Capitolo 39 - Bloodstream
Anita lo fissava come una sacerdotessa avrebbe idolatrato una figura sacra. Non riusciva a spiegarsi come potesse vedere in lui la salvezza, nonostante le stesse dicendo delle cose orribili.
Aveva di nuovo la consapevolezza di non averlo perso. Il pensiero riuscì a donarle una pace interiore che non avrebbe mai sperato di poter sentire, mentre era rinchiusa in quella cella.
«Mi dispiace per quello che ti è successo», mormorò Anita, con voce tremante. «Ma io sono sempre dalla tua parte, Gufo. Combatterò insieme a te, in ogni situazione».
Lui sembrò restio, ma nonostante tutto mosse alcuni passi verso di lei, inginocchiandosi di fronte al suo viso emaciato.
Gufo aveva rilassato i lineamenti, anche il suo sangue aveva ricominciato a scorrere in maniera regolare. Anita poteva avvertire ogni sua pulsazione, ogni suo respiro. Se si fosse concentrata abbastanza avrebbe potuto sentire il crepitio delle sue cellule morte cadere a terra, in un infinito rinnovarsi.
«Voglio continuare a pensare che tu non sia come loro», mormorò lui, accarezzandole la guancia. Il corpo di Anita venne cosparso da brividi. Il minimo tocco di lui riusciva a renderla di gelatina. Si maledisse internamente, incredula.
«Davvero sono l'unica persona di cui ti importa qualcosa?» chiese lei, fissando i suoi occhi in quelli glaciali di Gufo.
Lui si irrigidì, come se avesse completamente dimenticato ciò che le aveva confessato pochi minuti prima.
«Credo di sì», rispose Gufo, serrando le mascelle.
Lui stesso doveva trovare quella situazione parecchio bislacca.
«Pensavo mi avessi tradito davvero, stavolta», confessò lei. Le dita di Gufo stavano seguendo il contorno del suo viso, lentamente.
«L'ho pensato anche io», mormorò Gufo, di rimando. «Hai fame. I tuoi occhi sono in Blinkt»
Anita lo fissò, perplessa.
«Quando i tuoi occhi diventano gialli. Si chiama Blinkt», spiegò Gufo, in risposta alla faccia spaesata di Anita.
«Non credo sia fame, comunque», bisbigliò lei, facendosi piccola piccola.
Gufo allargò le labbra in un sorriso malizioso.
«Purtroppo, mi duole informarti che non credo sia il momento giusto per quello che hai in mente»
Anita ridacchiò, sentendosi al sicuro. Non importava che si trovasse in un sotterraneo, prigioniera del peggior sadico del mondo. Finché Gufo era con lei, poteva dirsi salva.
«Perché non lo hai mai ucciso?» chiese Anita, perplessa, mentre Gufo le massaggiava delicatamente i polsi incatenati.
«Prima che tu piombassi nella mia vita non avevo alcun motivo di farlo. Era uno schifo, ma non avevo nient'altro», spiegò Gufo, atono. «Quando ti ha liberata, la prima volta, ho deciso che avrebbe sofferto di più in prigione. Che avevi ragione tu. La morte è sempre la scelta più facile e niente di quello che potrei infliggergli potrà mai ripagare ciò che ha fatto».
Anita annuì.
Fortunatamente nessuno era ancora sceso a cercarli. Jep doveva essere convito che Gufo stesse passando tutto quel tempo a torturarla.
Anita ebbe un fremito al pensiero che l'uomo che era lì con lei avrebbe potuto farlo anche in quel momento. Che lo aveva già fatto...
«E Vin?»
Gufo scosse velocemente la testa, come a voler scacciare quel nome dai suoi pensieri.
«Mi mette i brividi. Non fidarti di lei. Qualsiasi cosa ti dica o faccia»
Anita lo squadrò, perplessa.
Se Vin riusciva a mettere i brividi anche a Gufo doveva essere una creatura di una potenza sconvolgente.
Lei avrebbe potuto uccidere Jep.
«Perché non lo uccide?» chiese Anita, scossa.
Il pensiero che quei due fossero davvero i suoi genitori la sfiorava appena.
In fondo, non era davvero cambiato niente. I suoi obiettivi non sarebbero variati dopo quell'informazione.
Erano due sconosciuti sadici per lei. Non c'era niente, tranne il DNA, ad accomunarli.
«Credo che dopo aver fatto gli esperimenti che l'hanno trasformata, Jep abbia pensato anche a un modo per farla tornare umana»
Anita formò una piccola o di sorpresa con la bocca.
«La tiene in pugno con quella promessa»
Gufo rimase ancora qualche secondo a giocherellare con le manette di Anita, nonostante lo stessero rendendo meno forte. Infine, si alzò da terra e si riabbassò leggermente per imprimerle un bacio sulla fronte.
«Stai tranquilla, presto saremo fuori di qui»
Anita gli credette.
Dovevano essere passate almeno sei ore. La noia stava rischiando di portarla alla pazzia. Anita iniziò a urlare a intermittenza per cercare di farsi notare da qualcuno.
Non che fosse una buona idea farsi notare da qualcuno in una casa di torturatori, ma doveva convincere uno di loro a liberarla.
Nessuno venne da lei fino al mattino dopo, quando niente meno che Jep Tucci si presentò al suo cospetto, stringendo qualcuno per la collottola e lanciandolo accanto a lei, privo di sensi.
Un tiepido torrente di sangue che fuoriusciva da una profonda ferita tra i suoi capelli. Erano lunghi, legati in un codino di caucciù che Anita riconobbe immediatamente.
«River! River! Svegliati, ti prego!» urlò lei, scuotendo il corpo del suo coinquilino.
«Era qui fuori che girovagava», spiegò Jep, con un ampio sorriso sul volto contratto.
«Che cazzo gli hai fatto?» abbaiò Anita, all'indirizzo del padre.
«Solo una leggera botta in testa per metterlo fuori gioco. Si riprenderà», spiegò Jep, alzando le mani in segno di resa.
La stava prendendo in giro. Era molto più di quanto potesse sopportare. Anita sentì la rabbia montarle nelle vene, nonostante le manette di titanio. Poteva avvertirla scorrere dentro di lei, con forza distruttiva.
«Vattene subito», mormorò Anita, cercando di separare le manette fra di loro, producendo un lieve crack.
Jep, evidentemente, non si aspettava quella reazione, tanto che stranamente le obbedì.
Non appena furono da soli, Anita accarezzò la schiena di River, cercando di capire se respirasse ancora.
Decise di non muovere il suo corpo, nel caso ci fossero lesioni gravi.
River respirava ancora, anche se in modo discontinuo.
Anita aveva fame. Quel sangue fresco era un invito a nozze per lei, tanto che dovette tapparsi il naso e muoversi velocemente lontano da River.
«Gufo!» urlò, cercando di attirare l'attenzione di qualcuno. «Ti prego, Gufo! Ho fame!»
Sperò che fosse una preghiera sufficiente per smuovere qualcuno, ma il silenzio che circondava quella stanza e i piani superiori erano incredibilmente pressanti.
In lontananza, solo il frinire di un grillo.
Il mattino dopo, River riuscì a spostare leggermente il suo piede, poi la sua mano e infine sembrò svegliarsi di soprassalto, prendendo un respiro profondo.
Lui si guardò intorno, preoccupato, poi scorse la figura minuta di Anita, circondata da una fitta coltre di oscurità.
Mosse dei passi incerti verso di lei, traballando.
«Non avvicinarti», lo ammonì lei, con voce gutturale.
River la ignorò, avvicinandosi sempre di più.
«River, ti prego», mormorò lei, sull'orlo di una crisi isterica.
Lui la raggiunse. Quando fu più vicino i suoi occhi nocciola si abituarono al buio pesto, permettendogli di scorgere i dettagli del viso della sua amica.
Era diventata una creatura molto simile a un gargoyle, grigia e con evidenti scaglie putrescenti. Due occhi gialli, con la pupilla sottile e verticale, lo fissavano intensamente. River sobbalzò, cadendo all'indietro, poi riprese il controllo di sé stesso.
«Raccontami che cosa sta succedendo», chiese River, risoluto.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro