27. Vecchi amici
Dakota stava mangiando abbondantemente per due persone come le aveva prescritto il medico ma lo faceva con una femminilità quasi esasperante. Accanto alla mia insalata si stagliava un'enorme teglia di pizza con il salame e il doppio formaggio; Dakota l'aveva tagliata in tante piccole fette e aveva deciso di mangiarla con forchetta e coltello.
«Così, questo weekend torna la tua amica a casa, eh?»
«Sì» risposi entusiasta mentre infilzavo una foglia verde. «Adrienne mi manca da morire.»
«Raccontami di lei, non ricordo molto di ciò che hai detto.»
I ragazzi ci avevano lasciate sole al tavolo, Connor per un'amichevole con la sua squadra e Gideon perché semplicemente "aveva da fare". Così era un pranzo tra donne.
«Siamo migliori amiche da quando eravamo bambine. È la storia della sua vita che mi ha portato a decidere di fare l'assistente sociale.»
«Quale storia?»
«I suoi genitori l'hanno adottata quando aveva sette anni e poi hanno adottato il fratellino più piccolo. L'hanno salvata da case famiglie ridotte a una topaia e io vorrei entrare in quella vita solo per dare a bambini come lei la possibilità di qualcosa di migliore.»
Gli occhioni chiari di Dakota si puntarono nei miei, un po' lucidi. «Lily, è straordinario.»
Sorrisi timidamente. «Non particolarmente. Chi non vorrebbe aiutare?»
«Io vorrei assolutamente aiutare» esclamò lei, strabuzzando gli occhi, con un bel boccone in bocca. «Però non ho le palle per studiare legge e diventare un avvocato, oppure per sacrificare dieci anni e fare il medico. Quindi, alla fine della storia, non aiuterò proprio nessuno.»
Lanciai un'occhiata al suo ventre ancora piatto, anche se ospitava il bambino da un mese abbondante. «Qualcuno aiuterai.»
Lei seguì il mio sguardo e finì con il sorridere, poi i suoi occhi si persero nel vuoto. Aveva un'espressione piuttosto abbattuta da quando i genitori si erano categoricamente rifiutati di parlarle e nemmeno una doppia porzione di formaggio avrebbe risollevato il suo umore. Connor le stava accanto come poteva, ma era una pena che le veniva da dentro, la totale mancanza d'appoggio della sua famiglia. Mi venne da pensare i miei genitori, a come avevano rifiutato Gideon, a come lui se n'era infischiato e a come i rapporti si fossero raffreddati dall'oggi al domani. Dopo Natale, mi erano arrivati via email degli ultimatum sul mio obbligatorio ritorno a casa e sull'abbandono della stanza al dormitorio. Avevo posto condizioni che, ovviamente, non avevano accettato. Così stavano ignorando persino le mie telefonate. Mi ero sorpresa molto quando Gideon mi aveva consigliato di andare da loro e passare del tempo a parlare, magari cercando di capirci di nuovo, ma io avevo desistito. Non ero pronta per un confronto, non dopo tante delusioni, ma in fondo al cuore covavo la tremenda sensazione che, se mai fossi riuscita a spiegare le mie ragioni, i miei genitori avrebbero fatto in modo di manipolarmi e farmi cambiare prospettiva. In quel caso, la mia relazione con Gideon sarebbe stata a rischio. Ero debole davanti a loro, ero debole davanti alle loro idee, perché mi avevano sempre guidato. Solo Gideon, con la sua straordinaria personalità e la fermezza di carattere, era riuscito a superare la stima che provassi per loro e quindi a non rendermi cieca di fronte ai miei sentimenti. Qualsiasi altra persona, ne ero sicura, non mi avrebbe convinto e l'avrei data vinta ai miei.
Salutai Dakota dopo il pranzo e mi assicurai che lei tornasse in camera a schiacciare un riposino. Quindi mandai un messaggio a Gideon, aspettando che mi rispondesse qualche minuto dopo, ma quando il cellulare restò muto, decisi di chiamarlo.
«È urgente?» domandò rispondendo dopo sette squilli.
«Buongiorno anche a te» risposi, un po' sulla difensiva. Dato che non diceva più niente, continuai. «Sto andando a prendere Addy all'aeroporto. Ci vediamo questa sera?»
Sentii il rumore del traffico in lontananza e mi chiesi dove fosse, forse stava raggiungendo Todd. Continuò a non rispondermi, mentre clacson e motori riempivano la scena, e dopo averlo sentito imprecare, dissi: «Gideon, mi senti?»
«Sì, va bene. A stasera.»
Riattaccò e mi venne da chiamarlo di nuovo ma poi desistetti. Era davvero impegnato e non mi andava di asfissiarlo. Montai in macchina eccitata perché presto avrei visto la mia migliore amica dopo ben quattro mesi di lontananza. Addy mi mancava moltissimo, mi mancavano i suoi sorrisi e i suoi abbracci. Mi mancava la nostra complicità, le bastava uno sguardo per capire i miei sentimenti e, sebbene parlassi sempre con lei per avere consigli sulla mia nuova relazione, averla accanto avrebbe fatto una grande differenza. Poco prima del Natale mi aveva chiamato, in lacrime, confessando che le cose con Mason, l'amore della sua vita, non stavano andando per niente bene. Avevo cercato di convincerla a tornare a casa per le vacanze ma lei aveva voluto resistere ancora un po', cercando di aggiustare qualcosa. Non mi volevo ingannare, se Adrienne tornava a casa voleva dire che non era riuscita nel suo intento e qualcosa era andato storto. Avevo sentito i genitori e loro mi avevano assicurato che non sarebbe tornata stabilmente, quindi non era crollato ancora tutto e io avevo speranza per loro. Mason era un bravo ragazzo e si amavano follemente, tanto da spostarsi da soli dall'altra parte del paese e vivere un'avventura straordinaria. Non capivo proprio come si fossero ridotti tanto male ma avevo intenzione di scoprirlo presto.
L'aeroporto era un posto enorme, dove facilmente ci si poteva perdere, e mi trovai inconsapevolmente a sentire la mancanza della mano di Gideon che mi guidava e mi teneva al suo fianco. La sua presenza accanto a me era diventata quasi statica, per strada mi trascinava così come nei corridoi, e a me piaceva da morire come cercava di smascherare le mie insicurezze con la sua aria protettiva. L'aeroporto era troppo grande per me, un paio di volte dovetti strusciare verso un angolino per impedirmi di impazzire e non scappare via. Mi sentivo a disagio ma contavo sul fatto che presto Addy sarebbe comparsa con uno zaino sulle spalle e mi avrebbe abbraccio. Avvenne una decina di minuti dopo il mio ultimo tentativo di chiamare Gideon, che fallì perché squillava a vuoto senza che rispondesse. Appena mi vide, mi corse incontro. Anche se era stanca, usò le sue ultime forze per tenermi ancorata al suo petto.
«Mi senti mancata tantissimo!» gemette nel mio orecchio e la sentii ridere, o singhiozzare, dall'emozione. Era più alta di me, così le sue braccia mi stringevano il collo e i suoi fluidi capelli dorati mi appannavano la vista, ma mi godetti quel momento. Restammo lì avvinghiate fino a che non ci dolsero le braccia e le lacrime scese lungo il mento non si raffreddarono.
Quando finalmente la vidi in faccia, i suoi singhiozzi tramutarono la sua espressione, era felice di vedermi e allo stesso tempo devastata per aver lasciato Mason.
«Vieni» le dissi, accompagnandola verso il corridoio. «Torniamo a casa.»
Le ci volle un po' per riprendersi, scuramente aveva pianto per tutto il viaggio, e aveva due grandi cerchi viola attorno agli occhi. Appena si mise in macchina, mi ringraziò, disse che mi voleva bene, ripeté che le ero mancata moltissimo e infine si addormentò. Lo trovai esilarante ma capivo quanto potesse essere esausta. Il viaggio era stato lungo e lei era appesantita da mille sentimenti. Trascorsi il viaggio lanciandole occhiate preoccupate e quando ricevetti la chiamata di Gideon, dovetti accostare per rispondere.
«Ehi, hai letto il mio messaggio? Adesso va tutto bene, ho trovato Addy e sono fuori da quel caos.»
Gideon non disse niente, di sottofondo non c'era più nessun rumore. Attesi e controllai la linea, per vedere se non c'era campo, e fu in quel momento che notai non fosse il numero di Gideon. Il mio cuore saltò un battito.
«Chi è?» chiesi, agitata.
Nessuna risposta.
«Pronto?»
Il numero era sconosciuto e il silenzio assordante. Attaccai in fretta e restai lì impalata a osservare il cellulare. Probabilmente si erano sbagliati. Poi mi tornarono in mente le email, il mittente sconosciuto, e un'assurda paura s'impossessò di me. Era già incredibile che qualcuno di sconosciuto, che mi volveva contattare, fosse risalito alle mie email; ma il numero di telefono?
«Ehi, tutto bene?»
Addy si girò verso di me con i capelli scomposti e l'aria assonnata. Mi schiarii la gola e rimisi in moto, cercando di contenere l'agitazione.
«Sì, sì, certo. Ti sto portando a casa.»
Lei balzò a sedere e mise una mano sul cruscotto. «No, non voglio tornare a casa. Voglio dire, non ancora. I miei sarebbero delusi da tutta questa disperazione.»
Feci per ribattere che non sembrava per niente disperata ma nei suoi occhi qualcosa si era spento e la cosa mi faceva male al cuore. Perciò l'assecondai e non svoltai per la giusta strada, proseguendo chissà dove.
«Dove vuoi andare, allora?»
«Che ne dici del tuo dormitorio?»
«C'è la mia coinquilina che sta riposando.»
«Quella incinta?»
«Sì, Dakota.»
Lei annuì persa nei suoi pensieri e a me non venne in mente nessun altro posto. «Prima prendiamo un caffè, poi penseremo ai miei genitori.»
Assecondai ogni suo desiderio e la portai al suo bar di fiducia, poco lontano dal suo quartiere. Prese due brioches, un cappuccino e un succo d'arancia, poi mi sorrise colpevole.
«Non mangio niente ieri.»
«Non ti preoccupare.»
La osservai mangiucchiarsi le pellicine nelle dita e guardarsi attorno, a disagio. Ogni tanto, quando i suoi occhi incontravano i miei, sorrideva timidamente. Alla fine sbottai.
«Ti posso dare tutto il tempo del mondo, Addy, basta che la finisci con quell'espressione appesa.»
Era l'unica con cui riuscissi a tenere un tono fermo e risoluto, perché quando si abbatteva era uno straccio e aveva incaricato me di rimetterla a lucido. Negli anni avevo capito che le serviva una bella sgridata, avvolte persino qualche scossone, perché si rendesse conto di doversi tirare su e combattere. Lei sospirò e si accasciò sul tavolino, incrociando le braccia.
«Non ci siamo lasciati» cominciò, traendo un profondo respiro. «Le cose hanno cominciato ad andare male quando, per i troppi impegni, abbiamo smesso di fare sesso. Scusa, lo so che per te è un tabù, ma ho davvero bisogno di parlarne, Lily. Insomma, fare sesso con Mason è una cosa fantastica, ci sono tutti i suoi ti amo all'orecchio, e tutte queste emozioni nel cuore. Quando mi sono trasferita, sembrava volermi sempre attorno. Mi ha presentato tutti i suoi mici in due giorni e poi ci siamo chiusi in casa. Quando giravamo assieme, mi stringeva sempre la mano e mi teneva ancorata al suo fianco. Eravamo così emozionati di cominciare questa vita insieme. Poi gli orari sono cambiati, la mattina si svegliava troppo presto e io tornavo tardi, quando stava già a letto. I pomeriggi a studiare sono stati distruttivi per entrambi e ogni momento libero lo abbiamo dedicato alla casa oppure al suo stupido gatto. Te l'ho detto che ha voluto per forza prendere con sé un gatto? L'ha chiamato Gigi. Dice che le ricorda la modella, sì, quella bionda... Insomma, il sesso è diventato presto una routine di due volte la settimana la domenica e il mercoledì, così, per sfogarsi di tanto in tanto. So che non dovrei dare tutta questa importanza alla parte fisica della relazione, ma tra di noi non era solo questo. Parlavamo, in un certo senso, delle volte ci chiedevamo scusa con il sesso, oppure ci sfogavamo, oppure ci rilassavamo. Era un modo per condividere qualcosa di molto più intimo che il proprio corpo, un momento in cui io affidavo ogni mio pensiero a lui e lui a me. Con gli impegni, abbiamo avuto sempre meno momenti per parlarci e sempre meno cose da dirci. E poi il sesso è scomparso. Sono passati solo quattro mesi, Lily, non posso tornare indietro adesso!»
La ascoltai con attenzione e devozione, cercando d'intervenire nei punti più cruciali, dandole il tempo di arrabbiarsi e mandare giù qualche parolaccia quando le usciva, e poi dandogliene anche un po' per ritrovare la calma. Andò avanti a raffica, parlandomi di quanto fastidiosi fossero alcuni suoi compagni, di alcune serate noiosissime alle quali la costringeva di partecipare, i momenti di totale disagio o silenzio in casa, dopo aver discusso.
«La situazione è diventata insostenibile nel giro di pochissimo tempo e non ero pronta a uno tsunami del genere.»
Allungai una mano e strinsi le sue dita con delicatezza. «Addy, avete fatto un passo da giganti, avete saltato tantissimo. Andare a vivere insieme così giovani, durante l'università, è una follia. E te lo dice una come me, che non ci capisce niente.»
Addy sorrise e mi strinse la mano di rimando, cercando di confortarmi.
«Siete molto coraggiosi e soprattutto, molto innamorati. Suppongo che ci possano essere momenti durante una relazione in cui le cose non vanno bene ma non vedo come tutti questi problemi che ti hanno causato tanto dolore non possano essere risolti con una sana chiacchierata e sani chiarimenti.»
«Non è semplice come la fai. Le sane chiacchierate sfociano quasi sempre in liti furiose, che si portano dietro parole di cui magari ti penti ma a quel punto sarai troppo orgoglioso per tornare indietro e chiedere scusa. E l'orgoglio fa accumulare tanta merda, che alla fine strabocca e ti sommerge, e ti ritrovi fregato prima che te ne renda conto.»
«Secondo me la fai troppo drastica.»
Addy cercò di sorridere ancora, ma questa volta con amarezza. «E tu troppo semplice. Vivi nel mondo delle favole.»
Un lampo nel suo sguardo la rinvigorì e prese a guardarmi con sospetto. «Perché non parliamo della tua favola, invece? Non mi va più di parlare di Mason e devo riprendermi prima che i miei genitori mi vedano, altrimenti scoppierebbero a piangere e io cadrei di nuovo a pezzi. Insomma, informami su tutto.»
Non c'era niente che non sapesse, la tenevo costantemente aggiornata, eppure sembrava agognare sempre di più, come se la mia situazione con Gideon fosse in continuo mutamento. Da un po' di tempo eravamo statici, tranquilli, non subivamo alti né bassi e tutto era semplicemente... bello. Stavo per dirle che le novità ammontavano a zero, che andava tutto per il meglio, quando improvvisamente un flashback della serata in cui avevo detto di amarlo mi piombò pesante nella memoria. Stetti lì con gli occhi appannati dalla visione per qualche minuto, cosa che insospettì molto Addy, e alla fine confessai. La sua reazione fu allarmante, si tinse le guance di rosso e prese a boccheggiare.
«Tu... cosa?»
«Gliel'ho detto» confermai la seconda volta, sempre più decisa.
«Ma, Lily, da quanto vi frequentate?»
Feci un breve calcolo e notai di non ricordare l'esatto momento in cui io e Gideon avevamo deciso di essere una coppia. Così ormai tutti ci definivano, io consideravo lui il mio ragazzo, lui considerava me la sua ragazza, anche se tutto era molto implicito e palese e non c'erano mai state grandi confessioni a parole. Comunque, stavamo insieme, ma da quando?
«Un paio di mesi, circa» mormorai infine.
«E tu dopo un paio di mesi sei convinta di amarlo?»
La guardai con stupore, inclinando un po' la testa e togliendomi una ciocca sfuggita alla coda. «Perché, c'è qualcosa che non va?»
Lei scosse la sua, i capelli che impazzirono da ogni parte. «Oh, Lily, vivi davvero nel mondo delle favole.»
•••
Addy non era ancora pronta per vedere i genitori e siccome si era fatto tardi, decise di seguire me e incontrare Gideon, per presentarsi ufficialmente come migliore amica della sua ragazza. Si conoscevano già, avevano già parlato prima che cominciasse l'università, ma stavolta sentivo che sarebbe stato diverso; entrambi adesso facevano parte della mia vita in maniera stretta. Avrei dovuto passare a prendere Gideon da Todd, fare un saluto, e poi passeggiare insieme, ma non sapevo come si sarebbero potuti trasformare adesso i programmi con Addy. Dal giorno di Natale, avevo visto molto più spesso Todd e passato in sua compagnia molte giornate, soprattutto alla sala tatuaggi. Delle volte c'era anche Daisy, che distraeva Ciel dall'imbarazzarmi, e avevo preso ad abituarmi a quella piccola combriccola. Capivo perché Gideon li considerasse la sua famiglia: perché interagivano come se, sotto sotto, potessero affidare gli uni agli altri le loro stesse vite e i segreti più indicibili. Gideon non sembrava turbato dalla novità della mia presenza anche se, con loro, tendeva a non starmi sempre appiccicato come avrei voluto. Mi diceva che dovevo abituarmi a gestire situazioni sociali anche da sola, per acquistare indipendenza, e anche se all'inizio c'era rimasta male, avevo presto capito che mi voleva solo aiutare e che era fantastico, per questo.
«Il tatuatore, davvero?» chiese Addy, mentre imboccavamo il vicolo sempre buio. Con il tempo, quel posto non mi metteva meno a disagio ma ora almeno ero più abituata.
«Che gente frequenti, Lily?» chiese sarcastica, fingendo preoccupazione. Le sorrisi piano e spinsi la porta, notando quanto la sala fosse intasata di clienti. Addy sgomitò al posto mio per raggiungere il bancone e ci beccammo degli insulti per essere passate avanti. Appena Ciel ci vide, mise a tacere quei buzzurri e chiamò Gideon. Sbucò come la prima volta dalla tendina nera, che adesso sapevo celasse il rifugio di Todd, e mi venne incontro. Si abbassò su di me con naturalezza, stampandomi un bacio sulle labbra. Addy, al mio fianco, rimase lì un po' stupita e un po' compiaciuta.
«Gideon, questa è Addy» presentai, una volta che tornò dritto e dopo avergli afferrato la mano. Lui la tolse subito dalla mia per stringere quella di Addy e poi la rimise al suo posto, provocandomi un sospiro di sollievo. Avevo paura che fosse stanco e che in qualche modo non mi volesse attorno. Eppure mi aveva accolto con dolcezza riservandomi uno spazietto nella giornata probabilmente stancante che aveva trascorso, anche se non avevo idea di cosa avesse fatto.
«Venite con me» fece lui, portandoci nella stanzetta sul retro. Ci disse che Todd era impegnato per un'altra ora, così come Ciel, e ci offrì qualcosa da mangiare. A quanto intuii, saremmo rimasti lì fino a che la sala non fosse stata chiusa. Addy attaccò subito con mille domande, per lo più che mi misero in imbarazzo, ma davanti a loro due non potevo vergognarmi tanto, così la lasciai fare. Gideon si mostrò educato e gentile, anche se avevo notato un cipiglio impercettibile scombinargli la sua naturale impassibilità. Passata un'ora, per di più sotto le chiacchiere della mia amica, Ciel comparve attraverso la tendina e si buttò sul divano, accanto a Addy, osservandola con occhi socchiusi.
«Tu sei?» fece, osservandola con i suoi occhi dorati.
Addy fece per rispondere, allungando la mano, quando Todd la interruppe dall'entrata.
«Mi ricordo di te.»
Addy rimase letteralmente senza fiato. Aveva già conosciuto Todd, infondo l'aveva tatuata qualche mese prima, per i suoi diciotto anni. Eppure adesso si stavano guardando con un'intensità nuova, la stessa che vedevo riflessa negli occhi di Daisy e Ciel ogni volta che si scambiavano qualche battuta peccaminosa.
«Addy» rispose la mia amica, continuando a fissare Todd. Persino Gideon notò il loro scambio di sguardi e io mi chiesi se Adrienne mi avesse mai nascosto qualcosa. Todd socchiuse gli occhi e si leccò le labbra, un sorriso comparve sulla bocca rossa.
«Piacere di rivederti. Io sono Todd.»
Usava lo stesso tono delle nostre prime interazioni, quello misterioso e gutturale, un po' troppo mascolino. Il suo sguardo era affilato mentre si muoveva per la stanza con naturalezza.
«Il tatuatore» fece Addy, sempre più in visibilio. Todd era un bel ragazzo, con i tratti più marcati e allo stesso tempo più simmetrici di Gideon. Aveva i capelli mossi, tenuti indietro sulla nuca, e un paio di occhi scuri non indifferenti. Certe volte il suo sguardo m'inquietava, tanto era profondo.
Ciel alzò un braccio, interrompendo il loro contatto visivo. «Okay, troppe persone etero nella stanza che puzzano di frustrazione. Vado a schiacciare un pisolino.»
Ciel si alzò, si leccò un dito e passò accanto a Todd infilandoglielo nell'orecchio. Lui si scansò con un salto e fu una scena piuttosto esilarante, data la sua mole. Gideon mi fu improvvisamente vicino, bisbigliando al mio orecchio: «Ho un appuntamento per cena, vieni con me?»
«Che tipo di appuntamento?» bisbigliai a mia volta, inclinando un po' la schiena e poggiandomi al suo petto.
«Vecchio amico.»
Mi sorprese. Gideon non aveva vecchi amici a Seattle, quasi tutti erano nella stanza, e poteva quindi trattarsi solo di una vecchia conoscenza dell'Illinois. Fui colpita dalla profonda consapevolezza di volerne sapere di più, sempre di più, e immergermi nel suo passato. Ormai non provavo più a fargli domande che riguardassero la sua famiglia perché lui continuava a chiudersi, e avevamo preso a ignorare certi argomenti. Eppure sapeva che fremevo per scoprire di più, per capire meglio, e la cosa non gli piaceva. Adesso mi aveva offerto uno spiraglio al quale mi sarei aggrappata con tutte le mie forze.
«Sì, sì certo. Può venire anche Addy?»
S'irrigidì un po', non gli andava.
«Rimango qui» fece lei, che evidentemente aveva ascoltato la conversazione.
«Cosa?»
«Non mi va di tornare dai miei, non ancora. Faccio una passeggiata, mangio da qualche parte.»
«Ormai è praticamente buio, come torni a casa?»
«L'accompagno io» fece Todd, ancora vicino all'entrata, impalato come uno stoccafisso. «Quando vuole.»
Addy sorrise e mi guardò. «Va pure.»
«Ma...»
Gideon mi trascinò su con sé, interrompendo la mia protesta. «Perfetto, alla buona serata ragazzi.»
«Ma io...»
Addy mi abbracciò e mi stampò un bacio. «Ti chiamo per darti la buonanotte.»
«Sei sicura?» chiesi in fretta, temendo che potessero interrompermi ancora.
«Certo.» disse lei, rinvigorita. Il lampo triste negli occhi ancora la segnava ma adesso era più annebbiato, si confondeva con una foschia colma di eccitazione. Mi chiesi se fosse per Todd, cosa avrebbero combinato insieme, perché improvvisamente sembravano piacersi tanto, ma non potevo indagare in quell'istante. Gideon mi trascinò via subito dopo.
«Mi devo cambiare?» chiesi, una volta raggiunta la mia macchina.
«Certo che no» mi rispose lui, un po' stranito.
«E chi è questo vecchio amico?» tentai d'informarmi ancora.
«Lo vedrai.»
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