1- La giornata perfetta
Era la giornata perfetta, il sole perfetto i profumi perfetti. Il cielo azzurro, la brezza leggera e le cicale, perfette anche loro, quelle cicale che ti accompagnano senza disturbarti con il loro rumore di sottofondo quasi costante, quasi lontano. Tutto nelle giuste dosi, tutto disegnato e costruito con precisione e maestria. Era la giornata.
In tutta questa perfezione Maria era l'eccezione. Era oltre ogni confine, avvolta in un aurea luce profumata al di là dell'umano. Come una cometa lontana si lasciava ammirare da sguardi ignoti provenienti dai quattro angoli della galassia e io, come loro, la seguivo lungo tutta la sua traiettoria visibile. Ogni quanti anni ripassa una cometa? Non avevo la risposta ma sapevo che la cometa delle comete stava passando proprio in questo istante a sole poche decine di metri.
Maria era ferma, immobile, seguendo la sua traiettoria era arrivata proprio davanti a me. Anche io ero fermo, da una vita, davanti a me. Quell'attimo unico in cui due punti dell'universo si incontrano nell'infinità dello spazio era adesso. Il mio battito, fatto di irregolari pulsazioni, accelerò improvvisamente fino a distrarmi. Lei mi abbagliava, mi accecava, non sapevo se c'era differenza, ma sapevo che in quel momento non mi interessava. Non riuscivo ad andare oltre il suo sorriso; era immenso. Il cielo era azzurro. Sentivo il suo profumo, era la prima volta che lo sentivo così intenso e delicato, era vero, più dolce di quello che ricordavo o che immaginavo e sapeva di fresco, non l'avevo mai notato, mi piaceva, forse no, anzi, sicuramente si! I suoi capelli sembravano morbidissimi raccolti sotto il cappellino, l'avvolgevano con delicatezza creando, con la luce che filtrava e flirtava con il suo volto, un profilo magico. Bellissima. Il sole splendeva. Le sue labbra erano un capolavoro disegnato a modello per i futuri artisti. Perfette e banali come solo la perfezione a volte sa essere. Si muovevano lentamente, si serravano e poi sorridevano con lentezza fino ad aprirsi a rilevare un sorriso che svelava i segreti nascosti nell'universo. C'erano fiori profumati nel prato. Dovevo intervallare i miei pensieri con banalità infantili per rimanere ancorato a questo mondo. Ero costretto se non volevo essere annientato da quell'istante così prezioso e carico di intensità che mi stava trascinando alla deriva. La sua bocca non emetteva alcun suono, anche le cicale avevano smesso di cantare. Tutto si era fermato per raccogliere quel momento unico; chiuso nella camera oscura della mia mente cercavo di imprimere nell'eternità quella bellezza. L'amavo, pensai di pensare. I suoi occhi, che fino a quel momento non avevo osato ancora violare, ebbero un sussulto improvviso, le cicale pettegole, che avevano interrotto i loro canti per appassionarsi al mio momento, decisero di insultarmi in coro. Una stretta e profonda buca si spalancò proprio sotto i miei piedi e io fui risucchiato e inghiottito nelle viscere dalla terra. Solo la testa sporgeva sul prato, come un pallone pronto per essere calciato lontano.
Rimasi sorpreso nel notare come il mio corpo immerso nella fresca terra avesse perso peso, non avrei mai immaginato di trovarmi sotto terra e sentirmi come sospeso a galleggiare nello spazio. Questa sensazione mi destabilizzò.
«Robert! Dico a te! Mi ascolti? Perché non rispondi? Forse anche questa volta non hai studiato?» Alle sedici, nel pieno pomeriggio di quella lunga giornata, Maria era sparita lasciando una flebile traccia del suo passaggio e il memento di quel momento nella mente di Robert.
Robert era un giovane e promettente scrittore, aveva vinto alcuni premi scolastici ed era riuscito ad assicurarsi l'ingresso presso la scuola per scrittori più prestigiosa. Il suo sogno da bambino era ad un passo dall'imbocco del viale principale. Un solo passo, o forse due, magari tre.
Il dottor Cooper si era raccomandato di passare quel pomeriggio dalla sede del'Accademia per ritirare la traccia del tema di ammissione. Ormai eran passati sei giorni, ventidue ore e un bel po' di minuti farciti d'attesa e preoccupazioni varie. Era tempo di andare, finalmente, a scoprire le carte e vedere la mano da giocare.
«Sono Robert Mancuso, devo ritirare la traccia d'ammissione ai corsi del professor Cooper...». «Attenda» disse la segretaria senza nemmeno alzare lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando.
Robert era impassibile, sguardo fisso sulla segretaria e respiro al limite dell'apnea.
La donna oscillò in avanti fino a lasciar cadere i grossi seni sulla rivista, avviò una lenta rotazione del grosso busto chinandosi sempre più lentamente, sfidando la robustezza della scrivania, fino ad accarezzare la rivista con la guancia sinistra. Poi, con un balzo brusco e repentino, si alzò sollevando il braccio destro e sventolando la busta gialla del prof Cooper. Un colpo da abile prestigiatrice.
Sorpreso da quel gesto quasi violento, Robert scattò in aria come un felino sulla sua preda sfuggente e afferrò violentemente la busta dalle mani della segretaria. Un gesto brusco che irritò la corpulenta donna: «ehi!... ma che....». Nemmeno il tempo di terminare la frase che il ragazzo aveva già voltato le spalle per perdersi nei suoi sogni. Erano modi che non gli appartenevano, ma la segretaria ancora non sapeva.
Il mondo di colpo si restrinse. Robert ne sentì quasi il boato, non poteva esserci altro oltre il contenuto della busta e la sua ansia; tutto il resto non apparteneva più a questo pianeta. Se ne rese ben presto conto anche lui, quando si accorse di quanto gli mancasse una boccata di aria fresca. Sì, forse stava esagerando, forse doveva rilassarsi un po'. Del resto era solo un temino, un piccolo test come ne aveva già fatti tanti e non era poi un caso che gli avessero offerto quella occasione: se l'era meritata! Perché scaldarsi tanto allora? Doveva solo rimanere tranquillo e rilassato e fare quello che più gli piaceva. Fece un grosso respiro e consegnò, con un leggero ghigno, la busta gialla al profondo buio della tasca interna del suo cappotto. Godiamoci l'attimo, pensò e si diresse verso le scale.
Uscito dal portone si sedette sulla panchina di fronte al piccolo cortile dell'accademia. Aveva bisogno di decantare, di riprendere i normali ritmi, di meditare e soprattutto di scoprire se la sua opera in corso fosse adatta al tema da svolgere. Maria sarebbe stata perfetta come prova d'esame? E se invece fosse stata inadeguata? Dubbi e ansie cominciarono a giocare a rimpiattino e a prendersi gioco dei suoi respiri. La soluzione era nella busta, perché ridursi così? Perché rovinarsi la grande occasione che gli era capitata? Decise, allora, di domarsi. Se il tema non fosse stato adatto al romanzo che stava scrivendo che problema era? Aveva forse paura della sua fantasia e non osava chiederselo. Erano stati giorni difficili gli ultimi trascorsi, è vero. La creatività narrativa ne aveva risentito ma lui non ne aveva dato peso, anzi negava. «La creatività non ha spazi né confini, come può esaurirsi o consumarsi?» Se lo ripeteva come un mantra scaramantico, ma ogni volta che questo sfiorava la sua mente erodeva ipocritamente la sua autostima e il suo morale. Doveva solo aver pazienza, rilassarsi e aspettare.
Ė bizzarro come lo scorrere del tempo sia strettamente collegato alle nostre ansie. Gli ultimi sette giorni erano sembrati non passare mai nell'attesa di quella busta gialla, viceversa il tempo trascorso su quella panchina era durato solo cinque, apparenti, minuti. Il suono, non troppo lontano, delle campane gli ricordò che eran passate invece tre ore piene e che era il caso di tornare tra i suoi contemporanei.
Si dette due colpi con il palmo della mano sul petto, come per ricordare, a se stesso e alla sua busta, che presto sarebbe arrivato il momento di scendere a patti. Sbuffò e, con un ghigno mezzo soffocato, si avviò per il tragitto del rientro. Le carte erano in gioco, le teneva in mano coperte e con il lento gioco di polso e pollici cominciò la lunga sbirciata. Erano attimi che andavano capiti per meglio essere assaporati, grovigli di pensieri, di trame, allusioni, aneddoti e sogni. Intrecci di perché, percome, di quando e di dove. Meno male che si era ripromesso di rilassarsi di non prendersela troppo per un tassello importante ma non fondamentale del suo sogno di romanziere! Stava bluffando a se stesso in maniera goffa e grossolana. Sentiva la sua busta scalciare come una puledra nervosa, sentiva i contraccolpi sul suo petto e quasi vedeva il cappotto gonfiarsi al ritmo di quei colpi. Ci mancò poco che non si mandasse a quel paese lì nel bel mezzo di quel marciapiede. Si fermò e lasciò trascorrere altri tre lunghissimi secondi. Doveva darsi una calmata!
Alzò la testa nervosamente e dopo aver guardato a destra e poi a sinistra in modo automatico, senza cognizione, attraversò la strada per raggiungere un locale che lo aspettava, a sua insaputa, da decenni. Doveva trovare il modo di domarsi e una pinta l'avrebbe aiutato di sicuro.
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