Capitolo 17 - ...and then?
Anita aveva paura di addormentarsi. La notte avrebbe potuto tramutarla in qualsiasi cosa e lei non era abbastanza coraggiosa per sopportarlo. Gufo non sembrava capire cosa la stesse affliggendo.
Dentro di lei, avvertiva così tante emozioni che non avrebbe saputo dare un nome a tutte.
«Paura?» borbottò lui, comparendo improvvisamente alle sue spalle.
«Per quanto pensi di tenermi rinchiusa qui?»
«Finché il siero non fa effetto»
Anita serrò i pugni. «E dopo?»
Gufo scrollò le spalle, come se tutto il suo piano fosse talmente chiaro da non necessitare di alcuna spiegazione.
«Dopo ce ne andremo nel Distretto Dritch con la gente come noi»
Anita sbarrò gli occhi, sentendosi invadere da una rabbia cieca. Era così nervosa che avrebbe voluto mangiargli la testa e sputarla.
«Che cosa...?» mormorò lei, irata.
«Cosa non hai capito?» chiese Gufo con una faccia da schiaffi tale che dovette voltarsi di scatto per non guardarlo più.
«Non ho capito cosa diavolo ti ha detto il cervello per ipotizzare che io potessi essere favorevole a questa follia»
Gufo le sorrise, piacevolmente divertito da quella reazione.
«Tu avevi detto che avremmo dovuto collaborare per incastrare Jep»
Anita si voltò nuovamente verso di lui, sempre più confusa.
«E questo che dovrebbe significare?»
«Beh lo stiamo facendo, no? Tu diventi come me, quindi diventiamo più forti, lo uccidiamo e poi potremmo vivere insieme dove e come vogliamo»
Anita lo fissava, allibita. Non aveva mai sentito così tante idiozie tutte insieme, tanto che iniziò seriamente a credere che Gufo fosse anche stupido, oltre che completamente folle.
«Io non penso che tu sia interamente qualificato per elaborare piani di azione», asserì Anita, cercando di esporre le sue perplessità nel modo più calmo possibile.
«Punto primo: non ho mai detto che avremmo dovuto uccidere Jep. Punto secondo: avresti potuto ucciderlo anche da solo, se era quello che volevi veramente. E punto terzo, per l'amor di Dio, io non ho alcuna intenzione di vivere insieme a te».
Gufo le sorrise, teneramente, poi le toccò la fronte con il palmo gelido della mano e tornò a sedersi.
«Sta iniziando», comunicò atono, come se la sua trasformazione fosse una sorta di sit-com da vedere per rilassarsi.
Anita continuava a sentire la rabbia montarle dentro, era quasi insostenibile da una persona sola. Le stava scoppiando il cervello da tutto l'astio che provava nei confronti di... qualsiasi cosa.
Come se si fosse appena ravveduta, capì che tutte quelle sensazioni, a lei normalmente così avverse, stavano a significare che la sua trasformazione era effettivamente in corso.
Si chiese se avrebbe fatto male, se avrebbe ricordato le persone a cui voleva bene, se avrebbe mantenuto la sua fisionomia... tutte domande che non si sognò nemmeno di porre all'automa che si ritrovava davanti.
Lui la fissava, intensamente, come quando assisteva alle torture. Come se gli piacesse.
Rottemberg riuscì a trovare il coraggio di andare a fare visita a Brick solo quel pomeriggio. Il cuore pesante per il senso di colpa e il mal di testa martellante. Non avrebbe mai voluto vivere nuovamente quella sensazione. River era tornato a casa sua, sperando di trovare qualche pista su Anita, e Gus stava tenendo sotto controllo la centrale.
«Hai intenzione di entrare o no?» lo salutò Brick, vedendolo sostare sul ciglio della porta con in mano dei ciclamini violacei. Erano finti, ma ormai trovarne di veri era praticamente impossibile. Contava comunque il pensiero, si disse Rottemberg quando li aveva scelti.
Il capo della squadra duecentocinquantaquattro mosse degli incerti passi verso il collega e amico, cercando di non sostare per troppo tempo con lo sguardo sulla benda che Brick aveva sull'occhio. Brick sembrava raggiante, per quanto potesse suonare strano.
«Come vanno le cose alla centrale? Anita non è ancora venuta a trovarmi, quella stronza»
Rottemberg ingoiò a vuoto. Maledetto River, non gli aveva detto nulla.
«In centrale va tutto alla grande. Ci manchi», mugugnò Rottemberg, poggiando i fiori finti sul comodino accanto a Brick ed evitando accuratamente il suo sguardo. Il tono di voce dovette tradirlo, perché Brick si mise quasi sull'attenti e prese a seguirlo con l'occhio in modo ossessivo.
«Il grande capo Rott che afferma un qualcosa di dolce e piacevole? Sarò anche mezzo cieco, ma di certo non cretino. Che succede?»
Rottemberg ringraziò il cielo di non essere mai stato costretto ad andare in missione sotto copertura, perché come spia valeva meno di una chewing-gum spiaccicata a terra.
Brick sembrava spronarlo a parlare velocemente solo con lo sguardo di un solo occhio. Rottemberg assunse nuovamente la sua espressione fredda e vacua, che lo aiutava sempre quando doveva parlare di cose poco piacevoli.
«Si tratta di Anita»
Brick strinse immediatamente le lenzuola nei pugni.
«Credo che volesse cercarti. Per il suo bene l'abbiamo esclusa dalle indagini... non è ancora tornata»
Brick sentì la vena del suo collo pulsare in modo frenetico. Il feroce impeto di alzarsi dal letto di ospedale e scappare fuori a cercarla venne subito attutito dal dolore lacerante che provò alle costole e alla faccia.
«Grazie della visita, Rott. Ora vorrei stare un po' da solo».
Il caposquadra annuì, dileguandosi poco dopo.
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