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Il ragazzo di nome Arz, dopo aver chiuso la finestra, rientrò nel suo appartamento mal messo. Si piazzò al centro di quel che era la sua stanza da letto composta unicamente da un letto costantemente disfatto e un basso comodino in cui entravano a mala pena i suoi pochi vestiti. Cominciò a guardare il pavimento pieno di fogli accartocciati pieni dei suoi disegni e cianfrusaglie varie e polverose, cercando di ignorare il dolore che provava composto da fitte costanti ovunque, specialmente allo stomaco. Niente però faceva più male del dolore che provava dentro di se, quello che sentiva la sua anima. Quello era solo uno dei tanti episodi in cui quegli uomini volevano abusare del suo corpo, usandolo per soddisfare i loro malati desideri. Erano ormai tre anni che lo perseguitavano e in tutto quel tempo aveva scoperto solo il nome del "capo": Jack. Lui era il peggiore, il suo sguardo gli faceva perdere tutta la forza per ribellarsi, ne era terrorizzato. Quella volta era riuscito a scappare anche se non sapeva da dove avesse preso quella forza. Si era sentito improvvisamente rinvigorito, o qualcosa del genere, e per un attimo aveva sentito una strana sensazione, come se qualcuno lo stesse proteggendo.
Arz si circondó con le proprie braccia, stringendo gli occhi per impedire alle lacrime di uscire. Non sentiva quella sensazione di protezione da ormai quindici anni. Ricordava di aver sempre vissuto da solo, senza nessuno che lo proteggesse. Molti anni prima andava raramente a scuola e il tempo per studiare era occupato dal suo vecchio lavoro che non serviva, poiché veniva sempre cacciato dai proprietari degli appartamenti che non gli davano tempo per racimolare il denaro per l'affitto.
Guardò le pareti della stanza. Non ce la faceva più.
Barcollando si avviò verso la porta, uscendo e andando verso il piccolo bagno accanto. Questo era fatiscente, a mala pena funzionava il lavandino ma non poteva permettersi nulla. Si appoggiò su questo con le braccia, scaricando il proprio peso su di esse. Alzó subito lo sguardo verso lo specchio davanti a lui. Aveva alzato le maniche della felpa poiché le ferite che si era inflitto ardevano ancora; non aveva però il coraggio di guardarle.
Cominciò a osservare la propria immagine riflessa nello specchio, guardando ogni particolare di quel viso ancora infantile che doveva appartenere al ventenne qual era. I suoi capelli castani e scuri erano troppo lunghi e ricadevano sui suoi occhi blu scuro che in quel momento erano pieni di lacrime che non aspettarono molto per uscire. Gli bagnarono con fredde scie le sue magre guancie, ricadendo poi sulle sue mani e nel lavandino.
Non accennavano a volersi fermare ma si diceva che il pianto affievolisse qualsiasi dolore. Arz in quel momento stava anche peggio di prima. Continuò a guardare la sua immagine anche se era deformata dalle lacrime. Si sentiva un bambino, piccolo e indifeso, che non sapeva come affrontare la vita che gli si prospettava davanti. Troppe brutte esperienze e pregiudizi alle spalle e molte volte aveva pensato di farla finita. Considerava inutile la sua vita, visto che non aveva alcun scopo in quel mondo che gli si rivoltava costantemente contro. All'esterno aveva imparato a mostrare la sua indifferenza verso tutto quello che gli succedeva, almeno in parte, ma quando si rinchiudeva tra le quattro mura che componevano la sua casa si lasciava andare. Sfogava la sua frustrazione sul proprio corpo, sperando che un giorno sarebbe bastato per mandarlo all'altro mondo. Molte volte gli era capitato di stare per svenire ed era sicuro che se avesse continuato con i tagli sarebbe morto. Proprio in quei momenti si manifestava una strana sensazione. Sentiva una specie di vuoto, come se gli mancasse qualcosa... O qualcuno. In tutto quel tempo non era riuscito a spiegarselo ma fu grazie a questa sensazione che Arz era ancora vivo. Una parte di se la malediceva, poiché era a causa sua se viveva quella "vita" ma un'altra parte le era riconoscente poiché, in realtà, era curioso di sapere come compensare quel vuoto. Forse sarebbe potuto andare avanti, ricostruirsi una vita... Ma chi voleva prendere in giro. Quando poteva cercava di auto convincersi che qualcosa sarebbe cambiato ma ritornava subito alla realtà.
Arz si asciugò con un polso le ultime lacrime rimanenti sul suo viso e prese delle bende dal piccolo kit di pronto soccorso che aveva trovato in un appartamento vuoto. Sospiró e cominciò a fasciare le ferite, sperando che non si infettassero poiché era sprovvisto di disinfettante. Terminato il lavoro, strappó le bende in eccesso e fece un nodo abbastanza saldo per poi ritornare nuovamente nella sua stanza.
A passo pesante si avviò verso il proprio letto, scostò le coperte inutili essendo troppo sottili per il freddo che faceva, e si sedette con la schiena contro l'angolo del muro, guardando con occhi stanchi la finestra. La stanza non era più illuminata come quando era entrato e forse aveva capito il motivo. Qualcosa c'era fuori dalla finestra ma la vista del ragazzo era ancora parzialmente appannata e quindi non riuscì a distinguere al meglio chi fosse, poiché aveva intuito fosse una persona. Rimase immobile, cercando di ragionare: si trovava al terzo piano di un edificio in rovina, la cui scala per entrare nel proprio appartamento era ben nascosta e solo lui era a conoscenza della sua esistenza. Qualcuno doveva averlo seguito.
Scattó in piedi, cercando di non cadere in quel buio e fu solo allora che ricordò della figura vista in strada. Sembrava un fantasma, poiché aveva una forma umana, ma non riuscì a distinguere più di tanto. Allora stropicciò gli occhi con i pugni chiusi, per poi riaprirlindi scatto. Appena mise a fuoco l'ambiente notó che non c'era nulla, tutto normale.
Furente il ragazzo prese il cuscino e lo scagliò contro la finestra, scivolando poi ai piedi del letto e stringendo le ginocchia al petto. Tremava come una foglia, non poteva credere di essere impazzito; la figura però era lì, ne era certo. Cominciò a borbottare frasi sensa alcun significato dondolando e mettendosi le mani tra i capelli, stringendoli con forza. Dovette ammetterlo, per un attimo aveva pensato che fosse la cosa lo avrebbe sollevato dal suo stato.
Continuò a comportarsi come un pazzo senza sapere che fuori alla finestra qualcuno c'era. Questo trovava un miracolo essere stato visto, anche solo parzialmente, ma gli stringeva il cuore vedendolo in quelle condizioni. Poteva sentire la sua aura diventare sempre più oscura, era chiaro che per quel giovane non ci sarebbe stato il Paradiso. Sospiró e ritornó a guardarlo, nella speranza di essere rivisto. Appoggió le mani al vetro, per guardarlo meglio, producendo però un involontario rumore che fece sobbalzare il ragazzo all'interno.
Arz corse verso la finestra, spalancandola e affacciandosi, guardando ovunque nella strada. Non vide nulla e mai avrebbe sospettato di trovarsi faccia a faccia con un angelo oscuro. Rakir tentò per un attimo di toccarlo con una mano ma il ragazzo rientrò velocemente senza chiudere la finestra. L'angelo oscuro lo vide avvicinarsi ad un basso mobiletto e prendere da uno dei cassetti un piccolo coltello. Il ragazzo lo puntò contro la finestra, anche non vedendo nulla, tremante e con un sorriso disperato e sforzato.
«Chiunque tu sia, o qualunque cosa tu sia, entra e... Fatti sotto»
Rakir lo guardó perplesso prima di sporgere la testa all'interno dell'appartamento. Arz rimaneva sempre nella stessa posizione, come se non lo avesse visto, così l'angelo ne approfittò per sgusciare dentro, mettendosi in un angolo oscuro della stanza. Era curioso di sapere quello che avrebbe fatto, era letteralmente impazzito quell'umano uguale ad Aur.
Il ragazzo aspettó svariati minuti prima di decidersi a chiudere la finestra, sospirando e mettendo il coltello in una delle tasche dei suoi pantaloni. A quel punto gli toccava solo andare a letto ma vide ancora quella figura con la coda dell'occhio. Quella volta era reale, concreta, non il frutto della sua immaginazione. Ne era certo.
Il problema in quel momento era solo la paura di voltarsi e capire cosa fosse.
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