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Capitolo 64 - Teaching Angels How To Die

River si guardava intorno, come se da un momento all'altro una bomba potesse esplodergli accanto al piede.

Tutti osservavano esterrefatti il cadavere di Adam Freideich, il corpo morto abbandonato mollemente sul lettino di metallo. Ivor scrutava con attenzione tutti i dettagli delle ferite inferte.

«C'è ben poco da analizzare», commentò alla fine. «È sicuro che sia stato Jep».

River annuì, passandosi una mano sul viso. Si sciolse la coda di capelli biondo cenere, e scosse i capelli mossi. Ivor non lo aveva mai visto con i capelli lasciati liberi, e rimase a fissarlo per qualche secondo.

«Siamo nella merda, Ivor».

L'uomo concordò, con cenno visibile della testa.



Gufo sembrava sofferente, febbricitante. Anita gli lanciava delle occhiate a intervalli regolari, per assicurarsi che stesse bene.

Nel buio della stanza che li teneva prigionieri riusciva a scorgere solo i suoi contorni, e sebbene sapesse che non fosse il momento giusto per pensare a quel tipo di cose, si ritrovò ad ammirarne la bellezza.

Gufo era algido, tetro, pericoloso e magnifico.

Anita si spostò, accoccolandosi vicino a lui. Appoggiò la testa sul suo petto, e sospirò pesantemente.

«Come ci si sente a essere prigioniero? È la prima volta che provi questa ebbrezza», chiese, sorridendo. Gufo tossicchiò in uno sbuffo di risata.

«Ho passato tutta la mia vita a essere prigioniero. Per assurdo, adesso che sono qua insieme a te ho meno paura di quanta ne avessi quando vivevo con Jep»

Anita socchiuse gli occhi, e si lasciò carezzare i capelli da Gufo.

«So che non è il momento giusto, ma volevo chiederti perché l'altra volta non hai voluto andare avanti».

Gufo voltò lo sguardo dall'altra parte, improvvisamente timido. Anita cercò di inseguirlo con la testa, ma lui non sembrava volerla guardare negli occhi.

«È meglio che non stiamo insieme, Anita. Ti faccio solo del male, di continuo. Anche quando non voglio fartene...»

Anita si voltò, parandosi a un centimetro dalla faccia di Gufo, l'espressione serissima.

«Pensi di poter decidere anche per me?»

Gufo trasalì, avvertendo una certa tensione crescere nel corpo di lei.

«No... ho solo supposto che fosse la scelta migliore per entrambi».

Anita assottigliò gli occhi, fissando Gufo con una intensità fuori dal comune. Non seppe dire se lei stesse per baciarlo o per ucciderlo.

«Quindi prima hai deciso di trasformarmi senza chiedermi il permesso, e ora decidi che non possiamo frequentarci senza interpellarmi?»

Gufo si allontanò leggermente da lei, per riuscire a osservarla meglio.

«Sei arrabbiata?»

«Sono furiosa, cazzo. Non riesco a capire come abbia fatto a trovarti attraente, anche solo per un attimo! Sei una bestia incivile», sbottò Anita, alzandosi di scatto e allontanandosi da lui.

Non voleva averci più niente a che fare. Stupido. Deficiente.

Piombò il silenzio per una decina di minuti. Gufo le lanciava delle occhiate di sottecchi, per cercare di capire se si fosse calmata o meno.

Anita rifletteva intensamente.

E se lui avesse avuto paura di lei? Anita si ritrovò a pensare che, ormai, non era altro che un fenomeno da baraccone.

«Sono arrabbiata, ma non ti ucciderei mai», proclamò Anita, sbuffando.

Gufo incatenò lo sguardo nel suo, serissimo.

«Come ti senti dopo Annabelle ed Eward?»

Anita si afferrò le gambe, e appoggiò la testa sulle ginocchia, le labbra arricciate in un broncio triste.

«Non volevo farlo... sai che non ucciderei mai nessuno. Non ho potuto controllarlo»

Gufo annuì. Avrebbe voluto avvicinarsi per abbracciarla, ma capì che non era un buon momento.

«Basta che tu non abbia paura di me. Posso sopportare tutto, ma non questo. Non ora», sussurrò lei, quasi nascondendo il viso fra le sue gambe.

Fu come se qualcuno lo avesse preso a pugni nello stomaco, ma cercò di non farlo trasparire dalla sua espressione.

«Non ho paura di te».



La loro casa, a Meshert, versava nel degrado più totale. Da quando Anita era stata prelevata, River aveva lasciato che lo stato di abbandono, che l'aveva sempre caratterizzata, prendesse totalmente il sopravvento.

River si accomodò sull'unico strapuntino di divano ancora libero, visto che tutto il resto era stato ricoperto da rifiuti e carta straccia.

Era conscio del fatto che a breve Jep sarebbe venuto a prenderlo; infatti, non aveva neanche tolto la maschera antigas.

Il suo cellulare squillò poco dopo, segnalando l'arrivo di un messaggio. River lo lesse senza alcuna emozione.

'So che andrai con lui. Mi fido di te. Riportala a casa.'

Rottemberg non gli aveva rivolto una sola parola dopo l'omicidio e l'evasione di Jep, e ora gli aveva mandato quel messaggio.

Il suo caposquadra doveva aver capito tutto, senza aver avuto bisogno di chiedere.

River sospirò profondamente, l'agitazione che iniziava a farsi sentire.

Teneva la Glock nella fondina, con almeno tre ricariche di proiettili. Jep era pur sempre il serial killer più famoso del mondo, non doveva e non poteva abbassare la guardia.

I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore che non si sentiva più da anni, a Meshert. Il rombo di un motore di un elicottero.

River trasalì, correndo ad affacciarsi alla finestra.

Jep, seduto al posto di guida, sventolava la mano in segno di saluto.

River gli rivolse un'occhiata tetra, prima di spegnere le luci e dirigersi sul tetto della loro casa.

River indossò i paraorecchie neri, e lanciò un'occhiata nervosa a Jep Tucci. Si era cambiato d'abito e si era fatto la barba. Non che River avesse idea delle condizioni in cui versava a Nikosia, ma immaginò che non gli permettessero di radersi né di indossare un completo gessato grigio.

«Salve, mio bel principe. Le presto il mio fedele destriero, per salvare la madamigella in pericolo», celiò, facendogli l'occhiolino.

«Avevi detto che conoscevi qualcuno che sapeva pilotare gli elicotteri»

«Sì, quel qualcuno sono io».

River sbuffò e gli fece cenno di partire. Ogni minuto che passava rischiava di fargli cambiare idea.

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