Capitolo 41 - Unlocking Memories
«NON SPARATE!» tuonò Rottemberg, mantenendo il fucile puntato e ben saldo contro i suoi colleghi.
Afferrò il megafono, rischiando di farlo cadere almeno due volte tanta era l'agitazione, e iniziò a parlare.
«È Anita lì con te, River?»
Il suono della voce di Rottemberg ebbe l'effetto di un calmante sulla psiche di Anita. Ritornò quasi a sentire il suo viso farsi più liscio e umano.
Anita alzò timidamente la mano, come a rispondere che sì, era proprio lei. River annuì, muovendo qualche passo verso Rottemberg.
Gli agenti che erano con lui, gente che non aveva mai visto in vita sua, continuavano a puntare le armi contro Anita. River lanciò uno sguardo perentorio a Rottemberg.
«Tutte le armi puntate contro la porta, dannazione!» urlò il caposquadra.
Rottemberg lasciò il megafono, e il posto di vedetta, per raggiungere i suoi colleghi.
«Dopo mi direte tutto, ora mettetevi al sicuro. Fuori dalla villa troverete Gus, appostato. Abbiamo portato qualcosa da mangiare per Anita»
Rottemberg sputò fuori tutto molto velocemente, per riuscire a tornare in tempo alla sua postazione.
Anita afferrò il braccio di River e si fece trascinare verso la salvezza.
Gus li attendeva in una via meno trafficata, attento che Jep non fuggisse da uscite segrete improvvisate. Ormai conosceva il suo modus operandi abbastanza bene.
«Oh, hai portato anche il mostro della laguna, Ri?»
Anita riuscì a trovare la forza di alzare il dito medio verso l'amico, ma poi gli sorrise amorevolmente.
«Sono felice di vedervi interi», asserì Gus, controllando con attenzione tutte le uscite circostanti, poi porse una busta di plastica verde ad Anita. La busta si muoveva a scatti, rivelando al suo interno tre topi vivi.
Anita si allontanò dagli sguardi indiscreti dei suoi amici e li divorò in rapida successione. Il sangue dei topi mischiato al putridume della sua pelle assunse un colore marroncino che non prospettava nulla di buono.
«Ora rimani qui e riposati. Io torno da Rott», ordinò River.
Anita fu tentata di obbedire, poi il pensiero di Gufo, intento a battersi con Jep al posto loro, la riscosse. Seguì River con risolutezza.
«Anche in questo stato riesci a essere insopportabile», commentò River, sbuffando. «Ci vediamo alla fine, Gus, rimani vivo».
«So che non ti importa niente di ciò che ho da dirti, ma voglio approfittare di questo momento in cui non puoi rispondere», esordì River, camminando verso Rottemberg, mentre ricaricava le munizioni alla sua pistola.
Aveva lasciato la Beretta che gli aveva lanciato Gufo, in custodia a Gus, casomai servissero prove. «So che Gufo è riuscito ad ammaliarti in qualche modo, riesco anche a capirne il motivo... ma lui, Anita... lui ti ha torturata. Io non so come tu possa averlo dimenticato, ma lo ha fatto».
Le parole di River grondavano un dolore che Anita non riusciva a definire in altro modo se non straziante. Lo ascoltò con attenzione.
«In più ti ha anche trasformata, senza rispettare la tua volontà. Questo non è amore, Anita».
River sembrava ancora dolorante, strizzava gli occhi molto spesso mentre parlava.
Anita non si fidava di Gufo, ma in quel lasso di tempo era riuscita a iniziare a provare un qualche tipo di sentimento nei suoi confronti. Era innegabile e inevitabile. Una sorta di contorta e inspiegabile Sindrome di Stoccolma.
«E se fosse tutto quanto un piano di Jep? Se lui fosse veramente cattivo?»
Anita negò con forza, muovendo il capo così tanto da farsi male da sola.
River si fermò, voltandosi verso di lei e afferrandola per le spalle. Ora riusciva quasi a intravedere il volto di lei, le scaglie stavano cadendo pezzo per pezzo, rivelando di nuovo il viso dolce di Anita. River le sorrise.
«Io sono innamorato di te, Anita. Lo sono da anni. Quando ti hanno rapito la prima volta mi sono sentito morire. Non sono riuscito a salvarti. Ho passato tutto questo tempo a sostare in questa bolla, che fatico a chiamare vita, solo per riuscire a farti avere la tua vendetta»
Anita sgranò gli occhi. Si rese conto che, finalmente, avrebbe potuto parlare di nuovo, ma non si azzardò comunque a farlo.
«Solo che poi ho capito che tu questa vendetta non l'avevi mai chiesta... Non a me, almeno».
Anita alzò la mano robotica e gli carezzò la mascella. La morbida barba che la ricopriva frusciava contro il metallo della sua mano.
«Mi dispiace tanto», concluse River, afferrandola dalle spalle e abbracciandola stretta.
Anita sospirò a fondo, cullandosi nell'odore di casa che traspirava dalla divisa e dalla pelle di River.
«Grazie River», sussurrò lei, con voce roca.
Il pensiero delle torture di Gufo riaffiorò, violento e terribile, come un calcio in pieno petto.
«Mi senti, piccola detective?» biascicò con la sua voce da felino annoiato. Anita rabbrividì, terrorizzata. Si accucciò più che poté in fondo alla sua gabbia, stringendosi forte le ginocchia con le mani. Lui iniziò a battere le dita a tempo contro le sbarre viscide di umidità. Sembrava allegro.
«Non mi parli?» insisté Gufo, ridacchiando. Aprì la gabbia con due gesti secchi. Vedendo che Anita non si muoveva dal suo nascondiglio diede un pugno forte contro il metallo, facendolo vibrare. Anita scattò, coprendosi le orecchie, poi gattonò verso l'uscita.
Gufo la afferrò per i capelli, facendola strisciare a terra.
«Devi rispondermi quando ti parlo, hai capito?» urlò, tirandole sempre di più il cuoio capelluto.
Il dolore non era niente in confronto al senso di umiliazione e paura che sentiva.
«S-sì... h-ho c-capito», mormorò Anita, cercando di portarsi le mani sulla testa, per evitare che gli strattoni di Gufo facessero così male.
«Bene», ridacchiò lui, lasciandola ricadere a terra. «Mi piace quando obbedisci»
La sua pelle era tornata normale, realizzò toccandosi il viso.
Non seppe dire perché le tornò in mente quel ricordo, cercò di soffocarlo, riportando in primo piano ciò che Gufo aveva fatto per lei in quell'ultimo periodo.
Le parole di River, però, avevano sbloccato un pericoloso pensiero.
Tutto quello che Gufo avrebbe mai potuto fare per lei non sarebbe mai bastato a redimerlo.
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