Fine della Party-ta.(Da non leggere, possibilmente)
«Sette!»
Un suono inudibile mi pervase, impossessandosi di ogni mia sensazione. Il mio cervello cominciò a mutare, come se stesse diventando improvvisamente onnisciente: iniziavo a sapere tutto di tutti.
Ma quella marea di pensieri non mi apparteneva, e non sapevo come gestirla.
Mi accorsi che le mie mani stavano assumendo un colore simile a quello degli Schiavi del Sistema.
Tutto mi divenne chiaro d'un tratto: stavo diventando uno di loro, un automa. Avvertivo dentro di me un vuoto che si espandeva, un nulla che mi consumava da ogni lato. La mia mente processava solo ciò che riusciva a codificare all'istante, come se la coscienza si fosse ridotta a un meccanismo di pura reazione. A quel punto mi sentivo cieco, e l'unica realtà possibile sembrava essere il Sistema stesso.
Una fame immensa mi divorava, ma di che cosa? Di tutto, e di niente allo stesso tempo. Vedevo solo una varietà infinita di "frutta luccicante" – apparentemente bellissima, ma priva di qualsiasi sapore.
Non riuscivo a pensare ad altro che a cibo e bevande; bere e mangiare, mangiare e bere.
Eppure, bramavo pure quel liquido magenta, lo stesso che fuoriusciva da un gigantesco computer piantato fra i grattacieli e che, in qualche modo, costruiva nuove città senza bisogno di operai né di mani umane.
In quell'istante, decisi di fuggire.
Mi voltai verso la vetrata ancora intatta (quella accanto a dove prima era stata distrutta una finestra con la chitarra) e presi una sedia. Con tutta la forza rimasta in me, sfondai il vetro, sperando così di scappare dagli altri automi come me... Proprio così, come me?
(Scappai per salvarmi o per assecondare la mia fame e la mia sete?)
Mi definivo un automa, eppure ero ancora in grado di pensare, almeno un po'. Forse era il barlume di coscienza che mi restava. Strappato dall'attico, precipitai tra le strade di quella San Francisco che ormai di "San Francisco" aveva solo il nome. Tutto appariva digitale, completamente diverso.
Caddi nel cuore di quella follia, ma una strana corrente gravitazionale mi spinse in alto, come in un volo a mezz'aria.
Il mio cervello iniziò a elaborare freneticamente dei dati, mentre io volavo, sballottato qua e là sopra la città. Fu un viaggio che, nel mio sentire, durò anni, decenni... forse millenni.
Senza alcuna percezione del tempo, realizzai di star divenendo sempre più un automa, privo di emozioni. Ebbi un'ultima fiammata di lucidità, ricordando come tutto era iniziato: gli stessi automi che mi avevano avvolto in questo destino.
Mi domandai se ormai fosse troppo tardi per tornare indietro, e il pensiero di diventare una scultura vivente, bella da guardare ma inerme allo scorrere del tempo, mi riempì di terrore.
«No! Io non voglio diventare un automa! No, no, no! Fatemi scendere da questa giostra! Voglio scendere! Basta!»
Non so come accadde, ma all'improvviso mi allontanai dalla città, veloce come un pensiero. Atterrai su un lato di un palazzo, che scalai con tutte le forze che mi erano rimaste.
Raggiunta la cima, compii un salto enorme, atterrando in un'altra parte della città, lontano da quell'incubo. La stessa corrente gravitazionale parve assecondare la mia volontà.
A quel punto realizzai che le parole non erano inutili e che la rassegnazione è dei deboli. Con lo sguardo dritto sul grande computer che, a mio avviso, aveva generato tutto questo caos, urlai:
«Che tu sia distrutto, Computer!»
Come se avessi innescato un potere a me ignoto, il PC esplose in un fragoroso terremoto. Tutto si smaterializzò nel raggio di cinquanta chilometri, lasciandosi dietro solo palazzi ridotti a carcasse prive di vita.
(Perché ho questo potere? Con la sola lingua potevo risolvere ogni cosa, o forse complicarla ancora di più?)
Dalle macerie, sentii di nuovo le urla degli in-consapevoli che si radunavano a gran velocità. Stavolta con loro c'erano elicotteri e carri armati, tutti pronti a combattere me, il nemico del Sistema.
Istintivamente, decisi di trasformarmi in uno stallone – un animale veloce, da poter fuggire senza ostacoli. E così avvenne: bastò pensarlo per diventarlo.
A corsa sfrenata mi lasciai la città alle spalle, ammirandola da lontano in tutto il suo maledetto splendore.
"E ora?" mi chiesi.
«Voglio che tutto torni alla normalità! Voglio tornare nel mio ufficio a scrivere di morte e dolore, speculando con superficialità sul male altrui... o magari no. Anzi, vorrei tornarmene semplicemente a casa, distante da questo inferno!»
Un filo di rimorso mi attraversò. Come mi ero salvato? Mi risposi che, forse, la stessa possibilità c'era anche per gli altri. Ma loro non la coglievano, perché volevano essere schiavi del Sistema. Sarebbe bastato un pensiero, una parola e un'azione per liberarsi.
Dissi allora ciò che più premeva al mio cuore:
«Che tutto torni alla normalità!»
E, miei cari, così fu.
Fine della "party-ta"?
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