Quindici
Omar's Pov
Non sono confuso, sono solo mischiato bene.
R. Frost
Cammino a testa bassa perché è troppo appesantita dai pensieri vorticosi da riuscire a tenerla in posizione eretta sulle spalle. Un rivolo di sudore percorre tortuosamente la mia fronte agrottata come un foglio, una carta sulla quale viene scritto un pensiero negativo, brutto, che poi viene stropicciata, accartocciata, per celare agli occhi degli altri l'oscurità che nascondiamo dentro di noi.
Mi bruciano gli occhi!
Il velo sottile e umido che imbratta la mia fronte, scivola serpeggiando, striscia indisturbato fino ad accarezzare le mie sopracciglia corrucciate e poi sparisce sulla linea delle ciglia e attacca, punge inaspettatamente i miei occhi che strizzo di scatto.
Mi scontro con le persone frettolose, mi scuso a mezza voce, non vedo e non sento altro che l'urlo straziante, doloroso, che ha il gusto del cianuro e l'odore della disperazione, delle concezioni che il mio cervello porta alla luce del giorno.
Un'altra volta la speranza mi ha ingannato, mi ha truffato, e mi ha fottuto pesantemente!
Io lo sapevo, lo sapevo che allungarsi più del dovuto mi avrebbe fatto male, in cuor mio sapevo che non avrei dovuto fare i salti di gioia, che non avrei dovuto permettere allo speme di infilarsi nelle mie ossa fino al midollo.
Lo sapevo però mi sono lasciato fregare un'altra volta!
Allargo la cravatta perché sento che mi sta strangolando, la sento infilarsi nella pelle del collo, attaccarsi alle laringi fino ad azzerarmi la salivazione. La sfilo e la butto a malo modo nella tasca della giacca, poi slaccio i primi tre bottoni della camicia e torno a respirare.
Maledetto avvocato, bastardo e sanguisuga che non è altro e io rimbambito ad aver creduto che questa volta veramente avesse trovato una soluzione al problema che mi affligge.
Il suo tono secco, rilassato, la sua voce odiosa torna a punzecchiare i miei timpani e Dio, avrei voluto prenderlo a cazzotti, ma mi sono trattenuto a stento. Davanti agli occhi quando ho scaraventato la sedia a terra furibondo, mi sono apparsi i visi delle mie sorelle, ho preso una boccata d'aria e mi sono fermato giusto in tempo. Ho bloccato ogni movimento, ogni parola che spingeva per uscire tra i denti. Mi sono reso conto che non posso permettermi di fare cazzate, di aggravare la mia situazione già di per sé difficile e tortuosa.
<<Signor Al Gala, lei può ottenere le carte che gli servono in un batter d'occhio.>> Spinge fuori dalle labbra l'avvocato Albulescu fissandomi con i suoi occhi d'avvoltoio. Sono entusiasta, non riesco a contenere la frenesia che le sue parole sboccano, svegliano dentro di me. <<E quale sarebbe questo metodo? Cosa devo fare?>> Chiedo, la speranza a scalpitare come un cavallo imbizzarito dentro di me.
<<Lei deve sposarsi!>> La butta là impassibile, tranquillo, mentre taglia la punta al suo sigaro cubano e lo accende. Per un momento resto imbambolato dalle sue parole. Il sigaro sfrigola quando la cartina viene bruciata dalla fiamma viva del fuoco e una grossa e danzante nube di fumo si alza verso il soffitto.
La rabbia e il nervosismo mi scuotono l'anima e mi arricciano le dita dei piedi, prendono velocemente posto alla calma però stringo le mani in due pugni, conficco le unghie nella carne e aspetto che continui la sua cazzata. Tremo dalla rabbia, tutto il mio essere si agita e manca poco a scatenare l'inferno.
<<Se lei dottore trovasse qualcuna disposta a sposarlo, in massimo un mese le carte sarebbero pronte.>> Più parla più mi fanno imbestialire le sue parole dette con troppa facilità. Parole affilate come aghi che si schiantano nel cervello con la velocità di un proiettile, tramortendomi.
<<Ma si sente quando parla? Io... io sono senza parole! Ma che razza di avvocato è lei? Anche se gli dessi retta, dove troverei io una ragazza disposta a sposarmi?>> Sbraito ormai fuori controllo quando riesco a riprendermi dallo stordimento.
<<Si calmi dottore, si calmi e mi faccia parlare.>> Dice l'avvocato sbuffando nell'aria prima un cerchio e poi una nuvola densa di fumo.
Mi agito sulla sedia e mi strattono i capelli fino a farmi male. <<Io potrei avere già una pretendente. È solo che dovrebbe sborsare sui cinque mila euro in cambio del suo servizio.>> Una rabbia cieca si sveglia nel profondo del mio essere. Scalpita e spinge, preme prepotente per uscire allo scoperto, mi graffia le corde vocali, prende a cazzotti il mio cuore che pompa velocemente sangue nelle vene, facendomi girare la testa, la vista si appanna e lo sdegno inizia a mordere la mia carne e a urlare. Dalle sue fauci esce un urlo disumano a cui se darei il permesso di venire allo scoperto farebbe prendere paura a questo omuncolo di due soldi.
Scatto in piedi facendo stridere la sedia sul pavimento prima che cada a terra con un tonfo. Sbatto violentemente le mani sul tavolo facendo sobbalzare il piccolo uomo che ho davanti, la mia ombra nera a torregiare su di lui. Mi abbasso pericolosamente fino ad essere a pochi centimetri dal suo viso e sibilando come un serpente, sputando veleno al posto delle parole lo guardo negli occhi senza battere ciglio. <<E se invece io andassi a denunciarlo per avermi fatto questa proposta? Non credo che lei avvocato si renda conto della gravità delle sue parole.>>
Albulescu sbatte le palpebre e con la coda dell'occhio riesco a vedere le sue mani tremare, ma è solo una frazione di secondo perché poi si ricompone, si tira indietro facendo aderire la schiena alla sedia, corruga le sopracciglia, inspira ed espira un paio di volte e poi mi sorride beffardo.
<<Non credo che lei dottore sia nella posizione di potermi minacciare. Io gli ho dato un'idea, una scappatoia, una via più veloce per arrivare al traguardo che tanto brama. Se solo per un secondo riesce a guardare le cose dal mio punto di vista potrebbe capire che la sto facendo solo per lei. Sono anni che andiamo avanti e la sua pratica è ancora qui, ferma senza speranza di essere conclusa a breve. Se vuole continuare per vie legali sappia che nemmeno l'anno prossimo le carte per il ricongiungimento famigliare che tanto anela saranno pronte. Invece se decidesse di darmi retta e sposasse una donna qualsiasi, in men che non si dica sarà tutto pronto. Lei potrebbe prendere addirittura la cittadinanza rumena prima del previsto.>> Tremo dal nervoso però la sua spiegazione è sensata. Tiro su la sedia e mi lascio cadere di peso sopra, i gomiti sulle ginocchia a reggere la testa che frulla. Sento gli ingranaggi scricchiolare sotto il tumulto di informazioni appena apprese.
Non voglio andare contro la legge, ma non voglio nemmeno che le mie sorelline stiano ancora là, sotto attacco, con la fame a marchiare i loro giovani corpi, con il terrore a insediarsi nelle loro menti crude, fragili. Tuttavia ho bisogno di riflettere e gli occhi dell'avvocato che mi scrutano mettendomi ansia e fretta non mi aiutano affatto.
<<Ci penserò su. Ci sentiamo avvocato.>> Dico alla fine alzandomi e senza stringergli la mano, gli do le spalle ed esco in strada.
Con il vortice di pensieri che turbinano il mio cervello non mi rendo nemmeno conto di essere arrivato a casa finché non mi trovo davanti alla porta. Mi sento come se mi avessero gettato in un contenitore e mi avessero girato e rigirato, sono tutto sotto sopra. Le mani mi tremano quando tento di infilare le chiavi nella toppa, ma qualcosa attira la mia attenzione, mi blocca.
Una leggera folata di vento profumata mi scompiglia i capelli ed è come una carezza, un sussurro che si infiltra nelle mie orecchie, come l'acqua tra le rocce, fino a schiantarsi sulle pareti del mio cervello. Mi fermo, alzo lo sguardo verso il cielo terso e involontariamente sorrido.
Mi è sempre piaciuto pensare che nei momenti più difficili, nei tempi in cui la disperazione prende il sopravvento sulla mia pace e sulla tranquillità, nei momenti più pesanti, quelli in cui vorrei solo lasciarmi andare allo sconforto, mi è sempre piaciuto pensare che mia madre, tramite una goccia di rugiada o di pioggia, tramite il canto degli uccellini o il fremito delle foglie sotto il tocco del vento mi parli, mi accarezzi, donandomi la forza per tornare a combattere, per alzarmi da terra più forte di prima.
Se ho capito una cosa in ventinove anni è che la vita ti mette alla prova, sempre. Spazzola con te per terra, ti prende a sberle, ti accarezza, ti dà il bacio di Giuda, ti coccola al suo seno, ti fa sentire al sicuro e quando meno te lo aspetti ti ributta nuovamente al suolo facendoti mancare l'aria.
Se ho capito una cosa è che ogni calcio nel culo è comunque un passo avanti perché la vita, il tempo, continuano il loro corso indisturbati e tu non puoi che aggrapparti a loro e camminare quando c'è da camminare o correre quando loro te lo impongono.
Ho capito che non serve a nulla mettersi in un angolo e piangere nei pugni, ma bisogna tirare fuori gli attributi, rimboccare le maniche e darci dentro, lottare fino all'ultima goccia di sangue e di sudore perché il brutto tempo non può durare per sempre, il cielo potrebbe schiarirsi da un momento all'altro, l'arcobaleno spunterà e tu devi essere pronto a ricominciare più determinato di prima.
Sorrido e sussurro un grazie mamma, prima di spalancare la porta ed entrare. Dovrei riposare dato che stasera ho il turno di notte in ospedale, ma prima di salire nella mia stanza, a passo lento, mi avvicino alla cucina con l'intenzione di prendere un bicchiere d'acqua per spegnere le fiamme che ho dentro.
Appena metto un piede nella stanza i miei occhi si scontrano con quelli color acquamarina di Elle. Sono gonfi e rossi segno di sofferenza e trambusto, segno che ha pianto. In un gesto incosciente mi avvicino senza staccare lo sguardo da lei e mi fermo a pochi centimetri, allungo la mano, accarezzo con la punta delle dita la sua guancia liscia e arrossata e sussurro:
<<Che succede Elle? Perché hai pianto?>> La voce mi esce flebile, e il cuore mi sussulta nel petto quando abbozza l'accenno di un sorriso. La vedo inclinare leggermente la testa per andare incontro alle mie dita che non hanno smesso di bearsi della morbidezza della sua pelle.
<<Non ti preoccupare Omar. È acqua passata ormai.>> Risponde sicura di sé. I nostri occhi si schiantano, si cercano e si raccontano, parlano un linguaggio tutto loro e non serve mettere le ali alle parole, non serve spingere alcun termine fuori dalle labbra perché fa tutto la connessione creatasi tra i nostri sguardi.
Restiamo in silenzio per qualche secondo di troppo, e se inizialmente questo gioco non era imbarazzante, ma tutt'altro, quando l'amico di Elle schiarisce la voce dietro di lei, il sentimento di disagio si infila sotto la pelle e striscinado si aggrappa al cervello svegliandolo e facendomi indietreggiare.
Il palmo della mano dove Gabrielle aveva appoggiato la guancia si raffredda all'istante, un gelo imprevisto prende possesso del mio animo trasandato, ma mi ricompongo subito.
<<Ciao Denis.>> Dico guardando il biondo da sopra alla spalla di Elle.
<<Ciao bella bestia. Come andiamo?>> Esala ridacchiando il ragazzo che con troppa enfasi supera la bionda con una spallata facendola traballare e si mette di fronte a me.
Mi osserva con un ghigno divertito sulle labbra e poi mi fa segno di abbassarmi.
Obbedisco e quando siamo vicini il biondo si avvicina ancora di più al mio orecchio e inizia a sussurrare: <<Elle non sta molto bene ed io ora devo proprio scappare se non voglio fare tardi a lavoro per cui, a te non da fastidio prenderti cura della mia incosciente amica finché non si mette in sesto vero?>> Mentre parla i suoi occhi si illuminano e il modo in cui si bagna le labbra mi fa rizzare i capelli in testa.
<<Nessun problema finché resto qui mi prenderò io cura di lei, puoi stare tranquillo.>> Lo tranquillizzo allontanandomi da lui.
Non ho alcun pregiudizio verso i gay o le lesbiche, penso che ognuno debba vivere la propria vita, deve amare chi vuole, ma stare troppo vicino a questo ragazzo mi mette a disagio. Forse è per il modo in cui mi guarda, come se fossi un bocconcino pronto da addentare oppure per il modo in cui mi chiama, non lo so. Certo è che Denis mi mette ristrettezza.
<<Allora io vado bestioline, fate i bravi!>> Continua il biondo ammiccando e poi, prima di sparire schiocca l'occhiolino nella direzione della sua amica.
Non appena sento sbattere la porta d'ingresso, giro lentamente la testa verso Elle che è nella stessa posizione di prima; appoggiata con la schiena al tavolo, le mani intrecciate e il labbro inferiore stretto tra i denti.
<<Come ti senti Gabrielle? Ti è passata la sbornia?>> Chiedo fissandola a lungo. <<Sto meglio di quanto meriterei ed è tutto merito tuo, grazie per esserti preso cura di me. Non avrei dovuto bere così tanto.>> Risponde mentre trepidante dall'imbarazzo si tortura i polpastrelli.
<<Già, l'alcool non è la soluzione, non farlo mai più, ok?>> Continuo osservandola per bene e mi perdo nei suoi occhi color acquamarina che sembrano spruzzare dardi di luce. <<Non parliamone più ok? Ho imparato la lezione. Parliamo invece di te e di quello che hai risolto dall'avvocato per la tua famiglia.>> Risponde regalandomi un sorriso imbarazzato mentre fa il giro del tavolo, cercando di sfuggire ai miei occhi per non farmi vedere il colore rossastro che le sue guance hanno assunto.
Sospiro ripensando alla strana conversazione che ho avuto con quel testa di minchia di Albulescu e un miscuglio di rabbia e frustrazione trepidano dentro di me, ma il sorriso rassicurante di Elle calma le acque nere, il fruscio assordante che ultimamente prende sopravvento sempre più spesso sulla mia calma.
Il rumore dell'acqua che viene versata nel bicchiere mi desta dai pensieri, e alzo lo sguardo sulla bionda che sorseggia il liquido lentamente poi si pulisce la bocca con il dorso della mano e mi sorride nuovamente. <<Ti ho già detto che se hai bisogno di aiuto non devi esitare a chiedermelo. Ti aiuto volentieri se posso. Deve essere terribile per te sapere la tua famiglia bloccata là.>> Continua delicata vedendomi ammutolito.
La dolcezza con cui le parole lasciano la sua bocca, lo sguardo rassicurante, colmo di empatia mi sciolgono e inizio a spifferare senza omettere nulla quanto successo dall'avvocato.
Ascolta seria tutto quello che dico, tutto il mio sfogo e quando il sangue inizia a bollire nelle vene, quando il nervoso scalpita impazzito dentro al petto, quando sento tutto il peso delle parole dell'avvocato venirmi addosso come una valanga, solo il tocco della sua mano che stringe forte la mia spalla mi calma all'istante.
<<Sposa me!>> Dice lasciandomi a bocca spalancata.
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