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Capitolo 5

Eravamo stati chiamati tutti in palestra dai nostri professori. Il silenzio dilagava e ci spaventava, nessuno osava fiatare.

«Buongiorno ragazzi, ben ritrovati. Come sapete è uscito l'ultimo decreto del governo stamattina, che entrerà in vigore presso tutte le comunità scolastiche. Abbiamo l'obbligo di presentarvelo e imporvelo».

Guardavo Elia, lui ricambiava lo sguardo allarmato. L'intera situazione non puzzava solo a me.

«Da adesso, maschi e femmine saranno separati. Rimarranno nelle stesse classi ma la classe verrà divisa in due. L'attività fisica verrà fatta in due momenti diversi, i ragazzi in uno e le ragazze in un altro. Le conversazioni e i contatti tra i due sessi dovranno avvenire solo se veramente necessario». E in quel momento, in palestra, l'allarmismo iniziava a serpeggiare.

Io non credevo alle mie orecchie. Elena mi toccava il braccio ma sembrava non la sentissi. Come previsto, i professori erano già separati dalle colleghe donne.

«Silenzio!» ci richiamò subito il preside. Stava entrando il sindaco.

In palestra entravano dei militari e a quel punto avevamo già capivamo che non ci sarebbe stato alcun modo per evitare quelle restrizioni.

Da anni si vociferava dell'introduzione di leggi sempre più restrittive. Non avremmo immaginato fosse giunto il momento, proprio adesso, proprio ora.

«Questo è quanto per i luoghi di aggregazione giovanile. Per quanto riguarda la vita di tutti i giorni, vi verranno ritirati immediatamente tutti i dispositivi mobili e verranno sostituiti con tablet governativi che verranno utilizzati solo per questioni scolastiche. Questo per tutti i ragazzi dai 12 ai 25 anni. Il nostro compito è quello di tutelarvi anche sull'aspetto tecnologico. Controllo e sicurezza»

E lì le proteste stavano diventando decisamente più intense.

Ci stavano separando, ci stavano privando di ogni libertà fisica e morale.

«Le ragazze saranno sottoposte a test settimanali. Il tablet per le ragazze sarà l'unico dispositivo in loro dotazione. Ogni infrazione sarà punita penalmente anche se siete minorenni. Ragazze, non dovete dimenticare che il vostro ruolo nella società è soprattutto quello di procreare. Nessuna è esonerata dal farlo».

Mi stava venendo da vomitare. Per un attimo mi sentivo veramente uno schifo.

"Era dunque quella la ragione della mia esistenza? Sfornare figli?" Le più piccole iniziavano a piangere, comprensibilmente.

Guardavo le professoresse, anche loro erano in allarme.

"La maternità scientifica" stava entrando in vigore, eravamo all'ultima spiaggia.

Una volta in classe, scoprivamo i banchi già separati per genere, ragazzi a destra, ragazze a sinistra.

Solo gli insegnanti potevano valicare il confine immaginario tracciato nel mezzo della classe.

Noi ragazze sui nostri banchi ci trovammo abiti nuovi, una divisa nera, con pantaloni decisamente più lunghi per educazione fisica e un vademecum delle cose che noi ragazze avremmo dovuto rispettare. Le più assurde furono quelle di non guardare mai un uomo negli occhi e mai portarlo "in tentazione".

Elena ed io rabbrividimmo.

Giorgio e Elena si guardavano molto preoccupati, Elena quasi scoppiò a piangere davanti a tutti.

Cercavo di consolarla al meglio delle mie possibilità, ma era pressoché impossibile.

La lezione era ripresa "normalmente". I funzionari del governo avevano ritirato i nostri dispositivi.

Elia si tratteneva dall'esplodere, poi, una volta usciti i funzionari, aveva spezzato in due una matita, scaraventandola contro il muro.

«Fanculo!» aveva detto, guardandoci per cercare supporto.

«Fanculo! Permettere al governo, un gruppo di imbecilli, di dirci cosa è giusto o sbagliato. Non siete stanche? Non siete stanchi di tutto questo?» diceva a tutti e a nessuno guardando davanti a sé, con un tono quasi da rimprovero.

«Elia, siediti» gli aveva detto il professore, sospirando affranto.

«Ah, quindi a lei va bene questa situazione?» gli aveva rivolto Elia, irritato. Nel frattempo, Giorgio cercava di consolare Elena allungandole un fazzoletto, stando ben attento a non oltrepassare il limite.

«Non sta me decidere se questa è una cosa giusta o sbagliata. Avete sentito anche voi le parole del sindaco. Le tue proteste sono un azzardo, Elia, metterebbero tutti in pericolo e lo sai bene. Siediti!».

Elia si sedette incazzato alla sedia e sbuffo, odiava quella situazione e concordavamo tutti con lui.

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