10. Come baciare
Al ritorno, il campus non sembrava poi così interessante come lo era stato all'andata. Tutta la mia concentrazione finiva verso il ragazzo che mi stava camminando accanto. Come sempre, il suo volto non tradiva né emozioni né pensieri ma io non mi diedi per vinta, lo avrei costretto a parlare. Finalmente ero riuscita a decifrare alcuni dei toni che usava Gideon; li indossava come i vestiti, erano i suoi cavalli da battaglia. Cambiava tono secondo l'umore o la situazione, non si risparmiava niente e non era mai stanco di questa sua eterogeneità. A me serviva per capirlo, anche un minimo, e farmi un'idea su cosa pensasse al momento. Durante la mostra era stato molto silenzioso, e così mi aveva in qualche modo dimostrato che non era interessato all'arte. Appena usciti, abbiamo chiacchierato molto, sembrava non vedesse l'ora di ritrovare la parola.
Mentre percorrevamo i viali nessuno dei due aprì bocca anche se nella mia testa c'era un grande affollamento di frasi da approccio. Non ti vedo da tutta la settimana. Non sei mai venuto a pranzo, come mai? Perché eri all'auditorio? Perché ora mi sai accompagnando di nuovo in camera? Niente mi sembrava adatto per iniziare una conversazione e quando lo sentii sospirare, alzai gli occhi su di lui.
«Suoni molto bene.»
Ero felice che ancora una volta fosse stato il primo a iniziare, sembrava molto più bravo di me.
«Vado a lezione di pianoforte da quando ho sei anni.»
«Per questo sei brava.» disse subito.
I suoi occhi vagavano di qua e di là con insistenza, come se fosse volontariamente distratto.
«Sembra che ti piaccia molto» commentò dopo un po' e fu la prima volta che lo vidi abbassare per un attimo gli occhi.
Non seppi come poteva intuirlo, forse aveva osservato qualche dettaglio. Sentirmi analizzata da Gideon quasi mi lusingava, come fossi tanto interessante da meritare le sue attenzioni.
«Mi piace, infatti. Come lo hai capito?»
Lui alzò un paio di dita e le biforcò davanti ai suoi occhi plumbei.
«Li tenevi chiusi.»
Mi girai da un'altra parte per evitare che notasse il mio sorriso. Lo repressi subito, mi sentivo una stupida. Nella mia borsa emerse un biiiip continuo e tirai fuori il cellulare, scoprendo che era morto. La batteria mi aveva battuto sul tempo. Con un sospiro lo riposi. Sapevo che era il mio turno per parlare ma le frasi ancora mi ronzavano per la testa. Non riuscivo a credere di star cedendo all'incapacità anche con Gideon, almeno con lui dovevo non essere un disastro. Dissi la prima cosa che mi venne in mente.
«Non ti ho visto a pranzo in questi giorni.»
«Sì» rispose lui subito, come se avesse già afferrato l'argomento celato dietro le mie parole. «Ti stavo evitando.»
Bloccai la mia andatura e sgranai gli occhi. Eravamo arrivati davanti ai dormitori e Gideon si era affrettato ad aprirmi la porta ma io ero rimasta qualche passo indietro, con il cuore che batteva a mille.
«Stavi evitando me?»
Gideon annuì divertito ma non c'era nemmeno l'accenno di un sorriso sulle sue labbra.
«Scusami.»
«Per cosa ti devo scusare?» chiesi ancora più sbalordita, se possibile.
Feci i primi passi verso di lui come se qualcuno mi avesse spinto. Entrai nei dormitori e li sentii stranamente pieni di voci femminili. Nessuno fece troppo caso a noi mentre avanzavamo per le scale e poi per i corridoi.
«Per averti evitato» disse Gideon, rispondendo alla mia domanda precedente.
La mia testa era un turbine di confusione, come se qualcuno ci avesse soffiato dentro così a lungo da far uscire tutti i pensieri attraverso le orecchie.
«Perché?»
Gideon strinse tra i denti il piercing al labbro e vidi i suoi canini acuminati, sporgenti e bianchissimi. I suoi occhi si erano assottigliati un attimo prima che la sua espressione tornasse rilassata.
«Non avevo idea di cosa pensassi di me.»
«Come?»
«Quello che è successo in corridoio» ci tenne a precisare e io avvampai subito. «Non sapevo cosa pensassi a riguardo. Insomma, sembravi spaesata e spaventata, eri immobile come una statua. Se non fosse arrivata Dakota, probabilmente ti avrei baciato.»
Mi tappai le orecchie per la vergogna e in un attimo il mio viso si tinse di viola.
«Perché dici sempre tutto in maniera così diretta?»
Gideon si girò, accorgendosi che ero a disagio e che fermandomi nel bel mezzo del corridoio mi ero accasciata addosso a una parete. Tenevo il viso coperto perché sopportare la sua vista era un compito troppo arduo per me in quel momento. Sentire Gideon che trattava dell'argomento come se nulla fosse mi faceva arrabbiare e vergognare, ed erano sensazioni amplificate dentro di me a un livello che non avevo mai provato. Io non mi arrabbiavo quasi mai; mi infastidivo, al massimo, ma rimanevo sempre calma e tentavo di risolvere. Sebbene apprezzassi la sua sincerità, cominciavo a credere che l'essere schietti fosse più un difetto che un complimento.
Gideon non si avvicinò ma mi guardò come se non capisse perché mi stessi comportando in quel modo. Ritrovai la mia clama qualche attimo dopo, mi sistemai i capelli che si erano spettinati a causa del mio attacco verso il muro e mi rimisi dritta, le spalle composte e il volto impassibile.
«Ti scuso per avermi evitato.»
Ripresi a camminare, mancavano poche porte prima di raggiungere la mia e quando passai davanti a quella di Daisy non potei evitare di lanciarle un'occhiata. Forse mi aspettavo di sentire la sua voce dall'interno, o magari qualche grido, ma rimase tutto silenzioso. Dietro di me, Gideon pareva un'ombra. Incombeva con la sua stazza alle mie spalle e sbirciò quando aprii la porta. Entrai e mi girai verso di lui.
«Grazie per avermi...»
«Non mi lasci entrare con te?»
Si tenne con una mano allo stipite e con il busto si sporse in avanti per sbirciare un altro po'. Ero tentata di sbattergli la porta in faccia, per quel sabato avevo avuto la mia buona dose di Gideon.
«Perché dovrei?»
«Perché ne hai voglia.»
Finsi di ridere ma mi uscì un verso roco e fastidioso. «Credi che voglia farti entrare nella mia camera?»
Gideon fece spallucce. «Ti ho detto un pretesto per cui una ragazza dovrebbe far entrare un ragazzo in camera.»
«Sì, certo...»
Feci per chiudere la porta ma lui la bloccò con la mano. «Allora eri seria, non mi fai entrare.»
«Vuoi entrare?» chiesi retorica, con un sopracciglio alzato e una smorfia di fastidio a distorcermi l'espressione.
Gideon sorrise e fece qualche passo avanti, spalancando la porta con la stessa mano con la quale l'aveva trattenuta.
«Grazie per l'invito.»
Si tolse subito la giacca e sembrò individuare la parte di camera che apparteneva a Dakota perché si sedette sul suo letto rifatto e posò lì le sue cose. Prima di quel momento, non avevo mai avuto un ragazzo nella mia camera. La mamma non faceva salire nemmeno Mason quando c'era anche Addy. Se li invitavo a casa mia, il nostro habitat si limitava alla cucina, al bagno e al soggiorno. Se mi avesse vista adesso mi avrebbe sgridata per una settimana, costretta a fare i bagagli e cacciato fuori dalla mia vita Gideon senza mezzi termini. Scansai in fretta l'immagine di mia madre e mi ricordai che dovevo mettere in carica il cellulare. Quindi mi spogliai anch'io e appesi la giacca alla spalliera di una sedia.
«Allora, volevi forse dirmi qualcosa?» chiesi schietta, appoggiandomi alla stessa spalliera.
«Non voglio parlare con il rischio che tu dia di matto una seconda volta» ribatté lui stando al gioco. Non riuscii a trattenermi e sbuffai, crollai a sedere sulla sedia come un peso morto.
«Sei esasperante.»
«E tu infantile.»
«Scellerato.»
«Fifona.»
«Patetico.»
«Idiota.»
«Mi hai dato dell'idiota?» tuonai, premendomi il petto con l'indice.
Fu allora che lo sentii ridere per la prima volta. Quando rideva strizzava gli occhi e allargava le labbra, tenendo però la bocca socchiusa. Usciva un suono grave e ripetitivo che gli causava un arresto di respiro. Lo riprendeva piegando la testa all'indietro.
«L'idiota sono io» disse poi, riprendendosi.
La tensione era stata sciolta ormai, la rabbia dissipata e il rancore improvvisamente scomparso. Era rimasto lui che rideva e io scioccata che lo guardavo.
«Hai intenzione di dirmelo?» chiese e io mi irrigidii.
«Che cosa?»
«Cosa hai pensato quando credevi che ti stessi per baciare.»
«Io non ho...»
«Non mi piacciono i bugiardi.»
Nemmeno a me piacevano. Con un sospiro, mi afflosciai come una foglia secca sul mio stesso corpo e guardai a terra, verso i miei piedi fasciati da delle ballerine nere.
«Perché lo vuoi sapere?»
Anche se mi vergognavo, c'era qualcosa che mi piaceva nell'esporre i propri pensieri ad alta voce senza filtri. Gideon mi aveva in qualche modo insegnato come essere diretti e varcare le convenzioni senza averne nemmeno l'intenzione. Di norma, due sconosciuti che si trovavano nella nostra stessa situazione avrebbero negato quello che era successo, finto che nessuno dei due se ne fosse accorto, lasciato passare giorni prima che l'argomento casualmente tornasse fuori. Né Gideon né io eravamo nella norma e stavamo saltando tutti quei passaggi. Gideon strinse le ginocchia fasciate dai jeans tra le mani e i miei occhi si fissarono sulle sue unghie corte ma curate.
«Curiosità, suppongo.»
Sentivo prudere i palmi delle mani e cominciai a sfregarle contro i pantaloni. Gideon seguì il movimento con gli occhi e quando sentì il mio sguardo su di lui, mi guardò. Dovetti rispondere.
«Ho pensato... Non capivo perché ti stessi comportando così.»
Gideon aggrottò la fronte. «Come mi stavo comportando?»
«Come se volessi baciarmi.»
Nonostante i suoi discorsi diretti ed espliciti non aveva ancora palesato che voleva baciarmi. Rividi il suo sorriso appena accennato, quanto mi era piaciuto; rividi il modo in cui il suo braccio si era alzato silenziosamente quasi non volesse disturbarmi. Gideon si era fatto indietro prima di toccarmi le labbra, come se fosse mortalmente indeciso.
Questa volta non rispose, non disse che voleva baciarmi e nemmeno negò. Rimase semplicemente in silenzio, a osservarmi. Presi un bel respiro, cercando di far rilassare i nervi. Non volevo pensare che eravamo soli nella mia camera a parlare di baci che erano quasi stati dati.
«Sarebbe stato il tuo primo bacio, vero?»
Era inutile annuire o affermare che sì, sarebbe stato il mio primo bacio. Lui sapeva qual era la risposta. Il suo commento a riguardo continuava a turbinarmi nella memoria. Non essendo mai stata baciata, non ha potuto giudicare il grado in cui un ragazzo è sufficientemente dotato per poter stare con lei. Ricordavo bene e ancora mi sentivo infastidita. Non ero sicura che un bacio potesse essere un indice di giudizio universale e comunque non lo avrei utilizzato a quel modo.
«Perché non ti avvicini?»
Mi si seccò la gola a sentire le sue parole e lo guardai con diffidenza. Mi stava forse mettendo alla prova?
«Perché non ti avvicini tu?» ribattei.
Non eravamo distanti, io seduta su una sedia accanto al mio letto, lui ai piedi di quello di Dakota. Due falciate e ci saremmo raggiunti. Gideon inclinò la testa d'un lato.
«Ci incontriamo a metà strada?»
Non capendo cosa volesse dire, aspettai che facesse qualcosa. Un attimo dopo si alzò e poi si abbassò sul pavimento, mettendosi in ginocchio. Nel completare l'atto, si era avvicinato di un passo. Intuii cosa voleva che facessi, così scivolai giù dalla sedia e mi misi in ginocchio anch'io, avanzando di un passo. Ci ritrovammo faccia a faccia, lui seduto sui talloni e io con le cosce dritte, per evitare che la differenza di altezza mi creasse disagio. Ci fu un momento in cui i suoi occhi seguirono i miei movimenti e mi fecero sentire come una preda che cammina verso le fauci spalancate del suo assassino.
«Vuoi che ti insegni, Lily?»
Il modo in cui pronunciava il mio nome mi faceva uno strano effetto ogni volta; non si trattava solamente del suo accento, ma come trascinava le lettere sulla lingua. Come se ci fosse la mia pelle al posto del mio nome.
«Che cosa?»
Anche lui si alzò dai talloni e mi sovrastò, la mia testa arrivava a malapena alle sue spalle e lui dovette piegare il mento per guardarmi negli occhi.
«Vuoi che ti insegni a baciare?»
Era talmente vicino che il suo fiato mi solleticava le guance. Mi ero imbambolata nei suoi occhi, volevo capire se stava scherzando e semplicemente si prendeva gioco di me. La sfumatura grigia irriverente aveva sembianze metalliche, come il colore del mare prima di una tempesta. Non c'era traccia di falsità nei suoi occhi. Mi ritrovai a boccheggiare, e come quando mi aveva sfiorato le labbra la settimana prima, aprii le mie di scatto. Forse volevo parlare, forse volevo dirgli di no. Ma non uscì niente dalla mia bocca, solo un rantolo silenzioso. Si avvicinò piano, lentamente, come non volesse incutere timore. Il suo busto creava un'ombra alle mie spalle mentre io allungavo lentamente la mano verso una sedia o qualsiasi cosa potesse sorreggermi. L'attesa provata nel corridoio qualche giorno prima era nulla in confronto a quella di adesso. Ero certa che volesse baciarmi ma ero meno sicura sul perché volesse farlo. Voleva insegnarmi.
Ero infastidita dalle sue parole ma non riuscivo a fargli percepire che fossi contraria. Sembravo essere messa in pausa, nell'attesa che lui mi smuovesse in qualche modo.
Non volevo che il mio primo bacio fosse dato perché dovevo prendere esperienza per quelli futuri, volevo che ci fosse passione e speravo profondamente che il travolgente romanticismo del momento avrebbe spostato l'attenzione dalla mia inesperienza alla complicità del bacio.
Non c'era nulla di romantico nello stare sulle ginocchia nel bel mezzo di una stanza buia. Nulla di romantico nel dare il primo bacio a un ragazzo che voleva solo essere un'insegnante e che semplicemente riscuoteva la sua parte. Seppure leggevo nei suoi occhi quanto fosse curioso di scoprire come baciasse una verginale inetta come me, sapevo che dovevo farmi indietro.
Le nostre ragioni erano distanti mille miglia e io mi sentivo umiliata perché le mie erano affettuose e patetiche. Ma non riuscivo a respingerlo, non mentre mi stringeva le braccia tra le mani e si preparava a scendere su di me, con disarmante lentezza. Sentivo il cuore che rischiava di uscire dal petto. Non sapevo se la mia reazione fosse esagerata, non avevo termini di confronto. Però l'ansia mi angustiava.
Improvvisamente il suo volto prese una direzione differente, la sua guancia strusciò sulla mia mentre tirava via la testa e posava il mento sul mio capo.
«Oh, Lily, Lily...»
Sentivo la sua voce che proveniva dall'alto, profonda e roca. La sua presa si fece ancora forte sulle mie braccia, sentivo caldo là dove mi stava toccando.
«Non darai il tuo primo bacio a uno come me.»
Volevo ribattere ma non uscivano le parole, la mia bocca sembrava cucita. Volevo dirgli che io avevo intenzione di dare il mio primo bacio a lui ma non perché m'insegnasse. Le parole rimasero nella mia testa. In un attimo le sue labbra si avvicinarono alla mia fronte e vi lasciarono un lungo ed esasperante bacetto, proprio sull'attaccatura dei capelli.
«Sai di camomilla» disse sulla mia pelle prima di ispirare e staccarsi completamente.
Lasciò la presa sulle mie braccia così in fretta che barcollai all'indietro; mi resi conto che mi stava sorreggendo. Senza ulteriori indugi si alzò, mi diede le spalle e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasi a fissare il pavimento davanti ai miei occhi per circa sette secondi prima di alzami e buttarmi verso il corridoio, il mio cuore in gola faceva le capriole. Non dissi il suo nome ma Gideon percepì la mia presenza perché appena gli fui dietro si girò. Lo spintonai per le spalle e lui barcollò. Fui quasi certa che perse l'equilibrio perché l'avevo preso di sorpresa e non perché avevo una forza bruta sovrumana. Mi guardò con un sopracciglio alzato che mantenne anche quando mi avvicinai a lui più strettamente e lo colpii un'altra volta, i palmi ben adiacenti alle sue scapole. Non ero mai stata aggressiva ma quel rifiuto aveva acceso in me una rabbia sopita da tempo.
«Perché non mi vuoi baciare?» gridai e sperai che nessuno uscisse dalla propria camera, sperai che nessuno s'interessasse ai miei momenti di totale pazzia.
«Io non ci riesco» dissi ancora, lasciando che la rabbia defluisse dal mio corpo e il mio tono si affievolisse.
Feci qualche passo indietro, rossa in faccia per la vergogna.
«Devi essere tu a farlo.»
Gideon era ancora infastidito dai miei spintoni, si capiva da come i suoi occhi furenti osservavano le mie mani, ma qualcosa nella sua postura mi suggerì che stava cedendo. Presa da un grande senso di vittoria e di coraggio, mi avvicinai tanto da far toccare i nostri petti, alzai lo sguardo e gli strinsi le mani. Le aveva calde, callose ed erano molto più grandi pelle mie. Le racchiuse nelle sue come se volesse inglobarle e scomparvero nella sua presa. Si limitò a stringermi le mani prima di allontanarsi ancora, i nostri petti si staccarono.
«Perché io?»
La sua domanda mi spiazzò. Non avevo una risposta, non l'avevo nemmeno per me stessa. Ancora non avevo capito bene perché volessi essere baciata da Gideon, sentivo solo che non sarebbe stato sbagliato. Pensavo che la vocina della coscienza mi avrebbe sussurrato che era giusto farlo al momento opportuno invece assieme a Gideon quella vocina sembrava essere andata in letargo ed ero rimasta solamente io, che cercavo di convivermi a non pensare al peggio. Nessun'altra vocina mi aveva detto che era sbagliato e quindi mi ero lasciata condizionare dagli impulsi e dalle circostanze.
Alla fine capii che se non potevo rispondere a Gideon forse non valeva la pena lottare per trovare una risposta. Perché lui?
Sconfitta, mi allontanai anch'io e le mie mani scivolarono via dalle sue quando allentò la presa.
«Appunto.» mormorò e io alzai la testa di scatto, sorpresa dal suo tono dispiaciuto.
Ero pronta a scusarmi, per qualsiasi cosa fosse successa e lui sembrò sul punto di fare la stessa cosa quando entrambi apostrofammo un «Senti...» e un «Ascolta...»
Nessuno dei due rise dopo essersi interrotto perché in quel momento una porta alla fine del corridoio si era spalancata e una decina di ragazze coperte solamente da un costume da mare intero e una sciarpa sul collo si affrettava a correre nella nostra direzione ridacchiando e scuotendo i capelli. Ci superarono senza indugi e noi ci spostammo verso la parete per lasciarle passare. Entrambi guardammo la scena con gli occhi sgranati ma non feci in tempo a togliermi dalla traiettoria delle ultime ragazze che una di queste mi finì pericolosamente contro, facendomi volare la ballerina dall'altra parte del corridoio e spintonandomi in avanti. Non sentii le sue scuse mentre scompariva via ma la presa di Gideon sui miei gomiti mi regalava scosse su tutto il braccio. Tenni mezza gamba alzata mentre cercavo di rimettermi dritta.
Feci in tempo di sentire un sospiro uscire dalle sue labbra prima che la sua faccia fosse a un millimetro dalla mia, il suo naso mi sfiorasse uno zigomo e le sue labbra spingessero contro le mie. Lo stupore mi fece inghiottire un sussulto.
Sapeva di cioccolato. E di ferro. Il piercing premeva al lato delle mie labbra ed era freddo. Fui scossa da forti brividi sulla nuca e quando per poco non mi s'incrociarono gli occhi puntati su di lui, li chiusi.
In contatto finì presto, Gideon mi scansò da lui e io dovetti rimettere il piede a terra per sorreggermi. Prima che potessi formulare una frase di senso compito, le sue mani abbandonarono le mie braccia per spostarsi sulle mie guance e strizzare. Mi travolse ancora, facendomi piegare leggermente la schiena e io mi aggrappai furiosamente alle sue spalle, per paura di cadere. Non mosse le labbra ma io dovevo riprendere fiato, così cercai di socchiuderle. Gideon interpretò in un modo tutto suo il mio gesto, si spinse in avanti staccandosi da me. Feci qualche passo indietro, a tempo con i suoi piedi, e poi crollammo entrambi a terra. Non capii se fossi inciampata io o lui, se ci avesse portati a terra lui e le mie ginocchia avessero semplicemente ceduto. Gideon approfittò del mio momento di stupore, con tanto di labbra aperte, per tornare alla carica. Questa volta, la sua lingua guizzò dentro la mia bocca e io spalancai di nuovo gli occhi.
La mia vista si riempì di capelli neri come la pece e il mio naso di cioccolato. Non solo aveva quel sapore ma anche l'odore. Non ne ero una grande fan del cioccolato ma Gideon sicuramente aveva dovuto mangiarne un po' prima di presentarsi all'auditorio. Mi costrinsi a chiudere gli occhi e focalizzare tutta la mia attenzione sulla sua lingua che stava umidificando tutta la mia bocca. Era una sensazione strana. Io ancora non avevo fatto nulla e quando Gideon fece scivolare una delle due mani sul mio mento capii che mi stava effettivamente insegnando. Mi abbandonai contro la parete mentre lui continuava a incombere su di me, una mano sul mento che mi alzava o abbassava leggermente a seconda della sua pressione.
Quando si staccò, mi sorrise e fece toccare i nostri nasi.
«La lingua non serve solo per parlare.»
Il suo fiatò mi finì in gola e con un guizzo cercai la sua lingua. La trovai subito. Si scontarono come due onde sulla costa. Lasciai le redini a lui ma di tanto in tanto cercavo di introdurmi, prendendo grandi respiri con il naso e tenendo gli occhi ben chiusi. Lo sentivo ovunque, specialmente in bocca. La sua mano sul mento lentamente scese sul collo e me lo fece inarcare. Le mie mani si stringevano alla sua maglia e la tenevo saldamente in due pugni di ferro. Le sue guance si scontravano con le mie. Fui sorpresa di sentire ben poco la presenza del labret.
Come aveva condotto l'intera partita, Gideon decise di concluderla. I suoi occhi erano lucidi e mi stavano giudicando, lo sapevo. La mia più grande paura era diventata la figura davanti a me, che soppesava letteralmente sulle sue labbra il mio elaborato. Si leccò la bocca, come se fosse affamato, e si allontanò lasciando ogni presa su di me. Si alzò con agilità e mi aiutò a fare altrettanto.
Non ci furono altre carezze né altri baci, solo dei silenzi profondi quanto un abisso e degli sguardi timidi, impacciati e profondamente confusi. Tutti da parte mia. Sul volto di Gideon si era rialzata l'imperturbabilità.
«Ora sei stata baciata. Anche se non sai il perché, hai scelto di farlo.»
Il suo tono sembrava freddo e calcolato, dopo quello che avevamo appena condiviso mi aspettavo ben altro. Ero ancora scombussolata dalle sensazioni che avevo appena provato per reagire adeguatamente così mi limitai a rispondere con voce fiacca.
«Sono stata baciata, ma non l'ho scelto. Tu mi hai baciato.»
«Mi sei venuta addosso.»
«Sono stata dirottata dalle ragazze in costume mentre correvano.»
«Beh, mi hai rincorso nel corridoio. Cosa significavano i tuoi spintoni?»
Confusa, feci vagare lo sguardo tre le pareti, tutto pur di non guardarlo.
«Credevo che...»
«Io volevo baciarti, Lily. Eppure ti ho avvertito che avresti fatto meglio a non dare il tuo primo bacio a me.»
«Perché non a te?»
Non rispose. Mi guardò per lunghi istanti e poi mi diede la spalle. Questa volta non ebbi il coraggio di rincorrerlo, non riuscii nemmeno a vederlo svoltare l'angolo. Me la diedi a gambe levate mentre una lacrima solitaria mi freddava la guancia. Sentivo un enorme macigno stringermi il petto ma non piansi, non a dirotto almeno. La mia testa pulsava, avevo solamente voglia di chiudere gli occhi e non pensare a niente.
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