-Hai ancora la sciarpa?-gli domandò Mycroft a quel punto, e stavolta il suo tono si addolcì, a discapito dell'ironia.
Sherlock annuì e sbuffò, quasi scocciato, anche se la sua mano, istintivamente, volò all'interno della tasca destra del cappotto, le dita a sfiorare il morbido tessuto della sciarpa blu navy donatagli dal fratello qualche giorno prima, come augurio ma anche come portafortuna.
Essere assegnato alla Casa giusta: un'altra preoccupazione si aggiunse a quelle già presenti, e il corvino puntò nuovamente gli occhi cristallini sul binario, incapace di fare un passo verso di esso.
Fu a quel punto che avvertì entrambe le mani del fratello maggiore dietro di sé, strette sulle sue spalle: era come se avesse intuito tutti i suoi pensieri, le paure e le ansie- e molto probabilmente era proprio così- e in quel momento, con quella presa, cercasse di dargli conforto e trasmettergli la sua presenza, la sua vicinanza, senza bisogno di parole.
-Sei vuoi possiamo andare insieme-fece però nuovamente Mycroft sottovoce, le mani ancora saldamente sulle magre spalle del minore.-È meglio andare di corsa. Ho fatto anch'io così, la prima volta.
Sherlock capì che quelle frasi all'apparenza normali avevano un sottotesto, che lui non faticò a cogliere.
Anche suo fratello, come lui, aveva sempre faticato a integrarsi con le persone cosidette "normali".
"So quello che temi."
"Ci sono passato anch'io."
Questo gli stava dicendo, anche se non a parole.
-Puoi chiudere gli occhi, se hai paura. Sono dietro di te-aggiunse, con un sorrisetto divertito.-Ci penso io a guidarti. Anche se sarà arduo resistere alla tentazione di farti andare a sbattere.
Sherlock si girò a guardarlo accigliato: ma solo per principio, perché anche stavolta il sottotesto era chiaro.
"Non sei solo."
"Io ci sarò sempre."
-Pronto?
Sherlock annuì, e di nuovo strinse le maniglie del carrello: ma stavolta la determinazione aveva preso il posto della paura, insieme a un calore che non aveva nulla a che fare con la temperatura corporea, mentre correva verso la barriera, gli occhi chiusi, consapevole della presenza del fratello alle sue spalle, a guidarlo. E non solo letteralmente.
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-...È meglio andare di corsa.
Rosie alzò di scatto la testa e si girò, mentre le lunghe dita dello zio Sherlock andavano a stringerle le spalle con delicatezza.
-Quando si è nervosi, è meglio andare di corsa-ripetè il detective.-Possiamo andare insieme, se vuoi. Passerai la barriera magica in un istante. Fidati.
Rosie capì che molto probabilmente lo zio si era già accorto del suo nervosismo, considerato che era praticamente impossibile nascondere qualcosa al suo sguardo attento.
Ma qualcosa, in quello stesso sguardo, così impietoso nel cogliere ogni cosa, le diceva che aveva colto anche tutte le ansie e le paure che le erano passate per la testa; fare nuovi incontri, essere in grado di affrontare le lezioni, essere all'altezza di quel mondo... che doveva affrontare da sola.
Il tocco leggero ma saldo sulle sue spalle da parte dello zio acquisito le ricordò che non sarebbe mai stata sola: non davvero. Le persone che amava le erano vicine.
-Andremo tutti-fece improvvisamente suo padre, mettendosi alla sua destra.
-Sará come un ritorno al passato-aggiunse la madre, alla sua sinistra, sorridendo entusiasta.-Sembrano passati secoli, dall'ultima volta che ho passato questa barriera.
Sherlock alzò gli occhi al cielo.
-Allora sarà meglio stringersi un po', visto che qualcuno deve mettersi a dieta. E non parlo di te, Mary-puntualizzò, rivolto a John, che lo fulminò con un'occhiataccia.
-Sono ingrassato a malapena di tre chili, non mi sembra il caso di...!
-Mary ed io pensiamo quattro-lo corresse il detective, mentre quest'ultima e Rosie trattenevano a stento una risata.
-Verrei anch'io, cari, ma non riuscirei a tenere il passo-intervenne Martha Hudson, impedendo al medico di ribattere alle insinuazioni di Sherlock in merito al suo peso.-Oggi la mia anca è più fastidiosa del solito. Ma vi raggiungo subito.
-Su, andiamo-li esortò nuovamente il corvino, senza allentare la presa dalle spalle di Rosie.-Andatura sostenuta.
E fu così, insieme ai suoi genitori e all'unico consulente investigativo al mondo, che Rosie Watson superò, a passo di corsa, seppur moderata, la barriera tra i due binari, nervosa per ciò che la attendeva, ma con la certezza di non essere sola.
E che non lo sarebbe mai stata.
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