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4. Argento e oro

Anche Dakota doveva prendere i libri per studiare e in più io dovevo assolutamente coprirmi le spalle con un golfino. Se ci fosse stato vento avrei sentito freddo. Davanti allo specchio del bagno che aveva un davanzale di legno scuro logoro, Dakota si raccolse i capelli prima in una coda poi scontenta se li lasciò cadere nuovamente sulle spalle, leggeri come liane castane.

<<Ei, Dakota?>> la chiamai una volta che ci affrettammo a uscire nel corridoio. Lei si girò al mio richiamo guardandomi da sopra una spalla.

<<Come ti sei avvicinata a Connor?>> Sentendo ad alta voce le mie parole, mi resi conto di quanto potessero sembrare inopportune e ridicole. <<Rispondi solo se non è un problema, ovviamente>>

Lei rise un po' allacciando le dita piene di anelli alla tracolla nera della sua borsa gremita di colori e ghirigori scuri dove teneva i libri di testo e altre personali cianfrusaglie. <<È stato lui ad avvicinarsi a me, voglio dire, mi ha corteggiato. E a me è piaciuto subito. È stato semplice, in realtà, non è accaduto niente di speciale>>

<<Quindi... riuscivi a parlarci senza sembrare innamorata?>>

Lei socchiuse un po' gli occhi, forse perdendosi nei ricordi. <<Ora che mi ci fai pensare, credo di essermi innamorata di lui la prima volta che è riuscito a farmi ridere. Non ridevo da molto tempo allora e lui è stato un toccasana per il mio umore. Questo non significa che gli abbia reso le cose facili ma ho capito dall'inizio di essere rimasta fregata>>

<<E non avevi paura che lui potesse pensare fossi ridicola?>>

Nei suoi occhi scintillò una domanda indiretta, si stava chiedendo se le avessi dato della stupida. Così mi corressi subito. <<Non che tu lo sia stata, voglio dire, io non ne ho idea. Solitamente le ragazze innamorate non hanno l'aria ridicola?>>

Non parlavo per esperienza ma avevo visto abbastanza ragazze con gli occhi illuminati dalla presenza di un bel ragazzo e il cuore fatto a pezzi. O semplicemente Addy. Lei era innamorata e non aveva il cuore a pezzi, ma più volte mi ero resa conto che il suo comportamento, affianco a Mason, era bambinesco oppure sempliciotto. Nei libri, nei film, nelle sitcom, per strada, gli innamorati venivano descritti quasi come degli idioti. E a me sembrava idiota credere che le persone innamorate diventassero idioti.

Dakota rise ancora, ormai eravamo arrivate all'ingresso della mensa. Ci bastò non entrare e usare i cunicoli esterni per raggiungere il campo.

<<Gli innamorati sono ridicoli, delle volte. Ma in senso positivo. È bello essere innamorati, Lily, per quante cose brutte possano accadere nel mezzo. L'idea di sembrare solamente persa per lui non mi ha mai spaventato semplicemente perché non mi sono mai vergognata di provare quel sentimento, soprattutto mentre stava nascendo.>> Mi strizzò l'occhio. <<Comunque lui è caduto prima di me>>

Mi strappò un sorriso e non fui in grado di capire subito se mi trovassi in accordo o in disaccordo con quello che aveva detto. Indubbiamente lei parlava per esperienza ed era più attendibile di me, ma io ancora mi fidavo dei personali sensi, se non lo avessi provato sulla mia pelle, probabilmente, non lo avrei capito fino in fondo.

Il campo era enorme e illuminato dal sole, il verde artificiale dell'erba era intenso e veniva messo in risalto dagli spalti più prossimi di plastica, di un blu elettrico imbarazzante, e successivamente dagli spalti più alti e più lontani, di grezzo cemento grigio.

Dakota si sedette a uno di quelli più lontani e mi offrì la felpa di Connor come cuscino. Non mi sembrava carino accettare ma probabilmente mi sarei rovinata i vestiti a causa del materiale sul quale mi stavo per sedere, per cui alla fine andai contro i miei sani principi morali per non garantirmi scomodità.

La ragazza al mio fianco buttò la sacca ai suoi piedi, poi si stese completamente, il busto dritto grazie ai gomiti piegati; la sua pelle abbronzata sembrava splendere alla luce e i suoi capelli lisci cadevano fluidi sulle spalle toccando il cemento.

Dakota aveva una bellezza particolare, completamente differente da quella di Addy; con i bracciali che coprivano le braccia, gli anelli alle dita e le bandane nei capelli, aveva uno stile all'avanguardia e hippie, non avevo mai conosciuto ragazze così.

<<Perché mi hai fatto quella domanda?>> mi stupì con le sue parole perché aveva chiuso gli occhi e rivolto lo sguardo al cielo azzurro mentre io avevo sistemato il libro sulle gambe strette al petto e mi ero poggiata al gradino dietro per poter stare dritta con la schiena, ero in procinto di studiare e immergermi nell'argomento.

<<Perché io non so niente a riguardo>>

<<Potrai anche non aver mai avuto un ragazzo ma come fai a non conoscere le sensazioni di un corteggiamento?>>

Quando non risposi lei aprì gli occhi e mi guardò. <<Aspetta, non sei mai stata corteggiata?>>

Alzai le spalle mentre rivolgevo il mio sguardo al libro. <<Te l'ho detto, non so niente a riguardo>>

Non avevo mai provato la sensazione di un corteggiamento, nessuno ci aveva provato con me e se qualcuno l'aveva fatto, non me ne ero mai accorta. Non avevo mai provato il brivido della passione, il valore di un bacio, un abbraccio timido e imbarazzato o il rossore per un complimento sincero.

Non mi era mai importato molto, in realtà, ero concertata sugli studi, sull'essere una brava cittadina, una brava figlia, una brava persona. Avevo il pianoforte, i miei interessi, la mia migliore amica Addy. Anche se mi erano piaciuti ragazzi di tanto in tanto, non avevo mai avuto il coraggio di avvicinarmi o rapportarmi con loro. Gli unici con cui riuscivo a interagire erano quelli fidanzati. Oppure quelli come Gideon...

Avevo parlato con lui svariate volte e non avevo mai riscontrato problemi, e questo m'innervosiva tanto quanto m'incuriosiva. Era logicamente improbabile che un ragazzo di cui all'inizio provassi timore fosse diventato impressivamente l'unico con il quale non solo riuscivo a interagire, ma mostravo un lato di me che non si era mai fatto vedere: quello caparbio.

Dakota attirò la mia attenzione con un sospiro. <<C'è ancora tempo, Lily. Non devi aver fretta, semplicemente non hai ancora trovato quello giusto>>

Pensando al tempo che non avevo impiegato nella ricerca dei ragazzi mi venne spontaneo chiedere: <<Hai mai baciato qualcuno prima di Connor?>>

I suoi occhi di un celeste tiepido si spalancarono. <<Ovviamente, il mio primo bacio l'ho dato a quattordici anni, era la festa di un mio compagno di classe>> Finse un brivido e tirò fuori la lingua in segno di disgusto. <<Non farmelo ricordare. Tu, piuttosto, non ci hai provato nemmeno con il ragazzo del primo bacio?>>

Mi tinsi di lilla, o forse di semplice rosso, perché Dakota aveva appena presupposto che io avevo già baciato qualche ragazzo.

<<In realtà...>>
Raggiunse le sue conclusioni dalla mia espressione. <<Non sei mai stata baciata?>>

Mi sentivo avvilita dalla sua espressione e dal suo tono, non mi stava giudicando ma sembrava troppo sorpresa e questo mi metteva a disagio. Le fui grata quando si avvicinò e mi mise una mano sul ginocchio, sorridendomi celestiale.

<<Scusami, non volevo sembrare insensibile. Mi hai solo sbalordito un po'. Ma non devi credere che sia un problema, o una cosa brutta. Non sei mai stata baciata, e allora?>>

Sentirlo dire ad alta voce, da lei, mi faceva sentire ancora più annichilita ma non ebbi il tempo di spiegarle che la vicinanza a un ragazzo interessato non l'avevo mai sperimentata che un'enorme figura mi coprì dal sole.

<<Potrebbe diventare un problema perché, non essendo mai stata baciata, non ha potuto giudicare il grado in cui un ragazzo è sufficientemente dotato per poter stare con lei. Come farà a scegliere il suo futuro marito, adesso?>>

Entrambe alzammo lo sguardo verso Gideon, in piedi sugli spalti, di un gradino sotto di noi. Portava di nuovo la felpa dell'università, sotto il braccio c'erano un paio di fogli e tra i denti teneva fermo il piercing nero.

<<Gideon! Un po' di tatto, diamine>> esclamò Dakota. <<Alla fine hai deciso di raggiungerci.>>

Gideon mi lanciò un'occhiata che non riuscii a ricambiare, tanta era la vergogna, per poi passare oltre la mia figura e sedersi tra me e Dakota. Incrociò le gambe e si posò al gradino superiore come avevo fatto io. <<È una bella giornata>>

Non ha potuto giudicare il grado in cui un ragazzo è sufficientemente dotato per poter stare con lei

Le sue parole rimbombavano nelle mie orecchie come un tamburo, i suoi giudizi colpivano fortemente il mio ego e il mio orgoglio, prima di schiantarsi contro quella zona del cervello che mi gridava di andare via di lì per piangere in solitudine. Mi aveva preso in giro, mi aveva giudicato e non aveva risparmiato parole cordiali o gentili sul mio conto, così come avevo fatto io con lui. Forse, un po', me lo meritavo; ma la sensazione era orribile.

Non aveva ragione, su questo ero certa, e non conoscendomi aveva semplicemente parlato sui soliti pregiudizi che non avevano deciso di abbandonarci dal primo incontro.

Entrambi dovettero accorgersi della mia espressione turbata, perché Dakota diede uno spintone a Gideon e questo alzò un sopracciglio nella mia direzione.

<<Gideon stava scherzando, Lily. Non prendere seriamente quello che dice>>

Annuii mesta, cercando di convincermi delle sue parole e lei non aggiunse altro perché Connor la stava chiamando dal campetto.

Presi un grande respiro, soffermandomi a osservare quella bellezza di ragazza raggiungere il giocatore e chiamarlo amabilmente con nomignoli idioti.

<<Fai bene a non volere un ragazzo.>>

Le parole di Gideon furono fredde e precise, seppi che stava parlando con me perché sentivo il suo sguardo bruciarmi le guance; in più, eravamo soli sugli spalti. Trattenni il fiato e non lo guardai, non avevo voglia di sottostare ad altri suoi giudizi. Le sue espressioni e la voglia di sputare sentenze stavano cominciando a irritarmi seriamente.

<<O almeno fai bene a non cercarne uno>>

Ancora niente, lui mi guardava, io tacevo. Volevo dirgli qualcosa solamente per farlo smettere di fissarmi, era inquietante e mi sentivo sotto tiro. Mi aggiustai una ciocca di capelli e sbattei le palpebre, magari avrebbe capito che stavo in soggezione. Lui continuò a fissarmi.

<<Stavo scherzando, prima, ovviamente. Non te la sarai presa sul serio>>

Quando finalmente con la coda dell'occhio scoprii che stava guardando verso Dakota e Connor, mi concessi di respirare e di voltarmi leggermente a osservarlo. Sarei stata in silenzio e lui non mi avrebbe scoperto.

Mi resi conto di un paio di cose che prima non avevo mai notato: il colore delle sopracciglia e quello degli occhi. Sotto i suoi capelli neri e demoniaci spuntavano dei peli più chiari, quasi bronzei, e non potei evitare di pensare quanto i colori fossero diversi. Sapevo che il colore delle sopracciglia rispecchiava quello dei capelli, ma lui li aveva di due tonalità completamente opposte. Quando sbatté le palpebre e le ciglia toccarono le guance lisce e pallide, notai le iridi irriverenti. I suoi occhi erano del colore del cielo prima di una tormenta, di un grigio plumbeo, di un acciaio lucente; e dentro quella tempesta dei raggi dorati spiccavano raramente, rendendo il suo sguardo felino.

Girò di scatto la testa, mi scoprì e io boccheggiai. A quel punto non potevo più tenere la bocca chiusa. <<Perché hai detto quelle cose sul mio conto?>>

Non fu scosso dal fatto che lo stavo fissando, si limitò a mantenere un sopracciglio dorato alzato.

<<Stavo scherzando>>

<<Ma perché?>>

<<Non ho detto forse la verità? Solitamente tendo a farlo, celata dietro lo scherno>>

Mi ero accorta eccome di quel lato del suo carattere, forse l'unico che ero riuscita a scorgere. <<Allora sei un bugiardo oltre che un completo idiota>>

Le mie parole mi sorpresero a tal punto che mi premetti i polpastrelli sulle labbra. Non avevo mai insultato una persona così gratuitamente. <<Scusa, non volevo...>>

Gideon sorrise. <<Hai ragione, sono un'idiota. Ti stavi scusando?>>

Lasciai correre, non avrebbe capito, oppure avrebbe trovato il pretesto per prendermi nuovamente in giro. Strinsi le mani in due pugni per evitare di lasciarmi andare nuovamente e abbassai la testa sui miei libri, era tempo di studiare.

¤¤¤

Due giorni dopo la spiacevole conversazione con Gideon sugli spalti, sentivo di star covando un terribile mal di testa, stesa dentro il letto.

<<Magari ti è venuta la febbre>>

Dakota mi aveva portato una camomilla direttamente dalla cucina ma sentivo lo stomaco in subbuglio, perciò la rifiutai.

<<Secondo me hai bisogno di uscire>> continuò lei, girovagando per la stanza e lanciando occhiate alla finestra. <<Sei stata qui dentro a studiare per tre giorni consecutivi. Ascolta, questa sera una confraternita da uno spettacolo per le matricole nel lato ovest del campo. Io e Connor ci andiamo, potresti divertirti>>

Cercai di scuotere la testa, ma mi pulsava da matti. <<Non credo sia una buona idea>>
<<Dormici su, poi fammi sapere.>>

Mi addormentai dieci minuti dopo, consapevole che Dakota avrebbe insistito al mio risveglio. Quando mi scostai le coperte e mi alzai, lei era già pronta per uscire e aveva lanciato un paio di vestiti dal mio armadio direttamente sul mio letto.

<<Fai la doccia e scegline uno>>
Assonnata, mi stropicciai gli occhi. <<Credo che resterò qui, potrei vedere un film o tornare a dormire>>

La prospettiva non mi elettrizzava ma non avevo nulla di meglio da fare, forse avevo davvero studiato troppo. Dakota si piazzò davanti a me, le mani strette sui fianchi come se mi volesse sgridare, le labbra contrate in una smorfia di disapprovazione. <<Hai bisogno di uscire. In quanto tua compagna di stanza e unica amica, ti consiglio di muoverti.>>

Avrei voluto farle presente che non era la mia unica amica, avevo Addy, ma stava a chilometri di distanza da me, dall'altra parte del paese, quindi qualcosa mi suggerì che avrei fatto bene a tacere. E poi, Dakota si era appena definita mia amica e una grande parte di me ne voleva gioire. Se Adrienne fosse stata lì mi avrebbe afferrato i polsi e costretta a fare la doccia, come cercava di fare Dakota con le parole, e non avevo intenzione di deludere entrambe. Incoraggiandomi da sola, accantonai la paura e mi feci la doccia, fredda e veloce. Mi acciuffai i capelli in uno chignon alto e decisi di indossare un vestito a pois neri, con le mezze maniche, abbinandolo a uno scialle scuro. Presto sarebbe arrivato l'autunno e avrei detto addio ai miei adorati vestiti. Per non lasciare il collo scoperto, poi, avevo indossato una semplicissima collana a girocollo. Forse non era l'abbigliamento adatto a una pseudo festa all'aperto tenuta da una confraternita ma non sapevo quale fosse il più adatto, per cui avevo scelto qualcosa di conforme a me. Dakota indossava una giacchetta di jeans e dei bermuda beige, tutto tranne che femminili. Si era legata i capelli solo sul davanti così che il volto rimanesse scoperto ma i suoi fluenti e lisci capelli castani le calassero sulle spalle come se non pesassero nulla. Sul capo aveva incastrato un paio di occhiali da sole con le lenti spaccate e l'insieme del suo outfit la faceva sembrare una tosta.

Quando mi diedi un'ultima occhiata allo specchio, Dakota mi comparve alle spalle. <<Stai meglio con i capelli sciolti.>>

Forse aveva ragione ma la mia era un'abitudine e ormai me li ero già legati.

Connor ci aspettava nel parcheggio dei dormitori femminili, le braccia incrociate al petto e avvolte dalla giacca blu della squadra di football. Anche lui aveva gli occhiali da sole incastrati tra i capelli scuri e assieme sembravano talmente in sintonia da ricordarmi bellissime coppie di cui leggevo nei romanzi a tempo perso. Quando fummo vicine, ci fece l'occhiolino e notai dei bellissimi occhi verdi incorniciati da delle sopracciglia lunghe e folte. Nel suo complesso, Connor era proprio un bel ragazzo. Non aveva i lineamenti decisi come quelli di Gideon, ma era più attraente e sicuramente più amichevole.

<<Non andiamo?>> tentai di chiedere quando notai che eravamo rimasti fermi, nel parcheggio, senza fare nulla.

<<Aspettiamo Gideon.>>

Non sapevo venisse anche Gideon ma non mi sorpresi; infondo, era più loro amico di quanto lo fossi io. Così lo aspettammo e lui si presentò dieci minuti dopo, portava una semplice maglietta blu a maniche corte e dei jeans scuri, macchiati di quella che sembrava vernice bianca. I piedi erano sempre fasciati da degli scarponi scuri. <<Scusate il ritardo, non mi lasciavano andare>>

Mi chiesi dove fosse prima, chi lo trattenesse, e pensai fossero problemi personali a cui io non avrei mai avuto accesso. Non che m'importasse. Ci incamminammo per le strade dello studentato tutti e quattro assieme e più ci avvicinavamo al campo ovest, più notavo fiumi di persone confluire in quella stessa direzione. Non avevo grande esperienza con le feste, ancora meno con le confraternite, quindi non sapevo cosa aspettarmi da una fusione delle due. Sapevo, invece, che mi sarei attaccata a Dakota e che non l'avrei persa di vista nemmeno per un secondo.

La "festa" in realtà si teneva per la strada, non circolavano auto ma ragazze e ragazzi chiacchieravano e ridevano per i marciapiedi e i giardini, le porte delle case ai lati della strada erano quasi tutte aperte e fungevano da ristoro per bere e mangiare. Mentre camminavamo, Dakota m'informò che ci saremmo introdotti in una delle case, avremmo rubacchiato un paio di tralci di pizza a testa e ce la saremmo svignata in un'altra casa, per bere qualcosa. Non persi tempo a dirle che io non mangiavo pizza né bevevo alcolici. Non avevo l'età comunque. E a lei non sembrò importare della mia opinione.

Non aver mai mangiato la pizza ed essermi sentita dire svariate volte nel corso della mia vita da Addy quanto somigliassi a un alieno, mi aveva dato l'incentivo per non condividere quest'informazione anche con il mio nuovo gruppo di amici. Mi avrebbero preso in giro, molto probabilmente, e non sopportavo l'idea di altri giudizi da parte di Gideon. Ero cresciuta così, anche solo nominare i fast food era severamente proibito in casa mia. Mio padre diceva sempre che una sana alimentazione era l'essenza di una mente ancor più sana. Mens sana in corpore sano.

Mi avevano sempre trovato d'accordo su questi argomenti, amavo il cibo salutare, mi faceva sentire pulita.

Quando Dakota intercettò un gruppetto di ragazze, che erano mano nella mano con altri ragazzi, e tutti sembravano conoscersi a simpatia, io mi sentii un'estranea. Nessuno perse tempo a presentarmi, tutti presi da chiacchiere fugaci, e pregai che passasse in fretta il momento.

Poi, con la coda dell'occhio, notai che anche Gideon era rimasto in disparte, non sembrava conoscere nessuno, o forse semplicemente non gli andava di parlare. Quando mi notò anche lui, si avvicinò a passo felpato e io feci di tutto per far finta che la sua presenza ravvicinata non mi creasse problemi.

I minuti scorrevano e io mi sentivo sempre più in trappola nonostante fossi all'aperto e nessuno si stava accorgendo di me. Nessuno tranne Gideon.

<<Se tu la smettessi di sentirti a disagio in mia presenza, sarebbe tutto più semplice, non credi?>>

Alzai gli occhi verso di lui. <<Non so di cosa tu stia parlando>>

<<Posso avvicinarmi o farai un passo indietro?>>

Non risposi, lasciai semplicemente che si avvicinasse.

<<Non mi fai paura>> mormorai quindi. In assenza di persone con cui dialogare e intrattenimenti con cui intrattenermi, fui quasi costretta a intraprendere una conversazione con lui.

<<Bene. Non è bello essere considerati spaventosi>>

Gideon mi confondeva. Il suo tono mi confondeva. Le sue risposte o le sue domande, anche solo le sue esclamazioni, sembravano più complicate di come si presentassero.

<<Non è bello nemmeno essere giudicati senza nessun motivo>>

Una sua mano finì sul suo petto, le labbra gli s'incresparono. Ebbi la sensazione che mi stesse prendendo in giro e la cosa m'infastidì. <<Colpito.>>

Lanciai uno sguardo disperato nella direzione di Dakota, ma lei era presa a soffiare ininterrottamente dentro un bicchiere di plastica che le era stato porto da una ragazza dai capelli rossi e Connor se la stava ridendo con un suo compagno di squadra. Non mi sembrava carino interromperli.

<<Non sono un ragazzo che giudica senza prima conoscere la posta in gioco, ma con te ho avuto come un sesto senso>>

Non risposi, rimasi a ondeggiare sui piedi, in imbarazzo.

Gideon continuò a guardarmi dall'alto. <<È solo che tu sei di un genere completamente diverso dal mio>>

Le sue parole catturarono la mia attenzione. <<Il fatto stesso di parlare di genere ti rende una persona che fa pregiudizi. A me non piace questa parola: genere. Non siamo di due generi diversi, siamo semplicemente un po' distanti.>>

I miei, di pregiudizi, di certo non sfociavano sul "ho un sesto senso che m'induce a sparlare di te e dare i miei giudizi sulla tua vita, anche se non ti conosco". I suoi indubbiamente sì.

<<Va bene, su questo mi trovo d'accordo>> acconsentì lui però, facendomi cambiare di nuovo opinione. La mia testa era un groviglio d'informazioni. <<E con questo? Siamo comunque troppo distanti.>>

Su questo dovevo dare io ragione a lui. Eravamo due persone caratterialmente molto distanti, anche i nostri pensieri erano distanti, e sicuramente il modo in cui gestivamo la nostra vita. Non potevamo essere a due poli più opposti. Mi soffermai per un istante sui tatuaggi che portava fiero sulle braccia senza neanche tentare di nasconderli. La mamma mi aveva detto che mai nessuno mi avrebbe preso sul serio se sfoggiavo un tatuaggio, non avrei trovato lavoro e sarei stata etichettata come una poco di buono. Non sapevo che lavoro facesse Gideon, o se lavorasse per giunta, ma sicuramente non si lasciava etichettare. Era una cosa che m'incuriosiva e anche –sì, perché no-, mi piaceva. Lo conoscevo da relativamente così poco tempo che, togliendo i pregiudizi, avevo creato una sua immagine sfocata e lontana. Però, più lui continuava a cercare un dialogo con me, più m'invogliava a rispondergli e rendere quell'immagine sempre più nitida. Improvvisamente, volevo metterlo a fuoco.

<<Prima, o poi, anche i due meteoriti più distanti sono costretti a scontrarsi>>

¤¤¤

Connor e Dakota riuscirono a tirarsi fuori dalla calca di compagni di corso relativamente presto –solo una ventina di minuti dopo- e decisero di condurci a mangiare perché a detta della mia compagna di stanza: <<Non è una vera festa se non si affoga il bruciore del salame piccante dentro un sorso di birra distillata>>

Li avevo seguito con riluttanza, sapevo dove saremmo finiti. Cercai di star loro il più vicino possibile quando entrammo in una casa enorme, con il portico decorato di palloncini e bicchieri di plastica accartocciati ad ogni dove. La musica che si sentiva per strada proveniva da case come questa, dove il volume era sparato al massimo e dovessi reprimere la voglia di tapparmi le orecchie con le mani perché mi dava fastidio.

Gideon se ne accorse, mormorò qualcosa a tal proposito che mi sfuggì e negai con la testa, per fargli capire che non avevo intenso. Subito dopo, una sua mano finì strettamente legata al mio polso e la sua attenzione rivolta a Dakota e Connor. Fissai le sue dita strette a me con occhi sgranati. Era caldo, nel punto in cui mi teneva stretta. Non avevo mai tento per mano un ragazzo, e anche se quel contatto non ea una vera e propria stretta di mano mi sentii avvampare. Gideon era per lo più uno sconosciuto, uno sconosciuto ancora da definire per lo più, e mi aveva toccato con una semplicità unica. Non sarei mai stata capace di avvicinarmi tanto a un ragazzo di mia spontanea volontà; anche solo per riuscire ad abbracciare Mason –che al tempo si era già fidanzato con Adrienne- avevo impiegato un anno di amicizia. Era anche più piccola e giù ingenua ma credevo che il tempo mi avrebbe aiutato a superare questi miei limiti. Ma Gideon mi aveva afferrato il polso e dopo aver detto qualcosa agli altri due, mi aveva letteralmente trascinata fuori dalla casa, in un giardino sul retro al quale si accedeva dalla cucina. Superammo corpi di sconosciuti, odori particolari e bicchieri ovunque prima di raggiungere l'aerea appartata. Il giardino era piccolo e modesto, circondato da una siepe verdeggiante alta e maestosa. Con la luce del tramonto che si stava per spegnere potevo osservare un nano da giardino acanto a un capanno per gli attrezzi e un dondolo di legno con dei cuscinetti logori e bianchi per chi desiderava sedersi.

Non c'era nessuno a parte noi.

Gideon mi lasciò il polso subito e io mi fermai appena messo piede nel giardino, mentre lui continuò a camminare verso la sedia.

<<Perché mi hai portato qui? Dakota e Connor...>>

<<Ho detto loro di prendere qualcosa da mangiare e raggiungerci qui. È più tranquillo, non trovi?>>

Lo trovavo... strano. Non credevo Gideon potesse aver voglia di finire in un giardino isolato insieme a me. Pensai potesse averlo fatto perché mi aveva vista a disagio ma non poteva avermi interpretato così bene dopo avermi conosciuta da relativamente troppo poco tempo. Mi avvicinai titubante alla sua figura, rimanendo in piedi davanti agli assi che sostenevano la struttura a dondolo mentre Gideon si dava le prime spinte con i piedi per muoversi.

<<Allora... quale facoltà segui?>>

Me lo ero chiesta molte volte e sapendo che in realtà Gideon era finito qui solamente per aver perso una scommessa e che non prendeva sul serio gli studi... beh, ero incuriosita.

<<Architettura.>>

<<Deve essere impegnativo>>

<<Mai quanto lo è giurisprudenza>>

<<Ogni facoltà ha le proprie difficoltà, studiare legge non vuol dire essere più intelligenti di chi studia design.>>

Gideon chiuse le braccia sul petto e finalmente alzò lo sguardo verso di me. <<Mai parlato di chi possegga maggior intelligenza>>

<<Era per dire...>> borbottai facendomi piccola. Era tremendamente difficile portare avanti una conversazione spensierata con Gideon. Se avessi potuto scegliere, avrei preferito finire in un giardino isolato con Dakota, persino con Connor data la sua natura affidabile e il suo amore verso la mia coinquilina –non c'erano rischi di disagio.

Gideon invece era complicato, un enigma ancora troppo contorno.

Stava scalciando con gli scarponi, di almeno cinque taglie più grandi di ogni mia possibile scarpa, i sassolini acciottolai tra l'erba incolta e aveva l'aria di un bambino messo in castigo. Aprii le labbra, pronta per iniziare una nuova conversazione ma il cellulare dentro la borsetta che mi ero portata squillò così forte da far sobbalzare entrambi. Gideon diede un breve sguardo al mio fianco, dove posava la borsa chiusa, e poi riportò gli occhi dritti verso di sé, verso il capannone.

Veloce afferrai il telefono e risposi senza riconoscere il numero.

<<Pronto?>>

<<Lily>> Era mia madre. Fece un attimo di pausa, probabilmente stava affinando l'udito. <<Dove sei?>>

Nonostante le porte a vetro che separavano il giardino dalla casa, la musica si sentiva chiaramente. Strinsi i denti e corsi fino al capannone, chiudendomi dentro e venendo subito avvolta dall'oscurità, oltre che da un leggero profumo di legname e segatura.

<<Mamma, sei tu? Come stai?>> Ignorai la sua domanda fingendo di non averla sentita e con un sospiro lei mi rispose.

<<Sto bene, e tu? Dove sei?>>

Questa volta non potei ignorarla. Se le avessi detto di essere uscita lei probabilmente mi avrebbe interrogato su dove, sul perché, sul con chi e mi avrebbe fatto la ramanzina. Nel peggiore dei casi si sarebbe presentata proprio qui, al campus, sgridandomi per non averla avvertita. Secondo le sue regole, quando vivevo ancora con loro, avevo il coprifuoco; non vivendo più con loro avevo creduto che il coprifuoco ormai fosse estinto. Adesso, con la sua voce nell'orecchio e una sola cornetta a dividerci, quella sicurezza scemò pian piano.

<<Sto nella stanza con Dakota, stiamo guardando un film>>

Il silenzio che seguì mi suggerì che lei non mi stava credendo. <<Non farete tardi, vero?>>

<<No, tra poco finisce>> mentii ancora, mordendomi le labbra. <<Rischio di perdermi il finale. Adesso devo andare.>>

<<Non mi attaccare in faccia, Lily!>>

Non sbuffai, anche se avrei tanto voluto farlo. <<Hai altro da dirmi?>>

<<E tu hai altro da fare piuttosto che parlare con tua madre?>>

Se me la fossi ritrovata davanti probabilmente avrei abbassato il capo. Adesso, non vedendo nulla, non era fondamentale dove posassi gli occhi. Ma feci un passo indietro e qualcosa mi colpì dolorosamente un polpaccio. Cerca di non dire nulla mentre formulavo una risposta adatta al tono di mia madre.

<<Come ti ho appena detto, stiamo vedendo un film. E se ti chiamassi appena ho finito?>> Era l'unico modo per uscire indegna da quella situazione.

Anche se non potevo vederla, sapevo che si era innervosita e probabilmente stava sbattendo il piede a terra ripetutamente. <<Aspetto una tua chiamata.>>

<<A dopo>> Chiusi la chiamata tanto in fretta quanto l'avevo aperta e lentamente uscii dal capannone. Avevo avuto il cuore che batteva a mille per tutto il tempo e quando attaccai, mi sentii stranamente vittoriosa. Ero riuscita a propinare alla mamma una serie di bugie davvero convincenti e seppur negli anni mi ero abituata a mentire su piccole cose, giusto per non farla arrabbiare, questa era tutt'altro. Se lei lo avesse saputo, lo avrebbe preso come una questione personale e avrebbe avuto da ridire su tutta la mia gestione della nuova indipendenza. Probabilmente avrebbe attaccato briga convincendomi che essere indipendenti non vuol dire abbandonare ogni insegnamento impartito dai genitori né uscire a proprio piacimento senza rispettare le regole che sono sempre state un modello da seguire. Ma il tramonto era appena passato, mi trovavo ancora nel campus, ero con nuovi amici, per cui non mi sentii troppo in colpa.

Mentre uscivo dal nascondiglio, però, mi sentivo una bambina messa in castigo che si nasconde dalle insidie di una sgridata. Gli occhi di Gideon erano puntati nei miei, il suo volto era una tela indescrivibile. Non avevo il minimo sentore di cosa potesse star pensando di me. Mi ci avvicinai piano, temendo improvvisamente un suo nuovo giudizio. Lui si limitò a guardarmi finché non mi sedetti sulla sedia a dondolo, sul lato, parecchio distante da lui.

<<Che cosa hai fatto alla gamba?>>

Seguii il verso del suo sguardo fino a che gli occhi mi caddero su una ferita aperta lungo il polpaccio, dalla quale usciva un tiepido rivolo di sangue scarlatto.

<<Accidenti!>> Piegai il busto e strusciai il dito lungo la ferita sentendola pizzicare; digrignai i denti e poi mi portai il dito alla bocca sentendo subito il sapore metallico della mia linfa.

Se la mamma mi avesse visto, mi avrebbe schiaffeggiato la mano. La mia era una fissa che a detta dei miei genitori era inquietante e per nulla signorile, quella di assaporare il sangue che usciva dalle piccole ferite; come per le pellicine attorno alle unghie, o dalla puntura di un ago o quando mi mordevo troppo forte le labbra, ferendole, e le succhiavo fino a che si intorpidivano e ingrossavano.

<<Ti ci vuole del disinfettante. Perché sei entrata là dentro, comunque?>>

Mi tenevo i capelli oltre una spalla con una mano mentre l'altra cercava di attutire la caduta del sangue lungo la gamba, sembrava stesse tracciando un percorso delineato seguendo i margini del muscolo. <<La musica è troppo alta, mia madre l'avrebbe sentita>>

Gideon si limitò a fare un versetto roco con la bocca. Mi servì solamente quello, per capire i suoi pensieri: i suoi pregiudizi finalmente avevano trovato uno scoglio a cui aggrapparsi, o una certezza per cui dichiararsi fondati. Ma non lo aveva detto ad alta voce e in parte gliene fui grata, ci mancava solamente la sua lingua lunga.

La porta finestra della cucina si aprì con un tonfo e un paio di figure uscirono nel giardino. Dakota aveva un braccio attorno alla vita di Connor mentre nell'altro teneva sollevato un cartone di pizza aperto. Vedevo la mozzarella filante fumare anche da lì. Il ragazzo invece teneva aggrappate alle dita di una mano un set completo di sei birre, probabilmente comprato al supermercato da qualcuno e in seguito soffiato da Connor.

<<Scusate l'attesa, è il delirio là dentro>> Dakota si guardò attorno, sciogliendosi dalla presa di Connor. Lasciò vagare lo sguardo prima verso la siepe e poi verso il cielo, che cominciava a imbrunirsi. <<Che bel posticino questo>>

Si sedettero tra me e Gideon facendoci schiacciare verso i bordi e muovere la sedia che con uno scatto mi sobbalzò sullo schienale. Offrirono dei tralci di pizza a testa ma nessuno dei due li accettò, io troppo presa a far smettere di sanguinare la ferita e Gideon ad avere il broncio.

<<Vado in bagno>> annunciai, alzandomi e dondolandomi lontana da loro. Solamente Dakota sembrò sentirmi e annuì con un gesto netto. Avevo paura ad entrare in casa alla ricerca di un bagno, avevo paura della folla e mi maledissi per aver accettato di uscire. Se fossi rimasta nella mia stanza non avrei dovuto mentire a mia madre e a quest'ora sarei stata comoda nel mio letto, magari con un libro in mano e un film sul portatile.

Cercai di non farmi toccare da nessuno mentre sgusciavo tra dei corpi troppo alti e troppo massicci, l'odore di sudore mi penetrava nelle narici e sembrava volerci rimanere. Mi guardai intorno per cercare di orientarmi, non seguii la massa che si parcheggiava nella cucina o per le scale ma imboccai uno stretto corridoio dove non sembrava esserci nessuno. Alla fine si presentarono due porte, leggermente illuminate da una lampadina ad olio appesa al muro.

Aprii la prima, quella sulla destra, ma trattandosi solamente di una stanza da letto buia la richiusi immediatamente. Quella davanti a me era il bagno. Mi ci chiusi così in fretta che temetti di aver rotto la maniglia, ma poi feci scattare la chiave e sentii la musica svanire come per magia. La luce del bagno era bianca e ospedaliera, davanti a me c'era solo un lavandino senza specchio e una tenda che doveva limitare la zona doccia. Forse si trattava del bagno degli ospiti oppure di uno di riserva. La paura che non potesse scorrere l'acqua mi spinse ad aprire tutte le manovelle del lavandino e un lieve rivolo uscì dai bocconi. Era fredda e scarsa, ma me la feci bastare. Ci immersi le mani e poi mi bagnai il viso, privo di trucco, infine presi della carta igienica parzialmente bagnata che sostava sul un davanzale e la bagnai ancora di più, per passarla sopra la ferita.

Quando tornai nel giardinetto, la pizza era scomparsa negli stomaci dei miei compagni di festa e tutti avevano cambiato posizione. Dakota aveva preso possesso dell'intero dondolo, sdraiandosi e spingendosi con una mano a terra, Connor era scomparso e Gideon se ne stata inerme accanto al capannone, una spalla schiacciata contro il legno scuro e un braccio piegato verso il suo volto per far arrivare la sigaretta tra le sue labbra. Era appena stata accesa, lo intuii dalla lunghezza del mozzicone, ma questo non impedì a Gideon di fare altri due tiri e schiacciarla nell'erba con uno scarpone.

<<Io torno al dormitorio>> annunciai ad alta voce ma il mio voleva essere un avvertimento solamente per Dakota.

Questa alzò la testa, guardandomi in maniera storta. <<Ma come, di già?>>

<<Sono stanca e devo richiamare mia madre. È stato bello>>

Sperai con tutte le mie forze che si alzasse e mi accompagnasse perché di farmela a piedi da sola non ne avevo voglia e stava cominciando a diventare buio. Non che il campus universitario fosse pericoloso, ma in giro c'erano moltissimi gruppi che facevano festa e che probabilmente avevano bevuto anche senza avere l'età legale per farlo.

La osservai per un po', concentrando le mie forze affinché capisse, e alla fine sembrò capire sul serio. Si diede una spinta con le braccia e si alzò in piedi, sorridendomi castamente. <<Allora ti accompagniamo>>

Non ci fu bisogno nemmeno di specificare, sia Dakota sia Gideon cominciarono a camminare nella mia direzione.

<<Connor?>> chiesi, mentre trovavamo la via d'uscita.

<<Ora lo chiamo>>

Connor era immerso nella festa, ci avvertì Dakota con il telefono premuto tra un orecchio e la spalla mentre ormai stavamo per strada. Continuò a chiacchierare con lui per tutto il tragitto mentre io e Gideon venivamo ancora una volta isolati in una bolla fatta di pregiudizi non detti e domande in sospeso.

<<Giurisprudenza, quindi...>> disse Gideon e capii che voleva mandare avanti una conversazione che si era bruscamente interrotta con la chiamata di mia madre. Lanciai uno sguardo verso Dakota solo per assicurarmi che non ci stesse ascoltando; era ancora immersa nei sorrisi da regalare al suo ragazzo via telefono.

<<Architettura, quindi>>

<<Come ti trovi?>>

<<È passata solamente una settimana, i corsi vanno, i libri devono essere studiati>>

Nella confusione della notte che subentrava alla luce, Gideon sembrava una figura ancora più massiccia di quanto già fosse. Mi ricordava i vichinghi, ovviamente senza barba e più curati; ma aveva lo stesso spirito conquistatore negli occhi senza però affermarsi tale. Erano un miscuglio di tempesta e acciaio, tutto ciò che aveva contribuito a creare quelle popolazioni tanto forti. Il contrasto con le sopracciglia dorate era disorientante.

<<È la vita che vuoi?>>

Forse anche lui aveva capito di aver esagerato con i pregiudizi e così come io avevo deciso di cercare di smettere ed entrare più a fondo nella questione, lui aveva cercato di rimediare facendomi sentire meno me e più una ragazza con la quale si intratteneva.

<<È la vita che ho programmato>> Capii subito di aver detto qualcosa di sbagliato perché portai Gideon ad annuire, come se tutti i suoi calcoli fossero finalmente tornati.

<<Voglio dire, mi piace. Voglio farlo. Altrimenti non avrei mai scelto questa materia>>

<<A me non piace architettura>>

Dakota continuava a starnazzare verso la cornetta e si teneva a debita distanza da noi quindi mi limitai a rassegnarmi: avrei dovuto continuare a parlare con lui. Non che i dispiacesse ma ancora non ero riuscita a togliermi i senso di inquietudine. Seppure a me stava bene continuare a conoscersi, entro un certo limite, avevo ancora paura delle sue possibili parole, dei suoi pensieri o dei suoi giudizi.

E subito dopo venne spontaneo domandarsi perché mi importasse tanto. La risposta era facile: aveva capito in poco tempo come ferirmi.

<<Che cosa fai, Gideon, importuni una bella signora?>>

Dakota era finalmente tornata tra di noi senza lasciarmi il tempo di rispondere alle parole del ragazzo e si avvicinò a me dandomi di gomito.

<<Signorina>> mi sfuggì facendola ridere.

<<Sì, certo, giusto. Signorina>> Fece l'occhiolino in uno modo così simile a quello che faceva Addy che il mio petto si strinse per la nostalgia della mia migliore amica. <<Vi ho visto mentre parlavate, finalmente avete smesso di guardarvi come dei cani che si odiano. Perché non uscite insieme, qualche volta?>>

Impallidii e per poco non mi strozzai con le stesse parole che erano uscite dalla bocca della mia compagna.

Gideon ringhiò. <<Dakota!>>

<<Che cosa ho detto di male?>>

<<Puoi anche smettere di cercare di accoppiarmi con ogni ragazza che incontri. Alla lunga, diventa esasperante>>

Dakota aprì la bocca tanto da farmi vedere la lingua guizzare in maniera ambigua. <<Non sto affatto cercando di accoppiarti, solo che non ti vedo interagire con una ragazza a questo modo da un po'. Sembrava carino farvi notare che state in sintonia>>

Tra le tante cose che potevano essere io e Gideon, in sintonia sembrava la meno adatta, tanto da portarmi a ridere. Ma non lo feci, sarebbe stato inappropriato, e mi limitai a sorridere imbarazzata.

<<Se mai dovesse uscire con una ragazza, quella non sarei di certo io>> mi scappò e questo bastò per far virare i loro occhi direttamente verso la mia bocca larga.

<<Credi che sia capace di portare una ragazza fuori a cena?>>

La sua domanda mi stupì tanto che questa volta fui io ad aprire la bocca. Mi ricordai subito che la mamma mi avrebbe afferrato il mento tra due dita e chiuso le labbra con veemenza, mi avrebbe detto che sembravo una stupida.

<<Perché, non lo sei?>>

Dakota rise, spezzando il turbine di confusione che stava passando sul volto di Gideon.

<<Il giorno in cui lo vedrò uscire con una ragazza saprò che qualcuno ha ascoltato le mie preghiere.>>

E con questa rivelazione la conversazione cadde direttamente in un buco nero. Dakota continuò a ridere e prendere in giro Gideon, affettuosamente, è chiaro, mentre il ragazzo si limitava a starsene in disparte, con la sua maschera d'indifferenza gettata sul suo volto. Io, dal mio conto, avevo aggiunto un tassello significante al puzzle che costituiva Gideon. 

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