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28. Sawyer Green

L'appuntamento era dentro un'anonima caffetteria sulla Newton Street e il vecchio amico di Gideon se ne stava seduto con le gambe incrociate a un tavolino in fondo, con tanto di separé. Aveva la testa poggiata su due pugni e sembrava agitato, da come muoveva la gamba su e giù. Gideon mi prese per mano per entrare, come faceva sempre quando ci trovavamo in qualche posto sconosciuto, circondati da gente sconosciuta, e mi condusse verso il ragazzo. Dai tratti sembrava molto più grande di Gideon e di me, forse andava per la trentina, con i capelli color castano sabbia, gli occhi di un nocciola molto comune e il naso un po' troppo lungo e arcuato. Appena alzò lo sguardo, i suoi occhi virarono verso di me e un sorriso tutto denti spuntò all'orizzonte.

«Lily, ti voglio presentare Sawyer.»

L'uomo si alzò di tutta fretta, facendo quasi ribaltare la sedia, e notai portasse un completo laccato molto elegante, che poco si addiceva all'ambiente nel quale ci trovavamo. Somigliava molto a quelli che indossava mio padre e non sembrava avere proprio nulla in comune con Gideon. Sawyer mi porse la mano, tutto eccitato.

«Piacere di conoscerti, Lily.»

Gli sorrisi rassicurante, incuriosita da tutta quella strana allegrezza. «Piacere mio.»

«Vado a prendere qualcosa da bere» m'informò Gideon, mentre mi sedevo. Gli lanciai un'occhiata, timorosa che mi lasciasse da sola, ma lui mi aveva già dato le spalle e non si accorse di nulla. Mi rivolsi a Sawyer timidamente, spostandomi davanti a lui.

«Allora, come conosci Gideon?»

Lui mi stava guardando negli occhi, per nulla a disagio, e io lo trovai un po' inquietante. Forse si accorse del mio sguardo storto, perché interruppe il feedback con una risatina. «Oh, ehm... Gideon, certo. Lui che cosa ti ha detto?»

La trovai una risposta evasiva ma diedi la colpa alla mia paranoia.

«Siete vecchi amici.»

«Sì, sì, certo. Vecchi amici.»

«Anche tu vieni dall'Illinois?"

«Illinois?» fece lui, aggrottando la fronte. Il suo stupore bastò come risposta.

«E come vi siete conosciuti, allora?»

Sawyer alzò gli occhi, d'un tratto nervoso, e Gideon comparve alle mie spalle.

«Conosce il mio datore di lavoro, ogni tanto si presenta al cantiere e da una mano come può.»

«Il cantiere, giusto.»

Le parole di Sawyer erano dettate dall'agitazione, si capiva che qualcosa non andasse.

«Da quanto lavori al cantiere?» chiesi rivolta a Gideon, mentre osservavo le sue dita girare il cappuccino con un cucchiaio d'argento.

«Qualche anno» rispose lui, lanciandomi un'occhiata.

Non ero sicura che qualche anno bastasse per definire Sawyer un vecchio amico e, per la prima volta, sentivo che Gideon era distante. Che mi stesse nascondendo qualcosa? Seppure fosse stato così, mi sembrava incredibile. Lui era bravo con i segreti e spesso, più che essere evasivo, tendeva a non mostrare certi lati di sé che potessero creare sospetto. Adesso invece metteva in bella mostra indizi che riconducevano solo a segreti, sebbene tenuti ben nascosti. Da qualche giorno "aveva da fare", scompariva e riappariva a orari impensabili, senza giustificare il suo gran da fare. Scacciava ogni mia indagine con un segno della mano e mi rassicurava, dicendo che non c'era nulla di cui dovessi preoccuparmi. Io mi fidavo di lui e tentavo di rimanere calma di fronte a questo cambio di personalità, ma ogni tanto dei piccoli allarmi suonavano a gran voce, tenendomi all'allerta. Sawyer era solo l'ennesima mia insicurezza, l'ennesimo tassello che provava quanto fosse schivo questi giorni Gideon. L'uomo non veniva dall'Illinois, ma poteva comunque trattarsi di una vecchia conoscenza, risalente forse a prima del cantiere. Gideon poteva aver omesso qualche dettaglio, ma se avevo ragione, mi aveva spudoratamente mentito. Le mie erano solo congetture, paranoie, ma la sola idea che mi stesse nascondendo qualcosa d'importante mi faceva tremare tutta.

«Allora, tu frequenti l'università giusto?»

Alzai gli occhi solo per capire a chi Sawyer si stesse rivolgendo. A me, ovviamente, se era amico di Gideon doveva conoscere questi dettagli della sua vita.

«Sì, la stessa di Gideon.»

«E cosa studi?»

«Giurisprudenza.»

«Vuole diventare un'assistente sociale» aggiunse Gideon, prendendo un sorso dalla tazzina. Gli occhi di Sawyer s'illuminarono e drizzò la schiena, tutto impettito.

«Un'assistente sociale, davvero? Conosco bene quel campo, di cosa vorresti occuparti?»

Mi schiarii la gola e cambiai posizione, avvicinando la mia sedia a quella di Gideon. «Adozioni.»

L'aria sembrò congelarsi per qualche istante e Sawyer rimase completamente immobile a fissarmi. Sembrò capire quanto fossi a disagio un attimo più tardi e abbassò gli occhi, grattandosi le guance coperte da un leggero strato di peluria.

«Posso chiedere come mai?»

Gideon, accanto a me, si era leggermene irrigidito e se lui era a disagio, per me non c'era scampo.

«La mia migliore amica è stata adottata» decisi di ridurre le spiegazioni al minimo, sembravano entrambi troppo pensierosi per darmi ascoltato sul serio.

«E tu invece, cosa studi?»

Sawyer si riprese con un'altra breve risata e tornò a grattarsi la guancia. «Sono lusingato che tu creda abbia ancora l'età per studiare ma ho finito parecchi anni fa. In realtà, non sono andato al college, perciò i miei titoli finiscono con il diploma. Adesso lavoro in un'agenzia delle entrate.»

Annuii con vigore e la conversazione si ridusse, come una fiamma che lentamente muore. Gideon finì il suo cappuccino e con un impeto lo ripose sul tavolo. «È da tanto che non ci vediamo, come va la tua vita? Ricordami come stanno i tuoi genitori.»

Sawyer gli lanciò un'occhiata piuttosto strana, come se Gideon avesse parlato in arabo, e ci mise un po' per rispondere.

«Mia madre è morta lo scorso autunno e papà si è ripreso dallo shock solo da paio di mesi fa, quando l'hanno dimesso dalla clinica.»

Gideon sembrò imbarazzato e a me venne una fitta al cuore. «Oh, mi dispiace così tanto. Stava male tua madre?»

Gli occhi di Sawyer si posarono su di me con dolcezza. «Sì, qualcosa del genere. È durata poco la sua sofferenza e un attimo prima di andarsene, mi ha confessato che sono stato adottato.»

Fui colpita dalla sua confessione e ci misi un po' per formulare la frase successiva. «Wow, come l'hai presa?»

«Male, all'inizio. Con mio padre fuori di testa non avevo nessuno a cui rivolgermi per andare più a fondo a questa storia. Quando si è ripreso, come dicevo un paio di mesi fa, abbiamo fatto una lunga ed estenuate chiacchierata.»

Ero curiosa di sapere perché Gideon non dicesse niente ma allo stesso tempo rapita dalla storia e delle confessioni di Sawyer. Mi guardava come se volesse affidarmi ogni suo segreto, sebbene ci conoscessimo solo da dieci minuti. Trovai i suoi sentimenti disarmanti e allo stesso tempo gratificanti, come se dessi parvenza di essere affidabile ed empatica.

«Deve averti scosso molto, la notizia.»

Ancora una volta, qualcosa scintillò nel suo sguardo. Adesso capivo perché avesse conoscenza nel campo dell'assistenza sociale e perché sembrava così sorpreso sentendomi parlare del mio futuro. Che piacevole coincidenza.

«Sì, parecchio, è così.»

«Tuo padre come sta adesso?»

«Si sta riprendendo, vuole ricominciare la sua vita, anche se la mamma gli manca moltissimo.»

Non potevo immaginare la morte di uno dei miei genitori, neanche se adesso eravamo in un periodo di guerra fredda. Tantomeno potevo pensare a come sarebbe stato se uno dei due fosse impazzito dal dolore, lasciandomi sola a gestire una situazione tanto delicata. Gideon smorzò quell'aria cupa chiedendogli di come si trovasse a Seattle e così scoprii che viveva a Renton, poco distante. Si barcamenò presto in una conversazione sulla sua infanzia e mi fece molte, moltissime domande. Sulla mia amica adottata, sull'università, sui miei genitori. Non gli raccontai che eravamo alle strette, perché mi sembrava troppo personale, ma sembrò sinceramente curioso di ogni dettaglio riguardasse la mia vita. Gideon parlò poco, intervenne quando mi sentivo particolarmente a disagio o quando Sawyer si perdeva nei propri pensieri, e dopo un'oretta fummo tutti fuori.

«Ho parcheggiato dall'altra parte della strada.»

«Noi torniamo a piedi» fece Gideon, allungando una mano per salutarlo. Sawyer cambiò la stretta con impeto, ringraziandolo e poi rivolgendosi a me.

«Mi ha fatto molto piacere conoscerti, Lily. Spero ci saranno altre occasioni.»

«È stato un piacere anche per me.»

Prima che potessi prevederlo, si era già slanciato in avanti e mi aveva abbracciato. M'irrigidii all'istante, strabuzzando gli occhi. L'unica ragione per cui non avevo balbettato quando mi rivolgevo a lui era perché Gideon mi stava accanto, a tratti mi carezzava distrattamente la mano o la spalla, e io reprimevo la voglia di correre via. Ma questo era troppo. Sawyer si scansò prima che fosse Gideon a farlo allontanare e ci salutò con la mano alzata mentre attraversava la strada.

«Strano» mormorai, afferrando subito il braccio di Gideon. «È stato piuttosto strano.»

«Sì, l'ho notato anch'io.»

«C'è qualcosa che vuoi dire a riguardo?»

C'incamminammo per le strade e mi strinsi nella giacca, per il freddo. I marciapiedi erano piuttosto puliti dato il lavoro degli spazzaneve ma ogni tanto i miei stivaletti facevano scricchiolare qualche residuo di neve caduto dai tetti. Dal Natale aveva nevicato un altro paio di volte ma per lo più c'erano state piogge, grandinate e tanto vento.

«Di cosa parli?» chiese Gideon, abbassando il mento per vedermi.

«Non so, dimmi tu. È stato un incontro piuttosto strano. Sicuro di averlo conosciuto al cantiere?»

Rimase in silenzio per un po', a tratti tirando su con il naso.

«Credi che ti stia mentendo?»

«No» risposi subito, ma era esattamente ciò che pensavo. Non volevo che credesse non mi fidassi di lui. «Solo... forse hai paura di dirmi tutta la verità.»

«Di quale verità stai insinuando?»

«E come faccio a saperla se me la tieni nascosta?»

Continuò il suo gioco del silenzio fino a che arrivammo alla macchina e appena sgusciai dentro, lui si fermò lasciando la portiera aperta.

«Forse vado da Todd, me la faccio a piedi.»

«Non vuoi che ti riaccompagni a casa?»

«Dipende. Vuoi continuare con l'interrogatorio?»

Misi il broncio e abbandonai le mani sui fianchi. Quindi lo osservai con un cipiglio. «Io mi fido di te, Gideon, e se tu mi dici di non aver mentito, io ti credo. Mi è sembrato un incontro strato, tutto qui. Magari avevi paura di dirmi che faceva parte...»

«Di cosa?» fece lui, interrompendomi con rabbia nella voce. «Parte del mio passato? E perché dovrei averne paura?»

Lo fissai con tanto di occhioni, incapace di giustificare i miei dubbi. Gideon entrò in macchina, sbattendo la portiera con sé, e i suoi occhi virarono verso il grigio acciaio.

«È per quello che ti ho detto prima del Natale, vero?»

Non capii di cosa stesse parlando e mi ritrovai a boccheggiare. «Cosa?»

«Ti comporti come se volessi proteggermi da ogni male del mondo.»

«Non so di cosa stai parlando» feci ancora, intimorita dal suo tono piuttosto duro, difensivo. Si stava arrabbiando più di quanto potessi prevedere e mi chiesi da dove derivasse tutta quella frustrazione e cosa avessi fatto per scatenarla.

«Non devi farlo, Lily. Non ti ho detto tutto perché tu mi compatissi o cercassi di risolvere i casini del mio passato. L'ho fatto perché tu volevi sapere. Non cerco nessuna protezione.»

Era ingiusto, perché avevo cercato di capirlo e di stargli accanto come potevo, per sostenerlo, ma lui mi vedeva solo come l'assillante curiosona. Era arrabbiato perché io sapevo quando era stato lui a rivelarmi tutto, di sua spontanea volontà. Certo, forse avevo fatto capire molto bene che se mi avesse informato, mi avrebbe fatta molto felice, ma non avevo insistito più del dovuto e lui aveva scelto di testa propria. Diedi parole ai miei pensieri e a ogni frase in più, lui sembrava incupirsi maggiormente.

«Allora a cosa devo questa insicurezza?» domandò lui, alla fine dei conti.

«Non si tratta d'insicurezza» risposi, mantenendo un tono sempre pacato e gestibile. Sapeva bene quanto odiassi le liti e come il cambio di tono m'innervosisse, portandomi a chiudermi in me stessa. «Ho paura che tu tenga dentro ancora molti scheletri e sono piuttosto certa che ti farebbe bene tirarli fuori. Non devi farlo per forza con me, ti basta parlarne con qualcuno

Lui sbuffò e fu una delle poche volte in cui lo vidi decisamente provato, la sua maschera impassibile era magicamente scomparsa lasciando intravedere un'espressione frustrata e infastidita. Non era solo arrabbiato ma anche represso, e mi stava nascondendo qualcosa. Ormai era ovvio, altrimenti non si sarebbe alterato tanto.

«Non mi conosci per niente, allora.»

Le sue parole mi ferirono con un'intensità tale che rimasi in silenzio attenendo le sue scuse, che non arrivarono. I suoi occhi erano fissi sulla strada e le sue mani intrecciate tra di loro, sul suo grembo. Stava tentando di ritrovare il suo equilibrio e di nascondere ogni emozione. Peccato per me che non avevo quel talento. Le lacrime mi pungevano gli occhi.

«Forse hai ragione, ma ti conosco abbastanza. Ormai ho imparato a starti accanto Gideon, e credo di avere il diritto, come tua ragazza, di volere la tua felicità.»

Non sembrò toccato dalla mia confessione, era la prima volta che mi definivo la sua ragazza con quel trasporto, proprio con lui. Ormai gli avevo detto di amarlo e anche se lui non mi aveva ricambiata, ero sicura dei miei sentimenti. Amavo Gideon, amavo come mi faceva sentire, amavo come si comportava anche se non sempre lo capivo.

«Credi di avere il diritto di parlare della mia felicità perché ci baciamo e ci teniamo per mano, dichiarandoci di essere una coppia?»

Il suo tono era freddo, glaciale. Mi stava ferendo, e lo sapeva. Inghiottii le lacrime e scossi la testa, come a scrollarmi tutta quell'acidità di dosso. Non capivo proprio cosa avessi fatto o detto da farlo arrabbiare tanto.

«Io... non so che cosa dire. Davvero, mi hai spiazzato.»

Non disse niente e la macchina rimase in silenzio con solo il lieve russare del motore in folle. Eravamo felici fino a qualche attimo prima, eravamo sereni nella nostra quotidianità, e adesso stava sconvolgendo tutto. Avevo messo in dubbio ogni mio principio, avevo messo in dubbio i criteri del miei genitori, il mio stesso futuro, per cedere e stare con lui; e adesso Gideon riduceva la nostra relazione, il mio amore, a una serie di baci e a una smunta dichiarazione? Il mio cuore palpitava, non voleva credere alle sue parole.

«Per me non sono solo baci» mormorai infine, sempre più sconfitta e avvilita. «Per me non siamo solo una coppia. Io ti amo, Gideon, e quello che provo per te rende cieco ogni altro sentimento. Voglio solo che tu sia felice, soddisfatto della tua vita, consapevole di quante possibilità hai nelle mani; e non voglio vederti struggerti per dolori passati che si possono affrontare, perché nei hai le capacità.»

Mi guardò ma io non avevo il coraggio di ricambiare lo sguardo, i suoi occhi avevano strani poteri che mi facevano sentire tutta molle.

«Non sono solo baci?» ripeté, questa volta con una calma spaventosa.

Di tutto quello che avevo detto, aveva sentito solo questo. Ingoiai un altro sussulto, volevo assolutamente chiarire al più presto.

«Allora forse dovresti baciare qualcun altro, per fare esperienza e ricrederti.»

Mi si mozzò il fiato in gola e questa volta non ebbi la forza di trattenere le lacrime, che scesero copiose lungo le mie guance. Gideon si accorse di aver esagerato, o almeno a me sembrò così, perché subito si fece avanti vero di me, le sue labbra strette dal rimorso.

«Scusa, non avrei dovuto.»

Tremante, afferrai il volante mentre grossi singhiozzi riempievano l'abitacolo. Non riuscivo a controllarmi, tutto il peso di quella conversazione mi sta sopraffacendo. Accesi la macchina e feci per partire, ma Gideon aprì la portiera e scese, lasciandomi da sola.

•••

«Sono andato via perché odio quando piangi.»

«Provane un'altra» urlò Dakota affianco a me, per farsi sentire da Gideon, dall'altra parte della porta.

«Lily» fece lui, chiamandomi per la centesima volta. «Mi dispiace tantissimo, sono stato un idiota. Quando piangi mi sento male.»

«Ottima scusa» fece ancora Dakota, afferrando un popcorn dalla ciotola.

«Dakota...» cominciai, ma lei mi fermò con un gesto della mano.

«Non cedere, Lily. Deve soffrire per averti fatta piangere.»

«Posso parlare con la mia ragazza, per favore?» chiese Gideon, un po' più alterato.

«Ah, adesso è la tua ragazza! Lo era anche quando le hai detto di baciare altri ragazzi?»

Sbuffai, non mi piaceva l'idea che Gideon pensasse che andassi a spifferare tutti i miei affari alle mie amiche. Però, quando ero tornata al dormitorio e Dakota mi aveva visto ridotta a uno straccio, avevo dovuto confessare. Mi serviva una spalla con cui sfogarmi e Addy era irraggiungibile.

«Lily?»

Sobbalzai, riconoscendo la voce di Addy. «Mi apri? E perché Gideon sta qui fuori come un cane bastonato?»

«Lui non può entrare» gridò Dakota, sempre più convinta di difendermi.

«Io posso?» fece Addy, un po' preoccupata.

Dakota si alzò, precedendomi e andando ad aprire. Tentò di far passare Adrienne in uno spiraglio minuscolo ma quando la forte mano di Gideon spinse la porta, nulla, nemmeno la rabbia della mia coinquilina incinta, poté fermarlo. Marciò dritto verso di me e mi afferrò per le mani, tirandomi su.

«Dobbiamo parlare»

«Anche noi dobbiamo parlare» esclamò Addy, affiancandomi. Dakota stava sferragliando una serie di pugni feroci sulla schiena di Gideon, ma lui non sembrò notarlo. Io avevo ancora lo sguardo basso, non volevo guardarlo. Mi rivolsi alla mia migliore amica.

«Ma dove sei finita ieri sera?»

Lei alzò le spalle e lanciò un'occhiata a Gideon, muovendo le labbra per sillabarmi che era stata con Todd. Alzai un sopracciglio, sorpresa, e mi ripromisi di fare una lunga chiacchierata a riguardo. Quindi presi un grande respiro e alzai gli occhi piano.

«Qualsiasi cosa tu abbia da dirmi,» dissi, rivolta a Gideon. «fallo adesso e davanti a loro.»

«Preferirei in privato» ribatté lui, un po' scettico. Sfilai violentemente le mani dalla sua presa e mi affiancai a Dakota.

«Allora puoi anche andare via.»

«Lily, ti prego...»

«Non cedere» mi bisbigliò Dakota all'orecchio e io volevo tanto seguire il suo consiglio, essere forte e impassibile di fronte allo sconforto di Gideon; eppure non lo avevo mai sentito supplicare, non così. Forse si era deciso a chiedermi scusa e a dirmi tutta la verità, perché a questo punto era ovvio che nascondesse qualcosa.

«Restate qui, torno subito» dissi alle mie amiche, creando uno sconforto generale. Dakota si lamentò un po', cercò di farmi cambiare idea, mentre Addy mi fece un cenno con il capo e si rivolse alla mia coinquilina. Io marciai verso la porta e uscii nel corridoio, affiancato un attimo più tardi da Gideon, che ci chiuse fuori.

«Qualsiasi cosa tu abbai da dire...»

Mi tappò la bocca con la sua, spingendomi contro il muro. Mi aveva preso di sorpresa e non ero pronta a reagire, anche se non sono sicura che avrei saputo farlo. Gideon sapeva che effetto mi facessero i suoi baci e io, liquefacendomi addosso a lui, non ebbi né la forza né la volontà per respingerlo. Mentre le sue labbra si posavano delicatamente contro le mie, non con travolgente passione ma come a chiedere scusa per quel contatto, pensai che fosse ingiusto giocare la carta del bacio. Amavo baciarlo, amavo lui, ma non poteva risolvere ogni disguido così. Aspettai che mollasse la presa sulle mie guance e mi guardasse negli occhi prima di cercare di intimorirlo con un'occhiataccia.

«Non puoi fare sempre così.»

«Così come?» chiese ingenuo, mentre un sorrisino si faceva largo sulla linea delle labbra.

«Non è giusto, Gideon» mormorai, scuotendo la testa. «Sono arrabbiata con te, perché mi hai ferito. E tu non hai da dire nulla a riguardo.»

Ci fece entrambi scivolare lungo il muro e mi circondò la schiena con le braccia, attirandomi verso di lui.

«Mi dispiace per aver fatto l'idiota» confessò, con un tono grave e solenne.

«E?»

«E non ho scuse.»

«E?»

«E... I nostri baci significano tanto, tantissimo.»

«Tipo cosa?»

«Significano che ci piacciamo, che ci capiamo e che ne abbiamo bisogno.»

«Abbiamo bisogno di cosa?»

Mi sentivo una maestra che imboccava il proprio alunno, ma lui non sembrava infastidito mentre cercavo di tirargli fuori confessioni importanti.

«Abbiamo bisogno di stare l'uno accanto all'altra, no?»

Lo guardai negli occhi e non potei impedirmi di allungare una mano e infilarla nei suoi capelli setosi, passando le dita tra le ciocche nerissime.

«Io sì, ne ho bisogno.»

«Mi perdoni?»

Sospirai, l'avevo praticamente perdonato quando aveva ammesso di aver fatto l'idiota. Però Dakota mi aveva più volte consigliato di fargli credere che fossi ancora arrabbiata, per tenerlo sulle spine e impartirgli una bella lezione. Ci aveva visto giusto, perché Gideon si era davvero pentito e me lo stava dimostrando.

«Non mi dire più quelle cose.»

Incrociò indice e medio e passò le labbra sulle dite, baciandole. Poi me le mise sotto al naso, spronandomi a fare lo stesso. Con un sorriso, baciai le sue dita.

«Lo prometto» mormorò, con un sorrisino. A quel punto, dopo aver liberato il cuore da un macigno pesantissimo, mi buttai addosso al lui e lo sbilanciai, facendolo finire con la schiena a terra. Cominciai a tempestargli la faccia di baci, facendolo gorgogliare dal solletico o dal piacere, non saprei dire.

«C'è una cosa di cui ti devo parlare.»

Sprofondai la testa nel suo collo, ansiosa di sapere cos'altro aveva da dirmi. «Ti prego, fa che non mi penta di averti appena baciato tutta la faccia.»

Gideon rise, genuinamente, come faceva raramente; come piaceva a me.

«Si tratta di Sawyer.»

Mi raddrizzai tutta, puntando le mani ai lati della sua testa e alzando un po' il busto, mentre lui mi tirava indietro i capelli con le mani, posandole sulle mie guance.

«Sì?»

«Forse non ti ho detto tutto quello che lo riguarda ma ho bisogno di un po' di tempo prima di poter confessare.»

Ragionai qualche secondo, cercando dentro di me qualche residuo di saggezza.

Alla fine vinse la curiosità. «Fa parte del tuo passato?»

«No.»

«Okay. Ti darò tutto il tempo che ti serve.»

«Sì?»

«Sì, certo.»

Gli sorrisi, carezzandogli di nuovo i capelli. Se avessi potuto, sarei rimasta per l'eternità con le mani tra le sue ciocche morbide. Quando ridacchiò ancora, perché evidentemente avevo toccato un punto sensibile, tornai a baciarlo. Perché ero debole, ed ero innamorata.

•••

Vedemmo Sawyer saltuariamente anche nei giorni successivi, spesso ci chiedeva di prendere un caffè assieme la mattina o nel pomeriggio. Con il tempo, avevo preso a sentirmi meno a disagio con lui, soprattutto perché aveva cominciato a essere più tranquillo in mia presenza, e non così agitato o eccitato. Ancora non capivo perché Gideon tenesse tanto a lui e come mai fosse spuntato un po' all'improvviso ma mi costrinsi a non fare domande troppo presto; quando sarebbe stato pronto, Gideon mi avrebbe confessato tutto. Quando passavamo il tempo con Sawyer, Gideon ci teneva a dare un'immagine di me quasi spettacolare; tendeva a elogiarmi – cosa che non aveva mai fatto, nemmeno nel privato – con frasi canoniche e lusinghiere. Sawyer accoglieva tutti quei complimenti con un sorriso ed esprimeva di essere d'accordo con le parole del suo amico. Più m'imbarazzavo più sembravano esserne contenti.

Nel frattempo, Addy era tornata a casa dai suoi e aveva subito delle ramanzine, che poi si erano trasformate in abbracci consolatori e serate in famiglia. Mi faceva visita durante il pranzo quasi tutti i giorni e delle volte riusciva a infiltrarsi a lezione, così, perché non aveva nulla di meglio a cui dedicarsi. Non tentava più nemmeno di parlare di Mason, sebbene quest'ultimo l'avesse chiamata un paio di volte senza successo. Nei giorni seguenti al suo arrivo, avevo cercato di tirarle fuori qualche confessione con soggetto Todd, ma lei aveva preferito non dire niente subito, lasciando il suo destino nelle mani del caso. Nei giorni successivi mi aveva chiesto più volte di combinare appuntamenti alla sala tatuaggi e io non volevo certo fare la moralista, ricordandole che aveva un ragazzo a Boston che l'aspettava due settimane più tardi, così mi ero lasciata trascinare nei suoi assurdi piani. Addy aveva una coscienza, non avrebbe mai tradito Mason, soprattutto perché lo amava, però avevo la vaga sensazione che tutto ciò che il suo ragazzo le aveva negato mentre erano in fredda, Todd glielo stesse offrendo su un piatto d'argento. Non avevo nulla contro Todd, anzi, mi stava persino a cuore ormai, semplicemente la situazione era un gran casino.

Tutto quello che potevo fare, era sperare per il meglio.

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