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1. #Amore


 1.


#Amore

Il telefono vibrò.
Le iridi scure di Serena lasciarono svogliatamente il testo di Economia Aziendale per volgersi sul cellulare rivolto con lo schermo all'ingiù, che giaceva nel punto più lontano e in ombra della sua vecchia scrivania.

Tornò a guardare il libro per riprendere il paragrafo appena interrotto. Il cuore le batteva forte. Sembrava quasi sovrastare il ticchettio malinconico della pioggia autunnale che, instancabile, le martellava le orecchie da tutto il pomeriggio, come fosse lo scandire ritmico, costante e assolutamente disagiante della sua vita.

Alzò lo sguardo al grande orologio a forma di panda, regalo di sua zia, che la fissava dal muro , con quei suoi occhi a palla e quel sorriso lungo e tirato. Le diciotto e un quarto. Dunque mancavano meno di due ore alla cena. Quindi, ne restavano giusto quattro o cinque prima che andasse a dormire e esattamente dodici da quando si sarebbe dovuta alzare. Quattordici per il suo rientro in classe.

Si passò una ciocca dei capelli castani dietro l'orecchio senza neanche accorgersene. Mancavano solo quattordici ore. Troppo poco tempo. Se Serena D'Onofrio avesse potuto, avrebbe bloccato lo scorrere del tempo in quel momento. Quel tanto che sarebbe bastato per ritardare il più possibile l'inizio del Lunedì. Probabilmente avrebbe cercato di andare a dormire il più tardi possibile, come se questo, in un pensiero tutto suo, avesse potuto ritardare il momento in cui la sua sveglia avrebbe suonato l'indomani mattina.

Il cellulare vibrò di nuovo. Sbuffò e si rigirò la matita tra le dita, poggiandone l'estremità sulle labbra piene. Dannazione, avrebbe dovuto spegnerlo quel maledetto telefono, come le aveva ordinato sua madre. Da quando era successo, le aveva vietato categoricamente di accendere il cellulare e, dato che era da ben poco tempo che era riuscita a guadagnarsi la sua fiducia, se l'avesse beccata a trasgredire i suoi ordini avrebbe dovuto sorbirsi un nuovo giro di terapie dalla psicologa.

Una vibrazione.
Gli occhi scattarono nuovamente sul maledetto telefono. La lingua carezzò le labbra, trovarono il legno della matita e, in un morso leggero, l'afferrò tra i denti. Strinse appena, mollandone la presa e tenendola penzolante in bocca.
Alzò gli occhi all'orologio. Le diciotto e sedici. Provò a tornare sul testo di Economia, le mancava giusto quella mezza paginetta per rimettersi in linea col programma svolto dai suoi compagni durante la sua assenza. A dire il vero, il superare o meno il test di Economia che ci sarebbe stato a breve, era l'ultimo dei suoi pensieri.

Un fulmine si scagliò in lontananza. La luce della stanza tremolò. Il ticchettio del panda si fece più intenso. Il telefono vibrò e ora, in quel semibuio, come se fosse un faro d'oltremare, la lucetta del suo cellulare iniziò un accendi e spegni di colore azzurro veramente snervante.

Aveva scelto anni prima la luce azzurra per le notifiche su Instagram. Perchè piaceva a Francesca, non a lei. A dire la verità, si era fatta Instagram per lo stesso motivo. Avrebbe dovuto cancellarsi sia da quel social e, soprattutto, cambiare quella luce. L'azzurro non le era mai piaciuto.

Tamburellò la mano sulla scrivania. Guardò l'orologio, sentì la pioggia nelle orecchie e il sapore della grafite in bocca. Il telefono vibrò un'altra volta.

Di scatto lo afferrò. Era freddo e liscio, leggero. Doveva comprare una nuova cover, appuntò mentalmente. L'altra, si era spaccata quando, il giorno in cui tutto era iniziato, aveva lasciato cadere il cellulare di mano.

Quante cose erano cambiare da quella volta.
Scivolò lo sguardo sui muri spogli della sua camera da letto. Si vedevano ancora i segni dei punti in cui, fino a due mesi prima, c'erano le gigantografie dei suoi ricordi più cari. Adesso, un po' come la sua vita, quel muro era bianco, sporco di vecchie cicatrici e, tutto quello che era stata, accantonato a prendere polvere in uno scatolone giù, in cantina.

La luce blu pulsava ancora. Accesa. Spenta. Accesa. Spenta.

Sbloccò lo schermo. Come sfondo una delle immagini predefinite del Samsung. Sì, anche quella l'avrebbe dovuta cambiare dopo che, in fretta e furia, aveva fatto resettare il telefono. Le dita, comunque, si mossero da sole. Con tocchi veloci, leggeri ma precisi, sbloccarono il cellulare e cliccarono sull'ammasso di notifiche rosse di instagram. Ne segnava solo ventisei, ma sapeva bene che non era quello il numero. Quando comparivano, semplicemente le cancellava con un tocco trascinato del pollice, così da non pensarci più, da non leggere, anche solo per sbaglio, qualunque cosa avessero da dirle.

Erano due mesi che non apriva Instagram. Due mesi che non vedeva le sue foto. Di nessuno di loro.
Fece un respiro profondo. Adesso il cuore batteva all'impazzata. Le mani le sudavano. Lo schermo, sotto il suo tocco, si era inumidito. Si morse il labbro inferiore, poi, aprì.

Come una cascata d'acqua fredda, comparirono le prime foto sulla sua bacheca privata. L'immagine del profilo era quella di una volta, lei che sorrideva in un prato fiorito. Avrebbe più sorriso?

Cercò di resistere dallo scorrere gli occhi in basso, ma le immagini, i tag e perfino i commenti nella direct furono scansionati dal suo cervello con così tanta velocità da farle venire un capogiro.

"Muori"
diceva qualcuno.

"6 una schifosa" continuava qualcun altro con un seguito di faccine disgustate.

"SEPELLISCITI!!!!"

"Nn ride piu ora"

Sua madre le aveva detto che doveva dare tempo al tempo. Che prima o poi tutti si sarebbero dimenticati di quello che era successo e sarebbero andati a tormentare qualcun'altro. Ma non funzionava così. Sua madre sbagliava e lei lo sapeva. Perchè? Semplice: una volta era lei a dettare le regole, a decidere chi avrebbe messo all'angolo chi e per quanto tempo. Quando ancora gli importava di curarsi, quando il suo problema più grande era l'arrivare per tempo ai saldi dei primi di gennaio. Poi, qualcuno l'aveva ripresa mentre... mentre...

Smise di respirare, ma impedì a se stessa di virare lo sguardo. Senza rendersene conto, aveva scorso il dito sulla Home. Gli occhi fissi su una foto.

C'era Federico, il suo ragazzo o, per meglio dire, il suo ex. Sorrideva in quel sorriso sghembo che le aveva fatto sentire le farfalle nello stomaco fin dal primo giorno di scuola. E poi c'era Francesca. Migliori amiche fin dalla scuola elementare, compagna di giochi e di banco.
Era nella stessa foto con Federico, mani intrecciate e le labbra rosse di Francesca sul collo di lui. Sotto ben centottanta like, cinquantotto commenti e un solo ashtag: #amore

Un conato di bile acida le si affacciò in gola. D'istinto bloccò il cellulare e lo gettò in malo modo sulla scrivania, penna e gomma caddero a terra in un suono secco e rotolarono sul pavimento. Il respiro le si bloccò in una gola che si era fatta improvvisamente secca.

Provò a respirare, una, due, tre volte fissando lo sguardo sulle parole del libro di testo. "Conto economico", si morse il labbro. "Ammortamenti" , gli occhi neri di Federico nei suoi, tossì, il naso le pizzicò. Continuò a leggere: "Rivalutazioni", la sua voce bassa, le sue parole, il suo sorriso, l'odore del tabacco sui suoi vestiti, gli occhi si fecero lucidi.

"Dovrebbe morire"

"Rinkiudetelaaaa"

"Sta fori cm 1 balconeeeeeee"

Palleggiò lo sguardo da un lato all'altro della stanza. Gli occhioni del panda sembravano seguirla, giudicarla come avevano fatto tutti. La pioggia scrosciava. Lei non respirava. Le sue pasticche. Le servivano le sue pasticche. Con la mano tremante aprì il primo e poi il secondo e poi il terzo cassetto della sua scrivania. Infilò la mano tra i fogli, i ritagli, le cartelline e gli oggetti sparsi e stropicciati. Sgranò gli occhi lucidi: Eccole! Afferrò di volata il pacchetto, lo aprì, afferrò il bicchiere d'acqua poggiato lì di fianco e con quella aiutò la pasticca a scendere in gola.

"Fai effetto" pensò in una supplica a occhi chiusi, stringendosi su se stessa. Senza neanche rendersene conto ambo le mani erano salite alla testa, infilandosi tra i capelli sporchi a premere con forza sulla cute, come se, con quel gesto, con quella pressione, potesse scacciare, comprimere e distruggere tutti i pensieri che le vorticavano in quella gabbia di angosce.


L'avevano dimenticata, l'avevano sorpassata, lasciandola sola con se stessa. L'avevano uccisa, avevano ucciso Serena D'Onofrio. Sollevò lo sguardo allo specchio, cercando di calmare il respiro.


Quanto era brutta. Sfatta, sciatta. Di lei non era rimasto più nulla. Nulla della ragazza tutta sorrisi e popolarità. Solo un guscio vuoto. Tremante si portò la mano destra al volto, lì dove, fino a pochi mesi prima, avrebbe trovato una pelle curata, c'erano ombre. E i suoi occhi, una volta truccati e perfetti, erano gonfi. I suoi capelli tinti di rosso avevano una ricrescita da far impallidire. Si faceva schifo, il suo riflesso le provocava repulsione. Il sapere di come tutto fosse precipitato.

Così, con ancora il telefono che vibrava, si alzò in piedi. Il bicchiere di vetro cadde a terra e si spaccò in mille pezzi. Pochi secondi e, mentre la voce di sua madre la chiamava dal piano di sotto, lei si avvicinò a quel suo riflesso, a quella ragazza che non era più lei, se non una brutta caricatura.

E mentre sentiva il passo di sua madre correre per le scale, lei guardò le forbici riposte nel portapenne. Le afferrò e le osservò con attenzione.

Domani sarebbe ricominciato tutto.
Portò la lama ai lunghi capelli, all'altezza delle spalle.

Sarebbe tornata a scuola. Tagliò. Una ciocca della sua vecchia se stessa finì leggera sul pavimento scuro.

Avrebbe guardato in faccia tutti quelli che negli ultimi mesi l'avevano insultata. Tagliò ancora mentre il respiro si alleggeriva.

Avrebbe visto Federico nelle braccia di Francesca. Strinse i denti e tagliò con più decisione, mentre sentiva gli occhi gonfiarsi di lacrime.

Sua madre battè sulla porta, si stava agitando, ma perché? Più tagliava, più quell'ansia sembrava svanire.

La porta si spalancò. Vide la donna che tanto le somigliava ferma davanti all'entrata. Urlò il suo nome, lei tagliò l'ultima ciocca.

«Ma che hai fatto, mio Dio!»

Serena si guardò allo specchio e da lì incrociò lo sguardo con l'orologio a forma di panda che le aveva regalato sua zia. «Avevo voglia di un look nuovo, come sto?»

Non poté fare a meno di sentirsi meglio, non sapeva se per la pasticca che aveva iniziato a fare effetto o per quel gesto estremo, ma ora, mentre sua madre si ritirava per fare una delle sue chiamate alla terapista che la seguiva, lei guardò la borsa con dentro i libri di testo che aveva lasciato a prendere polvere vicino al letto. Ora, si sentiva pronta per affrontare quel dannato nuovo Lunedì. Dopotutto era sempre Serena D'Onofrio e tutti l'avrebbero ricordato.

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