8. Vita reale 1 - 0 Allyson.
Secondo la Kabbala ognuno di noi ha settantadue angeli custodi che si danno il cambio. Perciò io avrò cinquanta nullafacenti, venti rincoglioniti e due dispersi.
Quella mattina, il 28 ottobre, ero decisa a parlare con Thomas. Perciò, determinata a non avere una giornata da sedicenne sfigata com'ero, scesi dal letto. Maledetta ciabatta. Il bellissimo pavimento ghiacciato era talmente scivoloso che, mettendo il mio piede sopra la pantofola, scivolai e mi spiaccicai al suolo. Vi assicuro che era tutta colpa della ciabatta, però. Così mi ritrovai a faccia in giù con il naso schiacciato contro il pavimento. Mi massaggiai il sedere e i gomiti, gemendo per il dolore provocato dall'impatto. Chissà che bel livido mi sarebbe spuntato.
Ma ero ottimista, almeno quel giorno. Così decisi di fare una "lista" di tutte le cose tremendamente brutte che potevano accadermi come essere investita o morire dissanguata. O, peggio ancora, prendere una B ad un compito. Decisi di iniziare in ordine cronologico: la mattina, avrei potuto fare una delle mie palesi figure da abbarcciatrice di panda davanti a tutta la classe o cadere come un sacco di gelatina mentre camminavo per i corridoi. Nel pomeriggio, durante l'allenamento di Lacrosse, avrei potuto beccarmi una palla in faccia. Tutto consuetamente ridicolo.
Provando a non strozzarmi con la colazione, mangiai in fretta e mi vestii, per poi catapultarmi fuori casa stampando velocemente un bacio sulla guancia di mia zia. Barcollai per un istante e allargai le braccia per mantenere l'equilibrio, quindi mi incamminai verso la scuola.
L'imponente edificio della Newman, incastrato in un vicolo di Beacon Street, copriva il sole mattutino lasciando l'ingresso in una zona d'ombra. Era composto da parecchi piani e l'intera struttura era fatta di mattoni rossicci. Le molte finestre disposte sulla facciata frontale riflettevano la luce del sole trasformandola in scintillii che mi costrinsero a socchiudere gli occhi.
Attraversai il piccolo viale circondato da alberi e feci il mio trionfante ingresso a scuola. Però, wow, non credevo di essere in grado di predire il futuro. Ed io lo sapevo che non dovevo mettermi gli anfibi col tacco. La mia caviglia scricchiolò in un modo inconsueto e il piede mi si storse. Fu allora che scivolai di lato e mi ritrovai stesa a terra massaggiandomi la caviglia. Almeno non mi ero presa una storta vera e propria, solo un dolorino che mi avrebbe perseguitato per tutto il giorno. Sperando che nessuno mi avesse vista mi sistemai lo zaino sulle spalle e procedetti nel corridoio.
La tale vicinanza di Halloween non dava il diritto al resto del mondo di sfogare la propria rabbia interiore tanto a lungo meditata sulla sottoscritta. Era maltrattamento di minori, quello. A testa alta mi intrufolai tra gli studenti che sciamavano in tutto il corridoio. In quel momento notai una ragazza. Era di media altezza, con i capelli biondi lunghi fino alla metà della schiena. Riuscii anche a scorgerne un occhio, l'altro era coperto da una ciocca bionda, mi parve verde. Sembrava una di quelle matricole snob che pensavano di poter dominare la scuola. Tranne che per una cosa. Il suo viso. Era solare, senza alcuna traccia di trucco, illuminato da un sorriso a trentadue denti. Poi la ragazza si girò e non riuscii più a distinguerla tra la massa.
Mi voltai verso il mio armadietto e inserii il codice. Quindi lo sportello si aprì centrando in pieno il mio bel nasino. Soffocai un gemito e mi premetti una mano in faccia, per alleviare il dolore. All'interno vi era il caos più assoluto. Su tutti e tre i ripiani dell'armadietto c'erano libri su libri, fogliettini scarabocchiati e post-it incollati ai lati. Non c'era stato nessun furto, era sempre stato così... Se non peggio. Presi un quaderno a caso e, massaggiandomi ancora il naso, mi avviai verso la classe del mio corso di inglese.
Lasciai cadere pesantemente lo zaino accanto al mio banco e mi sedetti. Iniziai a tirare fuori i libri e l'astuccio, con tutti i miei amati evidenziatori. Ero al primo banco, così potevo vedere bene gli idioti che mi circondavano. I ragazzi che mi saltarono subito all'occhio furono Alex Smith, fratello minore di Jonathan Smith, e Erica McDonald. Sì be', gli altri hanno passato anni a sfotterla per il suo cognome, ma a parer mio è un onore chiamarsi "McDonald". Ti fa sentire figo... Come se potessi avere tre panini del McDonald gratis.
Un minuto dopo entrarono Thomas e la ragazza bionda. Quella ragazza bionda, la quale ora mi sembrava estremamente familiare. Però, a distrarmi fu la Larga Sacerdotessa Jessy, che si accomodò di fianco a me... Chiamata così perché da piccola voleva diventare una sacerdotessa pagana e per la sua mole decisamente sproporzionata per una sedicenne alta un metro e sessanta. Comunque, Thomas e la ragazza misteriosa stranamente a me familiare si accomodarono poco lontano, alla portata della mia visuale.
***
Alla fine dell'ora mi alzai e mi incamminai verso i due, sperando che non ci fosse nessuno a voler copiare i miei appunti ad interferire con la "missione". Quando fui a pochi passi da Thomas mi sentivo il cuore in gola. Chi è che non è agitato quando si tratta di parlare con uno sconosciuto conosciuto da poco? Tossicchiai per richiamare la loro attenzione. Thomas mi fissò per un attimo, poi mi sorrise. La ragazza si voltò e mi squadrò con attenzione tutto il volto, millimetro per millimetro. Finché non esclamò:
- Allyson?! - non sembrava esattamente una domanda, ma credo lo fosse.
- Sì...? - come faceva a conoscere il mio nome? Forse glielo aveva detto Thomas.
- Al, sono Marlene! - quel nome suonava stranamente familiare.
- Marlene...?
-Sì! Marlene Hill! - sul suo volto si stampò un sorriso grande quando il mondo.
- Oh mio Dio! Marlene, quella Marlene? -
- Siii!!! - eravamo conoscenti della scuola elementare, durante quegli anni avevamo legato molto, ma poi, prima delle medie, i suoi genitori hanno deciso di trasferirsi.
- Ero convinta che ti fossi trasferita nel New Jersey! - Dissi.
- Sì, è così. Però i miei hanno deciso di ritornare a Boston, tenendo conto che lì vivevamo in affitto... - sorrise. Poi riprese. - Come sta Peter? - vi state chiedendo se ero gelosa? Forse un pochino, chi non lo sarebbe se una ragazza carina chiedesse come sta il tuo migliore amico. Ma era un'emozione momentanea.
- Andiamo avanti, entrambi... - mormorai pensosa.
- Woah wooow. Vi siete finalmente messi insieme?? -
- Cosa?? Nooo! - sbottai.
- E io non ne sapevo nulla... - si rimproverò.
- Non c'era proprio nulla da sapere! - ribattei.
- Seeee! Si vede come vi guardate. -
- Sei sparita per più di quattro anni, non puoi saperlo. - scoppiammo a ridere. Litigare faceva parte dell'amicizia. Prendersi un po' in giro, smorzare la severità della vita. Dopo avermi fissata per un altro paio di secondi mi saltò al collo stringendomi in un abbraccio. Era veramente dolce quella ragazza! Anche se era strano rincontrarla dopo così tanti anni. Mi sentivo come... distaccata.
- Thomas? - Marlene richiamò l'attenzione del ragazzo.
- Sì? - fece lui.
-Allyson? -
- Sì? - dissi io.
- Voi vi conoscete già? -
- Sì, ci siamo presentati dopo un allenamento di Lacrosse. -
- Perfetto. - sorrise lei.
- Andiamo da Peter? - proposi. Avevo proprio bisogno di vederlo.
***
Alla fine dell'ora successiva incontrammo Peter in corridoio, era seduto per terra e fissava un armadietto. Il lungo corridoio pieno di una sfilza di professori che si dirigeva a passo di marcia in presidenza era abbastanza affollato.
- Hey Pet...? - richiamai la sua attenzione. Lui alzò la testa e osservo prima me, sorridendomi, poi Mar e Thomas. - Ti ricordi di Mar? - Diminutivi banali e dove trovarli.
- Cavolo, ciao Marlene! - il mio amico si sollevò da terra e rimase impalato. Poi sfoggiò uno dei suoi sorrisi bellissimi che mi paralizzavano. Si avvicinò a Marlene e l'abbracciò. In realtà non era proprio un abbraccio... era più una pacca sulla spalla ravvicinata.
***
Il Coach urlò ordini a destra e a manca sputacchiando sul prato del cortile della scuola. Quasi metà della squadra era assente quel giorno, ma almeno Peter e Mar ci guardavano dalle tribune. Dopo tutte quelle ore di scuola era quasi impossibile prestare attenzione al Coach... ma almeno io ci provavo.
- Tu e tu! Sì! TU! Di là! Andare! - il Coach ci minacciò con una mazza da Lacrosse. - Scattare! Davis! Vai a destra! - una volta che riuscì a sistemarci in file parallele in mezzo al campo ci contò. Sette. - Ci serve almeno un altro giocatore! - strillò isterico. - Qualcuno di voi due laggiù sa giocare?! - chiese rivolto a Peter e Marlene. La ragazza si affrettò a dire di no con la testa, ma il mio amico non fu abbastanza veloce. Il Coach andò personalmente a tirarlo via dai gradini delle tribune per convincerlo a giocare. Poveretto. Però aveva visto praticamente ognuna delle mie partite e bene o male sapeva come funzionava il gioco. Forse più male che bene.
Il Coach ci divise in due squadre, io e Peter nella stessa. Come predetto quella stessa mattina, l'allenamento iniziò con una pallonata in faccia. E'normale, quando ti dimentichi il casco, ma, evidentemente, l'effetto momentaneo della mia vanità di lunedì era già sparito; prevedevo tanti lividi violacei. Ci sistemammo come previsto dal piano per la prima partita della stagione, io al centro della mia metà campo. Ed ecco Thomas che tira la prima palla, almeno il capitano era in porta... Ma non centrava nulla dato che la palla andò a schiantarsi esattamente sul mio setto nasale. Per la seconda volta. In un batter d'occhio finii a terra in ginocchio tenendomi il naso con le mani. Per fortuna l'impatto non era stato abbastanza forte da farmi sanguinare il naso. Però ero certa di aver parlato troppo presto. Infatti, un liquido caldo iniziò a colarmi dalle narici imbrattandomi il mento e le mani. Peter, Thomas, il Coach e il resto della squadra mi circondarono blaterando cose che non capii. La testa mi faceva troppo male per la botta.
Così finii spedita a casa. Mia zia mi portò uno straccio bagnato e dei fazzoletti per tamponare il sangue e lavarmi il viso. Peter passò addirittura a farmi visita, e se ne andò stampandomi un bacio sulla guancia. Lo guardai uscire da casa richiudendosi la porta alle spalle.
- Come va il naso? - mi chiese mia zia.
- Molto meglio. Mi fa ancora male, ma almeno non sanguina più. - lei si sedette accanto a me sul divano, passandomi un braccio sulle spalle. Ci poggiammo entrambe sullo schienale imbottito e ricoperto di tessuto blu-grigio. Respirai a pieni polmoni e mi tastai il naso per capire se fosse effettivamente intatto. Tutto a posto. Sospirai.
- Ti va se stasera vediamo un film? - chiese la zia.
- No, grazie... Preferisco andare direttamente a dormire. - non era normale che rifiutassi di vedere un film, ma ero talmente stanca che non avevo nemmeno voglia di mangiare. Non mi ero mai sentita così stanca, per quello che potevo ricordare. Piegai la testa avvicinando l'orecchio alla spalla e guardai di traverso lo schermo nero della televisione. Puntando le mani sul divano mi alzai. Barcollai verso camera mia con gli occhi assonnati. Quella stanchezza era palesemente innata... "Saranno state le emozioni del giorno e l'allenamento" pensai sbadigliando. Accesi la luce e mi svestii, per poi infilarmi il pigiama. Arrivai davanti al letto e mi lasciai cadere sopra quest'ultimo. La mia faccia cozzò sul cuscino e tirai sotto le coperte anche il resto del corpo, che era rimasto mezzo sul pavimento. Respirare mi era difficile con il viso premuto sul cuscino e mugugnai per aver sbattuto il naso.
Spensi la luce dall'interruttore sulla parete dietro di me e mi tirai le coperte fino al mento. L'unica cosa che desideravo in quel momento era dormire, ma il sonno non accennò ad arrivare. Mi sentivo le palpebre pesanti ma la mente era sempre sveglia. Neanche pochi minuti dopo, quando mia zia passò a darmi un bacio sulla fronte, riuscii a sprofondare nel "mondo dei sogni". Forse, arrovellarmi sul perché non riuscissi ad addormentarmi mi avrebbe aiutata a distrarmi dal fatto di non riuscire a dormire. Ma l'unica cosa che ottenni fu il mal di testa. Ma alla fin fine, riuscii a dire addio al mondo delle persone sveglie e sane di mente per svagarmi un po' nei miei sogni composti da immagini di Thomas Brodie-Sangster e Dylan O'Brien.
*Angolo Scrittrice + comunicazione*
Buon pomeriggio muchachos! Devo farvi una comunicazione per quanto riguarda questo libro. Fino ad ora ho strutturato questa storia in modo tale che raccontasse ogni giorno della vita di Allyson (fino al 26 gennaio) come se fosse un diario, quindi con imprevisti e cose comiche in stile diario di una schiappa. Perciò il libro è iniziato il 20 ottobre e questo capitolo era del 25. Però ho deciso che per non fare una cosa prolissa taglierò parecchie giornate inserendo giorni casuali con disavventure o avventure della protagonista (sto discorso sta diventando troppo serio uffashssh) es: compleanni, uscite con gli amici, festività... casini successi a scuola... robe del genere. In modo tale da stringere questa parte comica e arrivare al sodo. Cioeeeeè l'incidente e l'ambaradan che viene dopo.
Detto dis Ai mast dirvi ciau bicous debbo andare... Godetevi la giornata, che da me fa schifo, (Non è vero c'è il sole) e By!! *fa ciao con la manina*
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