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Capitolo 21- Crolli emotivi e Star Wars

  «Ti sembra il momento?» Leonard stava ancora squadrando me e Robin, ma non fu difficile capire che si stesse riferendo a Rakesh.

  Era alle sue spalle, ghignante e ossuto come una decorazione di Halloween. 

  «A me pare che sia arrivata l'ora di vuotare il sacco» ringhiò la ragazza, scrollandosi bruscamente la mano del Leader di dosso.

  «Non sono una spia, né un infiltrato» dichiarai, cercando sostegno da parte di Leonard e Cora, che si erano rivelati felicissimi di avermi nel team.

  Ma non si schierarono dalla mia, se ne stettero in silenzio, stringendosi nelle spalle per il disagio.

  «Quale altro motivo potrebbe avere l'onnipotente William Ward per relegare il sangue del suo sangue in questa bettola fatiscente, se non per sfrattarla una volta per tutte?» Robin mi puntò l'indice al petto, un'espressione di puro disgusto sul viso delicato.

  «Vorrei tanto che Robin si sbagliasse, ma converrai anche tu che questa faccenda suona fin troppo sospetta, Ricky.» Cora non riusciva a guardarmi negli occhi, giocherellava con un braccialetto arcobaleno legato al suo polso.

  «Ragazzi, sono arrivato su quest'isola due giorni fa, non so davvero di cosa stiate parlando.» Alzai le mani, retrocedendo. All'improvviso sentii di nuovo lo stesso senso di impotenza che mi aveva pervaso alla stazione di polizia di Rockheart, mentre tentavo di difendermi da un gruppo di persone già convinte della mia colpevolezza. 

  «Siamo tutti vicini alla data di scadenza» disse Rakesh, le braccia incrociate con nonchalance. «Abbiamo abbastanza demeriti sui nostri registri da essere rispediti due volte alle Accademie Militari di provenienza... o in prigione nel mio caso.» Abbassò lo sguardo per meno di una frazione di secondo prima di ostentare di nuovo il caratteristico menefreghismo, ma fu un lasso di tempo sufficiente affinché fossi in grado di riconoscere il medesimo terrore che mi era gravato addosso per la mia breve permanenza in riformatorio. «Eppure siamo ancora qui, e ora tu, il figlio del Gran Capo, ti sei unito a questa sgangherata squadra diretta al patibolo. Non è piuttosto strano?»

  «Non dubitiamo di te...» mormorò Cora, torturandosi le dita. «È solo che se Robin avesse ragione sul tuo conto, allora entro domani saremmo fuori dai giochi.»

  «E nessuno di noi è pronto a rinunciare a un'occasione d'oro come questa... non capita tutti i giorni di essere scelti da un'organizzazione tanto rinomata e rispettata come la S.E.A.» Leonard mostrava un sorriso sghembo, velato di tristezza.

  Erano davvero così senza speranze? Li conoscevo appena, ma di certo non sembravano incompetenti cronici da liquidare all'istante.

  Non avrei voluto informarli della vera ragione che mi aveva spinto ad arruolarmi, perché il solo pensarci mi attorcigliava lo stomaco e provocava le lacrime agli occhi. Avrei preferito evitare di riportare a galla lo Sconosciuto e il ricordo del cadavere di mia...

  Mi morsi il labbro per riprendere il controllo della mente. Quello non era il momento di lasciarsi di nuovo inghiottire dalla tristezza e dai sensi di colpa, soprattutto non davanti a degli estranei.

  «Non sono qui per segnare definitivamente la vostra condanna, sono la persona meno adatta a giudicare il lavoro altrui, dato che sono riuscito a diventare un Cecchino per un colpo di pura fortuna.»

  «Stronzate!» latrò Robin. «So per certo che eri coinvolto in qualcosa di grosso, perché ero uno degli agenti scelti a fornirti supporto.»

  «Parli della grande operazione di qualche settimana fa?» Rakesh tese le orecchie, guardando Leonard. «Non ci hai più riferito nulla, se non che Robin sarebbe stata via per un po'.»

  «Ehi, ne so quanto voi» ribatté subito, alzando le spalle.

  «Se fossi davvero così impedito come dici, perché mai ti avrebbero nominato capo di una missione confidenziale?»

  «Capo?» esclamai, sbuffando amaramente. «Ero l'ultima pedina della scacchiera al completo sbaraglio! E ogni volta che chiedevo spiegazioni su cosa diamine stesse succedendo, ero ignorato! Ancora adesso non ho capito un bel niente della realtà dei fatti.»

  «Andiamo!» Robin mi colpì la spalla con un pugno. «Smettila di mentire e sputa il rospo! Chi era l'assassino che hai fatto evadere? E cosa gli è accaduto?»

  «Forse dovremmo rimandare questa conversazione-» Cora tentò di frapporsi tra noi due, ma sbottai prima che ne fosse capace.

  «Vuoi davvero sapere chi era il criminale incallito che è stato tirato fuori da quell'inferno?»

  «Sì!»

  «Sono io!» urlai. «Ce l'hai davanti! Soddisfatta?»

  «Tu hai... ucciso la moglie di Ward?» tentennò Robin, lasciando sfumare l'aura di scontrosità.

  «Moglie?» Mi passai una mano tra i capelli in maniera tanto violenta che se si fossero staccati non ne sarei rimasto affatto sorpreso. «È questo che vi ha detto quel figlio di puttana? Che Nathalie Cooper era la sua dolce mogliettina?» Calciai la spalliera metallica del mio letto con tutta la rabbia che avevo in corpo, piegandola inesorabilmente. Il piede avrebbe urlato dal dolore se avesse potuto, ma ero tanto infuriato da non curarmene.

  «Ricky?» si azzardò Cora, avanzo verso di me.

  «Non si è guadagnato il diritto di chiamarla in quel modo! Non dopo averla abbandonata, dopo aver permesso che vivesse una vita miserabile e morisse da sola alla mercé di un sicario!» Mi fissavano come se fossi pazzo, ma cosa importava? Tanto avevano messo in chiaro che lì non ero il benvenuto. 

  «Sei stato incastrato per l'omicidio dal vero colpevole, ho ragione?» ipotizzò Rakesh. Ogni traccia di sarcasmo era sparita. Dalla mia reazione capì di averci azzeccato. «Non eri a capo della missione, tu eri la missione. Ward voleva salvare l'ultimo caro che gli rimaneva.»

  «Sei alla S.E.A. solo perché hai bisogno di essere protetto.» Robin non aveva intenzione di provocarmi, ma aveva già detto abbastanza perché fosse impossibile calmarmi a quel punto.

  «No, non ho bisogno di niente che venga da William, sono qui perché l'assassino di mia madre è lì fuori a piede libero, e questo è l'unico posto dove ho una chance di trovarlo.» 

  D'un tratto mi fu quasi possibile toccare la vergogna che il resto della squadra stava provando a nascondere sotto il tappeto. 

  «Non avremmo dovuto accusarti di niente, noi-» Cora mi prese le mani, ma mi ritrassi subito.

  «Spero che lo spettacolo vi sia piaciuto.»

  Cozzai contro Leonard mentre uscivo, di proposito. Mi sarei aspettato che prendesse il controllo della situazione prima che degenerasse verso il caos più totale, ma aveva scelto di starne fuori. Aveva riacceso la mia scintilla di fede nell'umanità e poi l'aveva spenta di nuovo. In fondo, non gli sarebbe convenuto darmi manforte: ero un emarginato persino tra i reietti, lo sarei sempre stato; essermi amico gli avrebbe soltanto reso la vita più difficile. 

  Mentre mi sbattevo la porta dietro, pensai che non sarebbe potuta finire in altro modo. Avevo lasciato che l'ottimismo mi illudesse di aver trovato qualcuno come me pronto a difendermi e guardarmi le spalle, ma mi ero sbagliato... non di certo per la prima volta.

  Mi ritrovai sul viottolo che portava alle case delle reclute, sotto un cielo color pesca prossimo al tramonto. Avrei voluto camminare fino alla spiaggia vicino casa di William, ma ero sicuro al cento per cento che la notte sarebbe scesa prima che la raggiungessi, e non volevo ripetere l'esperienza della sera precedente. L'isola sarebbe stata avvolta dalla nebbia in poco tempo e avventurarsi nel grigiume umidiccio, descrizione che non si allontanava da come mi sentivo, sarebbe stata una pazzia.

  Feci marcia indietro e mi sedetti sui gradini del portico, scricchiolanti e insolitamente flessibili per essere assi di legno.

  Perché non avevo tenuto la boccaccia chiusa? Se non avessi accennato al Saint Paul, forse nessuno mi avrebbe riconosciuto e ora sarebbe tutto rose e fiori. Invece, avevo avuto un attacco isterico davanti al novantaduesimo, distruggendo le possibilità di una convivenza pacifica.

  Era davvero difficile non credere di essere tossico quando, non importa quanto provassi a impedirlo, ogni cosa con cui entravo in contatto marciva. Forse avrei dovuto andarmene in California, ad affogare i miei sentimenti nel gelato e nelle patatine fritte finché non fosse sopraggiunto l'infarto.   

  «Non te ne starai lì con il broncio ancora per molto, vero?» La gracchiante voce di Rakesh fece breccia nei miei pensieri. Mi si avvicinò, sedendosi dal lato opposto del gradino, a malapena un metro più a destra. «Sai quante altre persone dubiteranno che questo sia il tuo posto?»

  «Parli come se capissi-» mi bloccai, improvvisamente conscio della cavigliera elettronica che lampeggiava.

  Rakesh seguì il mio sguardo e si morse la guancia. Fossi stato il lui, avrei coperto il bagliore con la mano, cercando di nasconderla come meglio potevo. Al contrario, sollevò l'orlo del pantalone a la scoprì.

  «L'ho chiamata Blip. Sono stato così solo così a lungo su quest'isola che ci ho fatto amicizia.»

  Piegai la bocca in un mezzo sorriso, ripensando a Marshpillow, il cuscino della mia cella d'isolamento con cui aveva trascorso ore in dialoghi unidirezionali. Non gli avevo scritto da quando ero uscito, doveva essere infuriato con me.

  «Ma hai ragione, io sono un criminale informatico che sta per essere impacchettato e rimandato in carcere, non posso nemmeno sfiorare le sensazioni che sta provando il figlio del capo, a cui è stato servito l'accesso alla S.E.A. su un piatto d'argento.» Era ovviamente sarcastico, ma mi fissava dritto negli occhi come se stesse discutendo della fame nel mondo.

  «Magari fosse così, non dovrei preoccuparmi di imparare un'intera biblioteca di roba prima di marzo.»

  «Credi che il signor Ward ti caccerebbe da Santa Alma?» ghignò, quasi fossi un'adorabile e ingenuo infante.

  «Ha già i documenti falsi pronti. Se il Sergente Rodriguez non l'avesse costretto ad arruolarmi, sarei su un aereo per la California con un orrendo colore di capelli.»

  «Allora sei tale e quale a noi. Magari anche messo peggio.»

  Trascorse qualche momento di silenzio, ma stranamente non percepii l'imbarazzo che mi ballava nello stomaco in situazioni come quelle.

  «Almeno tu non mi hai etichettato come bugiardo a prescindere» gli dissi, girandomi appena verso di lui.

  Rakesh sospirò, togliendosi le cuffie dal collo.

  «Robin è... difficile.»

  «Dimmi qualcosa che non so.»

  Ridacchiò sotto i baffi, guardandosi indietro come per controllare che lei non fosse nei paraggi.

  «Dalle tempo, gli estranei la agitano e la trasformano in Mamma Orsa.»

  Normalmente avrei citato il Trono di Spade, ma ero fin troppo turbato per comportarmi da nerd. Risposi con un grugnito depresso.

  Rakesh tentò di farmi coraggio con un'incerta pacca sulla spalle, quasi non fosse abituato a interagire fisicamente con altri esseri umani... cosa che non doveva essere troppo distante dalla realtà, dato che dalla mia esperienza personale, un palese collegamento alla galera era un deterrente abbastanza forte da allontanare chiunque.

  «Non ti facevo un tipo sensibile» gli scoccai un mezzo sorriso.

  Rakesh sollevò le sopracciglia e poi le aggrottò.

  «Di solito non lo sono, ma so cosa significa tornare alla civiltà dopo un periodo dietro le sbarre. Noti piccoli gesti, espressioni e movimenti nelle persone.»

  «La parte peggiore sono gli sguardi.»

  Rakesh fischiò, accendendo e spegnendo le cuffie bluetooth.

  «A chi lo dici. Ringrazia di essere nato bianco.» Si fermò, squadrandomi meglio. «Beh, perlopiù bianco.»

  Mi infilai le mani nei capelli, abbassando la testa per guardare il resto degli scalini che sfociavano nel selciato.

  «So che ti sembra che siano tutti contro di te, in questo istante...»

  «Direi che è piuttosto evidente e non solo una mia impressione.»

  «È perché non conosci quella banda di idioti. Non sai che Leonard ha fatto degradare una recluta per avermi insultato in mensa, che Cora ha sempre pronto un plaid e della cioccolata calda in caso ti veda triste... e che Robin minaccia di morte chiunque cerchi di farmi sentire come se non fossi abbastanza.»

  Osservai la porta d'ingresso socchiusa, che tremava sotto la leggere brezza quasi ci fosse in atto un tornado. Rakesh seguì il mio sguardo.

  «Dà loro l'occasione di essere anche la tua banda di idoti.»

  Mi grattai il collo distrattamente, riflettendo. Parte di me credeva ancora che non mi sarei mai davvero integrato con il novantaduesimo, ma Rakesh sembrava così convinto di quel che diceva che persino il mio dubbio ebbe una crisi emotiva; lo potevo quasi immaginare, in piedi davanti a uno specchio, a chiedersi se non avesse sbagliato mestiere.

  Leonard fece capolino sull'uscio, bussando contro lo stipite e provocando una valanga di intonaco. Se lo scrollò di dosso con disgusto e riportò la sua attenzione su me e Rakesh.

  «Maverick, so che forse non sei dell'umore giusto, ma nel novantaduesimo abbiamo una sorta di tradizione per i nuovi arrivati.»

  Al limite del mio campo visivo Rakesh annuì per incoraggiarmi, quindi ingollai il risentimento e mi tolsi l'espressione crucciata dalla faccia.

  «Che sarebbe?»

  «Cucinare il piatto preferito della recluta.» Leonard si morse il labbro. «Sempre che sia possibile reperirlo a quest'ora.»

  «Pizza» sospirai. Il pensiero mi volò subito a Jimmy... chissà se ne stava consegnando una in quel momento.

  «Quelle...» Pesò con cura le sue prossime parole, quasi temesse che potessi calciare qualcos'altro nei paraggi, tipo la colonna del portico, che sarebbe stata contenta di schiacciarci alla prima chance. «Quelle surgelate vanno bene?»

  Soppressi una risata nel vederlo tanto preoccupato per una sciocchezza del genere. «Sono abbastanza sicuro che un italiano nel mondo sia morto a causa dell'effetto farfalla di questa frase... quindi almeno non rendiamo la sua morte invana.»

  Il sorriso elettrico di Leonard tornò ad accecarmi. «Accendo il microonde.»

  Se mai fossi tornato a Rockheart, Rita mi avrebbe disconosciuto come nipote dopo questo peccato.

  «L'hai sentita?» chiese Rakesh, tendendo l'orecchio in modo teatrale.

  «Cosa?»

  Si alzò, fissando un punto indefinito nel cielo stellato. «Una perturbazione nella Forza, come se milioni di pizzaioli gridassero terrorizzati e a un tratto fossero zittiti.»

 

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