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6 - Lo sguardo della luna

Erano le tre del mattino passate da pochi minuti, quell'orario che non sai mai se è l'inizio di un nuovo giorno o la fine del vecchio. Mike e consorte erano andati via da una mezz'oretta circa. I ragazzi e le ragazze che avevano condotto i vascelli carichi di alcol per i sette mari della serata erano andati via dopo aver rimosso tutte le sedie e gli sgabelli, poggiandoli sui rispettivi piani. La ragazza sempre allegra stava andando via, Patty era alle prese con alcune scartoffie e il barman controllava l'esito della serata.

«Aspetta Cindy» disse Roger, il barman, richiamandola a se «grazie per la serata, ci vediamo domani?» chiese allungandole qualche bigliettone extra. «Grazie, volentieri. Solita ora?» rispose lei per nulla stanca di sorridere.

«Sì, solita ora. Vai anche tu Patty, è stata una serata lunga e domani sarà peggio. Andate a riposarvi, completiamo domani.»

«Faccio pipì e vado», rispose la rossa stropicciandosi gli stanchi occhi. Posò la penna con cui stava annotando appunti e si avviò verso lo stretto corridoio che conduceva alle toilette. Superò tutte le porte, anche la numero due, e si fermò davanti all'ultima, destinata allo staff, frugò nel tascone centrale del grembiule in cerca della chiave ed entrò. Una grattatina sul naso e finalmente si liberò.

Cindy era rimasta in sala ad attenderla. Anche se stanca morta voleva salutare la collega e complimentarsi per la rissa domata e per gli inediti versi che aveva ispirato al poeta. Il post-serata aveva sempre un sapore strano: volevi trovarti già nel tuo adorato letto, ma volevi agoderti quella placida e meritata quiete dopo il vorticoso turbinio della serata.

Due passi con l'amica si conciliavano bene con la situazione. Abitavano tutte e due a sud, non lontanissimo dal Rocker; Cindy a circa un chilometro; andava al lavoro quasi sempre a piedi o col bus, alcune volte in bicicletta. Patty abitava poco più lontano e usava la sua moto per spostarsi. Non era una moto da biker, anzi spesso lei e il suo Ktm Enduro erano oggetto di scherno all'interno del locale da parte di quei biker super dotati, ma a lei non interessava e anche se era provata dai tanti chilometri macinati non si sarebbe mai separata dalla moto, quella moto che era stata del fratello Andrea morto un paio d'anni prima in un brutto incidente. Storia triste che aveva segnato Patty. Era molto legata al fratello, di due anni più grande. Per diversi mesi da quel giorno aveva rifiutato ogni cosa, rifugiandosi in un silenzio senza spiragli fino a quando scoprì che andare in moto, sentire l'inconfondibile rumore di quel motore e respirare l'odore acre di benzina bruciata la alienava da quei tristi ricordi riportandola in compagnia del suo amato fratellone. Quella moto era la sua nuova vita.

Si avvicinarono entrambe al KTM, Patty sollevò il casco che lasciava sempre impilato sul lungo specchietto e lo passò a Cindy, la quale non sapeva quanto l'amica ci tenesse a indossarlo: «Se solo Andrea l'avesse indossato quella sera...» era una frase, intima, che si ripeteva sempre volta che prendeva in mano quel casco.

Sollevò i cento chili di metalli e altro e prima di sedersi a cavalcioni, arrivava a toccare il suolo a stento con la punta di un piede, inclinò la moto sul lato sinistro per qualche secondo poi la raddrizzò, la sposto in direzione di marcia e la abbassò ancora, questa volta a destra, questa volta per salire. Non dava l'impressione di essere precaria, mai ogni manovra, sia pur piccola, la faceva stando a terra.

Posizionata la moto salì e rimase in equilibrio sulla punta del piede destro per un paio di secondi, tirò fuori la pedivella e dette tre colpi veloci e decisi come a prendere la rincorsa per il quarto, quello decisivo che squarciò il silenzio della notte ormai profonda. Due leggere accelerate poi inclinò nuovamente la moto per favorire la salita di Cindy. Non era una ragazza piccolina, nemmeno alta, ma quella moto aveva una sella distante dal piano stradale. Nonostante questo Patty era scaltra e pratica e infondeva fiducia nella guida. Con un colpo di reni riportò la moto in verticale e con un leggero saltino partì accompagnata dal rumore inconfondibile di un quattro tempi.

La città era sua. Non ne aveva le chiavi ma un grimaldello; a quell'ora di notte girare per le strade deserte era come esserne la padrona assoluta e la sua moto era il suo lascia passare. Guidava rilassata per godersi quei momenti e riprendersi dai chilometri e chilometri percorsi in quel piccolo, buio, puzzolente locale. Aveva le braccia stanche per gli ettolitri di alcol trasportati nei confini del Rocker e, anche se doveva domare Camilla, sentiva la stanchezza scivolar via. E poi, diciamolo, l'aria tra i capelli ti faceva sentire libera come un uccello in volo; non poteva ammetterlo ma in quegli attimi di silenzio stava godendo.

Senza chiedere permesso all'amica, arrivata al secondo incrocio, invece di proseguire dritto si spostò leggermente a destra per prepararsi a curvare e inclinandosi prese la via del mare. Era un lungo viale alberato a quattro corsie suddivise sulle due carreggiate, al centro, da spartitraffico, una fila di alberi. Era l'ideale per lasciare andare un po' di gas. La strada era perfettamente dritta e deserta, con una serie di saliscendi in corrispondenza dei canali che andavano verso il mare. Era come essere delicatamente dondolate, accompagnate dal rumore del motore che sottolineava le accelerate e le staccate. L'odore della benzina si mescolava ora con l'odore dei pini che facevano da cornice.

Una leggera accelerata sul dosso più alto, una leggera impennata senza staccare mai le due ruote dall'asfalto, il vento accarezzava il volto delle due ragazze. E poi giù per la discesa. Quasi inavvertitamente Cindy accompagnava quelle accelerate, quei saliscendi stringendosi alla cinta della ragazza dai capelli rossi. Anche lei si stava rilassando, anche lei si stava lasciando dondolare da quei dossi e dai movimenti morbidi della moto. Avrebbe voluto rimaner così per migliaia di miglia.

Patty sentiva le braccia della sua amica stringersi intorno alla sua vita, decelerò quasi bruscamente fino a sentire i piccoli seni accarezzarle la schiena, curvò bruscamente sulla destra ed entrò in un ampio parcheggio a mezza luna che si volgeva verso il mare. Era deserto. Spense la moto con una mezza accelerata e si lasciò circondare dal silenzio marino.

Dopo qualche lungo secondo aiutò l'amica a scendere. Attesero un minuto o poco più in silenzio per lasciar riposare le loro piccole orecchie e poi si incamminarono sul marciapiede che costeggiava il parcheggio.

Non era la prima volta che scavalcavano le balaustre, non era la prima volta che si rifugiavano su quegli scogli ma era la prima volta che lo facevano insieme. Il mare era a due passi, si nascondeva alla vista dalla strada, qualche metro e poi due gradini naturali ricavati nella roccia. Un percorso segreto sconosciuto a molti in città ma frequentato dai ragazzi della zona. La chiamavano la grotta del morto. Quando c'era bassa marea si poteva raggiungere una piccola cavità a livello del mare, bastava conoscere i passi giusti e avere un briciolo di attenzione per raggiungere quel posto così intimo e così cittadino. Era tre metri sotto il livello stradale e, anche nelle giornate estive più trafficate, rimaneva nascosto ai rumori della strada.

Si raccontava che circa trent'anni prima avessero trovato il cadavere di un uomo infondo alla grotta. Non era l'unica leggenda che si raccontava: la grotta aveva una forma allungata, era piccola, poco profonda ma guardando bene in basso sulla sinistra si stringeva lasciando un piccolo passaggio che si perdeva nel buio.Troppo stretto anche per un bambino e si diceva sbucasse oltre le colline.

Altri sostenevano che il nome della grotta risalisse ad altri funesti incidenti; per la maggior parte dei giorni la grotta era pressoché inondata dalla marea e dalle onde; solo un paio di giorni al mese, quando la luna era pigra e visibile diventava accessibile. Se in quei giorni, come spesso accadeva, il mare era anche leggermente mosso la grotta si trasformava in una pericolosa trappola allagata. Oggi era una delle poche giornate in cui luna pigra e mare stanco concedevano il loro permesso.

Si sedettero su due grossi sassi in silenzio guardando il mare dormire.

«Allora, come ti trovi al Rocker?» esordì Patty dopo un breve attimo di silenzio contemplativo.

«Bene!» rispose Cindy con entusiasmo «È molto divertente anche se stancante e Roger è un tipo troppo a posto.»

«Si, Roger è in gamba. Ci tiene tanto al suo locale e lo tratta quasi come un figlio. Sono contenta che ti trovi bene e che ti stia divertendo. È da due settimane che vieni a lavorare, giusto? Vedrai che più farai serate e più ti abituerai a quella stanchezza. E magari poi anche il divertimento passerà!» concluse ridendo di nuovo.

«Si, lavoro da dieci giorni, ma solo nei fine settimana. Domani sarà il mio terzo sabato sera. Tu, invece, da quanto tempo lavori per Roger?»

«Sono al Rocker da due anni ormai...» Patty si soffermò a pensare mentalmente come se volesse completare la frase con una data: « Due anni e sei mesi». disse con volto serio. Ogni volta che pensava a due anni prima non faceva che contare i giorni dalle incidente.

Cindy ignorava quella storia. «Sei stanca?» Le chiese.

«Si. No... Cioè si. È che quando penso a due anni fa mi sembra di ricordare un'altra vita». No, Cindy non poteva proprio intuire il triste senso di quella frase.

«Chissà quante ne hai viste al Rocker in questi due anni e mezzo! Oggi hai sedato una rissa con due birre! Sei stata mitica!». E rispuntò il sorriso anche sul volto di Patty.

«Mike è un attaccabrighe! Uno che borbotta sempre, un vero rompicoglioni... ma non morde mai. Non è capace... non ha i denti! — disse con un sorriso —Tutte le sere fa discussioni con qualcuno. Credo che in passato abbia anche lavorato per Roger prima che arrivassi io, ma non so bene di cosa si occupasse, forse elettricista ma non ne sono sicura.»

Fece una breve pausa e poi continuò.

«Generalmente non intervengo, ma oggi se le stava prendendo con un ragazzo che non avevo mai visto prima...»

«Il poeta!!» disse Cindy provocando la risata di entrambe.

Patty la rossa, con un colpo a sorpresa, frugò nella tasca posteriore e tirò fuori la busta gialla ormai esausta.

«Siamo noi gli artefici dei nostri destini» ripeté con finta voce baritona Cindy, Patty la guardò con sguardo severo e poi l'accompagnò nella grossa risata corale!

«Dai! Racconta!»

«Cosa vuoi che ti dica? È entrato nel locale prestissimo, ero ancora a parlare con quel rompipalle di Luca, il mio ex che ha fatto un'agguato all'ingresso... si è seduto su un tavolino e ha cominciato a fissarci. Anzi, sai cosa ti dico? Che mi è subito salito sui coglioni. Era strano! Però... a fine serata non mi stava più così antipatico.»

«Ma ti ha invitato fuori! A teatro poi! »

«Non ha senso! Cosa vuol dire questo biglietto???» Disse Patty porgendo il contenuto della busta all'amica.

«Sono due biglietti per lo spettacolo di domenica a teatro, è un invito bello e buono!»

«Non ha senso!» ripetè Patty «Sono due biglietti! Con chi altro dovrei andare? Con Lui? Con Luca? O con chi altro?»

«Con me, ovvio!» disse in modo spontaneo Cindy «E poi Luca chi è? È il tuo ex?»

«Si... »

«L'ha scritto nel biglietto con chi puoi andare, ti ha lasciato la libertà di decidere, di condizionare il tuo destino... mitico anche lui! Sei spalle al muro, Patty!»

«Non dire così...»

«Perché? È un gesto carino...»

«È un gesto che non mi piace. Cazzo! Ma cosa vuol dire? Che mi conosce? Io non l'ho mai visto prima di oggi! Perché dovrei uscire con lui? E lui? Mi conosce al punto da invitarmi fuori?! No, cazzo, non mi piace affatto questa storia!»

«Beh... magari non l'hai mai notato...»

«E chi si crede di essere per comandare il mio destino??? No guarda, più ci penso e più mi incazzo! Ora li butto nell'acqua così a teatro ci vanno due cozze!»

«Dai lui ti ha lasciato libera di decidere, magari te li ha dati per andare proprio con Luca o con chi vuoi tu... Non ti sta certo obbligando a un destino che non vuoi...»

«Cindy, cazzo! Mi stai confondendo la testa! E poi io con Luca ho chiuso da un po'! Sai che ti dico? Li butto domani, lui mi ha paragonato alla protagonista del suo racconto, quello che sta scrivendo... quel figlio di puttana mi ha incuriosito. Cazzo!»

«Tu ci credi nel destino?» chiese Cindy.

«Adesso sto mezza sbronza, me la rifai domani questa domanda?»

Erano ormai le quattro del mattino di una giornata che faticosamente si accingeva a svegliarsi per riniziare il suo nuovo corso, ma per qualcuno la fine di quella giornata era ancora molto distante dall'arrivare. Mentre le due ragazze, accarezzate dalla brezza marina disquisivano sui proprio destini chiamati in causa da Robert, lui, il poeta, era ancora alla ricerca di se stesso dopo essersi perso nella toilette numero due. Ma che fatica!

La bassa marea era così stanca che quel panorama appariva silenzioso come una fotografia. Ne era testimone la luna. Erano le condizioni migliori con cui si potessero udire, da quel punto, i rumori più forti provenire dalla strada. Come i rumori di una sgommata e di un grosso motore scappar via.

«Cazzzzoooo! La moto!» Urlò Patty a squarcia gola, balzando in piedi con la rapidità di una molla. Scattò sugli scogli appena illuminati dalla luna e in meno di una frazione di secondo percorse l'insidioso tragitto verso la strada. Così rapida e funambola da riuscire ad arrivare sulla strada giusto in tempo per vedere due puntini rossi sparire nel nulla.

«Cazzo! Cazzo! La moto di Andrea nooooo!». Poggiando le due mani sulle tempie rimase impietrita a guardare in direzione del nulla. Passarono diversi attimi, poi si voltò in direzione della luna e del mare alla ricerca di Cindy, ma Cindy non era ancora apparsa.

«Fanculo» bisbigliò, e si diresse quasi strisciando verso l'immaginario sentiero che conduceva alla tana dove aveva lasciato l'amica. Arrivò al punto in cui cominciava a vedere il riflesso del mare, anche di Cindy non c'era più ombra.

Non fece in tempo a raccogliere i suoi lenti e confusi pensieri che udì un lamento provenire dalla sua sinistra. Era lei, Cindy, seduta tra gli scogli. La luna sommessamente sorrideva.

«Cindy, ma che cazzo fai?» Cindy non rispose, si portò una mano alla tempia dove aveva un profondo taglio. Perdeva molto sangue, ma da quella distanza Patty non poteva ancora vedere.

«Oh cazzo! Ma cosa hai fatto?» Chiese senza ricevere risposta. Si avvicinò e vedendo il copioso grondare di sangue che ormai copriva abbondantemente il lato sinistro di quel tenero viso si spogliò della maglietta scoprendo il piccolo seno, la arrotolò su sé stessa creando una lunga benda e la strinse intorno alle tempie dell'amica ancora stordita.

«Stringi forte» le disse.

«Così mi dai il, colpo, di grazia» bisbigliò Cindy, guardando i seni dell'amica.

Patty non fece caso a quelle parole, si diresse verso il mare per bagnarsi le mani. Il percorso era davvero impervio ma la luna era amica e le indicava la via più comoda.

«Fanculo» ripetè mentre si rinfrescò la faccia con l'acqua fresca di quel mare ancora dormiente.

Raccolse un po' d'acqua tra le mani e la portò a Cindy. Non ne arrivò molta ma fu sufficiente a ripulire la guancia e a rinfrescarle la fronte.

«Come stai?» le chiese.

«Mi gira un po' la testa. La sento battere, come se qualcuno dei miei pensieri volesse scappar via.»

Pensando che l'amica stesse delirando, Patty tornò lì dove il mare baciava gli scogli e, facendosi aiutare dalla luna si mise alla ricerca di qualcosa.

Tornò da Cindy che, sia pure ancora intontita, appariva un po' più cosciente. Le tolse, lentamente, l'improvvisata benda, la scompose e la ricompose con più precisione. All'interno inserì la pietra, piatta, che aveva appena pescato.

Risistemò la benda sulla fronte della stordita e strinse forte, assicurandosi che la pietra avvolta nella stoffa tamponasse il taglio.

«Hai!» Urlò Cindy.

«Stringi forte, altrimenti ti scappano via anche i pensieri più stupidi e al loro posto un bernoccolo grande come il naso di Ton!»

«Hahaha dai non farmi ridere! Il naso di Ton sulla fronte non lo voglio! E poi qualche pensiero non sarebbe male farlo andare via...»

Rimasero entrambe sedute sulle rocce guardando i rispettivi pensieri in silenzio, per alcuni minuti.

«Te la senti di camminare?» chiese Patty «Abbiamo molta strada da fare.»

Cindy, confusa, si voltò verso la sua destra per guardare l'amica che le sedeva accanto, ma non aveva la forza di rispondere. Trovò invece la forza per chiederle: «Ma sei sempre senza reggiseno? Anche sul lavoro?»

«No. Me lo tolgo a fine serata, quando mi da fastidio.» Fece una breve pausa e dopo aver preso fiato le chiese: «Te la senti di camminare un po'? Uno stronzo mi ha fregato la moto...dobbiamo tornare a piedi.»

«Oh cazzo! Davvero? Si che me la sento.» E barcollando si mise in piedi. «Però dammi una mano fino alla strada perché se ricado rimango qui a fare la sirenetta spiaggiata...»

«Si, la sirenetta sfregiata vorrai dire...» rispose Patty porgendole la mano. E si incamminarono verso la strada.

A pochi metri dal marciapiede che costeggiava il parcheggio Cindy si fermò di botto.

«Non ce la fai?» chiese Patty voltandosi verso la sirenetta sfregiata «vuoi fermarti?»

«Penso di avere le allucinazioni... vedo la tua moto...»

Patty si voltò bruscamente in direzione della strada, dove la luna indicava la sua due ruote proprio lì dove l'aveva parcheggiata.

«Noooooo non ci credooooo!» Urlò lasciando l'amica infortunata sospesa nell'aria mentre correva verso la sua moto. Occhi lucidi pensando al fratello.

«Forse l'hanno restituita...» disse Cindy, e Patty sentendo quel suggerimento posò la mano destra come per accarezzare il serbatoio, quasi a voler sentire il respiro della sua amica a due ruote: era freddo e rilassato. Con un balzo si inginocchiò per toccare la marmitta: era fredda anch'essa.

«Non si ė mai mossa....»

«Quindi mi sono immolata per nulla...» disse Cindy da lontano.

Patty non rispose, era troppo confusa. Attese un po' prima di far leva sulle gambe e riportarsi in posizione eretta, era lì, accovacciata, a rassicurare la sua moto sotto gli sguardi di Cindy e della Luna, l'unica vera testimone di quella lunga nottata.

«Dai su, tutto bene quello che finisce bene» disse la sirenetta sfregiata in versione Rambo, poggiando una mano sulla spalla nuda dell'amica ancora inginocchiata sulla sua amata.

Patty si rialzò, svelando il percorso di una lacrima sul viso, un percorso reso luccicante dalle carezze che anche la luna le dedicava. Sfilò il casco dallo specchietto retrovisore e lo passò a Cindy che con estremo garbo rifiutò:

«Forse è il caso che adesso lo indossi tu...»

«Già...»

Patty, jeans aderenti, seno nudo e casco in testa, salì a cavalcioni sulla grossa moto e con gesto secco e preciso spinse a fondo il pedalino, senza il consueto rito dei tre colpetti; la moto rispose presente con un rombo deciso. Seguirono poi i movimenti del polso, tre accelerate, tre squarci nella notte. No, oggi no, quella moto oggi non l'avrebbe proprio tradita.

Chinò la bestia sulla destra per favorire la salita di Cindy. La luna continuava a seguire con attenzione tutti i movimenti, anche quelli più piccoli e apparentemente insignificanti come quelli delle dita della sirenetta sui fianchi del centauro mezzo nudo.

«Tieniti stretta, forte! Voglio sentirti quando svieni e voli via!» disse Patty prima dell'inversione di marcia con roboante accelerata verso le lontane luci della città ancora addormentata.

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