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15 - Il recupero



Ton arrivò in prossimità del Rocker, lasciò la scassomoto un paio di isolati prima, corse per andare a perlustrare la zona, poi si fermò per non dare troppo nell'occhio. Provò un'andatura indifferente, il tentativo fu apprezzato ma il risultato fu pessimo; il Rocker era ancora chiuso, ora doveva perlustrare il retro. Continuò sul marciapiede quindi svoltò a sinistra, seguendo l'intero blocco di case e negozi, poi ancora a sinistra. Ora si trovava alle spalle del locale; una via interna più stretta e meno trafficata. Qui c'era il varco che dava al cortile interno su cui affacciavano quasi tutti i negozi e gli esercizi di quell'isolato. Questo era un problema perché alcune di queste attività stavano per aprire e altre, come il bar all'angolo erano già operative da un po'. Ton doveva prestare molta attenzione a non farsi notare. Arrivò al varco, si accovacciò per spiare all'interno e poi sgattaiolò lungo tutto il perimetro fino ad arrivare sul retro del Rocker. Cavolo, come era diverso addentrarsi in quel posto con la luce del sole! L'aveva fatto decine e decine di altre volte ma mai come questa volta si sentiva così osservato. Pareva che tutti gli abitanti del circondario si fossero dati appuntamento per assistere al suo spettacolo; chi dalle finestre che davano sul cortile interno, chi sui balconi, chi, invece, arrivava di gran carriera in auto per parcheggiare internamente. Anche i negozianti avevano chiamato tutti i loro fornitori per farli convergere nel parcheggio per tutte le consegne del mese.
Sentiva gli occhi di tutti. Per un attimo pensò di lasciar perdere... ma si trattava di troppe dosi, non poteva permettersi né di perderle né di perdere quel nascondiglio comodo, sicuro e redditizio. Doveva proseguire e doveva farcela, non aveva alternative. Cercò con lo sguardo il seggiolino del negozio di fiori dove di solito il signor Peter si rifugiava per la ripetuta pausa sigaretta e che lui usava, invece, per arrampicarsi al finestrino. Di notte era tutto più facile, nessuno notava i suoi spostamenti, ma se avesse spostato la sedia anche per soli dieci minuti... occorreva un'alternativa sicura, perché Peter l'avrebbe subito reclamata. Come un radar ruotò la testa avanti e indietro, scansionando tutto l'atrio. Dal lato opposto a quello della sedia del fioraio vide un cestino di rifiuti, di quelli alti, metallici, con coperchio. Sarebbe stato perfetto, era anche più alto della sedia, peccato solo che era troppo lontano, doveva far presto! Non c'era tempo da perdere. Corse fino al bidone, dimenticandosi dei modi furtivi con cui si era esibito fino a quel momento. Sollevò il bidone e lo trascinò fino al finestrino del Rocker, poi, allungando la mano verso l'alto, fece per spingere la finestra, che aveva lasciato aperta quella notte per prepararsi il varco, ma questa si oppose. Provò allora a imprimere più forza, ma questa si oppose con ancora più vigore.
«Cazzo!»
È strano, come luce e buio siano relativamente intercambiabili. Orientarsi al buio è notoriamente difficile, ma in condizioni particolari può accadere anche il contrario, ovvero che quello che conosci nelle tenebre non è quello che appare alla luce del sole.
«Cazzo!», ripetè, quando s'accorse di essere sotto il finestrino sbagliato, quello che dava al piccolo ufficio di Roger. Ormai non si curava più della possibilità di essere visto, la sua concentrazione era andata a farsi benedire. Trascinò il bidone della spazzatura fino a raggiungere il suo obiettivo, allungò la mano verso l'alto e spinse, forse con troppa energia, il finestrino. Si aprì senza opporre alcuna resistenza, tutt'altro. Pam! Ecco, ora sì che era al posto giusto. Nonostante la sua altezza, Ton, era molto agile, si assicurò che il cestino dei rifiuti fosse stabile e salì con un ginocchio, poi, poggiandosi con i palmi sulla parete fece leva sulla gamba fino a portarsi in posizione eretta. Questo bidone era stato un'ottima idea, batteva la sedia di Peter con un secco due a zero. Infilò la testa nella finestra e si spinse col busto al suo interno. Ce l'aveva quasi fatta. Fece leva sulle punte dei piedi per completare l'ultimo chilometro, dandosi la spinta finale, quando arrivò l'imprevisto: il bidone fu catapultato all'indietro, ribaltandosi con un fragoroso rumore metallico. Ton cominciò ad agitarsi come un pesce fuor d'acqua, era rimasto sospeso sul piccolo finestrino e cercava di avanzare di quel tanto che bastava per spostare il suo baricentro e planare in un atterraggio controllato. Due secondi dopo scopri la differenza sostanziale tra atterrare con pieno controllo e precipitare con una  rovinosa caduta. Se qualcuno fosse entrato nel magazzino del Rocker in quel momento avrebbe fatto fatica a credere che Ton si fosse messo in quella posizione da solo. Era gambe all'aria, i piedi sbucavano appena dalla finestra, il corpo disteso lunga tutta la parete e la faccia sfiorava il pavimento, con le braccia protratte in avanti per reggersi a stento. Rimase in quella posizione per pochi attimi, fino a quando riuscì a rimuovere quella posa da vermone strisciante cadendo in avanti con una goffa semi capriola. Finalmente era dentro!
Appena rialzatosi fece un gesto spontaneo, quasi automatico, più tardi si sarebbe rivelato fondamentale per la sua salvaguardia; con la mano destra socchiuse il finestrino accostandolo dolcemente. All'interno del locale si sentiva più rilassato, percorse il corridoio fino alla sala e si diresse con calma al bancone della cassa, girò intorno e si chinò per raccogliere un sacchettino di plastica, quindi andò verso il jukebox dei sogni, lo tirò in avanti sul lato sinistro e recuperò la sua mercanzia, travasandola nel sacchetto. Aveva quasi finito quando sentì un rumore sospetto: era la porta sul retro che si apriva. Ton raggelò, rimase impietrito con le orecchie e gli occhi spalancati e questo gli permise di cogliere indistintamente il rumore della porta che si chiudeva. Ora era certo: qualcuno era entrato.
L'ingresso sul retro dava direttamente nel magazzino, da qui per arrivare nella sala principale ci sarebbero voluti circa sette secondi, il tempo necessario per attraversare il lungo corridoio che costeggiava i bagni. Ton, fatti i suoi veloci calcoli, decise di giocarsela; lasciò le ultime dosi non ancora salvate e si nascose nel lato opposto della sala. Se qualcuno si fosse spinto fin lì ci sarebbero state buone probabilità che prima di arrivare da lui svoltasse in cucina o che rimanesse nella zona principale e che non si sarebbe spinto fino a quel piccolo angolo del locale. I sette secondi passarono tutti e nessuno si sentì arrivare. Ton attese. Ne passarono altri, ma nessuno apparve. Un dubbio sulla valutazione di quei rumori gli venne: era stato ingannato dalla sua stessa ansia? Ton abbassò il livello di guardia di una o due unità. Uscì dalla sua tana e tornò al jukebox, infilò la mano e prese le ultime cinque bustine di roba nascosta. Ora che aveva recuperato tutte le sue dosi poteva riportare il cassone del jukebox nella sua posizione originale. Uno, due, tre passi si avvicinavano alle sue spalle, arrivavano dal corridoio che portava ai bagni e al magazzino. Ton, impaurito roteò intorno al jukebox, senza fare il minimo rumore, fino ad accovacciarsi al suo fianco. Era in campo aperto, spalle al muro. Vedeva Roger avanzare verso di lui! Aveva in mano dei fogli, avanzava, arrivò fino a pochi centimetri dal jukebox. Probabilmente aveva ancora gli occhi spaventati dal buio e non vedeva il piccolo, piccolissimo Ton rannicchiato in quella improvvisata tana. Non poteva sentire il suo respiro perché Ton aveva smesso di respirare. Per evitare possibili bluff, Ton, aveva anche serrato gli occhi, sperando, come un bambino, che questo fosse sufficiente a farlo sparire. Roger era fermo, fece un grosso sospiro e si diresse alla porta principale del Rocker, poggiò la mano sul fermo con cui chiudeva la porta di ingresso e, con non poco sforzo, sbloccò l'accesso. Fece un altro sospiro e aprì la porta del Rocker lasciandola spalancata. Nel buio locale sorse un nuovo giorno. Ora Ton non giaceva più nella piena oscurità, ma lambiva il cono di luce di quell'alba artefatta. Roger si allontanò dalla porta aperta, adesso dava le spalle a Ton, continuò fino al bancone e poi, una volta superato, si diresse in cucina. Come un insetto imbroglione, Ton, resuscitò dalla sua finta morte. Spiò il mondo con uno sguardo dall'immaginario spioncino e decise che quello era il momento di fuggire. Si alzò e vide un ombra lunga, molto lunga, entrare nel locale e venirgli incontro. Nemmeno il tempo di pensare qualcosa che l'uomo che scortava quell'ombra entrò nel locale.
«Salve!», disse l'ombra.
«Salve!», rispose Ton, «Roger la sta aspettando in cucina», disse il paraculo.
L'uomo continuò il suo cammino in direzione della cucina liberando, a Ton, l'intera via di fuga. Il ragazzo, alto alto e mazzo mazzo, col suo sacchettino di dosi, uscì dal locale con flemma anglosassone per quel tanto che bastava per sentirsi libero. Una volta sulla strada quella sua bella flemma da damino inglese fu lacerata via dalla sguaiata e disgraziata corsa liberatoria in direzione della libertà. Ma quella sensazione di vittoria all'ultimo respiro durò proprio poco. Il sacchetto, agitato come lo shaker di un barman, cominciò a lanciare dosi di roba buona lungo tutto il marciapiede. Il goffo non se ne accorse subito ma, per sua fortuna, quando non era ancora troppo tardi. Impiegò due o tre ore per arrestare la sua folle corsa, e poi si lanciò a ritroso nel repentino recupero delle sue belle bustine di sogni beati. Dovette tornare fin quasi alla soglia del Rocker per recuperarle tutte, per sua fortuna a quell'ora, nonostante la fermata della metropolitana non fosse poi così distante, il via vai su quel marciapiede era praticamente nullo.
Raccolta l'ultima bustina, Ton, si mise nuovamente in marcia in direzione della scassomoto, questa volta, però, con una camminata sicura e controllata. Missione compiuta.

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