Capitolo 1
Un automobile, che aveva deciso di rovinare la mia giornata andando sicuramente oltre al limite consentito su quella strada, si era permessa di scombinare i miei capelli che erano già abbastanza disordinati.
I miei ricci infatti mi finirono in faccia e per poco non inciampai rischiando perfino di perdere la faccia che, comunque, di prima mattina non era un bel vedere.
«Scusate! Permesso!» Urlai mentre correvo per cercare di prendere la metro che mi avrebbe portato a scuola più velocemente.
I miei lunghi capelli ricci e neri, si muovevano senza sosta finendo ogni tanto in mezzo alla faccia e ogni tanto anche negli occhi facendomi lacrimare senza sosta.
Arrivai ad una cruda conclusione: La giornata faceva già schifo.
«E fai attenzione!»Mi rimproverarono alcune persone con le quali avevo la costante sfiga di scontrarmi e, ogni volta che capitava, mi fermavo per chiedere scusa, prima di ripartire.
La mia carnagione scura, non faceva contrasto tra tutti quei abiti ancora più scuri, ero quasi invisibile e onestamente non mi dispiaceva affatto esserlo.
Una volta alla fermata della metro mi accorsi che ero arrivata molto in anticipo e che avevo perso fiato per niente.
Come ogni mattina guardavo gli schermi all'interno della metro. Ogni ora uno spot pubblicitario, almeno veniva spacciato per tale, ricordava dei trionfi raggiunti dopo il fatidico anno X, anno in cui tutto aveva iniziato a decadere.
Nel 2020 l'elevato inquinamento e malattie infettive avevano cambiato il pianeta terra per sempre portandosi via il 65% della popolazione terrestre.
I miei genitori mi raccontavano di quanto fosse dura sopravvivere, io ero piccolissima e la gente uccideva per del pane.
Il governo aveva deciso fosse meglio imporre regole rigide che avrebbero dovuto pochi anni.
Dopo 20 anni eravamo ancora qui in una situazione che poteva essere migliore per certi versi e altri no.
L'abbigliamento ad esempio era nero per tutti. Costava poco dicevano.
Facevano eccezione solo alcune categorie:
I politici, avvocati e giudici erano caratterizzati da abiti rossi. Erano i più importanti... Era raro vederli in giro tra la gente.
Il blu era affidato agli scienziati, a medici, infermieri.
Il bianco a tutti coloro che insegnavano.
A grandi linee in Italia funzionava così e chi non rispettava le leggi, faceva un torto alla patria e per questo meritava di essere giustiziato.
Parliamoci chiaro, io ero già totalmente contraria a quelle restrizioni imposte dallo stato fin da bambina.
Tante cose a noi adolescenti venivano nascoste.
Di "sesso", per farvi un esempio, non sapevamo nulla, non ci era consentito saperne e ai nostri genitori parlarcene.
Avevano un piano di nascite di cui parlavano da anni ma ancora, per fortuna, un nulla di fatto.
La mia vita era sempre stata caratterizzata da un sacco di no e "non devi" ovunque.
Il liceo che frequentavo era forse l'unico posto in cui mi sentivo al sicuro.
«Guardalo, sta arrivando» Disse Elena, la mia migliore amica.
Era di origini asiatiche, occhi a mandorla, pelle pallida e lunghi capelli corvini.
E chi stava arrivando?
Era Gabriele Caruso che, con la sua presenza, illuminava i volti delle ragazze che, cotte di lui, lo guardavano entrare in classe per sistemarsi.
«Sembra un angelo» Disse Elena che, senza aspettare ulteriormente, entrò in classe facendo a gara con le altre per accaparrarsi i posti ambiti in prima fila per vederlo meglio.
Era professore da poco tempo nella nostra scuola ma già aveva riscosso molto successo.
Io, per tutto quello spettacolo, scossi la testa ridacchiando e i ragazzi come al solito si interrogavano sul perché riscuotesse un tale successo.
Insegnava Storia, Letteratura e Storia dell'arte.
Poco si sapeva sul suo conto, era riservato con chiunque, persino con i colleghi.
Era però piuttosto visibile a tutti che era "Bello, giovane e incredibilmente intelligente".
Dopo l'appello iniziò con Storia, l'argomento era la Belle Époque.
Osservai il professore e mi divertii a studiarlo, lo facevo con tutti: osservavo le sue movenze, i suoi gesti e il suo modo di fare.
Si vedeva che gli piaceva il proprio mestiere.
Qualcuno fece qualche intervento ogni tanto, qualcuno fu interrogato e, due ore come niente, passarono in un batter d'occhio.
A ricreazione, tutti erano abituati ad uscire ma io restavo in classe a copiare appunti, perché ero lenta per via dell'uso degli evidenziatori.
Una delle poche che ancora preferiva la carta al comodo e pratico Tablet su cui fare appunti.
«Se non ti conoscessi abbastanza, giurerei che Sabato sei andata al fuoritutto degli evidenziatori nella cartoleria dietro la scuola» Disse all'improvviso il professore, aprendo le finestre e osservandomi mentre ero intenta a creare un'opera d'arte, invece che dei semplici appunti su cui poi studiare.
Non alzai gli occhi dai fogli, mi limitai a sorridere, mostrando al professore tutti gli evidenziatori di cui andavo fiera. Una fiera collezione che andava dai classici color fucsia e arancione fluo, ai colori più improbabili.
Il professore, prese una sedia e si sedette come avrebbe fatto un mio, compagno di classe: la sedia posta al contrario contro il banco, seduto con il petto rivolto allo schienale.
«Credo tu sappia cosa ne penso del tuo utilizzo esagerato degli evidenziatori»
Solo allora alzai lo sguardo per guardarlo negli occhi.
Erano così azzurri, sembravano finti da quanto lo fossero.
I suoi capelli scuri facevano un grande contrasto con l'azzurro quasi innaturale dei suoi occhi, valorizzando il colore.
Come faceva ad essere ancora single? Ogni donna avrebbe ucciso pur di avere un uomo del genere al proprio fianco, perfino io, che davanti alle mie compagne di classe mostravo totale indifferenza, fui travolta per un attimo, dal fascino silenzioso del professore.
«Ma ha anche sempre detto che ognuno è libero di prendere gli appunti come meglio crede.» Replicai poi abbassando lo sguardo, non riuscivo più a reggere quello sguardo attento e vigile del professore che sembrava mi stesse esaminando.
Era come una statua scolpita, il David di Michelangelo in carne ed ossa. Fisico atletico, corporatura slanciata, nessuna apparente sbavatura.
«Lascio i compiti sul portale online della classe, potresti dire ai tuoi compagni di farli?"
Domandò il professore guardandomi e in tutta risposta mi limitai semplicemente ad acconsentire.
Se avessi provato a pronunciare la parola "Sì" avrei fatto capire al professore ogni minima distorsione della sua voce.
«A dopo» mi disse poi l'uomo e tornai a respirare regolarmente.
Gli appunti... Erano comunque rimasti incompleti.
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