Capitolo 11
Edge of Seventeen
Occuparsi dei bulbi balzellanti impegnò ad Anne gran parte delle settimane successive, tanto da non rendersi conto che il cielo grigio dell'inverno aveva lasciato spazio a un azzurro più delicato, a un sole dai raggi più caldi e a delle giornate più lunghe e primaverili. In quel periodo Hogwarts assumeva tutt'altro aspetto: le facciate prendevano una sfumatura più calorosa e i panorama sempreverdi erano incantevoli. Il desiderio di stare all'aria aperta era diventato una necessità insistente, tanto da permettere alla maggior parte degli studenti di passare il weekend o le ore libere vicino al Lago Nero o nei campi nei pressi del castello.
Ma non per Anne.
Il silenzio regnava sovrano nel bagno dei maschi al settimo piano, la luce del primo pomeriggio illuminava poco più quella stanza dai colori già lugubri. Ogni tanto si poteva udire la goccia di qualche lavello che perdeva, il vociferare ovattato di qualcuno che passava lungo il corridoio senza sospettare minimamente di che cosa stesse succedendo dentro quella stanza.
In ginocchio sul marmo freddo che percepiva attraverso i jeans blu scuro, la ragazza cercava nella borsa marrone qualcosa con estrema insistenza.
Ancora un paio di tentativi e poi si spazientì. Si alzò e puntò la bacchetta verso la borsa.
«Accio fiala!»
Con un leggero fischio la piccola boccetta di vetro uscì dalla borsa e raggiunse le mani della giovane come una calamita.
Trascorrere il weekend libero in un bagno non era di certo nella lista delle dieci cose che preferiva fare durante il tempo libero, ma se si trovava lì, e proprio quel giorno, un motivo c'era. Per quanto potesse sembrare da pazzi o da stupidi, s'era svegliata con il solo pensiero di quel momento, l'attimo in cui avrebbe scoperto se la propria teoria si fosse rivelata giusta oppure no. Le piante magiche, o non, erano una sua passione, prendersi cura di loro era una soddisfazione e scoprire nuove cose, novità che nemmeno sui libri si riusciva a leggere, era sempre un'emozione.
"Ricorda, Annie, se conosci la pianta e conosci ciò che stai usando, allora non ci saranno più segreti."
Era questo che le aveva insegnato la madre e, il più delle volte, lo trovava azzeccato. Più delle lezioni della professoressa Sprite.
Agitò nuovamente la bacchetta con la mano destra e il maglione color senape appeso a mezz'aria, sostituto della porta, si spostò con fare raffinato come se mani invisibili lo avessero mosso con estrema cura. In un primo momento adocchiò il messaggio che aveva lasciato settimane prima ai gemelli sulla porta delle cabina di fianco, lasciandosi sfuggire un risolino delicato al loro "Agli ordini, Evans!"
Era stata sicuramente una risposta di Fred. Dei due, solo lui la chiamava per cognome.
Si avvicinò ai bulbi balzellanti ancora incastrati in quel ex-gabinetto, improvvisato come serra versione povera, e sorrise soddisfatta nel vedere le piantine decisamente più vive rispetto ai giorni precedenti. I bulbi erano di uno splendido viola, erano cresciuti abbastanza da esser grandi quanto l'unghia di un pollice. Le foglie erano di un verde brillante e si agitavano di continuo pronti alla difesa, come era nella loro natura.
Con estrema cautela, Anne prese dalla propria borsa una radiolina e picchiettò la superficie con la punta della bacchetta. Si illuminò per un momento e poi si spense, la luce traballò per un paio di secondi e, una volta stabile, una leggera musica uscì dall'aggeggio. La melodia non era perfetta a giudicare dalla vecchiaia di quel gingillo, ma servì comunque nel suo intento: le foglie dei bulbi balzellanti, piano piano, si agitarono sempre meno fino ad adocchiare movimenti lenti.
Ora, erano tranquilli.
«Bravi, tesori della mamma.»
La radio venne appoggiata subito in terra e Anne si inginocchiò nuovamente verso il confine con le piante dove iniziava il terriccio. Tastò con la mano il terreno e sfiorò le foglie verdi e morbide mentre la musica alleggeriva il silenzio assordante di quella stanza. Fu una casualità di qualche settimana prima che insospettì Anne nel riuscire a calmare quelle piante con della dolce melodia.
Infondo, cosa era il mondo senza musica?
L'indice destro si fece spazio tra il terriccio umido, l'odore di quest'ultimo le invase le narici assieme alla pozione fertilizzante che le ricordava le Big Babool che era solita mangiare da piccola. Per ogni foro creato doveva contare quattro gocce di pozione e, a giudicare dal numero delle piantine, sperava soltanto che bastasse per tutti.
Tanta era la concentrazione di quel momento, la precisione che doveva impiegare in quei gesti, che gli occhi erano totalmente fissi in ciò che stava facendo da dover sbattere le palpebre un paio di volte per concentrare nuovamente la vista in quel punto preciso. Quando notava un turbolo agitarsi più degli altri, le veniva spontaneo mormorare la canzone che la radiolina trasmetteva e, se l'udito non la ingannava, sembrava Stand By Me di Ben King.
Stava sul serio chiedendo, o meglio, cantando a una pianta di rimanere accanto a lei?
Soffocò una risata a quel pensiero e, non appena vide la pianta calmarsi, alla svelta mise quattro gocce di pozione nel foro accanto ad essa.
Non voleva di certo prendersi uno schiaffo da qualche foglia. Con tutto l'impegno che ci aveva messo, ci mancava solo quello!
Si allontanò, raddrizzò la schiena reggendo ancora l'ampolla. Si passò velocemente la mano libera sul volto e guardò le piante rinvigorite dalla pozione, le foglie che si agitavano e che ricordavano la coda di un cane al settimo cielo.
«Hai fatto un lavoro spettacolare.»
La voce maschile dal nulla la fece sussultare, si voltò e guardò George che si avvicinava con passo calmo, un sorriso amorevole e gli occhi che traboccavano di gratitudine.
«Non ti avevo sentito, perdonami. E devo dire di sì, sono orgogliosa di ciò che ho fatto.»
Lui, vestito con un paio di jeans chiari e una maglia a maniche lunghe beige, si accomodò al suo fianco. Incrociò le gambe e il pantalone salì ancor di più, superando l'altezza delle caviglie e mostrando le calze rosso fuoco che uscivano dalla scarpa da tennis.
«Quando saranno pronti?»
«Se tutto va bene il prossimo mese. Fine aprile o giù di lì.»
George annuì guardando i bulbi balzellanti agitarsi ora con più calma seguendo le note della canzone. Anne lo vide rilassato, il profilo contornato da quei capelli rossi e la leggera luce del sole accentuava di poco i suoi occhi: da marroni sembravano diventare poco più chiari, più dolci. Non si accorse di essersi persa tra quei colori che ricordavano un falò acceso in una sera d'estate, si sentì per un momento frastornata grazie anche alla sua presenza che, inconsapevolmente, aveva portato con sé il profumo di buono, di fuochi d'artificio appena scoppiati e che sembrò stessero scoppiando dentro al proprio stomaco, scaturendo una sensazione strana all'altezza del petto. Le ricordava vagamente un attacco di ansia, ma nato senza nessun motivo.
Sbarrò gli occhi dietro la montatura ovale quando vide George voltarsi di scatto verso di lei. Per un momento gli sembrò sorpreso, ma le sue labbra si allargarono prima di scoppiare a ridere.
«Cosa...cosa hai da ridere?» chiese titubante la ragazza, a fil di voce, arricciando la fronte senza comprendere.
«Sembra tu abbia messo la faccia dentro la terra.»
Anne abbassò lo sguardo e quietamente trattenne il respiro, si passò sulla guancia la manica della giacca blu notte che indossava in maniera frettolosa. Il cuore prese a battere velocemente, in un primo momento si sentì in imbarazzo per quell'osservazione fatta da lui.
Non fece in tempo a chiedere se fosse ancora sporca che George allungò la mano sul suo viso. Mai si aspettò che quel ragazzo dalle mani grandi avesse un tocco così delicato e poco percettibile, attento e curato, al tempo stesso vivo. Caldo.
«Direi che così va molto meglio.» sentenziò lui.
Anne rimase bloccata un secondo, paralizzata, il cuore che percepiva battere persino all'interno della gola e temendo in un primo momento che lui potesse sentirlo.
«Grazie.»
Si rimise subito in piedi e sistemò ogni cosa al suo posto, frattanto adocchiò con la coda dell'occhio George andare a lavarsi le mani. Sentirsi così agitata la rendeva tremendamente nervosa e lei sapeva, e ci avrebbe scommesso, che se fosse finita in quella fase avrebbe rischiato di fare cose senza senso.
Sentì i suoi passi avvicinarsi e gli occhi verdi di lei saettarono in cerca di un discorso qualsiasi per conversare, quasi potesse trovare un suggerimento tra gli scarabocchi incisi nelle cabine.
«Allora--» iniziò, voltandosi di scatto e mettendosi lo zaino in spalla, «Hai pranzato bene oggi?»
George parve un attimo spaesato. Lei si maledì e lui si fermò per un secondo, il sopracciglio che si incurvava leggermente verso l'alto.
Tutti gli studenti mangiano le stesse portate, senza nessuna eccezione di casata.
«Sì... grazie? Tu oggi non c'eri a pranzo?»
«Sì, sì c'ero, ma... sapevo che c'era una pietanza nuova, ecco...»
Lei si avvicinò, arricciò la fronte in maniera convincente mentre annuiva e affiancò il ragazzo per dirigersi verso l'uscita. Il fatto che George non avesse ancora risposto voleva dire soltanto che stava pensando, ragionando, ed era meglio non farglielo fare. Ci mancava solo dover inventarsi un nuovo piatto e che, perlopiù, non era mai stato servito. Se lo stava già immaginando in mezzo alla cucina a cercare di convincere qualche elfo a farsi dare questa "pietanza nuova".
Così Anne aprì la porta e si voltò verso di lui, cambiando nuovamente discorso.
«Gli altri dove sono?»
Lo guardò dal basso mentre lui ricambiava. Sembrava ancora nella fase del ragionamento, con quegli occhi socchiusi e la fronte appena corrugata dalla concentrazione.
Davvero ci era cascato? Eppure non lo ricordava così credulone con gli altri.
«Sono vicino al Lago! Vuoi venire?»
L'euforia improvvisa che mise in quelle parole come se si fosse risvegliato da un pensiero oscuro, rasserenò Anne con un piccolo sospiro.
«Certo. Avevo proprio voglia di andare lì.»
Doveva raffinare la tecnica. Assolutamente.
Da quando le cose tra Anne e George si erano sistemate giorni prima, l'equilibrio del piccolo gruppo di amici sembrò trovare una sorta di pace, un sospiro di sollievo, nonostante qualcuno si azzardasse a tenerli sotto controllo di tanto in tanto, specie quando frecciatine volavano qua e là e temevano una risposta furibonda dell'altro.
Ma, al momento, non capitò mai.
Già dalla fine di marzo Angelina e Alicia stavano organizzando una piccola festicciola per il compleanno dei gemelli, approfittando del 1° d'aprile e della sua cadenza nella giornata di sabato. Per loro voleva dire niente lezioni, né quel giorno né quello dopo, e all'apparenza sembravano più eccitati gli altri che i futuri festeggiati.
«Potresti anche sgarrare le regole, per una volta.» disse Lee il venerdì sera.
«Certo, poi mi spiegherai perché mi hanno chiesto di essere prefetto. Cosa dovrei fare dopo, togliermi punti da sola?» rispose Anne, voltandosi non proprio convinta.
«Dai, è il compleanno di Fred e George! Di George!»
«Guarda che ho capito!»
Anne sbatté il libro di Pozioni sul braccio del ragazzo in maniera scherzosa, facendolo ridere. Ognuno andò a consumare la cena nel rispettivo tavolo e, dopo, si congedarono per la buonanotte.
L'indomani, il tanto atteso compleanno dei gemelli, fu una giornata all'insegna degli scherzi dei due, tanto che Anne non riuscì a beccarli nemmeno per una frazione di secondo. Li vide correre avanti e indietro, fermarsi due secondi soltanto per capire in quale parte del castello erano finiti e cosa avrebbero dovuto fare dopo, ma dal momento che focalizzavano una possibile "preda", ecco che subito ripartivano a lanciare cacca-bombe o a far diventare i capelli di qualcuno di un colore strano.
Aveva preparato il regalo con giorni di anticipo, quel pacco dalla carta arancione e il nastro viola albergava sotto il letto aspettando soltanto di esser preso e dato ai diretti interessati.
«Come si fa a dare un regalo a qualcuno che non sta fermo due minuti?!»
Anne passeggiava per i corridoi verso il Lago Nero assieme alle sue amiche, quando Frederica, ragazza serpeverde, rispose.
«Puoi sempre dargli una botta in testa.»
E, quasi quasi, ad Anne parve un'ottima idea.
Il sabato trascorse velocemente e per grazia Divina riuscì a vedere i gemelli per due minuti, giusto il tempo per fargli gli auguri, ma tutti i Grifondoro sembravano in defibrillazione per la festa segreta di quella sera.
Arresa al destino che non sarebbe riuscita a dar loro il regalo in tempo, glielo lasciò nei bagni del settimo piano con tanto di bigliettino che avrebbe creato dei piccoli fuochi d'artificio non appena aperto. Poggiò la scatola di media grandezza vicino alle cabine igieniche, fece per girarsi e andarsene, quando due figure alte e dai capelli rossi entrarono di corsa.
«Evans! Il nostro angelo!»
Anne trattenne una risata nel vedere così euforico Fred che, addirittura, l'abbracciò senza scrupoli.
«Quello è per noi?»
«Sì, ho pensato di lasciarvelo qui per domani dato che la domenica passate spesso di qua.»
«Non verrai stasera? Possiamo aiutarti a entrare di nascosto.»
«Non può, Fred, o sarebbe già venuta. Giusto?»
Anne guardò George dire quelle parole e annuì. Certo che ci sarebbe andata se avesse potuto, ma ancora non era entrata nella fase dei ribelli e, molto probabilmente, mai sarebbe successo.
«Peccato.» disse Fred, schioccando la lingua nel palato e slegando il nastro viola, «Stasera avevamo in mente alcuni giochi babbani divertenti.»
Venne spontaneo ad Anne incrociare le braccia al petto, insospettita, inarcando un sopracciglio a quelle parole.
«Ah sì? Del tipo?»
«Il gioco della bottiglia, per esempio. O obbligo e verità.»
Fred alzò le sopracciglia per un secondo, diede una gomitata a George con fare giocoso che, al contrario, anziché essere entusiasta di quelle novità, allungò una mano verso il pacco regalo e strappò via la carta in maniera delicata.
«Cos'è?» chiese.
Anne avrebbe voluto incoraggiarlo a continuare, quando entrambi i gemelli scartarono il pacco con una mano a testa, rivelando una valigia rigida stile vintage e con un'incisione sulla parte superiore.
"WEASLEY&WEASLEY".
Entrambi i gemelli rimasero un attimo di stucco, voltandosi verso una Anne che si sentì improvvisamente impacciata.
Aveva regalato qualcosa di orribile?
«Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere ricevere qualcosa di utile per i prodotti...» disse, prendendo poi coraggio e avvicinandosi.
Prese la scatola tra le mani e la sorresse con un braccio. Nella parte davanti si poteva notare l'apertura in metallo che Anne sbloccò con il semplice tocco del dito, facendo aprire la valigia e rivelando l'interno. C'erano divisori rigidi che formavano scompartimenti grandi e che potevano diventare più piccoli a seconda della necessità. Gli stessi divisori potevano diventare più alti, a piacimento, e che si sarebbero rimpiccioliti una volta che la valigia sarebbe stata chiusa. Nella parte interna della chiusura sembrava ci fossero dei cassetti finti, con tanto di bottoncini che sembravano piccole maniglie ma che, in realtà, se aperti avrebbero rivelato un vero e proprio cassetto in cui riporre ciò che si voleva.
«Ho pensato che sarebbe stato utile per le vostre vendite.»
«E' fantastico!» urlarono all'unisono, guardando la ragazza con occhi sbarrati per l'emozione.
Fred si avvicinò per abbracciare nuovamente Anne, le strofinò i capelli in modo giocoso e prese la scatola con sé, salutandola con un «Ne faremo buon uso!»
Quando Anne si voltò verso George, percepì un sentimento diverso, gli sembrò improvvisamente impacciato e strofinava le mani sui pantaloni.
«E' stato un regalo grandioso, ti ringrazio.»
«Sono contenta che ti sia piaciuto... cioè, vi sia piaciuto. A tutti e due.» si corresse subito, schiarendosi la voce.
«Mi dispiace che tu non riesca a venire stasera, comunque.»
Anne alzò gli occhi per guardarlo, il suo tono sincero le accarezzò la mente più e più volte.
«George, sbrigati!»
La bionda si lasciò sfuggire una risata nell'udire Fred richiamare così il fratello, sorridendo a George e dandogli una carezza sul braccio.
«Vai, non far aspettare tutti, possiamo vederci domani. E' ancora il tuo giorno, oggi.»
L'indomani mattina, quando Anne raggiunse i ragazzi Grifondoro sotto il portico del castello, si fermò di colpo nel vedere le facce stanche e quasi tramortite sotto la luce del sole di un mattino inoltrato.
«Siete stati svegli fino a tardi? Ci sarebbe da farvi una foto.» le venne spontaneo dire.
«Dillo a quei due, non ne volevano sapere di andare a dormire.»
Anne ascoltò Angelina seduta su una panca e seguì il pollice accusatorio verso i gemelli che si stropicciavano la faccia in continuazione, appoggiati con la schiena contro il muro di pietra come se li aiutasse a stare in piedi.
«Ma si può sapere che avete fatto?» chiese Anne divertita nel vedere quel quadro.
«Quando i ragazzi più piccoli sono andati a dormire abbiamo giocato ad obbligo e verità, poi al gioco della bottiglia.» disse Fred, soffocando uno sbadiglio.
Anne alzò le sopracciglia, guardandoli uno per uno con fare sorpreso.
«Il gioco della bottiglia?!»
«Sì, perché, non lo hai mai fatto?» chiese Lee.
«No, grazie, e non ci tengo.» rispose rigida Anne.
La mente iniziò a galoppare con la fantasia e su cosa potesse essere successo la sera prima, ma, soprattutto, chi con chi.
«Avresti dovuto esserci, magari a una certa persona capitavi tu invece di Alicia.»
Lee sogghignò leggermente ma si zittì subito quando si beccò uno schiaffo da Angelina, in pieno centro di quella che la ragazza di colore soprannominò "Testa vuota!"
Anne si voltò a guardare George che ora era lontano dal muro sull'attenti, la bocca sorpresa da quelle parole. Al suo fianco, Fred sghignazzava con una mano a coprirsi la bocca.
«Era solo un gioco...» cercò di dire George.
«Be', che bel gioco stupido.»
Anne rispose in tono freddo e distaccato, guardando il ragazzo torvo e stringendo più del dovuto tra la mano destra un piccolo pacchetto arancione. Quel dannato pacchetto arancione che avrebbe lanciato volentieri in mezzo a un Tranello del Diavolo.
«A più tardi, ho delle cose da fare.»
Si congedò in fretta e furia. Iniziò a ribollire di una rabbia che sembrò prendere delle nuove sfumature di colore verde, mai percepite. Camminò veloce lungo il portico per rientrare nel castello, udendo solo le parole della sera prima dette dal rosso come un disco rotto, che ti faceva udire soltanto le stesse due maledette parole anziché tutta la canzone.
"Mi dispiace che tu non riesca a venire."
Come no! In un istante le venne in mente dove avrebbe spaccato volentieri quella dannata bottiglia, quando iniziò a sentire dei passi svelti dietro di sé.
«Anne, aspetta! Posso spiegare!»
«Non c'è molto da dire, George.»
«Ma perché te la prendi così tanto?»
Una mano grande le avvolse il polso piccolo, costringendola a girarsi per guardare George.
«È stata lei a farlo! Non ho avuto il tempo di decidere!»
«Ma davvero! Poverino! E io che mi ero preoccupata perché non avevo portato il regalo per te!»
«Aspetta... che regalo!?» chiese George sorpreso.
«Questo dannato coso qui!»
D'istinto Anne sbatté il pacco sul petto del più alto, che mollò la presa sul polso della bionda per afferrarlo e lei riprese a camminare.
«Ehi, aspetta!»
«Sai cosa? Menomale che ti dispiaceva che non potessi venire, chissà se fossi venuta a cosa avrei dovuto assistere!»
«Guarda che lo hai detto tu che siamo amici!»
«Cosa DIAVOLO vorresti dire!»
«Proprio quello che ho detto!»
D'improvviso, proprio in quell'attimo di silenzio in cui Anne guardava George con occhi furibondi e avrebbe voluto cantargliene ancora quattro - perché, poi?, udì un tonfo proveniente da un corridoio vicino, un rumore che, a quanto pare, udì solo lei. Quando George aprì bocca per parlare, lei si mise un dito davanti al viso e fece segno di stare in silenzio, concentrata ormai su un altro possibile rumore e con gli occhi che si guardavano lentamente in giro in cerca di qualcosa.
«Non dirmi di stare zitto!»
«Zitto! Non lo hai sentito?!»
Pareva ci fossero piccoli gemiti di lamento, un lamento sfinito e quasi straziante. Anne e George si guardarono per un secondo prima di seguire quei rumori e, non appena svoltarono il corridoio, videro una ragazza dai capelli rossi stesa a terra con un fantasma preoccupato che le ronzava attorno.
Fu d'istinto per Anne correre subito verso la ragazza svenuta e le si inginocchiò accanto notando il respiro flebile, sottile.
«Vai a chiamare qualcuno, George!»
I passi di lui si allontanarono un secondo dopo e Anne si concentrò nuovamente sul viso madido dal sudore della ragazza. La sfiorò, poggiò una mano sul suo volto e si accorse di quanto in verità la sua pelle era bollente.
Era Rebecca Cooper, una ragazza serpeverde.
«Rebecca... Ehi, Rebecca.»
Anne picchiettò il viso di Rebecca sperando che potesse servire a qualcosa. Da quella bocca semi-aperta parevano uscire parole soffiate via come uno sbuffo stanco, un vento che non sapeva più da che parte girare e che si stava afflosciando piano piano al suolo, come il suo respiro già debole.
«Rebecca...» la chiamò ancora, avvicinandosi al suo viso.
Anne vide le palpebre della ragazza aprirsi di scatto e le iridi azzurro ghiaccio che la misero a fuoco. I propri polsi vennero afferrati dalle mani dall'apparenza delicata, ma che in quella presa ci misero tutta la forza del momento.
«Non voglio... più vederlo.» sussurrò con decisione, nonostante le poche forze.
E un attimo prima che arrivarono i soccorsi, Rebecca perse i sensi.
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