Sette
Gabrielle's Pov
Mi alzo a fatica dalla panchina, le gambe intorpidite, pesanti come due blocchi di cemento, la bocca troppo secca e impastata, un mal di testa feroce che mi fa traballare, il cuore che palpita, le tempie che pulsano, gli occhi che mi bruciano terribilmente.
Il cinguettio degli uccellini sui rami del tiglio aumentano il mio malessere, interferisce con i miei pensieri in subbuglio per cui mi alzo.
Barcollo, mi viene da vomitare, sento sulla punta della lingua il fiele del male che inizia a diffondersi dentro di me, un brivido ghiacciato si insinua sotto ai capelli; mi morde la nuca e serpeggiando scende lungo tutta la mia spina dorsale facendomi rabbrividire.
A piccoli passi, lentamente, mi avvio verso casa, un altro fottuto attacco di panico sta prendendo il sopravvento.
Ho sempre tentato di uccidere sul nascere questi maledetti sbigottimenti che mi incatenano corpo e anima in un malore senza paragoni, ma questo d'oggi è forte, sta prendendo piede velocemente.
Ci metto più del solito per arrivare a casa, sto tremando tutta e la nausea è più prepotente che mai. Con mano tremolante apro la porta d'ingresso e mi fiondo nel bagno accanto alla cucina, mi piego sulle gambe con la testa dentro al water rovesciando, gettando tutto il veleno che ho nello stomaco.
Ansimo e scuoto la testa. Il retrogusto acre che sento nella bocca mi fa rabbrividire. Mi raddrizzo e tiro lo sciacquone, poi accendo l'acqua fredda, mi lavo la faccia passando poi le mani bagnate tra i capelli e sul collo, sciacquo la bocca con ripetuti gargarismi e quando mi guardo allo specchio mi spavento del mio riflesso. Sono più bianca di un lenzuolo. Ho gli occhi arrossati dallo sforzo, lacrime cristalline a serpeggiare sulle mie guance marmoree.
A passi lenti, appoggiandomi ai muri arrivo in cucina, apro il frigo e tiro fuori una bottiglia d'acqua che fatico ad aprire. Mi tremano le mani e le gambe, mi sento crollare per cui mi accosto al tavolo con la schiena e ne bevo un lungo sorso. Un rumore attira la mia attenzione e non appena giro la testa, alla mia destra, vedo Omar senza maglietta, con addosso un paio di pantaloni di ginnastica, a piedi scalzi che fa capolino in cucina.
<<Oh, scusami Gabrielle. Pensavo fossi solo.>> Confessa spezzando il silenzio con la sua voce profonda e roca. Sono incapace di proferire parola. I miei occhi navigano sul suo bel volto, soffermo lo sguardo per un secondo di troppo sulle sue labbra carnose, lo faccio scivolare poi sulle clavicole, e poi mi beo della perfezione del suo corpo nudo. Quel petto scolpito con la tartaruga in bella vista, le mani possenti appogiate ai fianchi mettono in evidenza le vene ballerine sotto la pelle abbronzata e quei riccioli di peli scuri che spariscono sotto l'elastico dei pantaloni che fasciano con fatica le sue gambe muscolose.
Ritorno a guardarlo in faccia deglutendo a secco diverse volte e vedo che ha le labbra piegate in un sorriso che mi bagna all'istante. Mi sento fremere ma decido e mi sprono mentalmente che devo resistere. Mi stringo nelle spalle e schiarisco la voce.
<<Come vedi non sei solo.>> Soffio appena continuando a squadrare il suo corpo perfetto e cazzo, la sua visione mi fa dimenticare l'attacco di panico che scivola dalle spalle in un battibaleno grazie alla sua splendida visuale. Mi succhio le labbra per trattenere un gemito e poi gli do le spalle prendendo un'altro sorso dalla bottiglia. Mi reggo con le mani dal tavolo e cerco di rallentare il battito cardiaco che mi scoppia nel petto, ma un lieve fruscio mi fa rigirare.
Per quanto tenti di non squadrarlo mi riesce difficile. Sapere questo belloccio a poca distanza da me mi fa venire la pelle d'oca e sveglia in me tutti gli ormoni possibili, immaginabili e inimmaginabili, da tempo remoto assopiti.
<<Senti Gabrielle.>> Spezza il silenzio il moro fermandosi a due passi da me. Si passa le mani sul viso e poi mi inchioda sul luogo con quelle pozze infinite che ha al posto degli occhi. <<Prima non mi hai dato il tempo di parlare e capisco che il mio atteggiamento di ieri ti abbia dato fastidio però devi capire che c'è una ragione per cui me ne sono andato così, senza una spiegazione.>> Continua senza smettere di guardarmi. Resto muta, incantata dal modo in cui le sue labbra si muovono facendo apparire e scomparire quei denti bianchissimi che spiccano, mi acecano al contrasto con il suo volto olivastro.
Mordicchio il tappo della bottiglia e non riesco a spostare lo sguardo da lui, da questo bellimbusto che mi siede davanti.
<<Davvero non devi spiegarmi nulla. Sono una perfetta sconosciuta per te, per cui, non vedo il perché dovresti spiegarti o confidarti con me.>> Riesco a dire spostando a malincuore lo sguardo su un punto alle sue spalle.
<<Hai completamente ragione però dato che vivremo sotto lo stesso tetto vorrei mettere in chiaro le cose, vorrei creare un rapporto d'amicizia con te.>> Dice avvicinandosi di un'altro passo a me.
Non rispondo, non ci riesco. La sua sola presenza mi mette in soggezione e il fatto di essere dannatamente bello e pure nudo dinanzi ai miei occhi, mi attorciglia le budella.
La sua voce bassa e rocca penetra con facilita i miei timpani e si diffonde in tutto il corpo accendendomi all'istante.
<<Senti Omar, il fatto di stare sotto lo stesso tetto non ha alcuna rilevanza. Puoi continuare a fare lo stronzo come d'altronde hai fatto ieri oppure puoi ignorarmi. Per me non cambia nulla. E ora se vuoi scusarmi vado a farmi una doccia.>> Sibilo indemoniata guardandolo negli occhi e poi a passo felpato tento di superarlo. La sua mano grande e calda che si chiude intorno al mio polso e mi strattona fino a farmi sbattere la fronte contro il suo petto nudo e muscoloso, mi sbalordisce, mi lascia senza parole.
Sbatto le ciglia incredula ma non mi dimeno, non cerco di sfuggire a questo tocco che sveglia tutti i miei sensi, non voglio sottrarmi da questo belloccio, non voglio spostarmi dal contato con la sua pelle nitida come la seta, voglio imprimere bene nelle narici, nella testa questo buonissimo profumo selvaggio che la sua pelle emana.
Alzo la testa per guardarlo negli occhi perché vabbè che io sia alta ma quest'adone che sembra essere scolpito maestosamente in marmo è due teste più alto di me.
<<Gabrielle.>> Soffia dalle labbra rosee e carnose il mio nome, il fiato caldo che sa di menta a infrangersi sul mio volto. <<Ascoltami.>> Sussurra mollando la presa sulla mia mano, allontanandosi di scatto quando si rende conto che siamo vicini, troppo vicini. Si passa nervosamente le mani tra i capelli corvini e alcune ciocche ricadono sulla sua fronte, nascondendo le sopracciglia folte.
Appoggia la schiena al bancone dietro di sé, incrocia le mani al petto mettendo in evidenza ancora di più i bicipiti scolpiti e divarica leggermente le gambe e senza rendermene conto i miei occhi cadono sul cavallo dei suoi pantaloni ma è solo un istante perché poi torno a guardarlo in viso, rossa come un pomodoro in volto, e noto che i suoi occhi dannatamente belli mi squadrano senza pudore.
Prima di parlare si passa lentamente la punta rosea della lingua sulle labbra e questo movimento accentua quella fossetta dannatamente adorabile sulla guancia destra facendomi perdere la testa. Inevitabilmente il pensiero mi vola lontano e mi ritrovo a pensare che effetto potrebbe avere la sua lingua sui miei capezzoli.
"Cazzo Gabrielle, dati un contegno!" Sbatto le palpebre e sento le guance andare in fiamme e il cuore accelerare drasticamente il suo pulsare.
<<Ieri sono scappato perché mi sono lasciato prendere dal panico. Quella chiamata che ho ricevuto mi ha frastornato, mi ha scosso a tal punto da farmi perdere le staffe.>> Sospira e lascia cadere le braccia lungo il corpo, le mani strette in pugni fino a sbiancare le nocche. Sembra agitato e incerto se parlarmene oppure no ma alla fine, sistema il ciuffo ribelle e mi inchioda al pavimento con lo sguardo. <<Le mie sorelle sono tutte e quattro in Iraq. La guerra sta prendendo piede, i bombardamenti si stanno avvicinando sempre di più verso Bagdad e io ho paura di quello che potrebbe accadere alle mie sorelline. Le carte per il ricongiungimento famigliare non sono ancora pronte e quel bastardo del mio avvocato mi sta ciucciando tutti i soldi. È questo il motivo per cui mi trovo qui, ospite in casa tua. Devo racimolare tutti i soldi per portarle via da lì. Lo so che non sono affari tuoi, che potrebbe non interessarti però ci tenevo a dirtelo. Mi dispiace davvero per come sono fuggito, senza darti almeno una spiegazione.>> La sua voce è carica di emozioni diverse mentre dà libero sfogo alle parole, paura, timore ma riesco comunque a vedere una briciola di speranza guardandolo negli occhi.
La sua confessione tuttavia mi lascia senza parole. Non sapevo il motivo per cui se ne fosse andato il giorno prima eppure sono stata veloce ad avere pregiudizi, a giudicarlo. Cavolo, ora mi sento veramente una merda per come l'ho trattato. Resto in silenzio per un secondo di troppo perché le informazioni che Omar mi ha dato mi hanno spiazzata, cerco di digerire le sue parole e più si ripetono nella mia testa più un nodo difficile da deglutire mi blocca le corde vocali.
<<Ooh, mi dispiace davvero per il brutto momento che stai passando. Mi dispiace davvero per come vanno le cose nel tuo paese e diamine deve essere difficile per te sapere le tue sorelle vicine ai bombardamenti.>> Riesco a proferire appoggiando una mano sul mio petto dove il cuore batte all'impazzata, rimbomba anche nelle orecchie che sento fischiettare. Ho la pelle d'oca, non so come avrei reagito io se le persone a me care fossero in pericolo di vita. Scuoto la testa consapevole e inorridita dal fatto che nessuno sia capace di mettere fine al calvario che i paesi arabi subiscono e dopo aver inspirato ripetute volte per tornare in me, rivolgo il mio sguardo al belloccio. Ha le spalle leggermente incurvate, i pugni ancora stretti lungo il fianco e respira pesantemente.
<<Comunque Omar, sappi che sei il benvenuto qui da noi, puoi stare finché vorrai e non ti preoccupare per i soldi, pensa invece a far muovere quel avvocato e fammi sapere se ti posso aiutare in qualche modo.>> Rispondo guardandolo tristemente. Giocherello con le dita distrattamente, come faccio sempre d'altronde quando sono agitata e mi smuovo sul posto intimidita sotto il suo sguardo perplesso. Le sue sopracciglia sono talmente inarcate che mi sembrano gabbiani pronti a spiccare il volo.
<<Ti ringrazio.>> Replica soltanto abbassando il capo. Poi raddrizza la testa e abbozzando un sorriso furbetto si avvicina a me. <<Amici?>> Chiede quando è a pochi centimetri da me con la mano tesa nella mia direzione.
Aspetta la mia risposta, mi fissa, attende un mio movimento che non tarda ad arrivare. Alzo la mano senza riflettere oltre e prendo la sua scuotendola, gli sorrido con gli occhi e con la bocca, col cuore che fa le piroette nel petto: <<Amici.>> Rispondo agitata mettendo con le dita che fremono una ciocca ribelle dietro all'orecchio. Il contatto con le sue dita mi agroviglia le budella e un'ondata di calore mi trapassa fino alla punta dei piedi. L'imbarazzo creato tra di noi, il mutismo che usiamo per studiarci a vicenda, viene spazzato dal campanello della porta che mi fa sussultare.
Butto un occhio a Omar che sorride accentuando quella fossetta adorabile che mi stringe lo stomaco in una morsa e impacciata come non mai cammino all'indietro ancora con gli occhi ancorati ai suoi e sbatto con le chiappe contro la sedia alle mie spalle che stride sul pavimento prima di cadere a terra con un tonfo che fa eco in tutta la casa. <<Oddio.>> Strillo quando inciampo nelle gambe della sedia e stringo gli occhi pronta all'impatto, ma Omar balza in avanti prendendomi al volo. <<Attenta.>> Mormora con le dita strette intorno alle mie spalle.
Il suo profumo che entra nelle mie narici riempiendo al massimo i miei polmoni sa di pioggia selvaggiamente caduta sul deserto, sa di eccitazione, di cavalli al galoppo che alzano con i loro zoccoli la polvere fino alle stelle, sa di notte profonda avvolta negli odori dell'oriente, sa di potere, di meraviglia.
Mi stacco da lui sentendo le guance bruciare violentemente e senza una parola dirigo i miei passi alla porta perché il campanello non smette per un secondo di suonare. Tento in vano di calmare il vortice che si è creato dentro di me, che alza in un impeto la mia temperatura corporea, che amplifica i pensieri e le emozioni che mi travolgono come un fiume in piena.
Spalanco la porta e mi ritrovo davanti il mio amico Denis, le mani nelle tasche, le spalle ricurve, gli occhi rossi grondanti di lacrime. <<Denis.>> Dico guardando da testa a piedi il ragazzo che appena mi vede mi salta addosso strittolandomi in un abbraccio prendendomi alla sprovvista. <<Cosa è successo?>> Chiedo strofinando la mia mano sulla sua schiena che sussulta in preda agli singhiozzi. <<Elle... sono nella merda.>> Riesce a dire incollando la sua faccia all'incavo del mio collo, bagnando la mia pelle con le sue lacrime che scompaiono sotto la mia maglietta. Restiamo abbracciati per qualche istante e sento la mia schiena bruciare a causa di due occhi neri pece. Sento la sua presenza dietro di me ma non mi sposto, non giro la testa, resto attaccata al mio amico che non ha una bella cera, concentrata a confortarlo e Omar si ritira senza una parola.
Quando Denis si stacca e si pulisce gli occhi deformati dal pianto il mio cuore viene stretto in una morsa. È la prima volta che lo vedo in questo stato. Prendo la sua mano e chiudendo la porta alle sue spalle lo porto in cucina, lo faccio sedere sullo sgabello e senza dire una parola le porgo un bicchiere colmo d'acqua fresca che il biondo tracanna senza battere ciglio.
<<Stai meglio?>> Indago sedendomi accanto a lui, una mano sulla sua gamba che non ha mai smesso di muoversi su e giù preda di uno spasmo incontrollabile. Denis diniega scuotendo la testa, si stringe nelle spalle e quando alza la testa vengo pervasa da una scossa. Vederlo in questo stato e non riuscire a confortarlo mi fa sentire impotente. <<Elle, tra due settimane mi butteranno fuori da casa.>> Sbotta d'un tratto con voce flebile mordendosi le labbra, impastandosi le mani. <<Da quando i miei hanno saputo del mio orientamento sessuale mi hanno tagliato tutti i fondi e quello che guadagno come cameriere non basta per coprire tutte le spese. Porca vacca, mi sa che dovrò rinunciare agli studi e trovarmi un lavoro full time. Non vedo un'altra soluzione.>> Continua alzandosi dalla sedia, stritolando tra le mani i capelli iniziando a camminare avanti e indietro come un leone in gabbia. Agita le mani, sbuffa poi mi guarda come un cucciolo bastonato. <<Oh Denis. Perché non mi hai mai parlato di questa cosa?>> Chiedo, la voce ricolma di apprensione. Alza le spalle e mi fissa tristemente. <<Pensavo che avessero bisogno di tempo per digerire la notizia. Pensavo che dato che sono il loro unico figlio avrebbero accettato il fatto di essere gay. Resto comunque il loro unico figlio cazzo. Non mi parlano da mesi.>> Lo guardo impotente, incapace di dire una parola di conforto e quando lui ritorna a fissarmi con quei occhioni belli ora pieni di rammarico, gli regalo un sorriso forzato. <<Potrei vendere un rene per uscire da questa situazione del cazzo. Si può vivere solo con uno giusto? Oppure potrei iniziare a prostituirmi oppure potrei spacciare o... aspetta lo so.>> Urla alzando l'indice fermandosi di colpo di fronte a me: <<Potrei iniziare a rubare no? O magari patrei diventare l'amante di quel politico che mi perseguitava l'anno scorso.>> Continua con lo sguardo smarrito. Lo fisso con gli occhi fuori dalle orbite, presa alla sprovvista dalle sue parole folli e mi ritrovo a pensare quale droga sintetica abbia assunto.
<<Ma che dici scemo?>> Lo rimprovero arrabbiata alzandomi a mia volta dalla sedia. Denis è talmente agitato da mettere in agitazione anche me. Per fortuna tutte queste distrazioni alla fine sono servite a farmi uscire dal baratro in cui stavo scivolando.
<<Non farai nulla di tutto ciò, io ti posso aiutare.>> Dico non appena sono davanti a lui. Lo fisso dolcemente e restiamo uno di fronte all'altra senza dire nulla finché lui non scuote la testa e si sposta di lato digrignando i denti. <<Io non posso accettare il tuo aiuto. Non posso.>> Sussurra dandomi le spalle. <<Non potrei mai approfittare della tua amicizia in questo modo.>> Sussurra fissando un punto dinanzi a sé. Mi avvicino cauta e allaccio le braccia sul suo petto scolpito adagiando la guancia sulla sua schiena. <<Sei il mio migliore amico Denis, sei sempre stato quando avevo bisogno, sei una delle persone più importanti nella mia vita. È il minimo che possa fare e non ti preoccupare, io non voglio indietro i soldi. Voglio vederti felice.>> Rispondo strofinando il naso sulla sua spalla. Denis è l'orgoglio in persona, non accetterebbe mai aiuto senza essere certo che possa ricambiare. Si gira e mi abbraccia e finalmente le sue labbra si incurvano all'insù regalandomi uno dei suoi sorrisi smaglianti.
Dopo averlo convinto e rassicurato che in qualche modo potrà sdebitarsi, Denis accetta il mio aiuto, prende un sospiro di sollievo e mi strizza le guance con un sorriso imbarazzato dipinto sul volto. Per la mezz'ora successiva non fa altro che ringraziarmi ed elencare i modi in cui potrà pagare il debito. Blatera senza sosta dicendo che troverà un modo per ridarmi il denaro al costo di prendersi il secondo lavoro e non posso che guardarlo felice di aver riportato il sorriso sulle sue labbra.
Siamo sul divano in soggiorno avvolti dal silenzio come in una morbida coperta, io appoggiata allo schienale e Denis con la testa nel mio grembo. Accarezzo i suoi capelli morbidi immersa nei pensieri quando una voce roca mi fa trasalire: <<Il tuo fidanzato si ferma a pranzo? Sto cucinando le lasagne.>>
Continua...
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