17 - Il risveglio di Margot
«Margot! Svegliati! Non vorrai mica sprecare questa bellissima giornata?», urlò la signora al termine della sua lunga colazione. La stanza di Margot era al primo piano della bellissima villa con vista sul promontorio, il cui balcone si affacciava sull'infinito azzurro. Margot dormiva con la porta finestra spalancata. Amava quel quadro che cambiava ad ogni vista; di giorno o di notte di qualsiasi stagione la vista era sempre uguale, sempre diversa. Il mare, il cielo e gli alti pini sulla sinistra, un quadro banale ma che riusciva a incantare per la vastità di sfumature, tutte le volte che l'osservavi. Il suo letto era proprio di fronte quello spettacolo. Sognare era un obbligo.
«Alla tua età non sprecavo il tempo dormendo!», continuava la voce che proveniva proprio dall'angolo di giardino sotto quel balcone.
Se ora canta l'ammazzo, fu il primo pensiero della ragazza.
«Alla tua età avevo già avuto successo con il mio primo film». Attimi di panico al piano di sopra.
Tu commença ta vie
Tout au bord d'un ruisseauTu vécus de ces bruits
Qui courent dans les roseaux
Qui montent des chemins
Que filtrent les taillis
Les ailes du moulin
Les cloches de midi
Margot cercò rifugio sotto al cuscino, ma ormai il danno era fatto. Si rotolò pigramente nel grande letto prima di alzarsi, poi caricò la sua giornata con un grosso sbadiglio. Era finalmente sabato e, nonostante la sera prima, seguito delle delusioni pomeridiane, era stata lunga e sofferta, aveva dormito intensamente e si sentiva riposata dentro e fuori. Aveva deciso che gliel'avrebbe fatta pagare a quel verme e questo le aveva dato un senso di rilassatezza inaspettato; ora tutto il resto era in secondo piano. Ora voleva solo riprendersi il suo tempo e organizzarsi.
Come tutte le mattine che lo permettevano, Margot iniziò la sua giornata con il saluto al sole. Andò sul piccolo balcone posò le mani sulla ringhiera e fece due grandi respiri a pieni polmoni. Era, e sarebbe stata, una bellissima giornata. Nonostante quella del piano di sotto.
Aujourd'hui tu ballottes
Dans des eaux moins tranquilles
Tu t'acharnes et tu flottes
Mais l'amour, où est-il?
«Dov'ė l"amore, amore mio?», chiese la signora rivolgendosi, con tanto di braccio teso a indicare il palco d'onore, della sconsolata figlia.
«Jacotte! Quando riparti?», urlò con spudorata malizia dall'alto della sua posizione la biondissima Margot.
«Eccolo l'amore mio! Buongiorno fiorellino! La mia pigra preferita! Ti aspetto, fai presto».
Margot rientrò in camera, si slacciò un paio di bottoni della camicia da notte e la lasciò scivolare sul pavimento svelando la perfezione dei suoi vent'anni. Entrò nel grande bagno della sua mini reggia e si infilò fra i cristalli immacolati della doccia. Non dovette fare nessun gesto, il getto perfetto, fatto di mille raggi d'acqua, partì sincronizzato col suo sospiro, immergendola in quel buongiorno da sogno. Era un mistero come quel getto fosse sempre della temperatura giusta; mai mezzo grado in più, mai mezzo grado in meno della perfezione: utopia lo chiamavano il resto degli umani, buongiorno lo chiamava lei.
Margot si presentò in giardino per la colazione con una lunga maglietta bianca e blu, arrivava quasi alle ginocchia, i capelli ancora bagnati, tirati indietro, apparivano più scuri. Era scalza, girava sempre scalza sia per casa che nel giardino.
Si sedette di fianco a Jacotte, che ora era quasi assente, rapita dal romanzo che stava leggendo, capovolse un lungo bicchiere di vetro e lo riempì con due dita d'acqua naturale versata dalla grossa brocca. Rimase con il bicchiere fra le mani, in silenzio, salutando quel mare meraviglioso. Qualcuno, lontano, era già in barca a vela; «c'è più pace lì o qui?», si chiese Margot.
A intromettersi in quella quiete arrivò Balik Putu col suo vassoio del buongiorno.
«Grazie Alfred», disse Margot con il più bel sorriso del mattino.
«Buongiorno signorina», rispose Balik Putu con lo sguardo basso indietreggiando di un paio di passettini prima di voltarsi per fare rientro in casa.
Il vassoio di Balik Putu era una piccola opera d'arte, tutte le mattine di questi ultimi sette anni riusciva sempre a stupire la piccola Margot con i suoi colori, i suoi profumi, i sapori e le sue forme. Lei si divertiva come la prima volta, ripeteva sempre gli stessi gesti seguendo lo stesso percorso raccontato da quella fiaba. Iniziava dal immancabile fiorellino: lo avvicinava alla bocca per sentirne il profumo e poi lo portava come il primo trofeo della giornata sull'orecchio destro. Poi un sorso di spremuta d'arancia, sempre dolcissima. Quindi correva con lo sguardo a liberare l'animaletto del giorno. Balik Putu era un vero artista dell'intaglio, riusciva a tirar fuori le anime più diverse anche dal più piccolo acino d'uva o spicchio di frutta. Margot ricordava tutti, o quasi, i capolavori ricevuti in questi anni. Oggi a farle compagnia c'era un delfino giallo: era bellissimo! Sembrava saltar fuori dal ciotolino di yogurt per invitarla a giocare con la palla. Margot sognava. Guardando quella baby banana tagliata a metà e poggiata, in piedi, nella ciotola, con un piccolo acino d'uva inserito nel taglio che trasformava il gambo de frutto in un tenero musetto di un delfino giocherellone. Guardandolo veniva voglia dì immergersi nel mare e ricambiare l'invito al gioco. A dare anima a quel delfino due vispi occhietti neri neri ricavati dai semi di frutti esotici. Margot sorrise. Poi, con gesto rapido, rubò la palla al delfino la mise in bocca e la tenne un pò per giocarci con la lingua, anche il delfino sembrava divertirsi ricambiando il gesto di Margot con un lungo e dolce sorriso. Crock fece l'acino, inaugurando quella salutare colazione.
Balik Putu aveva seguito con lo sguardo la ragazza da dietro l'ampia vetrata, lo faceva tutte le volte che pensava di stupire la ragazza, oggi era soddisfatto della reazione ottenuta, poteva tornare ai suoi lavori sorridente anche lui.
Jacotte era ancora sotto ricatto del suo romanzo; non pervenuta. Margot bevve un altro sorso di succo, staccò la testa di un fragrante croissant con la punta delle lunghe dita e si alzò. La dicondra, con le sue sottilissime foglioline verdi, era morbidissima, camminare a piedi nudi era come camminare sulle nuvole. Margot sollevò il vassoio e lo portò con se vicino al balconcino infondo al prato, quello con le colonnine di pietra che dava sul dirupo. Posò il vassoio per terra, vicino il tappetino rosa, poi fece un profondo inchino allungandosi fino a toccare i piedi con la punta delle dita. Aveva le mani affusolate e le dita sottili. Sentiva la schiena allungarsi e si concentrava sulle singole vertebre. Rimase così per pochi minuti. Poi si sedette sul tappetino, rubò dal vassoio un paio di pezzettini di frutta cominciando da quelli più scuri, aveva metodo in ogni cosa che faceva, quindi dedicò il suo secondo saluto al sole, quello vero.
Passarono dieci minuti circa di silenzi e profumi di pino. Margot barattava pezzettini di concentrazione con pezzetti di frutta fresca, quando questa finiva di solito arrivava il dharana. Arrivò invece Balik Putu, con indosso abiti ordinari, non indossava più la sua divisa impeccabile fatta di pantaloni neri e giacca a righe sottili color caffè latte: quando usciva per la sua giornata libera Balik Putu si trasformava in un'altra persona, irriconoscibile.
«Signore io vado. Ho programmato il pranzo nel forno, io rientro in serata.»
«Non ti scatenare troppo Alfred», disse il fiore di loto parlante, «e divertiti!»
Balik Putu salutò e andò via con il suo passo del gambero, Jacotte sempre non pervenuta, Margot continuò la sua meditazione. Posò con concentrazione i palmi al centro del tappetino rosa, raccolse lentamente le gambe a se e disegnò un corvo perfetto come mai le era venuto prima. Aveva partorito la vendetta impeccabile.
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