Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Una Festa Così... Party-colare.

San Francisco, 2029.

Era un flebile pomeriggio, un venerdì d'agosto che s'affacciava sul fine settimana. Dalla finestra penetrava a stento un cielo violetto, sporcato di arancione, privo di nuvole minacciose. Qualche led illuminava le nostre mani, intente a scrivere articoli di cronaca nera sempre attuali. In ufficio eravamo in tanti e avevamo lavorato come stacanovisti, senza neppure concederci una pausa caffè. Le guerre sembravano spuntare come funghi, e neanche tutto il nostro staff era sufficiente a raccontare quanto stava accadendo nel mondo. Camminavamo con pillole di iodio nello zaino, mascherine e razioni di cibo disidratato sempre a portata di mano. C'era tantissimo da raccontare, ma non starò qui a spiegarvi ogni dettaglio della situazione globale: se volete sapere cosa succede in questo folle 2029, comprate un giornale. È così che noi tiriamo avanti. La vita è diventata cara, e anche la morte non scherza. Tutto quello che accade nel 2029 è connesso, seppur terribilmente sconnesso...

Per quanto mi riguardava, avevo terminato tutto ciò che dovevo fare: scadenze rispettate alla lettera, ma io e il mio staff non avevamo più energie né per pensare, né per prendere decisioni – neanche le più banali. In quello stato di prostrazione arrivò una proposta inaspettata.

Proprio mentre stavo sbadigliando, un mio collega si avvicinò raggiante alla nostra postazione: l'entusiasmo dell'ultima ora di lavoro sembrava scorrergli nelle vene. Con un sorriso pieno di denti perfetti, ci chiese:
«Allora, avete deciso?»
«D-deciso cosa?» risposi, sbarazzando alcuni documenti sui bombardamenti avvenuti una cinquantina di chilometri da noi.
«Se verrete alla magnifica festa, ovvio! Ci saranno milioni di persone!»

Al sentire quelle parole, vidi i miei colleghi scambiarsi sguardi compiaciuti, rispondendo quasi in coro:
«Ovvio, che domande!»

La mia segretaria, Dorinda, confermò sventolando lo smartphone con un messaggio che, a quanto pare, valeva come invito. Io, invece, non ne sapevo nulla. Rovistai tra le notifiche del telefono, finché ne trovai una che avevo ignorato:

«Ah, eccola! Questa intendevate?»

Tutti strinsero i pugni in un gesto di esaltazione, ma io continuavo a essere perplesso. Abbozzai:
«State scherzando, vero? Ci bombardano a cinquanta chilometri da qui...»

Tutta la gioia che avevano in viso sparì di colpo (ricordava la delusione di quando sospesero l'NBA per il Covid-19). Con la mia solita espressione vuota e priva di risposte, ascoltai i loro commenti:
«Eddai, Ted! Non fare quella faccia! Ci saranno milioni di persone! Ci divertiremo di sicuro!»
«M-milioni? Ma come è possibile? Con la guerra che incombe?»
«Che ti devo dire? Vieni e lo scoprirai coi tuoi stessi occhi!»

Ci riflettei un istante, e un misto di curiosità e stanchezza mi spinse ad accettare. Dopotutto, anche la più grande bugia, se pronunciata con convinzione, ha un suo fascino. In fondo, finché i bombardamenti sarebbero rimasti a una cinquantina di chilometri da noi, non poteva succedere nulla di terribile... o almeno, questo era ciò che volevo credere.

Al termine della giornata, salutai tutti frettolosamente e chiamai un taxi. Continuavo a chiedermi:
«Com'è possibile organizzare una festa in un attico con milioni di persone? E soprattutto, in un periodo come questo?»

Poi pensai al mio collega, che di solito era precisissimo in calcoli e numeri. Se avesse detto "milioni", doveva pur avere un senso. Tornato a casa, mi lavai, scelsi con cura l'abito e sistemai la pettinatura: non volevo di certo sembrare un poveraccio trasandato. Scesi di nuovo, profumandomi sulle scale (con buona pace dei vicini), e raggiunsi la strada. Presi un altro taxi, diretto all'indirizzo dell'invito.

Mentre attraversavamo la città, la notte avvolse San Francisco come un manto. Mi ritrovai davanti a un grattacielo che, a dirla tutta, non avevo mai notato prima: era rosa e, pian piano, si tingeva di magenta.

«Assurdo... Con tutta questa urbanizzazione, come fanno a spuntare dal nulla questi edifici?»
Mormorai la frase a mezza voce, mentre mi aggiustavo la giacca. Dall'esterno, si sentiva già un volume di musica assordante, un boato che sovrastava qualsiasi altro suono. Era abbastanza fastidioso, ma nessuno si sognava di interrompere la festa. Un unico brano, monotono, sembrava rimbalzare sui vetri come un richiamo ammaliante.

«Ho fatto tardi, a quanto pare. Non c'è proprio nessuno per strada...»

La città era immersa in un silenzio irreale, rotto solo da quella musica assordante che rimbombava in lontananza. Entrai nell'atrio, dove due bodyguard mi squadrarono:
«Mostraci il messaggio...»
Glielo feci vedere, sperando che bastasse come pass, e uno di loro disse:
«Va' all'ultimo piano. Sarà... l'ultimo piano della tua vita.»
«Come, scusi? Può ripetere?»
L'uomo rimase in silenzio.

Presi l'ascensore colmo di dubbi, avvertendo la musica che mi vibrava nel petto. Le viscere si contorcevano a ogni rintocco. Quando arrivai in cima, le porte si aprirono – TIN! – e mi ritrovai nel pieno del PARTY.

https://youtu.be/IeQYfwgvblA

Musica assordante.
Gente ammassata nella penombra.

Un odore di benzina incombente.
Luci, laser, lampi che avrebbero potuto scatenare una crisi epilettica a chiunque.

Sentii subito che c'era qualcosa di profondamente sbagliato, ma ero troppo stanco per voltarmi e andarmene. Ero stufo di essere etichettato come il "vecchio" del gruppo e, a dire il vero, ero persino troppo esausto per scendere le scale e tornare a casa (per quanto, in cuor mio, sapessi che la situazione era pericolosa).

A parte i due bodyguard giù, non si vedeva altra sicurezza. "È un party, no?" pensai, forzandomi a tranquillizzarmi. "Cosa potrebbe mai andare storto?"

Determinato a trovare i miei colleghi, iniziai a farmi spazio nella calca. Notai che molte persone avevano movenze decisamente strane: sembravano dure come l'acciaio, ammassate come sardine, muovendosi senza una vera logica, neppure a tempo di musica.

«Permesso... grazie...»
Dopo un po' trovai un angolo in cui appoggiarmi, per osservare la festa senza prendervi parte. Ed è lì che notai qualcosa di sconvolgente.

Mentre si dimenava in mezzo alla folla, a un ragazzo scivolò un occhio fuori dall'orbita.

«Bleah!»
Trattenni a stento un conato di disgusto. Poi mi rimproverai: "Magari è un poveretto con un occhio di vetro. Non fare scene, Ted! Aiutalo piuttosto a recuperarlo." Con non poca riluttanza mi chinai a terra, per cercare di raccogliere quell'occhio perso tra i piedi dei ballerini.
«Pff! Milioni di persone... neanche fosse un concerto da stadio. Qui non saremo più di qualche centinaio!»

Gattonai tra le gambe sudaticce finché individuai il bulbo e, anziché prenderlo a mani nude, estrassi un fazzoletto dalla tasca della giacca. Era freddo, gelatinoso. Provai a richiamare l'attenzione del ragazzo:
«Ehi? Mi sente? Questo è suo...!»
Nessuna risposta. Continuava a ballare, di spalle. Lo toccai, ma nemmeno se ne accorse, complice la folla pressante.

«Ehi!» urlai, ma invano. Al che, decisi di farmi largo con più energia per guardarlo in viso e mostragli l'occhio.

Quando finalmente gli fui di fronte, mi si gelò il sangue.

Mi venne il voltastomaco – «PARTY!» 

Era una sorta di robot scarno, rivestito da una pelle umana a pezzi. Stava perdendo capelli, e il naso si era quasi staccato. Sudava olio e beveva senza freno un liquido che puzzava di benzina.
«Ma che...?»

Senza pensarci due volte, corsi verso l'uscita. Ma l'ascensore risultava inaccessibile per chiunque volesse andarsene.

Lo trovavo sempre occupato da nuove ondate di persone che entravano, ignare di tutto; e quando provavo a infilarmi a forza, le porte si richiudevano all'ultimo secondo.

Ogni volta che entrava gente nuova, normalissima come me, cercavo di avvertirli:
«Fermi, è una trappola! Non restate qui!»
Ma mi prendevano in giro. Più si fermavano a ballare, più perdevano tratti umani, trasformandosi in automi simili a statue di metallo, incapaci di ragionare o provare emozioni.

«Fatevi da parte! È un incubo!» gridavo fino a perdere la voce. Ma la musica sovrastava tutto, trasformandosi in un martello che mi sfondava i pensieri.

Sconfitto, tornai nel mio angolo, mi coprii le orecchie e crollai in un pianto disperato. Non riuscivo a gestire quell'orrore: ragazzi che provavano a sedurre ragazze ormai prive di sentimenti, ragazze che volevano sedurre ragazzi senza più capacità di pensiero. Tutti si riducevano a pezzi di metallo, attaccati a bottiglie di alcolici al sapore di plastica e benzina, ormai privi persino di un briciolo di lucidità da alterare. Non facevano altro che non essere più se stessi...

In quello scenario di desolazione, io persi i sensi. Forse fu la mia salvezza. Restare vigile in quell'atroce funerale di vite ed emozioni sarebbe stato ancora peggio. A posteriori, avrei fatto meglio a non mettere mai piede in quel posto.

Era un party... anzi, era il PARTY. Ma così PARTY-colare da lasciare chiunque, in un modo o nell'altro, senza un briciolo di umanità. Gente pronta a farsi mettere il "collare" da un'insensibilità irrazionale. Se solo avessi dato retta ai miei dubbi... chissà se, oggi, avrei ancora un corpo di carne e ossa.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro