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Quattro

Omar's Pov

"Chi sei tu meraviglioso angelo caduto sulla mia strada??"

Siamo uno di fronte all'altra nell'attesa che qualcuno venga a prendere i nostri ordini e diamine, non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Osservo affascinato il modo in cui si morde imbarazzata il labbro, come arriccia il nasino all'insù, come sbatte pigramente quelle ciglia folte, come si tortura le mani affusolate.

In pratica sta facendo di tutto pur di non guardarmi in faccia e devo ammettere che mi sto divertendo un mondo.

Una cameriera con la faccia piena di trucco e troppo svestita per i miei gusti si avvicina ancheggiando al nostro tavolo e non appena mi mette gli occhi addosso boccheggia un paio di volte, poi sventolando le ciglia finte mi squadra senza pudore.

<<Buongiorno, cosa posso portarvi?>> Chiede la ragazza continuando a fissarmi, ignorando volutamente la bionda che siede di fronte a me. Vorrei dirle di smettere di provarci spudoratamente con me perché anche se fosse l'unica donna al mondo non sprecherei nemmeno il fiato con lei.

Le continue occhiate che la cameriera mi riserve, fanno alzare gli occhi al cielo alla donzella che alla fine schiarendosi la voce dice: <<Per me un decaffeinato, grazie.>> Ed è proprio il modo in cui lo dice, sibilando tra i denti come un serpente a sognali, che fa accendere un sorriso divertito sulle mie labbra. <<Ooh>> Squittisce falsamente la cameriera puntando lo sguardo sull'angelo seduto di fronte a me per poi tornare a squadrarmi.

Inarco un sopracciglio e con fatica riesco a trattenere una risata che spinge prepotente per uscire dalle mie labbra non appena vedo la sua faccia da pesce lesso. Ma questa mia azione non la fa demordere, se ne frega altamente dell'occhiataccia ricevuta e si mette a scrivere l'ordine come se nulla fosse; poi senza pudore si avvicina a me sbattendomi letteralmente davanti agli occhi i suoi meloni e con voce soave, piegandosi leggermente alla mia altezza chiede:

<<E lei? Lei cosa desidera?>> Punto i miei occhi scuri come la notte nell'oceano in tempesta della bionda, ovviamente infastidita dal atteggiamento superfluo e inopportuno della cameriera e mi tocca mordere la lingua con forza per non dire a quest'ultima di andare a farsi sparare, di andare a cercare di attaccare bottone altrove che io non sono interessato, che non mi interessano quelle come lei. Le donne facili non mi hanno mai attratto, mi fanno soltanto ribrezzo.

<<Un americano, grazie.>> Rispondo senza degnarla di un solo sguardo, intento a squadrare colei che ho dinnanzi. La sto praticamente mangiando con gli occhi e non posso fare nulla al riguardo. Più mi sforzo a trovarle un difetto, più il suo viso acqua e sapone mi attira come una calamita e non riesco a dare un nome a questa sensazione che provoca, che accende dentro di me.

Non mi sono mai e poi mai sentito tanto attratto da qualcuna. Una bellezza naturale come la sua non ho mai incontrato prima d'ora e ne sono profondamente affascinato da quello che vedo. Lunghe ciglia ricurve e folte fanno ombra a un paio d'occhi talmente limpidi e chiari da riuscire a specchiarmici dentro; labbra piene e rosee e quest'aria angelica che emana mi sta mandando in cortocircuito il cervello.

Non è da me inseguire le donne, casomai è il contrario ma sin dal primo sguardo questa ragazza mi ha messo ko.

Questa bionda pare essere un'eccezione dato che senza riflettere gli sono corso dietro scodinzolando come un cagnolino, come se il mio corpo avesse avuto vita propria, incurante della coscienza che urlava a squarciagola di non compiere una scemenza.

Tutto questo trambusto interiore non è da me!

Mi desto dal contemplarla non appena mi rendo conto dell'agitazione che sta prendendo possesso del suo corpo esile facendola muovere sulla sedia come se fosse seduta sulle spine, per cui mi schiarisco la voce e cerco di intrattenere una discussione sensata.

<<Allora signorina...>> Dico, ma vengo subito interrotto dalla sua voce dolce che mi rizza i pelli sulla schiena: <<Gabrielle, il mio nome è Gabrielle.>> Sussurra arrossendo, girando tra le dita affusolate un filo della tovaglia. <<Gabrielle... è un bellissimo nome.>> Rispondo facendo fuoriuscire dalle mi labbra il suo nome. Allungo la mano per stringere la sua e la vedo arrossire violentemente, indecisa se stringermela oppure no.

Per un'attimo passa lo sguardo dalla mia mano tesa al mio viso, si perde nel buio dei miei occhi, questi occhi che hanno visto tanto odio, tanto sangue, guerra e dolore, che hanno versato molte lacrime, per un istante, e poi si decide di allungare la sua che in un nanosecondo faccio scomparire nella mia.

Continuo a inchiodarla con gli occhi alla sedia, non le do la possibilità di sfuggire al mio sguardo indagatore e che devo dire? Sono incapace di spostare lo sguardo da lei, non posso fare a meno di specchiarmi dentro quei occhi vitrei color acquamarina.

<<È un piacere fare la tua conoscenza Gabrielle. Io sono Omar.>> Rispondo dopo un po' e senza rendermene conto sto accarezzando la pelle fine e bianca della sua mano il che le accende il viso e la fa tremare. Il suo tremolio potrebbe passare inosservato agli occhi di un altro ma non a me che sono attento come un'aquila, pronto ad agguantare la sua preda.

<<Il... il piacere è tutto mio Omar.>> Riesce a rispondere balbettando regalandomi un sorriso timido prima di proseguire. <<Grazie per prima e scusami ancora per lo schiaffo.>> Punta lo sguardo sul mio viso e rimane incantata a fissarmi, sempre con quel dannato labbro tra i denti bianchissimi e dritti. Questa situazione mi sta mettendo un'ansia e un'agitazione incredibile.

Gabrielle è una bomba in tutti i sensi!

<<Eri sconvolta, non ti preoccupare.>> Replico accavallando una gamba sopra un'altra d'un tratto sentendo un velo d'ansia impossessarsi di me.

"Non dovrei trovarmi qui, non dovrei stare in compagnia di una donna, ma che diavolo sto combinando?"

<<Non sei di queste parti!>> Dice sicura di se, facendomi riportare tutta l'attenzione su di lei. <<Nemmeno tu. Scommetto che sei francese.>> Affermo girando lo zucchero dentro la tazza di caffè fumante che la cameriera ci ha portato silenziosamente. Si vede che la mia indifferenza ha colpito il suo ego.

Il timbro della sua voce, l'accento, tutto di lei mi fa capire che come me, anche lei sia un'altra adozione fatta da questo meraviglioso paese che è la Romania.

<<Da cosa l'hai capito?>> Domanda inarcando un sopracciglio, incrociando impacciata le mani sotto al seno. <<Sia dal nome che dall'accento.>> Rispondo senza staccare gli occhi da lei, stampandomi sulle labbra un ghigno divertito. Gabrielle inclina la testa, sorride e annuisce per poi dire: <<Sono francese sì però vivo a Bucarest da anni ormai. Tu invece?>> Chiede sorseggiando disinvolta il suo caffè, gli occhi a fissarmi da sopra la tazzina.

<<Vediamo se riesci a indovinare.>> La incito, curioso di vedere se riuscirà o meno a capire da quale parte del mondo io venga. Si sfrega le mani come una bambina prima di intrecciarle sopra al tavolo e ora siamo iride dentro iride, mi scruta senza battere ciglio, accarezzando con il suo sguardo ogni angolo del mio viso. <<Dalla dizione ma soprattutto dall'aspetto oserei dire che tu non sia europeo. Non vorrei sbagliarmi però penso che tu abbia sangue arabo.>> Soffia dopo un po' di tempo di riflessioni in cui ha fatto scivolare gli occhi praticamente ovunque.

La sua audacia mi sorprende non poco la devo ammettere. È proprio una ragazza sveglia. <<Vai avanti.>> Le dico divertito, picchiettando le dita sopra al tavolo.

<<Vieni dall'Arabia Saudita?>> Chiede morsicando il labro, ansiosa di sentire la mia risposta. <<No, ma sei molto vicina.>> Rispondo scuotendo la testa fissandola ammagliato. Il sole ormai è alto nel cielo e i raggi giocano sui suoi capelli facendoli sembrare oro liquido e mi viene una voglia matta di passare le dita tra le sue ciocche per sentirne la morbidezza. Le lunghe ciglia fanno ombra ai suoi occhi cristallini e mi viene facile riuscire a scorgere il mio riflesso dentro al suo mare.

"È ufficiale! Mi sono bevuto il cervello o forse è la notte insonne e infernale che ho passato in ospedale a giocarmi brutti scherzi, chissà." Penso incapace di trovare una ragione alle mie azioni.

La concentrazione con cui mi guarda, cercando di scorgere sul mio viso un qualche dettaglio che le possa far capire da quale parte del mondo io venga mi fa sorridere. È davvero bellissima quando si concentra. Una bambola di porcellana.
<<Siria? Iran?>> La sua voce mi inonda i timpani e quel sorrisetto che le illumina il volto, mi fa contorcere lo stomaco.

<<Ti arrendi?>> Chiedo appoggiando meglio la schiena alla sedia studiando ogni sua mossa come un predatore con la sua preda. <<Non sono una che si arrende però sì, ci rinuncio.>> Risponde rassegnata torturando i polpastrelli. <<Vengo dall'Iraq.>> Affermo scorgendo l'incredulità nel suo mare, prima che il silenzio che galleggia come una nuvola sopra di noi diventi imbarazzante. Vedo la sorpresa sul suo volto, vedo che vorrebbe chiedermi qualcosa, torchiarmi, ma la suoneria del mio telefono le fa morire le domande sulla punta della lingua. Un brivido freddo di consapevolezza si impossessa del mio essere non appena tiro fuori l'aggeggio tecnologico dalla tasca dei pantaloni che prontamente riprende a squillare. Appena leggo il nome sullo schermo mi acciglio ancora di più.
Lei non mi chiama mai se non per situazioni d'emergenza.

<<Scusami, devo rispondere.>> Informo la bionda che mi osserva curiosa e senza aspettare una sua risposta, con il cuore diventato più piccolo di una pulce, pigio il bottone verde e porto lentamente il telefono all'orecchio.

Sono in ansia completamente e vengo nuovamente invaso dai sensi di colpa, da un senso d'angoscia pieno di aculei. Questa sensazione di sconforto come filo spinato inizia ad arrampicarsi e a fare il girotondo intorno al mio cuore, graffiandolo, stringendolo in una morsa fino a lasciarmi senza fiato.

Mi sento un verme per il fatto di essere seduto al tavolo con una bella ragazza quando lei invece è bloccata in un paese dove la guerra fa da padrona, imprigionata da doveri e responsabilità, prigioniera di una vita che sono certo non avrebbe voluto.

<<Che succede Rania? Va tutto bene a casa? Come stanno le mie sorelle?>> Interrogo agitato alla donna dall'altro capo che mi sta mettendo ansia con il suo silenzio prolungato.

<<Omar... Le cose stanno iniziando ad andare a rotoli qui. Hai finito di completare le carte? Le lotte sono sempre più presenti, i bombardamenti non cessano, ho paura del giorno di domani. Ci sono militari ovunque, ho paura per la nostra incolumità. Le ragazze sono terrorizzate, io pure.>> La sua voce tremolante, i singhiozzi trattenuti e le sue parole trafiggono le mie orecchie e si espandono rapidi come le fiamme fino a raggiungere il cuore, smembrandolo.

Sospiro preso dal panico e ogni parte del mio corpo viene smosso al solo pensiero che le mie sorelline e lei potrebbero essere in pericolo di vita.

La bionda dinanzi a me mi sta guardando con quelle stelle al posto degli occhi e quelle labbra rosee e piene e menomale che non capisce quello che sto dicendo. Sembra incuriosita dalla mia conversazione però io ora ho la testa altrove, ho altro di cui preoccuparmi, molto più importante di qualsiasi altra cosa stessi facendo prima e a pensare meglio non dovrei nemmeno trovarmi qui.

<<No Rania, purtroppo le carte non sono ancora pronte, sto facendo tutto il possibile credimi. Oggi stesso andrò dall'avvocato per fargli pressione. Intanto voi state in casa, uscite il meno possibile e cercate di non dare troppo nell'occhio.>> Chiarifico sospirando. Sto iniziando a sudare freddo, l'agitazione a impossessarsi del mio corpo, del mio stato d'animo.

<<Va bene Omar, confidiamo in te. Sei la nostra ancora di salvezza, la nostra unica speranza per poter andare via da qui e lasciarci la guerra alle spalle. Faremmo come hai detto tu non ti preoccupare, avrò cura delle tue sorelle finché risolverai. Sono sicura che stai facendo quello che sta nelle tue forze e sono certa che ce la potrai fare. Manchi un sacco alle tue sorelle e altrettanto a me. Non vedo l'ora di stringerti tra le mie braccia.>> Sussurra imbarazzata prima che la linea si interrompa. E me la immagino già con quei occhi neri come la pece, e le guance arrossate.

Oggi è uno di quei giorni quando il passato torna a battere, a bussare prepotente alla mia porta, indebolendo il mio essere, facendomi tremare dalle fondamenta. Vorrei poterlo accogliere come meriterebbe, come fosse giusto che facessi però vivere lontano da casa mi ha cambiato molto.

Ho dovuto imparare ad adattarmi alla mancanza delle persone a me care. Ho incatenato nel mio bagaglio la loro purezza, la loro presenza, i loro sorrisi, il loro amore, i bei ricordi di un tempo ormai tramontato, per averle sempre accanto a me, per sentirle vicine, nei momenti in cui niente va come dovrebbe.

Ho toccato molti suoli che non mi appartenevano da quando sono scappato da casa, sentito lingue non mie. Ho patito come un pesce fuori d'acqua e tutt'ora patisco, soprattutto la solitudine, eppure grazie alla mia caparbietà, alla mia testardaggine di portare a buon fine qualsiasi sfida, oggi sono qui e faccio tutto quello che sta nelle mie forze per portare via da lì anche loro, per riunire la famiglia.

Se sono riuscito ad andare avanti è soprattutto merito loro, merito delle loro parole di conforto, grazie alla fiducia che hanno posto in me, al loro supporto morale.

In questo momento l'unica cosa che mi fa accapponare l'epidermide, che mi attorciglia le budella, che sento sulla proprio pelle è il loro sgomento.

Questa belva chiamata flagello si impossessa di me ogni volta che sento la loro voce e il fatto di essere qui, ora, insieme a questa donna, ridere, scherzare, senza avere paura che da un momento al altro una bomba possa caderci addosso, oppure che i militari potrebbero fucilarci senza pietà, mi fa sentire tremendamente in colpa verso di loro.

Mi sento sbagliato a essere così spensierato, non posso far loro questo torto e quando mi rendo conto dell'errore che ho compiuto, questo s'intreccia alla mia coscienza, la fa sanguinare, contorcere, come spilli appuntiti conficcati nelle iridi il pensiero di aver tradito la loro fiducia, mi tramortisce.

Perché io al contrario delle mie sorelle e di lei, non ho paura.
Non vivo più quel timore che invece affoga loro nel terrore, giorno e notte.
Non ho più quella loro paura che odora di fumo, bruciato e sangue. E non sento più quel terrore dell'esplodere delle bombe che all'udito pare un bellissimo scoppietare di fuochi d'artificio e ti fa pensare a tutti i colori dell'arcobaleno stesi nel cielo; la realtà è che invece squarcia corpi di donne e bambini innocenti, distrugge case, lasciando pozzanghere, crateri di cruore e detriti al suo tocco.

Non posso restare un minuto in più qui.

<<Scusami non posso farlo.>> Sbotto d'un tratto scuotendo la testa. La voce mi esce grave, austere, mentre incollo i miei occhi sul suo viso candido e so che quello che sto per fare mi farà risultare un pezzo di ghiaccio, uno stronzo, ai suoi occhi ma non posso superare il limite che mi sono posto sin da quando ho lasciato casa mia.

Salto in piedi facendo stridere la sedia sul cemento, tiro fuori il portafoglio e lascio una banconota da dieci euro sul tavolo sotto lo sguardo sconvolto della bionda.

<<Devo andare, scusami ancora. Addio Gabrielle.>> Giro le spalle senza aggiungere una parola e me ne vado senza degnarla di un altro sguardo o di una misera spiegazione.

Inizio a camminare tra la folla, tra il via vai di persone, con addosso un ammasso insopportabile da reggere e nella testa gli occhi vitrei, color acquamarina della bionda che so che non potrò mai avere...

Continua

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