Capitolo 11
Fu un impresa per Valentino tenermi sveglia, crollavo ogni tre secondi con la testa in avanti e lui cercava in ogni modo di tenermela sollevata.
«Dai Ceci, non abbbandomarmi»
Niente da fare, ero troppo stanca.
Fu un clacson a svegliarmi di colpo tanto che sbattei la testa contro il poggiatesta.
«IMBECILLE, AVEVO IO LA PRECEDENZA! »Urlò Valentino insultando un altro automobilista.
Quando sentì il colpo della mia testa mi chiese scusa, anche se non aveva alcuna colpa.
«Almeno mi sono svegliata.»Cercai di tranquillizzarlo massaggiandomi la testa.
Una volta a scuola gli baciai la guancia e uscì dalla sua macchina iniziando a dirigermi verso l'ingresso della scuola.
Fu alla prima scala che mi accorsi che come una stupida avevo dimenticato il mio zaino nell'automobile di Valentino.
Infatti poco dopo lui corse con il mio zaino in mano scuotendo la testa.
«E questo?» Mi guardò stupito e io lo ringraziai mentre gli occhi delle ragazzine si fissavano su di lui.
«Grazie ancora...»Dissi e lui mi sistemò un ciuffo ribelle prima di salutarmi e raggiungere il suo veicolo.
Mi guardai in giro studiando quei sguardi che mi scrutavano e poi, facendo finta di niente, camminai entrando a scuola.
Davanti alla classe c'erano già appostati Elia che parlottava con Giorgio, li salutai entrambi.
«E così Valentino ti accompagna a scuola...»Disse Elia dandomi una serie di spintarelle amichevoli.
«Sì, sono sempre in ritardo»
Il professor Rossi arrivò dopo poco con le chiavi della classe in mano e ci guardò con leggero stupore.
«Buongiorno, siete in anticipo» Ci fece notare mentre aprì la porta.
Sgattoiolammo subito in classe e quando mi apprestai ad impadonirmi del posto più in fondo per poter comunque continuare a comunicare con i miei due migliori amici, lui me lo impedì facendomi cenno di mettermi davanti.
«Ma perché devo stare davanti?»Chiesi estremamente infastidita.
«Resta lì e basta, segui meglio la lezione»
Proprio quando fui sul punto di ribattere Elena entrò con il nostro maledetto bambolotto e appena mi vide, per poco non lo sbatté contro il banco.
Lei era più distrutta di me: i suoi capelli andavano ovunque volessero e aveva due belle borse sotto gli occhi.
«Io non voglio diventare madre»Mi sussurrò con un tono carico di disperazione.
Guardai il bambolotto che dormiva nella cesta che Elena si era procurata e gli mandai ogni tipo di maledizione esistente.
La lezione proseguì normalmente nonostante alcune risatine dei bambolotti e il fatto che dovetti cambiate il pannolino di quel bimbo che altrimenti avrebbe pianto a lungo.
Quando finalmente finì la lezione di storia e dopo che tutti consegnammo le nostre ricerche, il professore mi chiese di aiutarlo a portare il tutto in aula insegnanti. Mi legai il bambolotto dietro la schiena con un telo che mi ero ricordata di portarmi indietro e lo aiutai volentieri.
«Certo che saresti una madre formidabile»Mi fece poi notare e io sorrisi imbarazzata mentre percepivo che il bambolotto stava sbavando sulla mia schiena.
«Onestamente non mi interessa saperlo.»Vidi sbucare dalla sua tasca l'orsetto riscaldabile e io sorrisi intenerita.
«Se l'è portato dietro alla fine» dissi poggiando il bambolotto sull'enorme tavolo mentre con un fazzoletto gli ascugai la bocca.
«Non avrei dovuto? »Chiese poi e io scossi la testa facendogli capire che a me faceva solo che piacere.
«Posso tornare in classe? »Richiesi poi e lui annuì.
«Ci vediamo questo pomeriggio»Disse poi mentre il bambolotto continuava a dormire.
Passai le ore ad attendere che arrivasse il pomeriggio in fretta e quando arrivò ne fui entusiasta.
Effetivamente era un po' strano aggirarsi con il professore vestito di bianco, ma lui mi promise che si sarebbe cambiato proprio per non dare nell'occhio.
Lo attesi con il bambolotto nel posto pre stabilito. Riconobbi la sua BMW e la parcheggio non molto lontano da me.
Era vestito completamente di nero e la cosa dava molto meno nell'occhio.
«Forza, Mostrami questo posto magico»Tenni il bambolotto nello zaino von la testa che gli sbucava da una apertura.
L'insegna del negozietto di oggetti particolari e non... Era solo un grande outlet di prodotti di origine cinese avanzate da tutti quei negozi di vendita di prodotti della casa della zona che furono tutti chiusi dopo il blocco di importazione di determinati tipo di prodotti.
Mia madre e mio padre le conoscevano come "Cinesate".
«Non vedo roba del genere dalla mia infanzia»Disse Il professore guardando un contenitore di plastica riempito da liquido appiccicoso.
«Cos'è? »Chiesi al professore e sul suo volto apparse una smorfia disgustata.
«Slime... Andavano di moda nel 20...2018, era disgustoso averceli ovunque.»Disse poi mettendolo comunque nel suo carrellino.
«Ecco i gel scaldamani! »Dissi poi prendendone un paio per me.
Lui si guardava in giro, sul suo volto ero in grado di vedere un misto di stupore e molta nostalgia.
Ero sul punto di fargli delle domande che sarebbero potute però, suonare di "troppo" quindi riuscii a calmarmi e tacere prima di combinare un guaio.
«Perché mi guarda? »Gli chiesi notando il suo sguardo su di me mentre prendevo alcuni fogli e blocchi per i miei disegni nel reparto di cancelleria.
«Perché mi chiedo come mai una ragazza bella e intelligente come te si copra e continui a nascondersi... L'esempio di stamattina ad esempio, hai sempre questo vizio di andare indietro, ma perché? »
Iniziai a sentire il cuore in gola, vani i miei tentativi di provare ad emettere anche un semplice suono, era come se mi avesse fatto un incantesimo.
Bella io?
Cercai di schiarirmi il più possibile la voce prima di dire qualcosa.
Guardai il bambolotto sveglio che dopo sicuramente sarebbe voluto giocare.
«Non sono né bella né eccello in intelligenza prof... Sono una ragazza nella norma. Cerco di fare del mio meglio in tutto ciò che faccio, niente di più»
Lui sorrise e mi mise una mano sulla spalla.
«Uno scrittore francese una volta disse che la modestia non era altro che una forma di vanità...»
Mi lasciò la spalla e andò alla ricerca di non so cosa.
Mi aveva appena detto che mi stavo vantando?
«Non mi sto vantando professore... Per che cosa poi?»
«Lo sai bene che sei brava eppure ti ostini ad annullarti e non ti fa bene.»
La faceva facile lui, non era una donna né tanto meno una ragazzina obbligata a seguire programmi in preparazione alla maternità. Non gli obbligavano a diventare qualcosa che non voleva.
«Lo dica a questo bambolotto che non va bene il fatto che mi debba annullare e screditare. Lo dica al governo che ogni donna dovrebbe essere libera di scegliere se e quando concepire e avere un bambino. Lo dica a loro che non mi fa bene annullarmi, non a me. Io non appartengo a me stessa dal primo giorno in cui ho messo piede su questo mondo. Tutto quello che vede, che sente... È solo la proiezione che il governo vuole di una ragazza di 18 anni. Dovrebbe saperlo lei che è stato uno dei pochi privilegiati a vivere prima della grande epidemia.» Cercai di non alzare il tono della voce ma non ci riuscii. Non c'era praticamente nessuno se non il cassiere e un commessa che se ne stavano in silenzio a fare ciò che volevano.
Sapevo quanto valevo... Lo sapevano i miei amici, mio padre e mia madre.
Il bambolotto incominciò a piangere molto probabilmente perché aveva fame e così guardai il mio cesto con le cose da acquistare e mi diressi verso la cassa.
Imboccai con il biberon in bambino mentre, dietro la cassa, venivano proiettati luoghi a me sconosciuti: Montagne innevate, distese di rocce rosse e distese di ciliegi in fiore.
Guardavo quelle immagini con la certezza che non avrei mai visto qui posti, obbligata a confinare qui per il resto della mia esistenza.
Presi solo dopo un po' la consapevolezza che quelle parole piene di disprezzo verso il governo e la società le avevo rivolte proprio a lui.
Mi girai e lo vidi intento a fare altro...
Una volta acquistato ciò di cui avevo bisogno mi avvicinai a lui per chiedergli quanto meno scusa per la mia insolenza ma percepii come una strana tensione.
Le sue risposte diventarono di colpo fredde e calcolate.
Non mi guardava più in volto come era solito a fare ma evitava ogni contatto con me.
La cosa mi mise fortemente a disagio tanto che, piuttosto di chiedergli un passaggio verso casa, preferii mentirgli e dirgli che avevo altre cose da fare.
Lo salutai e mi sentii di colpo male, una stretta allo stomaco che mi impediva di ragionare con lucidità.
Avrei dovuto chiedergli scusa? Sì, avrei dovuto farlo.
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