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The Picture

Il Natale era sempre stato il suo periodo dell'anno più felice. La sua festa preferita, in assoluto. Abigail – per famiglia e amici Abby – amava davvero il Natale. Ma quell'anno non era propriamente così. Non che non le piacesse comunque, ma nei suoi occhi azzurri, splendenti come il cono di luce del sole sulle acque del mare all'alba, non c'era la solita vitalità.

Quella mattina della Vigilia di Natale, Abby si svegliò prima del solito per aiutare sua madre con i preparativi. Senza contare che più tardi avrebbe dovuto incontrare Enid. Quando la sveglia interruppe il suo sogno, pensò che avrebbe voluto tanto gettare quell'oggetto infernale dalla finestra. Avrebbe preso chiunque avesse avuto la pessima idea di inventare un qualcosa di così disgraziato, e l'avrebbe appeso a testa in giù. E poi...

Non riuscì a finire il suo pensiero, quando l'urlo di sua madre risuonò per tutta la casa. Probabilmente anche il vicinato aveva sentito che la stava chiamando. «Appunto» borbottò la ragazza «a cosa serve una sveglia quando c'è la mamma?»

Di malavoglia Abby si alzò, strofinandosi gli occhi. Aveva voglia di richiuderli e dormire in santa pace ancora un po', ma sapeva che non sarebbe stato possibile per due motivi. Il primo era che se entro poco non fosse scesa in cucina, ci avrebbe pensato mamma Cheryl a buttarla giù dal letto. O magari avrebbe mandato Xenia, ed il che era decisamente peggio. La sua sorellina pestifera le avrebbe fatto venire di sicuro la lingua blu dallo spavento. Amava farle scherzi idioti, spaventandola.

Il secondo motivo invece, prettamente più semplice, era che Abby non sarebbe riuscita a dormire un'altra volta. Tanto valeva alzarsi, no?
Afferrò dei vestiti a caso e si sistemò, prima di scendere in cucina. Legò la matassa di capelli biondi in una crocchia disordinata e si sedette al tavolo della cucina, sbadigliando.

«Buongiorno, tesoro. Dormito bene?» chiese sua madre, riservandole un dolce sorriso. Abby annuì, sbadigliando come un ippopotamo. Per quanto, a volte, Cheryl potesse essere dispotica – quello era un aggettivo che aveva usato Xenia, quando si era infuriata così tanto che era diventata rossa come un peperone – era una donna dolce e sensibile, e amava la sua famiglia più di qualsiasi altra cosa.

Presto arrivò l'ora di uscire di casa. Xenia era già scesa in cucina da un pezzo, già pronta. Abby era combattuta tra il voler restare a casa, quell'anno, e il voler stare insieme a tutti gli altri. Che si riducevano irrimediabilmente ai suoi nonni paterni e una zia fin troppo impicciona per i suoi gusti.

Se state pensando a quel tipo di zia, sappiate che avete fatto centro. Abby e Xenia non vedevano di buon occhio Amethyst, in realtà quasi nessuno... Eccetto i suoi genitori e suo fratello. Papà John avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia, per questo adorava i suoi genitori e sua sorella. Ma Abby sapeva che Amethyst non era proprio così buona come suo padre la descriveva.

La ragazza osservò Xenia di sottecchi. Non ebbe bisogno di chiederle che aveva, quando tutti e quattro attraversarono il giardino e salirono in macchina. La sua sorellina aveva un'espressione dura, mentre si portava i capelli rossi dietro le spalle. La mascella era serrata, probabilmente nel digrignare i denti al pensiero della zia. I suoi occhi, scuri come tronchi d'acero, avevano una luce dura, un fuoco di rabbia che ardeva in essi, pronto a bruciare chiunque con finte carezze.

Se Abby aveva la fortuna di riuscire a dialogare con sua zia pacificamente, almeno qualche volta, per Xenia non era così. La Vigilia di due anni prima, zia Amethyst l'aveva fatta proprio grossa. D'accordo, forse non così grossa, ma a Xenia piaceva esagerare ogni tanto. Aveva avuto la faccia tosta di dirle, in breve, che il motivo per cui non aveva un fidanzato era il suo caratteraccio. E questo alla rossa non era proprio andato giù. «Vecchia befana antipatica, parla per te» aveva così borbottato, ma aveva avuto la fortuna di essere sentita solo dal destinatario dei suoi insulti e da Abby, che le aveva prontamente rifilato un calcio sotto la sedia. Amethyst non le aveva più rivolto la parola per il resto della serata.

Abby scivolò sui sedili dell'automobile, più vicina a sua sorella. «Hey, piccola peste» sussurrò, attirando la sua attenzione «qualsiasi cosa succeda lì dentro, tu evitala. E se c'è un problema corri pure da me» le sorrise. Xenia ricambiò il gesto, annuendo vigorosamente. «Va bene, grazie Abs.»

Cheryl, sul sedile davanti, aveva osservato la scena dallo specchietto, al contrario di John, concentrato solo sulla guida. Era sicura che un giorno, non molto lontano, sarebbero diventate grandi donne. Forse la sua Abby lo era già. Non sapeva di preciso quando fosse cambiata, ma immaginò fosse successo poco a poco, in quell'anno che per Abby era stato molto doloroso.
Su una sola cosa la sua bambina aveva ancora tanta strada da fare: andare avanti. Ma era sicura che avrebbe fatto anche quello, forse già lo stava facendo.

La famigliola arrivò finalmente a destinazione. Il luogo dove vivevano i nonni Albert e Sarah non era propriamente una casa, per Abby e Xenia era un castello a tutti gli effetti. Decisamente la loro villetta a schiera era molto più modesta, ma quel castello era parte dell'eredità di famiglia, insieme ad un sostanzioso conto in banca. Nonna Sarah era praticamente ricca sfondata, ragion per cui aveva vissuto nel lusso fin da giovane. In quanto unica figlia l'eredità di famiglia era passata tutta a lei. Poi, quando aveva sposato Albert, i due avevano unito le proprie eredità, che erano state nuovamente divise in seguito alla nascita dei figli, Amethyst e John.

«Questo posto mi mette i brividi» sussurrò Xenia avvicinandosi sempre più ad Abby, mentre insieme ai genitori percorrevano a piedi il vialetto di ghiaia che conduceva all'ingresso. «Fifona» ridacchiò la bionda. A differenza di sua sorella, non era affatto spaventata da quella magione. Anche se doveva ammetterlo, qualche volta, di notte, poteva sembrare davvero lugubre. Ma Abby aveva dei bei ricordi in quella dimora. Uno dei tanti, era di quando giocava ad esplorarla insieme alla sua migliore amica, Enid.

Quando quella mattina si erano scambiate i regali di Natale ed Abby le aveva detto che sarebbe stata al Castello, gli occhi nocciola di Enid si erano accesi di luce e ricordi. Avevano passato lì i migliori giorni d'estate, e si erano divertite a ricordarlo. Anche se Enid aveva diciotto anni come Abby, il suo entusiasmo restava ancora travolgente come quello dei bambini. Abby ricordò che l'indomani avrebbe dovuto chiamarla, e rivelarle se la zia Amethyst – o, come Enid la chiamava sin da quando era bambina zia rompicoglioni – avesse combinato qualcosa; ed era quasi certa che sarebbe successo.
Un attimo prima che George aprisse la porta del castello, Abby strinse il ciondolo che le aveva regalato Enid.

La nonna Sarah era una donna dolce ed elegante. Portava sempre i capelli candidi raccolti in uno chignon basso, e quell'anello che era un cimelio di famiglia. Si tramandava di figlia in figlia, ed Abby era grata che non fosse toccato a lei tenerlo. Non l'aveva mai rivelato a nessuno, ma trovava che quella pietra bordeaux incastonata nel cimelio fosse davvero orribile. I parenti accolsero tutti con un caloroso sorriso, ad eccezione di Amethyst. Era sempre così fredda, ma ormai le ragazze ci avevano fatto l'abitudine.

Il castello retrò era pieno zeppo di decorazioni. C'erano luci che illuminavano ogni più piccolo angolo di quella sfarzosa magione, per non parlare del meraviglioso, enorme albero di Natale che troneggiava maestoso nell'angolo del salotto. Così com'era, luminoso, brillante e decorato quasi fino a scoppiare, mise Abby immediatamente di buon umore. All'entrata, notò la ragazza, proprio sullo stipite della porta, c'era del vischio. Xenia ridacchiava ogni volta che la zia Amethyst ci si avvicinava sommessamente, lanciava un'occhiataccia a quella decorazione, quasi fosse una persona, e poi tornava a parlare con gli altri come se niente fosse.

Prima che tra allegri discorsi si spostassero tutti in sala da pranzo per la cena, nonno Albert prese le ragazze da parte. Abby sapeva cosa stava per fare. Consegnò loro due pacchi regalo: uno blu, l'altro rosso.
«Blu come i tuoi occhi, Abby» disse, consegnandole il regalo speciale. A Xenia invece, consegnò quello incartato in rosso.
Era una loro tradizione sin da quando Abby aveva imparato a leggere: ogni Vigilia di Natale, prima dell'inizio della cena, nonno Albert le regalava un libro. Negli ultimi due anni la ragazza si era avvicinata molto ai classici, e per questo, quando aprendo il suo regalo lesse il titolo La fattoria degli Animali, abbracciò il nonno, davvero felice.

Xenia fece altrettanto, quando scoprì che il suo regalo era un set per il disegno. Se Abby amava leggere, la passione di sua sorella era senza dubbio il disegno.
Dopo il felice scambio, con ripetuti abbracci e il sorriso felicissimo di quel burlone di nonno Albert, i tre si unirono al resto della combriccola, raggiungendoli in sala da pranzo.

La cena si rivelò piacevole e divertente. Di certo, non mancarono i commenti pungenti di Amethyst, rivolti per la maggior parte a Xenia, ma la rossa stupì Abby quando sembrò non lasciarsi sopraffare. La ignorò per tutta la durata del pasto, tanto che quella vecchia befana si arrese e dopo un po' smise di provare a punzecchiarla. E poi c'era nonno Albert, che faceva ridere tutti con le sue battute. Tranne la nonna Sarah, che lo trucidava con lo sguardo... Ma per Abby era proprio quella la parte più divertente.

A cena finita, Abby si alzò, ma non seguì subito gli altri in salotto. Doveva assolutamente correre in bagno per sciacquarsi le mani, tutte appiccicose a causa della coca cola che aveva rovesciato con una manata. Così, svelta, si allontanò a passo sostenuto dall'altra parte del salotto.
Oltrepassò la cucina, piena zeppa di piatti da lavare, e per poco non andò a finire addosso a George, che si apprestava a correre dall'altra parte della casa con una bottiglia di champagne tra le mani.

Classico del nonno, pensò Abby. Dopo la cena della Vigilia non poteva mai mancare dello champagne. «Signorina Abigail, le serve qualcosa?» chiese il maggiordomo, scusandosi per esserle quasi finito addosso, anche se non era stata colpa sua. «George, quante volte le ho detto che può darmi del tu e chiamarmi solo Abigail?» disse, prima di fare un sorriso di scuse al maggiordomo. Era una specie di tradizione ormai: si riprendevano a vicenda perché ognuno dava sempre del lei all'altra, ma nessuno metteva mai in pratica ciò che dicevano. «Scusa, George» disse Abby «comunque non ho bisogno di nulla al momento, grazie. Stavo solo andando in bagno» alzò le spalle.

George annuì, prima di dileguarsi con lo champagne, così Abby continuò il suo semi-giro esplorativo. Osservò per bene il tavolo della cucina, fino a quando i suoi occhi non si soffermarono su una ciotola che sembrava incartata. La ragazza seppe subito cosa conteneva, così senza perdere tempo ci si avvicinò. Dei biscotti allo zenzero, a forma di omino e già decorati, giacevano lì pronti per essere mangiati. Nonostante tutto quel cibo, ad Abby venne l'acquolina in bocca. Quei biscotti erano i suoi preferiti, ed erano ormai anni che la nonna ne faceva preparare tantissimi apposta per lei. Ecco un'altra delle loro tradizioni.

Con un sorriso soddisfatto e la pancia che già cominciava a gorgogliare, si avventurò in corridoio, diretta al bagno. Ma un pomello dorato a metà del percorso la fece bloccare.
Quello era il motivo per cui era pensierosa da quella mattina. Abby era ormai diventata bravissima a cercare di ignorare quel pensiero, ma ogni volta che vedeva quella stanza le tornava tutto in mente così vivamente.

Si accertò che nessuno fosse nei paraggi, e silenziosa come un gatto girò il pomello e oltrepassò la soglia della stanza. Prima della Vigilia del Natale scorso, quella camera l'aveva sempre attirata. Ci trovava qualcosa di incredibilmente triste e allo stesso tempo romantico. Poi aveva assunto un significato a suo modo speciale. Abby continuava a torturarsi ormai da due Vigilie con quel pensiero.

La camera non era troppo grande. Di fronte all'entrata c'era un camino, che Abby non aveva mai visto acceso. Non c'era neanche un'ombra di cenere o polvere, ma in quella stanza tutto parlava di una sorta d'abbandono e rassegnazione. Ad Abby venne il magone, ma ciononostante avanzò di un altro passo. Ed eccole: le due cose che immediatamente le fecero venire le lacrime agli occhi, quei due cristalli divennero ancora più luminosi di quel che già erano.

Sul muro, proprio sopra il camino, c'era un quadro che le era sempre piaciuto particolarmente. Il quadro che aveva assunto un significato profondo la vigilia prima di quella.
Il quadro raffigurava una ragazza dai capelli dorati come quelli di un angelo. Era sola, apparentemente, seduta su una panchina. Il viso si intravedeva appena, coperto per la maggiore dai capelli. Indossava un vestito nero e delle semplici ballerine dello stesso colore, e tutto in quel quadro, dalla posa del corpo alla scelta dei colori scuri, parlava di tristezza. Non c'era alcun dubbio sul fatto che la ragazza piangesse.

Abby sapeva chi era, nonostante il suo viso fosse coperto. Si trattava della sua trisavola, la madre della sua bisnonna, la stanza era sua. Si chiamava Lucy, ed era diventata molto triste quando aveva perso il suo amore, da ragazza. La stessa persona che con tratto sbiadito, quasi fosse un fantasma, era raffigurata accanto a lei e la teneva per mano. Il suo nome era Harvey. C'era il suo nome sotto la sua figura, con tratto così leggero, che se Abby non avesse passato ore ed ore ad ammirare quel quadro non l'avrebbe mai visto.

Sempre sul camino, sulla mensola quasi spoglia, il secondo oggetto che fece venire il magone ad Abby. In un vaso trasparente, una rosa bianca, secca, parlava di qualcosa di perduto e irraggiungibile.

Alla ragazza bastò fissare il quadro un'altra volta, perché le venissero in mente delle parole.

Every time I close my eyes it's like a Dark Paradise.

Abby adorava quella canzone, ma le metteva molta tristezza da quando Kol era... Scomparso. Avevano condiviso tanto, troppo, fino a farle scoppiare il cuore d'amore, e poi lui era passato al guardarla dall'alto. Triste, con le lacrime agli occhi, Abby strinse il ciondolo di Enid tra le dita della mano destra. Era una pietra di Acquamarina, intagliata a forma di rosa. Quando quella mattina aveva aperto il regalo della sua migliore amica, per poco non si era messa a piangere per quanto le piaceva. L'Acquamarina era associata alla felicità, e forse fu il solo pensare a Enid che la fece sentire un po' meglio. Anche se non da vicino, quella ragazza era portatrice di Gioia, il suo dolcetto personale.

Prima che Abby si decidesse a lasciare la stanza, sentì come una carezza sulla spalla. Un tocco gentile e stranamente rassicurante. Ma non poteva essere, Abby l'aveva di sicuro immaginato.
Sentendosi meglio, si lavò le mani e tornò in salotto dalla sua famiglia, con uno strano ma positivo pensiero in testa: sarebbe riuscita ad andare avanti, alla grande.

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