Interrogatorio
Sherlock avanzò cautamente, il passo veloce ma leggero, limitando al massimo il più piccolo rumore, i sensi tesi, la bacchetta stretta in pugno, già accesa, ad illuminare ogni angolo, gli occhi che saettavano da una parte all'altra.
Il suo modo di muoversi e il suo sguardo ricordavano un cane da caccia in cerca di una preda.
E, in effetti, era proprio così.
Ma doveva fare in fretta. Aveva poco tempo.
Percorse l'intero vicolo fino alla fine ma, proprio come aveva temuto, non trovò nulla: era deserto.
Soffocò a stento la sua irritazione, digrignando i denti.
Era accaduto di nuovo.
Secondo le informazioni ricevute dai suoi contatti senzatetto, i cadaveri misteriosamente spariti negli ultimi mesi da obitori e ospedali-e, in alcuni casi, da agenzie di pompe funebri- erano stati avvistati in vari angoli di Londra. Ma quelle voci erano state rapidamente messe a tacere ed etichettate come allucinazioni.
Ma lui aveva tutta un'altra idea.
Aveva però bisogno di qualcosa su cui lavorare, per provarla: non si potevano fare mattoni senza l'argilla, e allo stesso modo non poteva elaborare alcuna teoria se non aveva neppure un corpo su cui lavorare, vivo, morto o zombie che fosse.
E fu a quel punto che, facendo luce sui muri intrisi di umidità, trovò quello che stava cercando, impigliato in un chiodo.
Prima o poi, tutti i criminali, anche quelli più astuti, commettevano un errore, un passo falso, una distrazione.
E quello che aveva appena trovato era la prova tangibile di quell'assioma.
Il detective strinse quel misero brandello di stoffa nera tra le dita guantate, e le sue labbra si sollevarono in un sorriso compiaciuto.
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Ma il buonumore del consulente detective fu di breve durata: quando infatti uscì da Notturn Alley, non trovò solo John ad aspettarlo, insieme a Rosie e a quell'altro ragazzino; c'era, invece, un nutrito gruppo di Auror ad attenderlo insieme a loro.
Se lo aspettava, d'altronde, fin da quando Rosie aveva detto di aver lanciato un incantesimo; e questo di certo aveva anche fatto scoprire la sua intrusione non autorizzata nella parte oscura di Diagon Alley.
Ciò che non aveva previsto, però, fu l'uomo con indosso un cappotto grigio fumo che si fece avanti per primo, squadrando il detective con palese maligno compiacimento. Tra tutti gli Auror in cui avrebbe potuto incappare, Gregson era il peggiore.
Lui e il detective si detestavano cordialmente: soprattutto da quando quest'ultimo aveva risolto un caso affidato all'Auror, facendolo passare per un idiota.
-Bene bene, signor Holmes-lo apostrofò questi, le mani nelle tasche del cappotto, un sorriso maligno sulle labbra.-Credo che lei debba darci parecchie spiegazioni...
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-Giuro che non li ho invitati io-gli assicurò John a mezza bocca, una volta seduti in una spoglia stanza del Ministero della Magia, in attesa, a quanto pareva, di un vero e proprio interrogatorio.
Vi era infatti, proprio al centro, un tavolo di metallo e una sedia, mentre loro erano tutti seduti in una fila di sedie a ridosso della parete, in attesa da almeno una decina di minuti.
-Lo so-replicò il detective con un mezzo sorriso, gettando poi un'occhiata ai due bambini, palesemente nervosi.
Anche Rosie e Chris infatti, seppur entrambi minorenni, erano stati condotti insieme a loro: gli Auror avevano avuto quantomeno la decenza di informare i genitori del ragazzino- che avevano una stanza al Paiolo Magico- e Mary, che però ancora non era arrivata.
-Temo sia stata colpa mia-mormorò Rosie, abbattuta, stringendo tra le mani il bicchiere di plastica contenente il tè caldo che uno degli Auror aveva offerto a lei e a Chris. Era la prima volta che veniva condotta al Ministero della Magia, e in qualsiasi altra occasione ne avrebbe ammirato ogni singolo dettaglio: la moltitudine di individui più o meno bizzarri che giravano da una parte all'altra dell'enorme ingresso, gli innumerevoli aereoplanini di carta che volavano da un ufficio all'altro-lo zio Myc gli aveva detto, una volta, che erano dei promemoria interuffici-e la grandiosa fontana, ornata da statue dorate.
Queste, in particolare, Rosie avrebbe voluto studiarle più da vicino, ma gli Auror che li avevano condotti lì si erano affrettati a condurli in quella squallida stanzetta fredda, grigia e asettica, così diversa dall'opulenza del posto.
-È stata colpa mia-ripetè, sempre più avvilita.- Non avrei dovuto fare quell'incantesimo. Se non l'avessi fatto, forse non avrebbero scoperto che...
-Non è stata colpa tua- la interruppe Sherlock con forza e con tale severità che lei non osò insistere.-Hai dovuto difenderti.
-...Ma se finissi ad Azkaban??-ribattè però, con una sincera paura nella voce e negli occhi.-Ho infranto il decreto di restrizione delle arti magiche!
John, a quel punto, emise un piccola risata, passando un braccio sulle spalle della figlia.
-Rosie, se il Ministero sbattesse ad Azkaban tutti quelli che lo infrangono, non avrebbero più celle libere-affermò, con sicurezza.-Inoltre, non hai ancora cominciato la tua istruzione. Non possono nemmeno perseguirti. Rientra ancora nella magia accidentale.
Rosie sorrise, forse un po' più rassicurata, ma ancora provata da tutto quello che aveva passato e ancora timorosa di quello che aspettava tutti loro, mentre Chris interveniva per la prima volta.
-È vero! E poi la legge stabilisce chiaramente che in situazioni di vita o di morte anche i minorenni sono autorizzati a usare la magia. Mia madre lavorava qui al Ministero come segretaria durante i processi-spiegò, di fronte alla loro occhiata sorpresa.
-Purtroppo temo che Gregson abbia in mente qualcosa su questo punto-obiettò il detective, e l'atmosfera si fece di nuovo tesa.-Altrimenti non mi spiego perché trattenerci tutti, e non solo me.
-Be', anche se lo avesse fatto, io non ti avrei di certo lasciato solo ad affrontare questi simpaticoni-gli ricordò John, alludendo con un cenno del capo e con un smorfia poco fuori dalla stanza, dove gli Auror che lo avevano condotti lì, Gregson incluso, avevano preso a discutere, senza curarsi di aver lasciato tutti loro in attesa: avevano almeno avuto la decenza di offrire ai due ragazzini due bicchieri di tè caldo, ma dal sapore talmente disgustoso che entrambi avevano sorbito sì e no un sorso scarso, bagnandosi appena le labbra.
Erano entrambi già stati interrogati dagli Auror: ma qualcosa diceva a Rosie che non le avevano creduto; i loro sguardi, infatti, durante tutto quel racconto, erano stati soprattutto derisori, mal celati da una patina di compassione artificiosa.
Sherlock, alla precisazione del medico, strinse le labbra, nascondendo un sorriso, per quella ennesima prova di fedeltà, ma anche una punta di senso di colpa: l'ultima cosa che avrebbe voluto era coinvolgerlo e metterlo nei guai col Ministero. Un conto era farlo quando erano solo loro due, ma adesso John aveva anche una famiglia a cui pensare.
Finalmente, Gregson varcò la soglia della piccola stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
-Era ora!-lo apostrofò il detective, sarcastico.-Qui ci stavamo annoiando.
-Ha ben poco da fare lo spiritoso, signor Holmes-ribattè l'Auror, con durezza ma anche con palese soddisfazione.-Si sieda-gli ordinò poi, indicando con un brusco cenno del capo la sedia posta di fronte alla scrivania, mentre lui si sedeva all'altro capo.
Sherlock, senza abbandonare il suo atteggiamento noncurante e, senza tradire alcun nervosismo, ubbidì, e si sedette, affidando con un certo sollievo il malconcio cappello da mago a John, liberando così i suoi ricci corvini. La polvere sul suo volto e sui suoi abiti, però, era ancora presente e ben visibile.
-Spero che l'interrogatorio sia breve, ho del lavoro a casa che mi aspetta-disse, mentre il medico e Rosie, dietro, trattenevano una risata, anche se più di esasperazione che di divertimento.
Gregson, irritato ancor di più da quell'atteggiamento sprezzante, si sporse minacciosamente verso il detective.
-Dubito che sarà a casa molto presto, signor Holmes-ringhiò.-Ho sempre mal sopportato il suo palese disprezzo per le leggi, ma stavolta ha decisamente passato il segno!
-In che modo?-domandò Sherlock, per nulla intimorito, anzi, quasi divertito.
-Non si prenda gioco di me!-ringhiò nuovamente l'Auror, protendendosi ancora di più tanto da avvicinare il suo volto a quello del detective, che tuttavia non indietreggiò neppure.-Lei sa perfettamente che accedere a Notturn Alley senza essere autorizzati è un reato punibile con la confisca della bacchetta di minimo tre mesi e, nei casi più gravi, anche con la reclusione di un mese in cella!
La mano di Rosie, a quelle parole, istintivamente fece per correre alla sua bacchetta, dimenticando per un istante di averla dovuta consegnare poco prima agli uomini del Ministero.
-I due ragazzini dietro di lei possono essere assolti-precisò l'Auror, ammorbidendo appena il tono, come se si fosse accorto del suo irrigidimento.- Sono ancora minorenni, e possiamo forse chiudere un occhio sulla loro intrusione.
Sia lei che Chris si scambiarono, di sottecchi, un'occhiata carica di sollievo, mentre il padre le stringeva appena la spalla.
-Anche se...-aggiunse Gregson, e la tensione tornò a farsi sentire- C'è la questione dell'incantesimo operato dalla signorina Watson.
-Come ha detto lei stesso, è ancora minorenne, e non ha neppure ancora iniziato la sua istruzione-intervenne John a quel punto, con pacatezza ma risoluto, e senza smettere di stringere protettivamente la spalla della figlia.
-E poi la legge dice che...!-si intromise Chris, ma l'Auror lo costrinse al silenzio con un'occhiata di fuoco.
-Non sarai certo tu a dirmi cosa dice la legge, ragazzino. La conosco da quando tu eri ancora in fasce!-lo gelò, facendogli abbassare lo sguardo.
-Dubito che avrebbe il coraggio di apostrofarlo a questo modo, se i suoi genitori fossero presenti, visto e considerato che è ancora un bambino!-protestò il medico, ricevendo da lui, in cambio, un sorriso sinceramente grato.
-Le ricordo, inoltre, che sono anch'io un Auror-aggiunse, alzandosi, e tirando fuori dal portafoglio un documento che posò sulla scrivania, e che Gregson si rigirò tra le dita con scarso interesse.- E che questo "interrogatorio" sta decisamente trascendendo ogni legge, per non dire quella della comune decenza.
Seguì un breve silenzio, che rese l'atmosfera nella stanza, se possibile, ancora più tesa di quanto già non fosse.
-...Finito?-ribattè Gregson, per nulla impressionato dal discorso del medico, e quasi buttando sulla scrivania il tesserino.-Questo dice che è un "ex" Auror. Potrebbe vendere calderoni usati, per quel che ne so. Perciò il suo parere, ai fini della questione, è per me del tutto irrilevante. Quindi, se non vuole che incrimini anche lei- e, si fidi, ho tutti gli estremi per farlo- si sieda. E stia zitto.
Sherlock, notando i pugni dell'amico stringersi per un rapido istante, e lo sguardo indurirsi, gli scoccò di sottecchi un'occhiata, facendo poi un lieve cenno di diniego col capo.
Lui, seppur con sforzo immane, non ribattè alle parole di Gregson, ma riprese il tesserino e si sedette, le mani però strette l'una nell'altra, la postura rigida, indice di quella rabbia che non aveva potuto sfogare.
-Il dottor Watson non c'entra nulla in questa storia- precisò il detective, abbandonando per un momento il suo atteggiamento ironico, e parlando con estrema serietà e pacatezza.
-Questo resta da vedere-ribattè l'Auror, sprezzante.-Lei non mi ha mai convinto, Holmes. E lo so perfettamente che voi due siete sempre insieme. Siete amichetti del cuore. Non chiederei di meglio che sbattervi entrambi in cella.
Rosie sentì il padre, vicino a lei, emettere uno strano verso soffocato, gli occhi pieni di collera, e si scoprì quasi lieta del fatto che avessero dovuto tutti consegnare le loro bacchette: aveva il sospetto che, altrimenti, quell'Auror si sarebbe ritrovato, in quel preciso momento, a vomitare lumache.
-Mi sembra fin troppo... irritato, Gregson-fece il detective, con un leggero sorriso sarcastico sulle labbra.- Mi chiedo quanta della sua irritazione sia dovuta al mio operato, e quanta al suo desiderio inappagato di fumarsi quella sigaretta.
Gregson lo fissò incredulo.
-Come diavolo...??
-Ha delle macchie di nicotina sulle dita, e le tremano le mani. Riconoscono benissimo questi sintomi, più di quanto creda. Ha preparato quella sigaretta, che sporge dalla tasca del suo cappotto, forse un'ora prima di precipitarsi con l'intento di cogliermi sul fatto. Probabilmente non aspettava altro. Certo, è quasi paradossale che sia stata rilevata prima una magia eseguita da un minore, anziché un ingresso non autorizzato a Notturn Alley. Forse dovreste rivedere le vostre priorità. In ogni caso, deve essere in grave carenza di nicotina, e l'astio che prova nei miei confronti in questo momento deve aver accelerato il suo bisogno di fumarla.
John distolse lo sguardo e si sforzò di nascondere il suo compiacimento per come Sherlock aveva messo a tacere l'uomo del Ministero; anche Rosie strinse le labbra, cercando di non ridere, di fronte al colorito prima pallido poi sempre più rosso di collera di quell' Auror così odioso.
L'aveva vista più volte, quella faccia, conseguenza delle deduzioni sempre azzeccate del suo zio/consulente detective: quel misto di stupore e rabbia, con un sottofondo di vergogna per non essere riusciti a nascondergli nulla.
Lei la chiamava "La faccia delle deduzioni".
-È proprio come nel blog del dottor Watson...-bisbigliò Chris al suo orecchio, e Rosie, voltandosi, gli vide in volto un'espressione rapita e ammirata al tempo stesso.
-Tu leggi il blog di mio padre??
-Certo! Anche quello del signor Holmes. Sono fantastici! Vi ho riconosciuto tutti, quando vi ho visto da Madama McClan-le spiegò, sempre sottovoce, abbassando poi timidamente lo sguardo.- Avrei voluto anche chiedere un autografo, ma non avevo il coraggio...
-Be', allora era destino che ci scontrassimo-ribattè lei, con un mezzo sorriso, che Chris ricambiò, passandosi però la mano nei capelli in uno gesto automatico, e arruffandoli, imbarazzato.
-Tornando a noi...-tossichiò l'Auror, cercando di ricomporsi, anche se con evidente fatica.- La magia è autorizzata in situazioni di vita o di morte. Ma non mi sembra proprio che fosse questo il caso.
-...E quella cosa che ci ha aggredito, allora??-intervenne Rosie per la prima volta, e con una certa rabbia.-Sta forse dicendo che ce la siamo inventata?? Entrambi??
-A volte si vedono cose che non esistono-ribattè Gregson, con falsa dolcezza.- Un vicolo buio e tetro può scatenare fantasie, soprattutto nelle menti più impressionabili.
Rosie rimase allibita: come poteva quell'uomo insinuare che tutto quello che aveva passato fosse stato solo un mero scherzo della sua immaginazione!
Quella mano gelida che le stringeva il polso, quel volto ringhiante, i versi mostruosi che emetteva...
-Probabilmente avete solo disturbato un qualsiasi senzatetto che non l'ha presa molto bene-proseguì l'uomo del Ministero, sempre con quel tono derisorio.-Le vostre urla e, soprattutto, quell'incantesimo, l'hanno fatto pure scappare.
-Quello non era un semplice senzatetto!-protestò Rosie, furibonda, stringendo i pugni, nella stessa posa assunta dal padre giusto pochi istanti prima.- Non so cosa fosse, ma... sembrava un cadavere, e al tempo stesso no... Per questo ho cercato di prendergli il polso, prima che...
Per un momento, il terrore provato la colse nuovamente, e le parole le morirono in gola; avvertì però la mano del padre sfiorare appena la sua, e si tranquillizzò.
-Allora come si spiega che un... cadavere si sia volatilizzato? Aveva forse le ali?-ribattè l'Auror, con arroganza, e senza alcuna delicatezza.
-Improbabile-rispose Sherlock al suo posto, un'espressione stavolta priva di ironia, gli occhi cristallini fissi in quelli di Gregson.- Fino a prova contraria, gli Inferi non sanno volare.
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