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~7~

Un giorno piovoso, come quelli precedenti d'altronde.
Arz aveva preso la decisione di uscire di casa per dirigersi al ponte che collegava quella piccola città al resto del mondo. All'inizio, appena uscito dal suo piccolo appartamento, si sentì scoperto, come se chiunque potesse attaccarlo in qualsiasi momento. In effetti era anche vero e fu questo il motivo per il quale rimase nascosto dietro un cassonetto per osservare chi passava sul marciapiede. Passó quasi un'ora nell'ombra del suo nascondiglio, tenendo stretto al petto l'album con dei fogli bianchi e una matita. Una volta sentitosi al sicuro, caló il cappuccio sul capo e camminó lentamente verso la parte settentrionale della città, verso il ponte. La sua mente era incentrata su un pensiero fisso: l'angelo oscuro che era piombato in casa sua come se nulla fosse. Gli passavano tanti pensieri per mente ed erano tutti dovuti alle storie che aveva letto. Poteva essere il suo angelo custode e il colore doveva dipendere dall'animo dell'umano protetto; poteva essere venuto per mangiare la sua anima...
Si bloccò d'un tratto per strada e portò le mani sui capelli. Li tiró come se bastasse per far uscire tutti quei pensieri dalla sua mente. Con gli occhi cercó quasi disperatamente qualcosa con cui distrarsi non curandosi degli sguardi straniti dei passanti. Lo sguardo si posò sui propri fogli e capì che lo avrebbero aiutato a distrarsi. Fino a pochi mesi prima quel metodo aveva sempre funzionato: disegnava qualsiasi cosa non lo facesse stare bene, pensando che in quel modo il male sarebbe rimasto incatenato nel foglio grazie alle corde di grafite. Da quando aveva smesso, i suoi mostri sembravano essersi nuovamente liberati mentre le prigioni di carta avevano cominciato a fare da pavimento nella stanza da letto di Arz.
Ricominció a muoversi ma questa volta corse, finché l'aria non cominció a mancargli. Le persone con cui si scontrava gli imprecavano continuamente contro ma continuó lo stesso a correre, voleva arrivare a quel ponte. In quel luogo sentiva di poter liberare se stesso, aveva sempre sentito quella sensazione. Il vento che soffiava sembrava, in passato, portare via tutti i suoi pensieri negativi per poi trasferirli direttamente sul foglio. Ormai non ci andava a causa delle comparse sempre più frequenti dei compagni di Jack: il suo incubo. Non capiva come fosse diventato così, ricordava che durante gli anni scolastici era l'unico che gli prestava un minimo di attenzione. In quel periodo invece si ritrovava a nascondersi e segregarsi in casa per non essere ricoperto di lividi e segni che lo facessero sentire sporco, usato. Il dolore che gli provocavano era andato man mano a scemarsi ma rimanevano comunque i segni impressi nella sua mente.
Con questi pensieri arrivó al ponte. Per sua fortuna non era minimamente cambiato, così si avvió verso la parte di parapetto ricoperto da numerose scritte colorate. Non sapeva perché ma si era affezionato a quel muro imbrattato che sembrava riempire con la sua vivacità una piccola parte del proprio vuoto.
Si sedette con calma e mise un foglio bianco sulle gambe, impugnando la matita ed osservando il cielo. Alzó la mano libera verso di esso e chiuse il pugno, prendendo illusoriamente una manciata di nuvole. Voleva davvero toccarle, provare la loro consistenza e sentirle sul viso. Immaginó un paio di ali, bianche per mimetizzarsi tra quei candidi "batuffoli"e diventare quasi parte di esse. L'immagine nella sua mente cambió e si ritrovó a pensare a Rakir, alle sue ali di un nero così profondo che probabilmente facevano invida alla parte di spazio più lontana dalla luce. Pensó a come dovesse sentirsi mentre volava tra le nuvole, libero ma con la consapevolezza che non sarebbe mai stato uno di loro, costretto a manifestare parte di una cosa dal quale voleva disperatamente allontanarsi.
Scosse la testa, non capiva più neanche quello che pensava. Abbassó la mano e la sfregó contro un occhio come se tutti quei pensieri fossero stati solo un sogno fatto ad occhi aperti. Rivolse lo sguardo al foglio e capì quello che doveva creare. Poggió la matita sulla carta e la fece scorrere formando le prime linee della propria idea. Man mano il soggetto che aveva fisso in mente prese forma e aggiunse poi tutte le ombre e le luci che servivano a renderlo perfetto. Sentiva che attorno a se il giorno trascorreva ma non gli diede conto, aveva iniziato e non poteva lasciare il lavoro incompiuto.
Dopo ore alzó lo sguardo e guardò nuovamente il cielo. Vedeva il sole ad ovest e le nuvole tingersi di un tenue arancio. Aveva lavorato minuziosamente al suo disegno ma solo in quel momento realizzó di non capire metà di esso. Il soggetto era Rakir, piegato in avanti mentre si poggiava su una spada. Arz non capì bene il perché di quella posizione ma ad aumentare la sua perplessità furono le ali e gli artigli sulle mani: non erano piumate, nere e all'apparenza leggere; erano invece composte da membrane e leggermente più piccole e visibilmente pericolose. Gli davano l'impressione di essere una vera e propria arma, non contando i lunghi artigli neri e affilati che nascevano dalle sue dita.
Arz provò quasi paura nel vedere quel disegno ma il problema non era tanto la figura ma il motivo di tutti quei dettagli aggiunti. All'inizio aveva semplicemente pensato di fare Rakir così come lo aveva conosciuto, non aveva idea di come lo avesse trasformato in un essere dall'aspetto demoniaco. Il ragazzo fu sorpreso dalla miriade di dettagli che aveva aggiunto e che sembrava non ricordare dell'angelo. Una di questi era una collana a cui era appesa una perla. Il disegno la mostrava metà oscurata e metà brillante. Non ricordava di averla notata.
Restó per altri minuti ad osservarlo perplesso, finché non si rimise in piedi. Alzó la testa e guardó a destra e a sinistra per assicurarsi che non ci fossero macchine, così da fare i primi passi verso la propria casa. Aveva il foglio ancora tra le mani, stretto sul petto. Non capiva perché lo stesse facendo ma sentiva uno strano legame con esso, come se fosse una parte importante della sua vita.
Arrivó alla fine del ponte con passo incerto. Si guardó attorno spaesato ma un rumore alla sue spalle lo riportò alla realtà. Scosse la testa e si voltò, notando che non c'era nessuno. Guardò in tutte le direzioni possibili ma nulla, non c'era davvero nulla. Riguardó il disegno stringendolo con le mani.
«Mi stai facendo diventare pazzo...»
«Non ho fatto nulla peró» Arz fece letteralmente un salto in avanti e si voltó nuovamente, vedendo Rakir in aria con le braccia incrociate. Le sue ali producevano un forte ventó che andó a scompigliare i capelli di Arz che li bloccó infastidito, ricordandosi appena in tempo di tenere fermo il foglio.
«Da quanto sei qui?»
«Pochi minuti. Ho fatto il giro della città per trovarti!»
Il ragazzo lo guardó ad occhi spalancati e sentì uno strano aumento del battito cardiaco.
«Hai perso tutto questo tempo per... me? Scusa non dovevi andare non so dove?»
«Chi se ne frega. Volevo rivederti e l'ho fatto, semplice!» Rakir alzó un sopracciglio accompagnato da un sorrisetto e poggió i piedi a terra, chiudendo le ali per diminuire lo spazio occupato. Si avvicinó ad Arz che nel frattempo cercava di rimettere il foglio disegnato tra gli altri. L'angelo, prima che potesse posarlo, gli bloccó un braccio.
«Per arrivare a disegnarmi vuol dire che ti manco, no?»
«C-che centra scusa? Sei un portatore di spunti ambulante» Il suo tono era parecchio nervoso, non sapeva esattamente come comportarsi.
«Come vuoi. Ma sappi che tu a me mancavi»
Arz si toccó il viso e lo notò più caldo del solito.
«Io... Devo andare a casa, si sta facendo buio» Il ragazzo sorpassó l'angelo con pochi lunghi passi ma ad un certo punto si bloccó. Aveva paura di restare solo in quel luogo desolato ma, in realtà, solo non era. Aveva un essere sovrannaturale a pochi passi da se che sembrava essere assolutamente vero. Anche se ad un certo punto aveva pensato di essersi creato inconsciamente un amico immaginario per colmare la solitudine ma non poteva non notare che fosse reale!
«Posso accompagnarti io. Dall'alto nessuno ti farà del male»
«Cosa?! Dall'alto intendi... Che vuoi farmi volare? Sei pazzo o cosa!»
Rakir diede le spalle al ragazzo e si piegò sulle ginoccia, aprendo le ali per consentirgli di salire facilmente.
«Non fare proteste, su! Sarà veloce e... Ti piacerà, ne sono sicuro» L'angelo sorrise e contagió anche Arz che, in un improvviso botto di adrenalina, corse verso di lui saltandogli sulla schiena. All'inizio balcolló, poi Rakir seppe riuscire a mettersi dritto con la schiena. Rivolse uno sguardo raggiante all'umano che intanto si aggrappava in ogni modo all'essere, specialmente nel momento in cui scattó verso l'alto. Arz rimase senza fiato a causa della velocità e Rakir fu accorto nel diminuirla, cercando comunque di non andare troppo piano a tal punto da cadere. Teneva il ragazzo stretto per le gambe e ogni tanto si voltava per osservare il suo volto meravigliato alla vista del cielo al tramonto così particolarmente vicino. Quel sorriso che sembrava così raro lo fece intenerire a tal punto che decise di cambiare strada, facendo il giro del perimetro della città per far durare più a lungo quel momento. Arz gli strinse un braccio attorno al collo e cominció a ridacchiare come un bambino. Allungó il braccio libero verso l'esterno e aprì la mano, cercando di toccare le poche nuvole che li circondavano.
«È fantastico. Devo disegnarlo appena sarò a casa. Grazie mille, Rakir»
«Non ce n'è bisogno. Questo non è nulla in confronto a tutto quello che potrei fare...» Rakir sentì la propria voce oscillare ma avrebbe fatto di tutto per non interrompere quel contatto con lui. Per una volta lo sentiva particolarmente vicino, una vicinanza che lo affascinava. Sarebbe rimasto fermo in quel punto alto, ad osservarlo, ma un'altra cosa si distinse in quel cielo arancio. Una figura nera, lontana e grande. Poteva passare per un uccello ma, mentre si avvicinava, Rakir capì cos'era o meglio, chi era.

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