Due
Gabrielle's Pov
Chi diavolo sei belloccio?
Una cameriera truccata fin troppo, con i seni in bella vista e una minigonna che copre a malapena il suo sedere bombato, si avvicina al nostro tavolo con un sorriso da mancata conquistratrice sulle labbra dipinte di un rosso più acceso del fuoco.
<<Buongiorno, cosa posso portarvi?>> Squittisce civettuola mangiando spudoratamente con gli occhi l'uomo dinanzi a me. Sbatte le palpebre e si liscia i capelli ripetutamente e sembra avere un tic nervoso dato il suo continuo sventolameneto delle lunghe e finte ciglia.
Non sembra aver fatto caso a me, per cui prima alzo gli occhi al cielo e poi mi schiarisco la voce per attirare la sua attenzione.
<<Per me un decaffeinato, grazie.>> Spingo fuori freddamente non appena la mancata attrice per film interdetti ai minori posa gli occhi su di me. <<Ooh.>> Riesce a dire mentre sposta lo sguardo da me all'adone che la guarda con un sopracciglio alzato e una risata trattenuta all'angolo delle labbra, diverse volte.
Impacciata e rossa in viso come un pomodoro scrive con mano tremolante il mio ordine sopra un taccuino e poi si rivolge al moro:
<<E lei? Lei cosa desidera?>> Sussurra piegandosi in avanti in modo che il ragazzo abbia una bella vista alle sue tette sicuramente rifatte.
<<Un americano, grazie.>> Risponde il moro con voce roca. Ma i suoi occhi sono ancorati ai miei, non degna di un mezzo sguardo la ragazza che se ne va borbottando, con la coda tra le gambe.
Il raggi del sole giocano sui capelli neri come l'ebano del ragazzo conferendogli un'incredibile sfumatura di blu, i suoi occhi mi scrutano senza pudore, sembra quasi che provi a leggermi dentro all'anima.
Mi agito sulla sedia, sotto il suo sguardo cuocente e dal bruciore delle mie guance sono sicuramente arrossita.
"Come diavolo ci sono finita a prendere un caffè con un perfetto sconosciuto, non riesco a spiegarmelo. Non è da me!"
<<Allora signorina...>>
<<Gabrielle, il mio nome è Gabrielle.>> Pigolo senza guardarlo, giocando con un filo invisibile della tovaglia a quadretti gialli e neri.
<<Gabrielle... è un bellissimo nome.>>
Il mio nome non è mai uscito tanto sensuale dalle labbra di qualcuno. Sento il mio cuore aumentare i battiti quando avvicina la sua mano sopra al tavolo verso di me.
<<È un piacere fare la tua conoscenza Gabrielle. Io sono Omar.>> Continua senza smettere di fissarmi mentre io guardo a bocca spalancata la sua grande e curata mano, incerta sul da farsi. Dopo quelli che sembrano secondi interminabili decido di afferrare la sua mano che fa scomparire del tutto la mia in una leggera stretta.
<<Il... il piacere è mio Omar.>> Soffio balbettando perché una scossa fortissima che attraversa i suoi polpastrelli mi fa venire la pelle d'oca e un imprevisto aumento del calore corporeo.
<<Grazie mille per prima e scusami ancora per lo schiaffo.>> Continuo balbettando mentre punto i miei occhi sul suo viso virile, su quelle labbra rosee e piene che si allargano in un sorriso mostrando una fila di denti dritti e bianchi, l'accenno di barba curata che lo rende incredibilmente bello.
"È una bomba questo ragazzo!" Penso incapace di togliergli gli occhi di dosso.
<<Eri sconvolta, non ti preoccupare.>> Dice ammiccando mentre accavalla una gamba sopra l'altra.
Annuisco soltanto ricordando quanto accaduto poco fa e rabbrividisco al solo pensiero di quello che sarebbe potuto succedere.
"Saresti diventata una patata schiacciata, pronta per la purea." S'intromette la mia coscienza.
<<Non sei di queste parti.>> Dico interompendo il discorsetto della mia coscienza in modo da scacciare via i pensieri che mi travolgono a valanga.
<<Nemmeno tu. Scommetto che sei francese.>> Afferma girando il cucchiaino nel caffè che la mancata attrice silenziosamente ci ha portato.
<<Da cosa l'hai capito?>> Chiedo inarcando un sopracciglio.
<<Sia dal nome che dall'accento. Più dall'accento a dire il vero.>> Risponde l'adone fissandomi per l'ennesima volta, un ghigno divertito all'angolo delle labbra.
<<Sono francese sì però vivo a Bucarest da molti anni ormai. Tu invece?>> Per sfuggire al suo sguardo scottante abbasso gli occhi e con le mani che mi tremano leggermente porto la tazzina alle labbra e ne bevo un sorso abbondante del liquido ambrato che mi solletica piacevolmente le papille.
<<Vediamo se riesci a indovinare.>> Risponde sorridendomi e i miei occhi senza che io possa trattenergli si posano sulla sua guancia destra, su quella adorabile fossetta che mi attira inspiegabilmente.
<<Mi piacciono le sfide.>> Sussurro incrociando le mani sopra al tavolo a mo' di sfida, scrutando spudoratamente il moro di fronte a me.
<<Dalla dizione ma sopratutto dall'aspetto oserei dire che tu non sia europeo. Non vorrei sbagliarmi però penso che tu abbia sangue arabo.>> Azzardo mordichiando il labbro inferiore in attesa di una sua risposta. Con tutte quelle serie turche e arabe che mi sono vista insieme ad Anna, non posso di certo sbagliarmi.
<<Vai avanti.>> Mi sorride divertito picchiettando con le dita sopra al tavolo, il viso rilassato, baciato dal sole ormai alto nel cielo.
<<Vieni dall'Arabia Saudita!?>> Provo a indovinare.
<<No, ma sei molto vicina.>> Scuote la testa, un sorriso raggiante ad allungare le sue labbra.
<<Ritenta.>>
<<Mmmm.. vediamo un po', fammici pensare.>>
Lo guardo abbassando di lato la testa per avere una maggiore visuale al suo viso e mi massaggio il mento continuando a pensare. I miei occhi non abbandonano il suo viso e mi sto dando da fare mentalmente per cercare di dare un'identità a questo moro mozzafiato.
<<Siria? Iran?>> Tento dopo un po' stampando sulle labbra un sorrisetto furbo, convinta di aver indovinato.
<<Ti arrendi?>> Chiede Omar aderendo meglio con la schiena alla sedia, i suoi occhi profondi incollati al mio viso che sento andare in fiamme, le labbra incurvate in un ghigno.
"Mannaggia, ero certa di aver azzeccato questa volta."
<<Non sono una che si arrende però sì, ci rinuncio.>> Riesco a dire torturando i polpastrelli. Mi scoccia non essere riuscita a indovinare il suo paese di provenienza però devo rassegnarmi.
<<Vengo dall'Iraq.>> Dice dopo qualche secondo di silenzio schiacciante. Un'attimo dopo, prima di riuscire a dire una parola, il suo telefono inizia a squillare.
"Certo che ha fatto di strada per arrivare fin qui!" Penso guardandolo imbambolata mentre tira fuori dalla tasca dei jeans l'aggeggio che prontamente riprende a squillare.
<<Scusami, devo rispondere.>> Dice accigliato il moro e senza attendere una mia risposta porta pigramente il telefono all'orecchio e inizia a parlottare animatamente il che mi fa sentire come un pesce fuor d'acqua dato che non capisco un piffero di quello che dice.
Il suo viso cambia espressione e si agita sulla sedia, si passa una mano prima tra i capelli corvini scompigliandogli poi sulla faccia e quando con un bye, uno sbuffo e un'espressione indecifrabile chiude la chiamata, smetto di fissarlo, abbasso la testa sulla mia tazzina di caffè ormai vuota, la giro tra le mani, facendo finta di trovare più interessante questo pezzo di porcellana che il ragazzo seduto di fronte a me.
<<Scusami non posso farlo.>> Sbotta d'un tratto scuotendo la testa. La sua voce grave mi fa incollare lo sguardo nei suoi occhi neri diventati due pozzi senza fondo e mi sembra che sia impallidito. Non capisco a cosa si riferisca quando dice che non può farcela, non riesco a capire di cosa stia parlando.
Lui, mi guarda con un espressione indecifrabile pitturata sul viso e senza preavviso salta in piedi, tira fuori il portafoglio e lascia una banconota da dieci euro sul tavolo sotto il mio sguardo sconvolto.
<<Devo andare, scusami ancora. Addio Gabrielle.>> Mi gira le spalle e se ne va senza più degnarmi di uno sguardo o di una spiegazione.
Nulla.
Mi lascia con una marea di domande incastrate sulla punta della lingua, scombussolata e incredula per quanto appena accaduto.
"Ma...cosa è appena successo?" Penso guardando il punto in lontananza dove Omar è appena sparito.
<<Guarda un po' che mascalzone! Dire che è un tipo strano è un'eufemismo.>> Borbotto infastidita dal suo comportamento prima di recuperare la mia tracolla e alzarmi a mia volta dalla sedia.
<<A mai più belloccio.>> Sussurro infastidita allontanandomi dal bar.
Ho la testa pesante, piena di domande e incredulità per il suo gesto. Mentre cammino verso l'università inevitabilmente la mia mente continua a pensare a questo ragazzo misterioso. Come se non fosse abbastanza l'incubo di questa notte, al mio disagio mattutino si aggiunge pure Omar, questo ragazzo tanto bello e affascinante per quanto sfingeo.
Sospiro frustrata facendomi spazio tra la marea di studenti e quando finalmente arrivo alle porte dell'università, cancello dal mio viso la frustrazione che il belloccio mi ha provocato e dalla mia mente tutto quello che mi scombussola, stampo sulle labbra un sorriso che potrebbe sciogliere tutti i ghiacciai del Antartide e incammino i miei passi a testa alta verso i miei amici che chiacchierano animatamente.
Non posso permettere a niente e a nessuno di mettere a repentaglio la mia sanità mentale. La vita va avanti a prescindere e ho imparato che ogni calcio nel sedere è un passo avanti.
<<Elle... finalmente sei arrivata.>> Dice Anna civettuola stringendomi tra le sue braccia per poi darmi un bacio schioccante sulla guancia.
<<Ehi, ciao ragazzi.>> Rispondo con voce fiocca staccandomi dall'abbraccio strittolante di Anna. Denis mi scompiglia i capelli e mi abbraccia a sua volta per poi allontanarsi e fissarmi con un strano cipiglio sul viso. Sposto lo sguardo sui miei amici che mi guardano di sottecchi e deglutisco diverse volte non appena Anna parte alla carica.
<<Come mai hai deciso di venire a piedi quest'oggi?>> Indaga la mia amica guardandomi con gli occhi chiusi in due fessure, le mani sui fianchi.
Mi squadra da testa a piedi e mi rendo conto che ha capito che c'è qualcosa che non va. Riesce sempre a leggermi, per lei sono sempre stata un libro aperto, ma ora come ora non ho per niente voglia di parlarne di quanto accaduto.
Aver sognato mia madre mi ha scombussolata e i ricordi che ho con lei e di lei mi fanno ancora male. Certe ferite nemmeno il tempo le può guarire purtroppo, ma io ho imparato a conviverci e anche se a volte le ombre del passato mi buttano giù, io non mollo, faccio tutto quello che sta nelle mie forze per continuare a vivere per me e per papà.
<<Lascia stare, è una lunga storia.>> Cerco di sfuggire alla sua inchiesta però so bene che con Anna la battaglia è già persa in partenza.
Non avrà pace finché non sputo il rospo per cui è meglio per me parlare se non voglio la solita lavata di testa da parte sua.
<<Gabrielle ti conviene parlare. Subito anche.>> S'intromette Denis, il nostro amico, puntandomi un dito contro. Mi sta mettendo con le spalle al muro come sempre fa quando cerco di estraniarmi, quando mi chiudo a riccio.
<<Se non parli con noi con chi altro potresti svuotare il sacco? Non puoi tenerti sempre tutto dentro di te. Non vuoi marcire dall'interno non è vero? E poi lo sai che io e Anna abbiamo sempre la soluzione ai tuoi problemi.>> Continua Denis stringendo il mio gomito in una morsa. Mi guarda serio da sotto la tenda di ciglia lunghe e arcuate, gli occhi verdi luminosi come non mai.
Denis è un pettegolo assai ma è anche dolce e premuroso per questo sia io che Anna lo adoriamo e lo abbiamo inserito nella nostra cerchia; ci fa morire dalle risate con le sue stupidaggini e la sua lingua lunga e biforcuta.
<<Va bene, va bene, avete vinto.>> Mi arrendo alzando le mani in segno di resa. Gli occhi dei miei amici si illuminano e si accomodano sulla scalinata, occhi e orecchie spalancate, in attesa che io continui.
<<Mi è successa una cosa stranissima mentre stavo venendo all'università.>> Racconto dopo un po' accendendo agitata una sigaretta e innalando a pieni polmoni la nicotina. La mia stratagemma è quella di parlare loro del fatto che è mancato poco per essere schiacciata, tralasciando l'incontro con Omar e l'incubo su mia madre almeno per il momento. I miei amici mi fanno impazienti segno di continuare il che mi fa alzare gli occhi al cielo e soffiare rassegnata.
<<Stavo per essere schiacciata da un ammasso di cemento di fronte alla Carrozza della birra.>> Faccio un'altro lungo tiro dalla cicca, le immagini del cumulo di cemento caduto a pochi centimetri dai miei piedi ad accapponarmi la pelle. Ma poi la mia bocca si apre iniziando a svelare cose che avrei voluto tenere soltanto per me. Le parole escono incontrollabili dalle mie labbra.
Racconto ai miei amici che mi guardano con gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata tutto quello che è successo, da filo a pelo, nei minimi dettagli, senza tralasciare nulla.
<<Fammi capire una cosa: il povero ragazzo che ti ha salvato il culo, come ringraziamento si è beccato uno schiaffo in pieno volto?>> Urla Denis facendomi trasalire, attirando l'attenzione verso di noi.
<<Shh.>> Lo rimprovero portando un dito alle labbra.
<<E che diamine D. hai capito solo quello dal mio racconto?>> Mi arrabbio con il mio amico che si copre la bocca con una mano guardando a destra e a sinistra per poi sorridere stupidamente ai universitari che fanno avanti e indietro attorno a noi.
È deciso, il mio amico è un pagliaccio.
<<Comunque sì, l'ho colpito però ero sconvolta, non l'ho fatto apposta e poi mi sono anche scusata.>> Continuo schiacciando il mozzicone con la punta della scarpa, facendo fuoriuscire dalle narici una nube di fumo e incrociando le braccia al petto.
<<La cosa strana è che dopo aver ricevuto quella telefonata si è evaporato senza degnarmi di una spiegazione. Che maleducato!>> Constato amareggiata fissando a vuoto un punto davanti a me.
<<L'hai spaventato, povero cucciolo.>> Dice Anna facendomi grugnire. <<Comunque è meglio così. Proprio con un musulmano dovevi avere a che fare? Tu non sai che quelli sono pericolosi? Non guardi la tv?>> Mi rimprovera aggrottando le sopracciglia irritata.
Come se fosse colpa mia che proprio lui passasse da quelle parti in quel preciso istante, che proprio lui avesse deciso di salvarmi la pelle.
<<Non ti preoccupare tesoro, non rivedrò mai più quel tizio.>> Dico prendendo la mano a Denis per aiutarlo a mettersi in piedi.
<<Che peccato però Elle. Dalla tua descrizione sembrava essere un gran boccone.>> Dice sospirando Denis prima di sorpassarmi ed entrare dalla porta vetrata seguito subito dopo da Anna.
"Già! Proprio un grande figo. Peccato che non lo rincontrerò un'altra volta. A mai più belloccio." Penso sospirando prima di infilare le mani nelle tasche dei jeans e seguire a testa bassa i miei amici, i pensieri occupati al cento per cento dal ragazzo dagli occhi più neri della pece.
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