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7. L'acciaio nella lingua

- Mi piaceva risalire per la Quinta Avenue e scegliere donne romantiche tra la folla e immaginare che in pochi minuti sarei entrato nelle loro vite, e nessuno l'avrebbe saputo o disapprovato.
Francis Scott Fitzgerald, Il Grande Gatsby.

Josephine

"Sono..." Osservo spaesata i suoi occhi verdi, del colore di una lucente giada e "Uhm, Jade!"

Ecco.

Io mento. Mento per abitudine. Mento e ancora mento.

Quando ero nei locali in Europa, specialmente a Londra, non volevo essere rintracciabile in alcun modo perché, una cosa che avevo imparato fin da subito – fin dalla prima settimana – era di non fidarsi di nessuno, che chiunque avrebbe potuto farti del male; perciò, a chi mi chiedeva quale fosse il mio nome, semplicemente mentivo. In ogni caso fiducia e Josephine non hanno mai viaggiato sulla stessa lunghezza d'onda.

"Mi chiamo Jade e, hm, devo andare. Mi lasci?" Non riesco a convincere nemmeno me stessa. Non so proprio dove me ne voglio andare.

"Certo che no, uhm – Jade." Sorride. No. Sta sogghignando?

Lui non esita a stringermi ancora più a sé, tenendomi per la vita e sfiorando la pelle madida di sudore della mia schiena attraverso l'enorme scollatura del vestito (che per la cronaca, ho preso in prestito da Cleo). Il verde dei suoi occhi si tinge di dolcezza e malizia e il suo corpo dondola piano, modellandosi contro il mio. I nostri movimenti sono del tutto casuale. Niente a che fare con la musica intensa, troppo forte e veloce. Mi tiene gli occhi incastrati nel blu dei miei. Oceano – riva e secca che s'imbrattano delle loro sfumature. La schiuma è la musica, la cornice attorno di corpi frenetici e i suoi movimenti sono tranquillità iniettata nelle vene; solo benessere adesso. Ma io sono la riva, e adesso arriva il bagnasciuga. E devo andarmene, stabilirci sopra i piedi e allontanarmi dall'invitante renella.

Eppure il suo dolce dondolio mi dissuade: le sue carezze piccole e scattose, timide, le sue mani grandi e le larghe spalle alle quali sono aggrappata; sono altrove, non più qui nella mischia. Non sono più in una fastidiosa pista da ballo.

Odio amare tutto questo, questa sensazione.

Percepisco solo il suo respiro caldo sul mio viso. Chiudo gli occhi e le sue lunghe dita dipingono cerchi invisibili sulla mia schiena. Presto le sue mani diventano più avide e curiose, abbandonando la delicatezza che aveva adottato fin dall'inizio. E adesso sono più stupida di prima, il mare non c'è più; il suo sguardo è indirizzato verso il basso, invadente sul mio corpo. Come posso finire a farmi cullare da 'sto qui? E' evidente che questo sia il suo sporco gioco. Farmi sentire al sicuro, probabilmente per trascinarmi nello squallido cesso e togliermi le mutande da sotto la gonna.

E no, eh.

Scorre con le mani sui fianchi, poi sul costato e infine sull'estremità del vestito all'altezza delle cosce – no. Me ne vado.

"Dov'è che scappi?"

Tiene lo sguardo sul mio, sembra buono. Sembrano tanto gentili, i suoi occhi. E le sue mani, tutt'altro che gentili. Non voglio più andarmene adesso. Avevo detto che volevo distrarmi – lo sto facendo. Ecco. Chi se ne importa se non è sano, tutto questo.

Sospiro, socchiudo bocca e occhi. Lui ha le fossette in mostra.

Mi tira più forte a sé, come se ci tenesse a farmi rimanere lì. Io mi lascio incantare dalle sue labbra a cuore e, meticolosamente, ogni piccolo riferimento alla fuga che frullava celere nella mia testa è polvere.

La mia attenzione ora è sulla peluria accennata della sua barba che risalta perfettamente le sue labbra tanto rosa e pure tanto sporgenti. Poi la sua pelle chiara, un sorriso perfetto incorniciato da un paio di fossette che ora sono più profonde. Giuro; i suoi occhi non sfiorano la normalità, Dio mio. Attraversano i miei con prepotenza, il mio vestito ridotto, la scollatura non troppo profonda. Le sue mani grandi avvolgono il mio viso, adesso noto che mi sta guardando anche lui.

Siamo due sconosciuti nel bel mezzo del calvario di un locale ad ondeggiare piano e a sfiorarci la pelle esposta, studiando reciprocamente ogni singola incurvatura del nostro viso. Ogni ciglio, le rughe d'espressione, le sfumature delle labbra e degli occhi. L'odore dell'altro. Lui ha questa fragranza muschiata, c'è verde pure nel profumo – e poi tanti strani odori mescolati fra le dita. Sono dolci, aromi zuccherosi giusto sulle sue mani.

Quindi studia i miei occhi, cupi in confronto ai suoi, poi i suoi polpastrelli decisi tornano a esplorare la pelle esposta delle mie cosce per un breve istante; scivolano poi più a nord, facendo pressione con il suo corpo contro il mio. Ancora che mi culla; ancora lo lascio fare.

Distrugge ogni molecola del mio corpo che lottava per scappare via esattamente quando infila la mano sotto la scollatura posteriore, quella sulla schiena. Invade il tessuto e solletica il costato come fossero dei rilievi invitanti da scalfirne con le dita; come fosse la tastiera di un pianoforte.

Brividi sulla spina dorsale e sul collo; lui l'ha notato. Sta ridendo – ride e lo sento dalle mie mani sul suo petto.

Sull'orlo di un esaurimento, che non ho ancora deciso sul da farsi, scaccio via le sue mani dal mio corpo; non posso. E' sbagliato – anzi, no: sbaglierei.

Alla mia azione reagisce in modo insolito e sigilla le sue labbra contro le mie in un potente bacio, premendo il mio corpo minuto in un abbraccio di acciaio. Le sue labbra ormai umide si muovono sulle mie, attirando la mia lingua a lottare con la sua.

Interrompo quasi istantaneamente l'amplesso. Neanche ho il tempo di percepire se ha le labbra morbide o no. Che pensa di fare? Non sono abbastanza ubriaca per questo. Non lo sono affatto, in realtà. Sono tornata solo ieri, non voglio cacciarmi in queste situazioni; finiscono sempre nello stesso modo. Sempre con me che piango da sola e qualcun altro che mi ha prepotentemente rubato un altro pezzetto di sanità mentale.

L'assurda sensazione d'insazietà che mi ha lasciato quel bacio troppo breve è però pesantemente piazzata sulla bocca del mio stomaco, dove lui tiene un palmo.

Credo di non importarmi di niente, adesso.

Credo di desiderare ancora le sue labbra sulle mie.

Credo di non pensare alle conseguenze – le solite.

Credo di non pensare – al solito.

Sollevo il viso ormai circondato dalle sue mani ruvide e gli dedico uno sguardo intimorito. Ho paura di ciò che sto per decidere di fare. Il suo indice affusolato poi sfiora il mio labbro inferiore.

"La tua bocca è, woah, è spettacolare" canticchia, fissando le mie labbra.

Le sue fossette tornano nuovamente a scolpirgli le guance quando fa un sorriso pieno di malizia. La mia bocca si schiude; niente più controllo, adesso. Probabilmente ho smarrito il controllo di me stessa già da un pezzo ma senza essere totalmente cosciente; ho smesso di lottare contro quest'uomo non appena ho visto queste pietre che tiene negli occhi.

Il suo indice preme ancora contro le mie labbra ed io, aiutandomi con la lingua, creo una leggera pressione sul suo polpastrello, lasciando che un paio di dita affusolate affondino nella mia bocca. Lo sento sussultare non appena il fondo della mia gola entra in contatto con la pelle tesa e ruvida delle sue falangi.

Mannaggia a me. Fermati Josephine, ma opprimo quella vocina che riconosco come il mio buon senso. Il mio auto controllo è andato a puttane e il mio cervello è come se scalpitasse, cercando di farmi notare, invano, che il suo corpo sconosciuto cerca violentemente il mio.

Che vada a farsi fottere, la ragione.

Harry

Più lentamente ancora – di più di quanto ti stai immaginando – sfilo le dita dalla sua bocca arricciata come un bocciolo, notando una pallina di acciaio trapassare la sua lingua calda, che accarezza delicatamente le mie dita; mi palpita il ventre, lo stomaco e sussulto, pure. I suoi occhi continuano a bucare le mie iridi più chiare delle sue, poi sbatte le ciglia un paio di volte. Il desiderio di baciarla di nuovo è forte, ma mi trattengo, sperando che sia un punto a mio favore per lasciarla a bocca asciutta, facendo in modo che ne brami di più, come io bramo lei. E' prematuro, ma mentirei se dicessi il contrario.

La stringo ancora a me e cerco di percepire attraverso i nostri vestiti sottili ogni curva del suo corpo che mi attrae terribilmente, è pura calamità.

Sono passati due lunghi brani quando decido di trascinarla con me, tenendola saldamente col braccio. La porto verso il bar e giuro, mai, mai avrei creduto di limitarmi a prendere una stupida penna dal bancone, piuttosto che farla ubriacare e portarmela a letto, ma non voglio rischiarmela giocando male quest'opportunità con lei.

Voglio solo fare in modo che voglia rivedermi, un giorno di questi.

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