5. Tommeh? Tommeh!
Udii un rumore sferragliante come di metallo che striscia sul metallo. In quel momento formulari tre pensieri partendo dal più assurdo. Mi trovo nella Scatola e sto per arrivare nella Radura! No, idea scartata. Non poteva essere. Dovevo pensare in "modo razionale!". Una banda di terroristi mi ha rapita ed ora sono nel retro di un furgone e sto per uscire dagli Stati Uniti... Impossibile. Ero in campeggio con gli Allen e loro non avrebbero mai permesso che mi facessero del male. Sempre ammesso che i suddetti e ipotetici terroristi avessero davvero voluto farmi del male e non mi avessero caricata nel retro di un furgone solo per andare ai Caraibi a prendere un gelato. Gli Allen mi hanno messa in macchina di peso per non svegliarmi dato che era presto e ci eravamo praticamente addormentati con la fotocamera accesa in mano. E aprendo gli occhi scoprii che avevo azzeccato. Avevo la testa appoggiata sul petto di Peter. No, non era vero. Ero completamente stesa su Peter. Lui ed Angelica stavano ancora dormendo, ma nemmeno io ero ciò che si potrebbe definire "sveglia". Girandomi, per quanto mi fosse permesso dalla gamba di An inchiodata nella mia schiena, cercati di mettermi a sedere. Scostandomi la ragazza di dosso mi sollevai dal petto di Peter. Così si svegliò anche il mio amico. Invece sua sorella sembrava andata in letargo dato che non aveva aperto nemmeno un occhio nonostante i miei spostamenti da contorsionista.
Avevamo dormito in macchina per un'ora abbondante, dato che eravamo ormai quasi nel centro di Boston, vicino casa mia. E avevo l'allenamento di Lacrosse. Una tortura con McSaid come caposquadra. Guardai Peter negli occhi. Anche da mezzo addormentato era comunque abbastanza bello, con i capelli biondi che gli ricadevano sugli occhi marrone-scuro... Ok, forse stavo fantasticando troppo sul suo viso... Ma era così carino!
- Che c'è? Ho un brufolo per caso? -
- Eh? Ah! No, no. Ecco... Solo una ciglia sulla guancia! - balbettai gesticolando come una mentecatta. Poi feci finta di togliergli quell'ipotetica ciglia dalla guancia. Che poteva benissimo essere un alibi per potergli accarezzare il viso... "Ma che è? I marshmallows ti hanno fuso il cervello?" disse quella che doveva essere la mia coscienza, ma in realtà ero solo io che interpretavo due parti nella mia mente. "Direi di sì" mi risposi da sola.
- Sembra che tu abbia visto un fantasma... - bisbigliò lui.
- Eh? Cosa? Fantasmi? Beh, in effetti s... Che? IO? FANTASMI? NAH.- sì, i marshmallows mi avevano letteralmente fuso il cervello. Era solo che lui mi ricordava talmente tanto Newt... O Thomas Sangster... O Newt interpretato da Thomas Sangster. O Thomas Sangster che interpretava Newt... Comunque, lui. E dopo aver visto The Death Cure non potevo non mettermi a piangere... Ci voleva un libro. E la Nutella. Cercando di scavalcare la barriera di sedili che mi separava dal mio zaino nel portabagagli gemetti per il mal di schiena provocato dalla posizione scomoda in cui avevo dormito durante il viaggio in macchina. Con l'indice destro riuscii ad afferrare lo zaino e un mini-cestino con del cibo.
Aprii lo zaino ed estrassi "Colpa delle Stelle" (tristezza aggiunta ad altra tristezza ma, hei, ci ero abituata), poi frugai con una mano dentro il cesto del cibo estraendovi il barattolo di Nutella (Newtella), i marshmallows e i biscotti. Presi due di questi ultimi e li spalmai di Nutella poi li chiusi a panino con al centro un marshmallow. Peter allungò un braccio e cercò di scavalcarmi per mangiare la stessa delizia che stavo ingurgitando io. Però non arrivò al pacco di biscotti. Ma dato che quella mattina mi sentivo insolitamente generosa preparai io per lui il "panino biscotti, Newtella e marshmallow. Glielo passai rabbrividendo al contatto delle sue dita con le mie, imbambolandomi a guardarlo mentre masticava.
- Ho ancora qualcosa sulla guancia? - chiese ancora con la bocca piena.
- Che? Oh, No... Beh io... - stavo andando davvero nel pallone... "Cos'è? Ti sei innamorata del tuo migliore amico?" Mi chiese la mia coscienza immaginaria. "Ma sei imbecille? Deve essere il ciclo. Vedrai che domani mi passa!" Lo pensai anche con troppa sicurezza, quasi forzata. Ma Peter non mi era mai piaciuto. Per carità, era una persona fantastica... Ma io lo avevo sempre e solo considerato un amico. L'unico vero amico che avessi mai avuto. Oltre ad Angelica, s'intende. Formulai tutto ciò in meno di un secondo e per evitare di fare una figura da cretina mi infilai in bocca tre biscotti tutti interi mandandoli giù con mezzo chilo di Nutella.
Intanto riuscii a vedere il campo da Lacrosse dal finestrino. Era una distesa di erba verdognola tagliata corta con due porte per fare goal. Togliendomi dal polso un elastico per capelli e legando in una coda floscia la mia chioma scura.
- Siamo arrivati! - esclamò Melanie perforandomi un timpano con il suo acuto.
- Ma come lo avete saputo? Dell'allenamento. - chiesi.
- Tua zia ci ha mandato un messaggio -
- Ah! Forte la zietta. -
Colton parcheggiò accanto alle tribune del campo e io scesi dall'auto.
- Torni da sola a casa? -
- Oh, si. grazie di tutto! - Dissi cercando di non guardare Peter. "Tentativo fallito. Tie'!" Strillò la mia vocina interiore che credo ci accompagnerà per gran parte della storia... "Taci" sibilai. Mi caricai lo zaino sulle spalle e mi diressi verso lo spogliatoio. La cosa veramente imbarazzante era che non c'erano altre ragazze. Stava per formarsi la squadra femminile quando iniziai a giocare, tanti anni prima; ma tutte le ragazze di Boston erano: Uh, mamma mia! Mi rovino le unghie! Tutte tranne me. Che ero una specie di leggenda tra i miei compagni di sq... No, ok. chi voglio prendere in giro. Ero solo una ragazza che giocava in mezzo ad un ammasso di barbari che non contemplavano neanche lontanamente l'idea di poter perdere una partita. Ma almeno ero solo un grado più in basso di McSaid. Privilegio concessomi dal Coach solo perché ero una ragazza.
- How, Davis. - disse Jonathan Smith correndomi in contro.
- Che vuoi? - chiesi. Iniziavamo bene. Decisamente.
- C'è un tizio nuovo in squadra. -
- Dove, Come, Quando e Perché. -
- McSaid si è rotto una costola durante una rissa - storse la bocca in una smorfia - ed ora sono io il capitano. - Si pavoneggiò tronfio di orgoglio. - E poi è arrivato un ragazzo per prendere il posto mancante in squadra. Robert non tornerà a giocare. Ha detto che "non vuole più stare in squadra con degli incompetenti". -
- Grandioso. Rompimento in meno. - congedai con un segno della mano Jonathan e mi avviai verso lo spogliatoio. Arrivata dentro il piccolo locale mi tolsi il giubbotto e la felpa indossando la tuta sopra la maglietta. Casco, mazza e via. Sarebbe stato tutto più bello se Peter fosse stato in squadra con me, ma lui non giocava a Lacrosse . Anche se gli sarebbe piaciuto. Sua madre non voleva che giocasse, diceva che era uno "sport troppo violento". Uscii dallo spogliatoio e mi diressi verso un ragazzo con indosso la tuta seduto timidamente in panchina.
- Hei, ciao... - Gli dissi. Lui alzò la testa e con voce tremante mi rispose:
- Oh... ciao... Sei tu il capitano? - mi chiese più meravigliato che altro.
- Eh no. Non ci sono ancora riuscita, a quanto pare. - sbuffai io con aria persa. - Sei nervoso? -
- Beh. Mi sono trasferito ieri da New York e ho sempre fatto fatica a fare amicizia. Anzi, ho sempre fallito in quest'impresa - si strinse ancora di più nelle spalle.
- Non questa volta! - Esclamai. Così gli porsi la mano rivolgendogli un sorriso a trentadue denti. Lui accettò la stretta e si alzò. - E... io sono Allyson. Allyson Davis. - tanto valeva farselo subito simpatico invece che aspettare che entrasse nella combriccola di scemi di Robert.
- Thomas Foster. Tom o Tommy per gli amici -
- Al, per gli amici - sorrisi di nuovo. Due piccioni con una fava. Più o meno. Il quasi sosia di Thomas Sangster per migliore amico e la quasi copia spiccicata di Dylan O'Brien come compagno di squadra.
- DAVIS IN PORTA! - strillò il Coach. Io sbuffai e lo guardai come per dirgli: "tanto lo sai che le paro tutte". In due mesi ero entrata in squadra già dall'inizio della Stagione, almeno quello!
Mi sistemai davanti alla porta e preparai la mazza. Prima palla da Smith, seconda da Crosher e terza da... "O no..." Pensai. "Ti tocca! Così impari! ". "Gradirei che tu stessi zitta!". "Guarda che sei tu a parlare". "Sparisci!". Dopo essermi liberata della mia coscienza rompipalle mi accinsi a parare la cannonata tirata da Thomas. Non l'avrei mai chiamato Tommy. Faceva troppo The Death Cure.
- GRANDE DAVIS! - strillò il Coach stordendoci con il suo urlo. Da quand'è che mi fa i complimenti questo? Ma soprattutto: da quant'è che sono brava a Lacrosse? Forse la vanità crea autostima... - ANCORA UNO! - e ricominciarono a scagliarmi addosso quei proiettili che continuavo a parare. Ognuno di loro, sì anche il Coach, ignorava il fatto che io giocassi a Lacrosse da sei anni. Ed ero la prima ad essere arrivata nella squadra. O meglio, l'ultima ad essere rimasta nella squadra giovanile di Boston formatasi ancor prima delle medie. Tutti gli altri che giocavano con me un tempo si erano trasferiti o avevano abbandonato il gioco, lasciando spazio alla nuova generazione di ignoranti. Ma lasciate stare il mio caratterino da sedicenne e tenete conto che di solito, ne paro sei su venti. Come al solito.
- MEZZOGIORNO TESTE DI LEGNO! - il Coach ci fece smettere di giocare per la pausa-pranzo. dietro le tribune intravidi la chioma nera di mia zia. Abbandonando sulla panchina il casco e la mazza le corsi in contro abbracciandola.
- Ti ho portato un panino - disse.
- Oh grazie... mi hai salvato la vita! - Mi toccai la fronte con il dorso della mano fingendo di svenire per poi ridere come una scema.
- Certo, come quella volta che un pezzo di arancia stava per sopraffarti -
- Nah - ridacchiai. A parte gli scherzi, quando avevo tre anni mi stavo strozzando con uno spicchio d'arancia. Se non ci fosse stata la zia sarei morta... Non sarei proprio viva senza di lei. E' stata la zia a salvarmi quando i miei sono morti. Sennò sarei finita nell'orfanotrofio o nella casa-famiglia di New York. Era tutta la mia vita. Le diedi un bacio sulla guancia e presi il panino. La salutai con una mano e mi diressi verso la panchina. Mi sedetti e iniziai a mangiare il panino finché Thomas non si sedette accanto a me.
- Tu frequenti la Newman? - mi chiese.
- Sì, secondo anno... perch... how. - Tutto chiaro. Stessa scuola. - Voglio solo dirti che credo che qui troverai gli amici giusti. -
- E come faccio a capire quali sono? - domandò quasi con aria di sfida.
- Quelli che ti danno metà del loro panino anche se stanno morendo di fame - staccai una metà dal mio panino e gliela porsi. Se fossi stata in grado di arrossire, e ringraziando il cielo non lo ero nemmeno minimamente, sarei arrossita.
- G... grazie... - abbozzò un sorriso. Ma la nostra chiacchierata fu interrotta dalla voce del Coach che ci chiamava a raccolta.
- Tutti a casa! - disse.
- Ma l'allenamento non era fino alle sei? - gridò in risposta Jonathan Smith.
- Hai dei compiti da fare, giusto Smith? - il ragazzo annuì.
- E allora filate! La prima partita della stagione è tra due settimane! Prossimo allenamento: giovedì! Non. Mancate. -
Da quel momento non vidi più Thomas fino al giorno successivo. Entrai a scuola e sgusciai nello spogliatoio. Dopo essermi chiusa in un bagno mi cambiai infilandomi la felpa e il giubbotto. Uscita dalla stanza andai in strada e, salutando il Coach con un segno del capo, mi incamminai verso casa.
Il sole di mezzogiorno era pallido come me, cioè abbastanza. Non faceva neanche minimamente caldo, la temperatura non sarebbe salita oltre i cinque gradi, ma una volta che ti abitui alle frequenti gelate tipiche di Boston, non fai più caso al freddo. Almeno, quella volta mi era andata bene. Perché sennò si metteva a nevicare. Udivo le mie scarpe calpestare quei pochi sassolini di ghiaia che erano sparsi sulla strada e agli angoli delle case. Mi tenevo ben incollata al muro delle case costeggiate dal marciapiede alle quali passavo di fianco, non potevi mai sapere quando una macchina in contromano avrebbe potuto sbucare da dietro una curva e investirti. In tal caso il guidatore avrebbe dovuto essere ubriaco, fatto che ricorreva spesso... Ok sto divagando.
Aprii la porta di casa con le chiavi che conservavo nella tasca dello zaino e salii le scale. Arrivata in salotto diedi un bacio a mia zia e andai in camera. Dovevo fare i compiti. Ero libera da francese che era per quel giorno, storia ancora da studiare... Anche educazione tecnica. Perfetto. Ero già scoraggiata al pensiero della giornata che sarebbe iniziata la mattina successiva... Ma mi toccava. Come a mia zia toccava andare in centrale e demoralizzare le povere matricole appena arrivate da Quantico. Bella vita.
Mi sbattei il libro di storia sulla testa e sbuffando iniziai a leggere.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro