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Capitolo 27 - Friend Or Foe?

Gus si diede dello stupido, mentre inspirava a fatica con la maschera antigas ben piantata sul viso. Aveva percorso il pezzo mancante di strada correndo a perdifiato. Aveva preferito lasciare il furgone ai colleghi, in caso ne avessero avuto bisogno. Era ben conscio che andare da solo era stata una mossa da novellino, ma, per la prima volta in vita sua, aveva agito di impulso. Sospirò, prima di entrare nella città .


Il maniero dei Restev brillava ai confini della notte, nella città sotterranea dove tutti i ricchi vivevano. Alexander aveva lasciato tutte le luci accese, producendo quella sorta di bagliore etereo che lo rendeva simile a una casa fantasma.
Trattenne i brividi di paura e decise di farsi coraggio.

Odiava quelle situazioni del cazzo, lui era fatto per un altro tipo di mansioni. Cercò di recuperare il fiato e poi si addentrò nel viale che conduceva alla porta principale. Due file di cipressi di materiale sintetico costeggiavano l'ingresso, rendendo l'atmosfera ancora più cimiteriale.


«Che cazzo...» mormorò Gus, togliendo la sicura alla sua Glock 19.


Si ripromise di mandare a fanculo Anita una volta tornato in centrale.
Diede una spallata alla pesante porta blindata che non si schiodò neanche di un millimetro.
Prese la pistola a due mani e sparò un colpo contro la serratura, che esplose facendo schiudere la porta in uno scricchiolio sinistro.


Gus, la Glock ancora stretta fra le mani, mosse i primi passi incerti verso l'interno della casa gigantesca.
L'enorme lampadario che troneggiava sul salone illuminava la stanza di una confortante luce calda. L'arredamento richiamava l'esterno della casa, barocco e con note alquanto tetre, grigie e marroni.


Gus si spinse più avanti, setacciando mentalmente tutti i posti in cui un uomo avrebbe potuto tenere un coltello.
Quella era senza dubbio una delle esperienze più adrenaliniche che avesse mai vissuto, si disse, strisciando contro la parete e verso il piano di sopra. Pregò che la casa fosse effettivamente disabitata, perché non avrebbe potuto sopportare la stessa sorte che era toccata a Brick e Anita.


Lui non era così forte psicologicamente.
La prima stanza sulla destra, in cima alle scale, sembrava essere uno studio. Gus fece il suo ingresso, furtivamente, controllando prima a destra e poi a sinistra che non ci fosse nessuno nascosto negli angoli. Poi accese la luce. Lo studio era una stanza dei trofei di caccia di Alexander. Teste di animali appese su tutte e quattro le pareti sembravano fissarlo, ridendo di lui. Una volta che si fu tranquillizzato decise di infoderare la pistola e utilizzare entrambe le mani per cercare indizi.


Proprio in quel momento, il suo cellulare squillò. Lo prese e rispose senza neanche leggere il nome sul display.


«Che cazzo è successo?» abbaiò Rottemberg, furioso.
«I miei agenti stanno cercando di capirci qualcosa. Io sono a casa di Restev, sto cercando il coltello»
«Sei cretino o cosa? Con quei criminali a piede libero ti sei andato a infilare in una casa frequentata da mafiosi, da solo?»


Gus sbuffò. «Grazie, mi servivano proprio delle parole di conforto»
«Torna subito in centrale, Gus»
«Non senza quel coltello. A dopo», sentenziò, prima di attaccare in faccia al suo capo.
Probabilmente avrebbe ricevuto una lettera di richiamo, ma decise che era arrivato il momento di prendere la situazione in mano.


Per un momento il suo pensiero andò a Sally e Tom. Sua moglie e suo figlio che lo stavano aspettando a casa, come tutte le sere. Fu solo un fugace attimo che fu sufficiente a far riversare in lui un fiume di angoscia. Si ritrovò completamente paralizzato dal terrore di non poter più vivere la parte migliore della sua giornata.


Improvvisamente si riscosse, deciso a tornare in centrale e lasciar perdere quella ricerca. Sarebbe tornato il giorno dopo, con degli agenti e maggiori sicurezze.
Proprio in quel momento, però, un rumore sordo di passi velocissimi che correvano per le scale lo immobilizzò. Il senso di angoscia si impadronì nuovamente di Gus. Non aveva idea di chi potesse essere. Amico o nemico?


I passi si interruppero proprio davanti la porta dello studio, che si riaprì cigolando.
La svettante figura dell'avvocato di Restev apparve accanto lo stipite della porta.


«Signor agente, non è molto legale quello che sta facendo» commentò Vin, con la faccia trasfigurata in una maschera di orrore. Non sembrava neanche più la donna pulita e ordinata che Gus aveva visto durante l'interrogatorio.

Sembrava un mostro con la faccia grigia e l'espressione morta. Un cadavere con artigli lunghissimi pronto a portarlo con sé in quel cimitero di casa, dove avrebbe passato il resto della sua eternità.


Gus non rispose, limitandosi a sfoderare di nuovo la pistola.


«Come mai si trova qui, avvocato?»
«Preservo gli affari del mio cliente», spiegò lei, come se fosse ovvio.
«Mi duole avvisarla che il suo cliente è morto in un incidente, mentre ci scortava qui», fece Gus, greve, ma mantenendo la pistola stretta fra le mani.


Vin rimase in silenzio per qualche secondo, poi scoppiò in una profonda risata. Sembrava quasi provenire dall'inferno stesso.


«Oh, lo so bene, l'incidente l'ho provocato io», asserì, con aria allegra. «Parlavo del mio vero cliente».


Gus iniziò a sentire puzza di bruciato, quando vide Vin farsi più vicina a lui. Indietreggiò, finendo contro la finestra.
«Stia indietro»
«Mi dispiace, ma questo non posso proprio farlo».



Rottemberg aveva spedito una squadra di agenti a perlustrare la zona adiacente al maniero Restev e il suo interno, ma non avevano trovato né Gus né il coltello Ataka.
Attese il ritorno di Gus in centrale fino a mezzanotte.


Sally aveva chiamato verso le undici per assicurarsi che suo marito stesse bene. Rottemberg l'aveva rassicurata, dicendole che c'era stata una emergenza e Gus si era dovuto trattenere per un turno notturno non previsto.


Non aveva ancora avvisato Anita e River della morte di Restev e della decisione improvvisa di Gus.


Iniziò a sentirsi debole e stanco. Non sapeva dire se avrebbe potuto sopportare la perdita di qualcun altro a cui teneva.
Spense le luci dell'ufficio proprio quando il telefono ricominciò a squillare incessantemente. Rispose a metà del primo squillo.


«Sì?»
«Caposquadra Rottemberg... è un onore sentire finalmente la sua voce», biascicò una voce viscida dall'altro capo del telefono.
«Chi sei?»
«Mi chiamo Jep. Immagino non serva dire altro».


Rottemberg si lasciò crollare nuovamente sulla sedia, il buio avvolgeva la stanza e anche i suoi pensieri.


«Che cosa vuoi da noi? Cosa hai fatto a Gus?»
«L'agente sta bene», asserì Jep, sorridendo. «Per far sì che le cose proseguano in questo modo dovrai accontentare alcune mie richieste».


Rottemberg si passò una mano sul viso, mentre si sentì attanagliare la gola da un profondo senso di panico.
«Dimmi».


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