34. Genio bastardo
Non potevo credere a quello che i miei occhi stavano leggendo. Sull'ultima pagina di un giornale secondario c'era la recensione sul compleanno di mio padre e l'inaspettata dichiarazione di due importanti imprenditori di Atlanta sulla felicità del loro secondo genito.
"Matthew è un ragazzo con la testa sulle spalle, che si assume le sue responsabilità e affronta con coraggio ogni incombenza" aveva detto suo padre nella dichiarazione, e così aveva trascritto il giornalista. "Dopo il matrimonio di George non fa che pensare a come sistemarsi per realizzare il sogno della sua vita: mettere su famiglia."
Riuscivo a pensare solo alla vergogna di Matthew, dopo un simile attacco da parte dei genitori. C'era anche una mia foto, assieme alla mia famiglia, accanto alla famiglia Cavendish. Nella descrizione un piccolo commento cinico: Che i Prescott siano d'accordo con l'unione non c'è da dubitarne. Sarà questa una favola o una tragedia, per i due innamorati?
«Innamorati!» urlai, tanto che mio padre sobbalzò sulla poltrona.
«Che modi, Lily.»
«Non è così tragico» disse invece la mamma, sfiorando con le dita il petalo di una betulla. «I Cavendish sono orgogliosi dell'articolo.»
«Come hanno potuto dare il consenso a una tale mancanza di rispetto nei confronti di Matthew? E anche nei miei! Non siamo fidanzati!»
«Sono solo pettegolezzi, cerca di non preoccupartene troppo» cercò di tranquillizzarmi mio padre, mentre gli occhi minacciavano di uscirmi dalle orbite.
«Ma è uno scandalo! Chiunque leggerà l'articolo penserà che Matthew ed io stiamo per sposarci. A soli diciotto anni!»
«Matthew è più grande, Lily. E anch'io mi sono sposata a diciotto anni, non c'è nulla di male.»
Il papà le lanciò un'occhiata che lei non si disturbò a replicare, con gli occhi fissi alla finestra appena lucidata da Georgia.
«Non potete essere d'accordo a un affronto simile! Questo giornalista ha raccontato una serie spropositata di bugie.»
«Nessuno legge gli ultimi articoli di un giornale secondario» continuò mio padre, proprio mentre sfogliava le ultime pagine delle sue nuove preferite. Ero indispettita, sconvolta e arrabbiata oltre ogni immaginazione. Il campanello trillò e solo il ricordo della festa di Daisy riuscì a farmi sbollire abbastanza in fretta per mascherarmi di finta quietezza.
«Chi può essere a quest'ora del pomeriggio?»
«Esco con Sawyer, ve l'avevo detto.»
Balzai in piedi, sbattendo le ballerine contro il lucido pavimento bianco e corsi alla porta. Sawyer era puntuale ed elegante nel suo vestito chiaro.
«Qualcuno ha chiamato la carrozza?»
«Non aspettatemi svegli» gridai ai miei e prima che potessero replicare, sgattaiolai fuori. Mio fratello squadrò il mio outfit con un sopracciglio arcuato.
«I vestiti ti donano moltissimo.»
«Grazie» borbottai, mentre raggiungevamo l'auto.
«Qualcosa non va?»
«I miei genitori non vanno» risposi subito, alterata. «E anche i signori Cavendish.»
Gli raccontai brevemente l'accaduto, pronunciando le stesse parole che avevo letto nell'articolo, ormai erano impresse col fuoco nella mia mente. Sawyer, invece che alterarsi per legge di fratellanza, ridacchiò come un bambino.
«Devi ammettere che è una situazione davvero esilarante.»
«Lo trovi divertente?»
«Lo trovo talmente ridicolo da essere spassoso.»
Non ero del tutto entusiasta delle sue parole ma almeno mi trovava d'accordo sul ridicolo. Non mi sembrava vero e sì, se non fossi stata coinvolta personalmente, probabilmente avrei riso anch'io assieme a Sawyer.
«Cerca di non sconvolgerti tanto, vedrai che nel giro di un paio di giorni nessuno si ricorderà dell'articolo. Sempre che tu non decida di sposarlo nel frattempo.»
Gli lanciai un'occhiata di fuoco e lui scoppiò a ridere ancora più rumorosamente.
•••
La festa si teneva in un piccolo locale affittato personalmente da Daisy per tutti noi inviati. In totale dovevamo essere una trentina, troppi per i miei gusti ma troppo pochi perché riuscissi a sfuggire dai loro sguardi e mimetizzarmi in una folla. Era evidente che alcuni di loro avessero letto il giornale e i loro occhi mi squadravo tentando di decifrare i miei pensieri riguardo l'imminente matrimonio. Ero piuttosto certa che nessuno si sarebbe avvicinato e avrebbe chiesto personalmente il mio parere a riguardo. Come previsto, c'era anche Ciel alla festa, agghindata come se dovesse andare in spiaggia e con i capelli non più azzurri, come li ricordano, ma bianco lattice. Il suo trucco nero li rendeva ancora più luminosi e incredibili. Era fissa accanto a due grandi casse mentre decideva che musica far trasmettere. Due grandi tavolate erano state addobbate di cibo e bevande, nessun tavolo occupava una pista che dedussi fosse da ballo ma nessuno si muoveva a ritmo di musica. Ogni invitato era vestito alla bell'e meglio, né troppo casual né troppo elegante, e avevano tra le mani bocconcini o liquori vari.
«Vuoi qualcosa da bere?» mi chiese Sawyer, adocchiando un cameriere che stava versando dei drink.
«No, grazie. Però ho fame.»
«Ti porto un piatto, aspettami qui.»
Mi guardai attorno un po' spaesata, stringermi tra le braccia. Sawyer mi aveva insegnato come gestire l'ansia e la "paranoia" per gli spazi affollati ma zoppicavo ancora un po'. Le luci attaccate al soffitto mandavano sfumature rosa e arancioni su tutta la sala, le pareti quadrate erano composte da vetrate che davano su un giardino un po' tetro. Decisi di avvicinarmi per scorgere meglio i suoi profili e notai un sentiero affiancato da statue e siepi dai colori sgargianti. Ebbi la matta voglia di andare all'esplorazione ma Sawyer presto mi avrebbe portato da magiare e dovevo aspettarlo.
Quando vidi Daisy nel mezzo della sala, mi accinsi a raggiungerla. Le porsi il mio regalo e lei mi abbracciò.
«Allora, ti stai divertendo?
«È molto bello qui» decisi di rispondere, cercando di mascherare l'omissione. Lei mi sorrise, ignorando il mio vantaggio.
«Sì, è stata una fortuna riuscire a prenotarlo in tempo. Dov'è Sawyer?
«È andato a prendere da mangiare.»
«Bene. Vieni, ti presento qualche amico.»
Stavo per dirle che non ce n'era bisogno ma decisi di tenere la bocca chiusa e lasciarmi trasportare fino a un gruppetto di universitari. Qualcuno di loro era vagamente familiare. Mi presentò con un cenno del capo e io cercai di sorridere a tutti, consapevole che non avrei mai ricordato i loro nomi, e quindi vidi Josh Dickens. Lui, divertito, abbassò gli occhi appena mi vide.
«Guarda chi si rivede, l'eterna timida.»
«Pessimo nomignolo Josh» lo canzonò Daisy. «Sai fare di meglio.»
«Irraggiungibile venere?» ritentò, fissandomi negli occhi, irriverente. Attorno a lui i suoi amici abbassarono il pollice e si espressero in una seria di buu. Nascosi un sorriso.
«Cosa ne dite di Malinconica Margherita?»
«Dico che è appropriato» risposi io, di getto. Gli occhi di tutti virarono verso di me e subito avvampai, ma cercai di sostenere lo sguardo del ragazzo, sorpreso di sentirmi ribattere. «Il mio nome significa margherita. La parte del "malinconica" la lascio intendere a voi esperti.»
Alcuni ragazzi attorno a me risero e altri cercarono lo sguardo di Josh per vedere cosa avrebbe detto. Ma lui non proferì parola e si limitò a guardarmi con simpatia. Ecco, ci ero riuscita. Nessuno mi stava giudicando, nessuno mi guardava con disprezzo o come fossi una pazza. Persino Josh, che aveva subito in prima persona gli effetti della mia fobia sociale, sembrava aver dimenticato quanto strana fossi.
«Allora, com'è stato il tuo primo anno alla WU?»
Aspettai un po' a rispondere, fingendo di concentrarmi su un particolare ai miei piedi. Quando rialzai gli occhi, molti stavano aspettando la mia risposta. «Direi pieno di novità.»
«Problemi con qualche esame?»
«No, per niente.»
«Scommetto che hai il massimo dei voti.»
Feci per negare ma Daisy mi precedette. «Non ho mai visto un libretto più immacolato del suo. Tranne forse quello di Gideon.»
Mi aspettai di vedere la gente irrigidirsi a quel nome invece qualcuno sorrise, qualcun altro sbuffò. «Sì, è un vero cervellone. Peccato abbia mollato tutto.»
Cervellone? Gideon? Non avevo mai letto il suo libretto degli esami ma sapevo che studiava poco e niente, che architettura non lo interessava.
«Cervellone e Gideon non stanno bene nella stessa frase» disse una ragazza, sbucando alle spalle di Daisy e abbracciandola per le spalle. «Direi più "genio del male".»
Ciel mi stava già guardando, le labbra nere stirate in un sorriso. «Ciao, Lily. Ti trovo bene.»
«G-grazie. Anche tu stai bene.»
Forse il mio sorriso non era del tutto convincente ma a mia discolpa devo ammettere di essere stata sconvolta dalla sua confidenza. Ciel, che col tempo sembrava essersi abituata a me come se fossi stata un animaletto domestico da sopportare, adesso mi sorrideva tutta denti e occhi dolci.
«Ho sentito parlare di geni ed eccomi qua.»
Todd sbucò accanto a me con un bicchiere in mano e una bandana tra i capelli mossi, legati in un codino scarmigliato. Ammiccò a tutti e il suo sguardo finì su di me. Mi parve di notare un lampo di sorpresa ma durò pochi secondi, il tempo di girarsi, spostarsi e accogliere accanto a sé un'altra figura.
«No, Todd, stavano sicuramente parlando di me.»
Quel piccolo gruppetto diventò presto un ammasso di chiacchiericci e risate fugaci e più cercavo di non guardare Gideon più ero sicura che i suoi occhi invece fossero puntati sulla mia testa. Sentivo bruciare i capelli sulla nuca e le orecchie avvampare. Cominciai a muovere piccoli passi per allontanarmi da lui e sgusciare tra la gente, fino a sparire dalla folla furtivamente. La mia meta era il bancone del cibo, dove speravo di poter trovare Sawyer.
«Non te ne vai per colpa mia, vero?»
Girandomi, fui quasi sorpresa di vedere Gideon. O meglio, avevo capito fosse lui dalla voce, ma come al solito mi aspettavo capelli neri, giacca con le maniche strappate e piercing scintillante. Adesso sulle labbra c'era un pallino nero e i capelli biondi, arricciati sulle orecchie, si confondevano con lo sfondo delle luci.
«Non sto andando via.»
«Sei scappata.»
«Sto cercando Sawyer.»
«Ti accompagno.»
«Non... non serve.»
Gideon si bloccò a un metro da me, le mani incastrate nelle tasche dei jeans chiari, le braccia completamente tatuate che, per la prima volta, non sembravano poi così tanto minacciose. Io sapevo perché le aveva così, sapevo cosa nascondevano. Forse era per quello che la maschera quasi mi piaceva, quasi la volevo accarezzare, piuttosto che biasimarla. Trattenni l'istinto di allungare una mano verso la sua, per afferrare le sue dita e lasciarmi condurre da lui nella sala, ovunque fosse stato pronto a portarmi, e decisi di proseguire nella mia ricerca.
Gideon mi venne dietro, nei fu certa appena mi sporsi sul bancone e chiesi al cameriere se avesse visto mio fratello, visto che lì proprio non c'era.
«Forse è andato in bagno.»
«O forse gli hai chiesto di sparire per un po', così potevi subentrare tu.»
Gideon non si sorprese del mio attacco come me, mi era uscito talmente spontaneo, ma anzi ebbe la faccia tosta di sorridere.
«Ah, dannazione, mi piacevi anche prima ma adesso sei decisamente irresistibile.»
Sbigottita, aprii e chiusi la bocca, ma non uscirono parole. Mi stinsi le braccia al petto, come a voler nascondermi da quel complimento, e lui seguì il movimento con gli occhi, per nulla imbarazzato dalla sua lingua lunga.
«Comunque non ho chiesto nulla a Sawyer ma fintanto che non è qui a tenerti compagnia, credo che subentrerò al suo posto.»
«Non ce n'è bisogno.»
«Voglio farlo lo stesso.»
«Non voglio che tu lo faccia.»
Gideon si appoggiò al tavolo, le braccia stirate dietro di lui e lo sguardo rivolto alla sala. La musica si trascinava lenta e non trasportava nessuno dei presenti, troppo concentrati a ridere o bere.
«Quello che voglio io invece è sapere perché sei venuta da me, due settimane fa.»
Non sapevo perché non ero andata via, cercando di scappare da lui e dalla sua compostezza, da quell'atteggiamento che mi aveva conquistato e che allo stesso tempo odiavo moltissimo. Decisi in fretta che non c'era bisogno della guerra per fare del male. C'erano le parole, i sentimenti non corrisposti, i silenzi. Ma io volevo risposte e volevo smetterla con il dolore, i dubbi e i mille pensieri. Così mi appoggiai anch'io al tavolo, abbassando le difese.
«Sawyer mi ha raccontato tutto» esordii e aspettai che le mie parole scatenassero il putiferio. Finestre rotte, luci impazzire, grida atroci. Invece niente. L'impassibilità era scolpita sui suoi lineamenti, la bocca morbidamente immobile.
«Ti va di andare in un luogo più appartato?»
Sulle prime non risposi ma poi vidi la sua mano sporta verso la mia, il palmo rivolto all'insù e le dita già pronte ad avvolgere le mie. Il mio corpo reagì d'impulso, gli diede la mano, e prima che potessi rendermi conto di quello che aveva fatto, lui aveva preso a camminare, portandoci verso le vetrate. Il sentiero accerchiato dalle siepi doveva aver catturato anche la sua attenzione, perché ci portò lì, nella notte che incombeva. Chiuse il vetro dietro di noi e improvvisamente la musica cessò. Niente più chiacchiere, niente più frastuono. La mia mente tornò libera, tutta concentrata su quella mano caldissima che stringeva la mia con forza. Dovetti insistere per toglierla via e la divisione turbò entrambi. Gideon prese a camminare e io gli andai dietro, il religioso silenzio. Volevo sapere se le mie parole lo avessero schermito, almeno dentro, e se avesse capito a cosa mi fossi riferita.
«Di quale tutto stai parlando, esattamente?» chiese dopo un po', decidendo di andare per il sicuro.
«Il tutto che ci ha portati a questo punto, Gideon.» Non sapevo dove e quando avessi acquisito tutta quella sicurezza ma mi piacque riuscire a dare risposte non esaustive ma che tenessero acceso l'interesse. «So che non siete mai stati amici, che grazie a Ciel lo hai rintracciato senza dirmi niente. So che tu sapevi la verità ma non me l'hai detta.»
«Non era compito mio farlo.»
«Ma tu non menti mai, giusto?»
Strinse le labbra e mi sembrò una vittoria, perché lo avevo messo in difficoltà e non sapeva come replicare.
«Sono stato costretto a farlo» disse infine, lo sguardo perso davanti a noi, in chissà quale momento del nostro passato. «La cosa più difficile che abbia subito.»
«Costretto da chi?»
«Da tua madre, da Sawyer, dalla morale. Non potevo dirti che era tuo fratello e sbatterti in faccia la verità, non era compito mio.»
«Non avresti dovuto mentirmi.»
«E cosa avrei dovuto fare, Lily? Lasciarti senza motivo così non sarei stato costretto a guardarti ogni giorno in faccia e fingere di non sapere?»
Sapevo che era una domanda retorica, eppure a me pareva una soluzione piuttosto semplice. Quindi decisi di rispondere: «Sì, avresti potuto.»
Si fermò e mi guardò, le sopracciglia contratte in una smorfia di... disappunto. Si era innervosito. Questo voleva dire che provava un'emozione e non era un robot senza cuore.
«E come?»
Alzai gli occhi su di lui, pronta ad affrontare qualsiasi sentimento fosse stato esposto a breve. «Così: "Lily, questa cosa non fa per me, meglio se mettiamo un taglio adesso prima che sia troppo tardi".»
Inclinai la testa d'un lato, come a sfidarlo. «Ah, no, giusto. Era già troppo tardi per me e tu lo sapevi benissimo.»
Ancora una volta, non disse niente. Anzi, abbassò persino lo sguardo. Io ricominciai a camminare. Adesso erano la rabbia, il risentimento e il dolore sordo dentro il petto che muovevano le mie gambe e la mia lingua.
«Mentirti è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Evitare di raccontarti tutto, di smetterla con la falsa che era stata la tua vita per darti finalmente la possibilità di qualcosa di vero era... Era semplicemente troppo per me e non ho saputo gestire la situazione.»
Eravamo arrivati a una biforcazione e la tentazione di dire a Gideon di separarci, per vedere se le strade si rincontrassero, mi sembrò ironica. Alla fine optai per la sinistra e m'incantai sulle rose gialle e arancioni che erano state incastrate tra le siepi nere. L'aria era fresca, il caldo del pomeriggio era stato portato via da una bella ventata che mi aveva rigenerato l'umore. Non sentivo freddo sulle spalle scoperte né sulle gambe anche se, accanto a Gideon, il disagio regnava sovrano. Lui mi aveva insegnato come essere sicura dentro un paio di jeans, come sfociare maglioni e capelli sciolti, un po' ribelli, senza sentirmi fuori posto e adesso, ordinata com'ero un tempo, quasi pensavo di deluderlo. Non aveva detto niente sul mio abbigliamento ma in fondo al cuore sapevo che aveva fatto caso al mio ennesimo cambiamento, così come io avevo notato i suoi capelli, senza chiedere spiegazioni.
«Ti capisco» ammisi con un sospiro e mi sorpresi di quanto fossero vere quelle parole. «Sarebbe stato troppo da gestire per chiunque.»
Non ricevetti risposta e così tornammo indietro, tanto il sentiero era terminato con un muro di cemento tutto tranne che romantico. La via per il ritorno mi sembrò lastricata di confessioni mancate o occasioni perse, come se non stessi approfittando dell'occasione. Gideon era proprio accanto a me, in procinto di confessioni, e io avrei potuto chiedergli che fine avesse fatto in tutti quei mesi, cosa pensasse di me, di noi e di quello che era successo. Era stato male perché lo avevo lasciato? Sapeva di Dakota e Connor? Perché aveva lasciato l'università? E i capelli?
Tutte domande che non formulai e tutte risposte che lui mi avrebbe dato se solo avessi avuto il coraggio di rivolgermi ancora a lui, o almeno di alzare lo sguardo. Ma non lo avevo, il cuore mi gridava di nascondere la testa sotto la sabbia, di andare via, di non gettarmi tra le sue braccia anche se ne avevo disperatamente bisogno.
Davanti alle vetrate, entrambi ci bloccammo. Nessuno dei due si mosse per aprirle o entrare, rimanemmo lì a fissare i nostri riflessi, godendoci la vista degli invitati che si divertivano. Noi due fuori, il mondo dentro. Oppure il contrario.
«Ho saputo... Todd mi ha detto dell'articolo.»
Il suo fiato appannò il vetro ma se ne andò in fretta, catturato da una leggera brezza che ci soffiò alle spalle. Mi scostai i capelli e non feci domande, sapevo di quale articolo stesse parlando.
«Non è la mia foto migliore.»
Un guizzo delle labbra, che andò via troppo presto. «Matrimonio... Roba forte.»
«Matthew è...» Improvvisamente mi sentivo in obbligo di proteggerlo da quella bugia, da quell'assurdità, eppure Gideon era così gelido mentre parlava del mio presunto matrimonio. Non sembrava che la cosa lo toccasse minimamente. Era forse un sollievo per lui che avessi trovato un altro ragazzo a cui donare il cuore? Non poteva sapere che non era così ma sicuramente non gliel'avrei detto.
«...è un bravo ragazzo» conclusi, scoraggiata.
«Un bravo ragazzo» ripeté con tono derisorio. «I tuoi genitori lo approvano?»
«Lo adorano» dissi con enfasi ma la mia intenzione era mettere in imbarazzo loro. Gideon non sembrò cogliere il mio tono scherzoso e continuò a fissare dritto davanti a sé.
«Medicina?»
«Legge.»
«Ah, siete perfetti l'uno per l'altra.»
«Tu dici?» mi ritrovai a chiedere, un po' disperata. Il mio cuore aveva subito numerosi tumulti durante la serata, e in mesi, eppure niente è peggio di sentire il ragazzo che ami dire che sei perfetta per un altro. Sapevo di non essere perfetta per Gideon, come lui non era perfetto per me; insieme funzionavamo a stento eppure c'eravamo messi in moto, in un modo e nell'altro, e avevamo faticato per andare avanti. Perché lo volevamo. Perché ci volevamo bene. Poi io gliene ho voluto di più e lui aveva mollato la vettura, lanciandosi fuori e lasciandomi sola ad affrontare terre lontane, inesplorate e pericolose. Ero sicura che non avrei resistito due minuti senza di lui eppure ero lì, indipendente, con una buona dose di consapevolezza sulle spalle.
«Vado nell'Illinois» esordì, cambiando discorso. «Torno dalla mia famiglia. O almeno, da quello che ne rimane. Voglio vedere mio fratello.»
«Tu... Davvero?»
«Proprio così.»
«Quando lo hai deciso?»
«Non lo so, qualche giorno fa. Ci sto pensando da più tempo ma ormai ho prenotato il volo. Parto tra cinque giorni.»
«Questo è fantastico!» Lo pensavo davvero, ero sinceramente contenta per quella saggia e matura decisione. Gideon che tornava dalla sua famiglia, dopo tutti quegli anni. Gideon che affrontava il suo passato. Il mio cuore si sentiva orgoglioso ma non l'avrei mai ammesso ad alta voce. Forse era per questo che aveva smesso di tingersi i capelli, perché voleva farsi riconoscere da suo padre e suo fratello. «Gideon, sono molto felice di questa tua decisione. Credo che sia un grande passo avanti e per te significherebbe...»
«Vuoi venire con me?»
Sulle prime pensai di aver sentito male e dovetti chiedergli di ripetere.
«Tu vuoi venga con te, nell'Illinois?»
«Sì.»
«Dalla tua famiglia?»
«Sì.»
«Con te?»
Non rispose, mi guardò e fece una smorfia, stufo di assentire per la terza volta.
«Perché?» chiesi allora.
«Credo che entrambi conosciamo la risposta.»
«Io proprio no.»
«Lo faccio per te, Lily.»
«Per me?»
«È merito tuo se ho preso questa decisione.»
Le sue parole piuttosto che chiarire i miei dubbi non facevano che aggiungerne alla lista. «Non capisco. Non hai mai voluto affrontare l'argomento con me, non mi hai mai concesso di capire fino in fondo o di aiutarti.»
Eravamo ancora davanti alle vetrate, i nostri riflessi parevano guardarci con accusa. Quello di Gideon in particolare sembrava sconsolato, un soldato sconfitto che ritorna in paria privo della sua dignità.
«Sì, perché sono testardo come un mulo e sensibile quanto un ragazzino. Non è facile per me affrontare certi argomenti e avrei voluto avere le palle... scusa, il coraggio per farmi aiutare. Ma adesso voglio provarci. Ed è merito tuo se ho cambiato idea dopo tutti questi anni.»
Scossi la testa, avvolta in un turbinio di opinioni contrastanti. «Non credo sia merito mio, sei solo arrivato alla conclusione giusta con un po' di fatica e qualche acciacco, ma sei intelligente abbastanza da farcela anche da solo.»
«Questo vuol dire che non verrai?»
«Certo che non verrò, Gideon. Io non... Non posso.»
«Okay» disse soltanto, e andò via. Io avevo ancora le labbra aperte, il fiato sospeso, e l'opprimente sensazione di aver detto una cosa sbagliata, alla quale non avrei potuto porre rimedio.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro