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Capitolo 3

Mio padre era un uomo piuttosto severo alle volte, avevo orari molto ristretti per uscire, un coprifuoco assurdo.

Il giorno dopo infatti, tornai a scuola imbronciata, con un'espressione innervosita.

Una volta a scuola, mi misi in più infondo possibile, evitai perfino di parlare con i miei amici.

Presi a scarabocchiare il quaderno e come previsto quasi nessuno si accorse della mia presenza nonostante fosse raro non sentire un mio intervento..

Fuori la città era tranquilla, tanto che ad un certo punto iniziai a disegnarla. Feci un disegno vago, in penna.

Il fatto che fossimo lì ad ascoltare storie passate, in quel momento, non mi interessarono affatto.

Neanche mi accorsi del suono della campanella della ricreazione ed imperterrita continuai il disegno finché non percepii una presenza davanti al mio banco.

«Cécile...» Disse il professor Caruso, richiamandomi all'attenzione.

«Mh.» Risposi mentre cercavo l'azzurro per il cielo.

Il professore prese il mio astuccio con i pastelli e se lo mise sotto braccio.

«Cécile, ho affrontato un argomento tosto e complicato oggi, perfino Elia ha preso appunti. Non è da te.»

Lo guardai con aria colpevole, aveva ragione, non era da me.

«Invece di andare a casa, passerai un'ora con me in aula insegnanti a prendere gli appunti che non hai preso, mentre questo, lo tengo io» Disse Caruso sventolando l'astuccio.

Borbottai qualcosa che probabilmente lui sentì dato che mi rispose, senza girarsi dicendomi «Ringrazia che non ti metta un verbale, all'una in aula insegnanti, puntuale.»

E in quel momento mi stette veramente antipatico, il cielo era rimasto colorato a metà e odiavo lasciare le cose a metà.

All'una, controvoglia, andai in aula insegnanti. Bussai alla porta e al suo permesso entrai nella stanza.

Era accogliente e ben curata, le pareti di color giallo molto tenue, rendevano la stanza calda.

«Prego siediti» Disse il professore indicandomi la sedia accanto a lui.

Sgranocchiava dei taralli e io feci una smorfia perché morivo di fame.

Legai i miei indomabili ricci e lui nel frattempo osservava dei vecchi quaderni.

«Copia questi, erano i miei vecchi appunti.» Lo disse come se nulla fosse e invece, per me, era come toccare le sacre scritture degli appunti.

Presi il mio quaderno e iniziai a copiare gli appunti, non mancando a rendere quest'ultimi un'opera d'arte moderna.

Lui faceva le sue cose e ogni tanto dava un occhio a quello che facevo.

Cercavo di fare finta di nulla, ma il suo sguardo mi metteva soggezione. Eravamo veramente vicini e riuscivo a percepire il suo respiro.

Solo una volta osai ricambiare lo sguardo, ricevendo in piena risposta, come uno schiaffo, uno sguardo formato da viso serio e un sopracciglio alzato per perplessità sul suo volto.

«Che cosa c'era che non andava stamattina?»Mi chiese poi all'improvviso mettendomi una mano sulla spalla.

Lo guardai chinando la testa, che cos'era? Uno strizzacervelli?

«Niente, ero semplicemente disattenta».

Lui sottrasse la mano e guardò l'orologio.

«Mi faccio un caffè, vuoi qualcosa?» Chiese togliendosi la giacca del completo rimanendo in camicia.

Scossi la testa mentre lui si fece il suo caffè alla macchinetta.

Per la noia iniziai a disegnare una sua caricatura.

Ridacchiavo mentre lo facevo, appena si voltò nascosi il foglio nel quaderno.

«Prof, ho terminato la copiatura degli appunti, ma ora devo proprio andare».

Presi i miei appunti e appena il prof mi diede il consenso, sgattaiolai via.

Il giorno dopo, sul banco, mi trovai la caricatura del professore con dietro disegnato una specie di cespuglio con gli occhi.

Alzai lo sguardo verso il professore che faticava a nascondere un sorriso diabolico mentre guardava altro

Era stato Lui.

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