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6. Non c'ero... e se c'ero dormivo.

Ed ecco che arrivò la sveglia a disturbare il mio sogno pieno di attori belli a torso nudo con tanto di personaggi morti tutti resuscitati. Martedì era uguale a... Scuola. Scuola era uguale a: lasciatemi a letto perché sono talmente pigra che non c'ho voglia nemmeno di dire bau. Che poi perché uno dovrebbe dire bau di prima mattina? E, molto importante, è scientificamente provato che il cervello dei ragazzi si attiva verso le dieci della mattina. Quindi si può sapere per quale stramba ragione si deve andare a scuola alle otto!? Ma lasciamo perdere. Sono domande che resteranno in sospeso fino alla fine dei tempi... Anche se non era lunedì i miei pensieri da adolescente erano: "Odio tutti perché è martedì" oppure "E' martedì quindi odio tutti". 

L'inizio della mia giornata era costituita da semplici ma impegnative azioni: connetto il cervello uscendo dal mondo dei sogni quando suona la sveglia, ossia alle sette spaccate. Apro gli occhi alle sette e un quarto e mi alzo dal letto alle sette e mezza. Dopodiché faccio colazione e mi vesto. Mi sveglio alle otto quando suona la campanella. E nemmeno del tutto.

Ed il 23 ottobre non era diverso. Rimasi con gli occhi chiusi per circa un quarto d'ora, pensando a quanto sarebbe stato bello riaddormentarmi... ma la zia non me l'avrebbe permesso. Mai. Poi, quando lei diede il colpo di grazia sollevando la tenda aprii gli occhi, ritrovandomi a fissare il soffitto. Usando tutta la forza di volontà accumulata in quindici anni di vita spostai una gamba oltre l'orlo del letto, poi l'altra. Finché non mi ribaltai sul pavimento tutta arrotolata nelle coperte. Almeno avevo dormito quella notte.

- Forza Alyson! - mi incitò la zia dall'altra stanza. "Ma forza te lo dici da sola... ". Pensai. Mi sarei volentieri riaddormentata seduta stante, se non fosse stato per la luce del sole che filtrava dalla portafinestra della mia stanza. Appoggiandomi al letto mi misi in piedi e mi avviai verso la cucina caracollando come un'ubriaca. Uova con la pancetta solo la domenica a casa nostra. Dovevamo mantenerci magre noi. Perciò latte e biscotti.Non che mi dispiacesse poi così tanto. - Sbrigati che fai tardi - disse la zia mentre mangiava il porridge. Era inglese, ma buono. Isabel era stata due anni in Inghilterra, per il college. Poi era ritornata qui per gli ultimi anni.
- Ho mai fatto tardi per la lezione di storia dell'arte? - domandai ironica. Il martedì alla prima ora avevamo storia dell'arte.
- Ogni volta - ridacchiò mia zia.
- Era una domanda retorica... - ribattei strascinandomi una mano sul viso, un po' per togliere il sonno, un po' per evidenziare la "retoricità" della mia domanda. Grazie al cielo la scuola non era molto lontana da casa. Perciò alle sette meno dieci uscii di casa salutando la zia con un bacio. Avvolta nel mio parka mi incamminai verso la strada della scuola, gli anfibi che scalpicciavano sull'asfalto. Arrivai a scuola proprio mentre la campanella stava per suonare. Appena entrata non vidi Peter e seguii i miei compagni del corso di storia dell'arte. E chi c'era? Il caro vecchio e non del tutto conosciuto Thomas! Lo salutai con un cenno del capo e mi sedetti al primo banco della terza fila a destra. Lui quattro posti dietro. 

La professoressa fece irruzione in classe di gran carriera e debellando il caos e i chiacchiericci che si erano impossessati dell'aula. La donna stringeva sottobraccio dei fogli stampati e cercava di non farsi cadere dalla spalla la borsa a tracolla. Appese il suo cappotto più simile ad un mucchio di piume di corvo che ad un vero cappotto all'attaccapanni e posò la borsa e i fogli sulla cattedra. Quindi ci guardò con aria di sfida. Sembrava godere del nostro terrore innato.
- Bene... avete ripetuto? - domandò. Ma ripetuto per cosa? Non esitai e diedi voce alla mia domanda. - Per la verifica, Davis. -
- Verifica!? - strillai con la voce più acuta di quanto avrei voluto.
- Sì, dolcezza. Verifica. V E R I F I C A. Quel foglio scritto che va com-
- Grazie. So cos'è una verifica. Ma io intendevo "Verifica!?" nel senso di "Quando cavolo ha detto che c'era la verifica!?". -
- Precisamente venerdì. L'hanno sentito tutti. - dei mormorii girarono per la stanza.
- Non c'ero... E se c'ero dormivo. - non avrei voluto dirlo. Ma mi scappò. Be', in realtà non me ne pentii poi così tanto. Infatti, probabilmente dormivo. La Stockerd mi guardò maliziosamente desiderosa di mettere la prima F ad uno dei miei compiti. Ma il bello di avere una zia nell'FBI è che ti costringe a studiare finché non ti si rompe il cervello per lo sforzo. Io ero relativamente preparata. Il problema era che non avevo ripetuto e le mie probabilità di prendere una A si stavano abbassando all'80%... Facciamo settanta.

La professoressa passò tra i banchi distribuendo i fogli a tutti. Presi una matita dall'astuccio e per la tensione iniziai a rosicchiarla. Guardai la verifica sul mio banco e iniziai ad osservare il panorama attorno a me. Uno spettacolo. Marcus era andato nel panico (ci godo), Eric si agitava sulla sedia come se stesse prendendo la corrente, Julia era in crisi, si vedeva dalla sua espressione da gallina decapitata, Anthony aveva un esaurimento nervoso e Clarence stava per morire per asfissia. Il resto della classe era già bello che impiccato, se non già seppellito sotto la catasta di innumerevoli insufficienze random sparate dalla Stockerd. Invece, con mia grande, grandissima, enorme, stratosferica, ok basta, sorpresa Thomas aveva già compilato metà del foglio. Anche Peter se la stava cavando bene, grazie ai miei appunti ovviamente. Se loro erano in grado di tenere testa alla Stockerd completando una buona parte della sua intera verifica in due minuti, avrei potuto farlo pure io. Impugnai la penna e, come se stessi per andare in guerra, mi asciugai il sudore dalla fronte e iniziai a scrivere. La penna si muoveva come per magia e ben presto finii la verifica.  Sforzo immane e le mie probabilità di prendere un voto tra B+ e A- meno erano al 98%. Mi ero appena rovinata la media. Ma che cavolo.

Alla fine dell'ora consegnai assieme a tutti gli altri. Sembrava stessimo dicendo addio ad una persona cara... Quando qualcuno posava la sua verifica sulla pila di cartacce mezze scarabocchiate osservava il proprio foglio finché non usciva dall'aula perdendolo di vista o qualcun'altro distoglieva la sua attenzione. E intanto Peter era sparito, come al solito. Al suono della campanella ci riversammo tutti in corridoio. Andai al mio armadietto e vi lasciai i libri di storia dell'arte prendendo quelli dell'ora successiva. 

E quando una prof ti dice che correggerà le verifiche nella sua ora buca vuol dire che per la ricreazione devi aspettarti una D o qualcosa di peggio. Durante la pausa pranzo udii dei passi dietro di me. Ero seduta ad un tavolo ed osservavo il mio pranzo a base di mele, ma più che mangiando sembrava stessi cercando di sollevare la mela con la sola forza del pensiero, per quanto la stavo guardando attentamente. Qualcuno mi bussò sulla schiena e voltandomi per poco non urlai. Saltai al collo di Peter mormorandogli scuse nell'orecchio, dato che non ero riuscita ad incontrarlo di persona prima della fine dell'ora.
- Ma scusa di che? - mi chiese.
- Come di che? - balbettai. - Per essere stata complice di tua sorella! -

- Ahhhhh! Per il lago... E' acqua passata. - a quell'espressione mi misi a ridacchiare per un motivo stupidamente idiota: acqua passata. Lago... Acqua... L'acqua del lago che passa... Lasciamo perdere. A volte non capisco nemmeno io quello che dico.
- Ammetto che ha dei problemi... Un paio. - nella combriccola tutti avevamo dei problemi, ma ce ne volevano per buttare il proprio fratello in un lago, di notte, in campeggio.
- E' stata adottata... - mi bisbigliò all'orecchio.
- Scherzi? - strillai producendo un'altro di quegli acuti spacca timpani.
- Ovvio, sciocchina. - rise lui. Tirai un sospiro di sollievo, alle volte era proprio scemo. - Ad ogni modo abbiamo chiarito la faccenda. Mamma l'ha messa in punizione. Niente cioccolata e niente libri per tre mesi. -
- TRE MESI? -
- Esatto, tre me-
- Questa è la terza domanda retorica che faccio in un giorno. Perché nessuno capisce che le mie sono domande retoriche? -
- Devo preoccuparmi...? -
- Invece credo che tra un po' dovrai portarmi all'ospedale... -
- Perché? - Indicai con lo sguardo la Stockerd che attraversava la mensa. Addentai una mela per smaltire il panico e quando la prof fu davanti a me deglutii, ingoiando il boccone che avevo accuratamente spappolato.
- Allen, - salutò. - Davis, questo sono i vostri compiti. - ci porse i fogli. Nascondendoci il risultato a vicenda osservai sul mio foglio il disastro che avevo combinato. Piagnucolando e andando in  crisi nervosa appoggiai la testa al petto di Pet. Lui mi accarezzò i capelli mormorando che una F non avrebbe fatto media, tenendo conto delle mie sudate A... probabilmente. Lo guardai e come se stesse per cascare il mondo mugugnai:
- Peter... Ho... Ho preso... Una A- ... - mugolai.
- Oh... no... Sul serio? -
- Era una domanda retorica? - domandai.
- Che domande fai? -
- Questa era retorica? - chiesi per l'ennesima volta.
- Allyson mi stai facendo preoccupare... -
- Mannaggia. Lasciamo stare... Una A meno... Ti rendi conto??? -
- Io ho preso una D+, figurati - si rammaricò. Poi gridò, riferito alla mia domanda: - Questa era retorica! -
- ESATTO! - esultai.
-In classeeee! - strillò Fred.
- Ti pareva... - borbottai. Mezz'ora di pausa pranzo passata in un batter di ciglia. Ad ogni modo, avrebbero potuto lasciarci più tempo, considerate le sette ore giornaliere. QUELLO ERA SFRUTTAMENTO DI
- Ciao... - Mi salutò Peter scompigliandomi i capelli con una mano. 

Prima di poter aggiungere altro mi ritrovai travolta da una marea di studenti che uscivano dalla mensa, tutti desiderosi che le tre del pomeriggio arrivassero il prima possibile per poter tornare a casa. E avevano pienamente ragione, anch'io non vedevo l'ora di rientrare a casa. Mancavano solo biologia, inglese e storia della musica... Peter invece frequentava il corso di chimica, beato lui. Ma se ero sopravvissuta ad una A- sarei sopravvissuta anche a tre ore di lezione...

La campanella delle quindici suonò segnando la fine delle lezioni. Mi infilai il capotto spostando poi i capelli che erano finiti incastrati tra il cappuccio e il mio collo. Lanciando occhiatine fugaci in giro per il cortile in cerca di Peter o Thomas superai il piccolo monolito marmoreo su cui era incisa la scritta Newman High School, Boston. Trotterellando come una zebra zoppa tornai a casa. La zia non c'era, ovviamente. "Sarà stato un altro problema in centrale." Pensai. 

Stavo morendo di fame. Letteralmente. Un morso ad una mela non potevano certo compensare sette ore di lezione. Mi fiondai in cucina e iniziai a razziare il frigo arraffando un panino, dei pomodori e del formaggio. Lezioni di "come preparare un panino pomodoro e formaggio" dalle 17:00 alle 18:00, il settanta% di sconto a partire dal ventotto ottobre 2018, a casa mia, dal lunedì al venerdì! E' stupefacente la banalità di quello che sto per descrivervi, ma lo è ancora di più l'ottusità della mente di un'adolescente con il ciclo il cui cervello è andato a farsi friggere dato che stanno parlando gli ormoni e non il soggetto in questione. Non so se è chiara la faccenda... Dunque: Come fare un panino. Parte pri... Ok, nemmeno io arrivo a questi livelli. Immagino che tutti sappiate come si faccia un panino. Infaaaatti, sorvoliamo la questione e torniamo a quando ero ancora in me e avevo finito di mangiare e stavo per catapultarmi sul divano, esatto, quel divano: quello sul quale avrei voluto rimanere stravaccata tutto il giorno. Ma il dovere mi chiamava. 

Presi lo zaino e iniziai a tirare fuori i libri. Mi feci coraggio ed iniziai a fare i compiti, trangugiando Oreo. Alle sei meno tre minuti spaccati la zia fece ritorno a casa.
- Com'è andata? - domandai chiudendo il libro. Avevo finito tutti gli esercizi in tempo. Da dove veniva 'sta faccenda dei pochi compiti? I professori erano stati minacciati? Mah, non lo sapremo mai uhhhh... Ah, e se ve lo state chiedendo, no. Non sono così pazza. Sono gli ormoni. 

- Ho fatto una vista alla centrale, c'è un nuovo vice-sceriffo e hanno catturato un pazzo con la fissa per i nasi.-
- Due domande. - dissi facendo il numero due con le dita e sventolando alla cieca la mano. - Uno: Era Gervaso? Due: Quale nuovo vice-sceriffo? -
- No, non era Gervaso. - ridacchiò la zia. - E se non mi sbaglio si chiama Mark Foster. -
- Il pazzo psicotico con la fissa per i nasi? - chiesi allarmata.
- No sciocchina. Il nuovo collega. -
- Sei sicura che si chiami Foster? -
- Direi di sì. -
- Oh cacca. - mormorai. E se la logica non mi aveva ingannata, questo Mark Foster era il padre di Thomas. - Voglio del gelato!!! - Gridai a caso. Puramente a caso. Non avevo nemmeno voglia di mangiare il gelato!(non è vero).


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