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1. Un nuovo messaggio

Seppi di star cercando un fiore nel momento esatto in cui mi ritrovai in mano una margherita bianca.

Se ne vedevano in giro di questo periodo, probabilmente erano le ultime.

Mi erano sempre piaciute le margherite, come fiore, perché sbocciavano quando spuntava il sole. Nascevano quando la luce le faceva nascere: come una speranza, una rinascita gloriosa e pura.

Adrienne stava scattando una foto a due bambini che giocavano sulle altalene: stavano ridendo a crepapelle e la mia amica credeva che scattando una foto così spontanea, avrebbe catturato l'essenza della felicità.

Quando poi venne a farmela vedere, dovetti darle ragione. I due bambini si guardavano, uno però era sbilanciato in avanti e l'aria gli faceva ondulare i riccioli. L'altro bambino era sbilanciato all'indietro, con l'intento di darsi una grande spinta. Sembravano entrambi compresi nell'età dei quattro, cinque anni.

<<Dovrò inviare questa foto a Mason prima che mi rubi l'idea.>> disse la mia amica mentre ci incamminavamo verso casa.

Io, guardandomi le scarpe, ero assorta dal pensiero di tornare a casa. Quasi non sentii le sue parole.

La mamma e il papà si aspettavano una mia risposta e io avrei dovuto dar loro la notizia. L'idea ancora mi terrorizzava.

Non solo avevo preso l'idea di testa mia, ma andava anche contro i loro principi. Se non i loro principi, andava contro le loro proposte.

Loro volevano che prendessi un affitto tutto mio in un appartamento accanto allo studentato dell'università. Io volevo conservare i soldi per qualcosa di più utile, trasferendomi nei dormitori del college.

Più volte mi avevano assicurato che avrebbero pensato loro a tutte le spese ma ero contraria. Andare al college era importante, significava fare un passo verso la libertà. Per dimostrare la mia indipendenza dovevo staccarmi dai loro soldi, così come dalla loro casa.

Non potevo decidere di andare al college ma dipendere ancora da loro.

L'idea di trasferirmi nei dormitori li avrebbe fatti infuriare.

Non volevano che frequentassi posti nei quali mal decenze circolavano. Avrei potuto distrarmi, le ragazze al giorno d'oggi hanno strane idee per la testa.

Queste erano le loro scuse ma in realtà sapevo che volevano semplicemente tenere alto il vigore della famiglia.

Se mi fossi trasferita in un appartamento da sola, tutti avrebbero visto quanto responsabile, indipendente e coraggiosa fossi. Una ragazza che sa ciò che vuole e può prenderselo.

Ma io non volevo vivere in un appartamento da sola, ben che meno pagato dai miei genitori.

I dormitori sarebbero andati benissimo. Avevo giurato a me stessa di non distrarmi, non lo avrei fatto. Il college significava tanto per me, grazie a quest'esperienza avrei fatto carriera nel futuro. Sarei diventata qualcuno.

<<Lily, mi stai ascoltando?>> La mano di Adrienne si sventolò davanti ai miei occhi e mi fece tornare con i piedi per terra.

<<Scusa, cosa stavi dicendo?>>

<<Come mai sei così distratta oggi? È tutto il giorno che fai finta di ascoltarmi.>>

<<Lo so, mi dispiace. Al momento ho qualche pensiero per la testa.>>

Il braccio di Adrienne sfiorò il mio, come per intendere che sapeva a cosa mi riferissi.

<<Sono i tuoi genitori i veri pensieri che ti affliggono. Vedrai che non la prenderanno così male.>>

Sospirai. <<Tu li conosci. Lo sai come reagiranno.>>

Lei sembrò pensarci su. Per un momento fu in procinto di ribattere ma poi cambiò idea. Alzò le spalle. <<Vedrai che alla fine se ne faranno una ragione.>>

Camminammo verso casa mia per i restanti dieci minuti. Tornai a concentrarmi per davvero sulle parole della mia amica la quale doveva inviare le foto scattate a Mason, il suo ragazzo, prima che lui la battesse sul tempo.

Ero a conoscenza di questa loro gara, anche se mai ne avevo capito il senso.

A turno s'inviavano delle foto scattate con le loro macchine fotografiche professionali e chi ritraeva l'immagine più bella, vinceva. Chi perdeva doveva andare dall'altro per quel weekend.

Adrienne e Mason vivevano una relazione a distanza molto faticosa.

Si erano conosciuti durante i primi anni di liceo; io e Adrienne stavamo al secondo, Mason al terzo.

Il loro fu amore a prima vista. Rimasero insieme per i restanti due anni finché Mason lasciò Seattle per andare al college di Boston, dove vive. Adrienne ovviamente rimase qui per finire il liceo.

Però, ormai, era tempo anche per noi di scegliere un college. Finalmente ce l'avevamo fatta. Adrienne scelse di andare alla stessa università del ragazzo, io di rimanere qui.

Non fu una scelta difficile. Sia la mamma sia il papà avevano frequentato questa stessa università, l'University of Washington -oppure WU- e io mi trovai bene durante il corso orientativo.

Inoltre, se volevo seguire il corso di legge e avere un futuro, rimanere qui era l'opzione migliore.

In autunno ci saremmo separate e non c'era cosa peggiore al mondo.

Avevamo passato tutta l'estate assieme, non sprecando nemmeno un minuto.

Io e Adrienne eravamo amiche da quando ci misero nello stesso lettino all'asilo.

Tutta la mia vita la condussi con lei al mio fianco e dopo qualche anno si aggiunse anche Mason. Lasciare lui fu meno doloroso poiché, sì, eravamo amici, ma non poi così stretti.

Adrienne era come una sorella. L'avrei persino chiamata così se solo avesse avuto un buon rapporto con i miei genitori.

Inutile dire che la colpa era la loro.

Non accettavano Adrienne da quando lei era diventata una di quelle adolescenti un po' critiche e ribelli. All'età di quindici anni si era tinta i capelli, a sedici si era fatta il piercing al naso, a diciassette utilizzava termini e stili di vestire vagamene alternativi che i miei genitori avrebbero considerato volgari.

Ma io e lei rimanemmo amiche lo stesso, nonostante mamma e papà mi dissero più volte di starle lontana.

Avevano paura che potesse influenzarmi in qualche modo.

<<Stasera avrai tutto il tempo per parlare con i tuoi genitori, adesso però, dobbiamo festeggiare il mio diciottesimo compleanno.>> esclamò entusiasta, avvolgendomi un braccio attorno al collo.

Il suo compleanno sarebbe stato l'indomani ma lei voleva farsi il regalo prima, poiché il giorno dopo sarebbero tornati i suoi genitori da un viaggio di lavoro e sicuramente sarebbe preso loro un infarto.

A quell'ora saremmo solo dovute passare un momento a casa mia, avrei preso le chiavi della macchina e poi l'avrei portata dove mi avrebbe chiesto.

Sapevo già cosa voleva regalarsi da sola e io non approvavo, ma non per questo potevo impedirle di compiere un gesto simile.

Io e Adrienne eravamo molto diverse a volte.

Lei era sempre stata uno spirito libero, io mi ero sempre attenuta alle regole.

Lei aveva passato il suo momento ribelle, io neanche l'avevo sfiorato con il pensiero.

Lei diceva parolacce, io andavo in Chiesa.

Lei non si preoccupava di vestirsi in un certo modo per non sembrare volgare, io non aveva mai indossato un vestito che arrivasse sopra le ginocchia.

Lei si truccava molto gli occhi utilizzando colori sempre diversi, dal nero, al verde, al rosa, io non mi sapevo truccare e non lo avrei fatto comunque.

Ma eravamo migliori amiche, due opposti che inspiegabilmente si erano trovati.

Lei portava fantasia nella mia vita e io ordine e tranquillità nella sua.

Quando arrivammo davanti al vialetto di casa mia, Adrienne restò fuori per evitare di incontrare uno dei miei genitori, o peggio, entrambi. Non sapevo se ci fosse qualcuno in casa ma dopo aver sentito la voce della mamma parlare al telefono dal suo ufficio, diedi una risposta ai miei dubbi.

Camminai svelta verso camera mia, al secondo piano della nostra umile dimora, che di umile aveva ben poco. Situata in un quartiere prestigioso, godeva di tre piani e un giardino. Non era mai stata completamente nostra, ma un regalo dell'azienda per mio padre. Questo mi faceva sentire come una bambola da esposizione, ma non potevo certo lamentarmi delle comodità.

Afferrai le chiavi della macchina poste sulla mia ordinata scrivania e presi un golfino dall'armadio. Presto sarebbe stata sera e avrebbe fatto più freddo.

Tornando indietro, lo sguardo mi cadde sulla parete dove era situato il mio specchio e guardai il mio riflesso.

La mia coda alta si era ammorbidita e delle ciocche cadevano sulla fronte. Questa era imperlata di sudore, causato dalla passeggiata del pomeriggio. Corsi al bagno a darmi una rinfrescata e quando mi sciolsi la coda, delle morbide onde castane mi ricaddero sulle spalle. Li lasciai sciolti e tornai di sotto.

Non sentii più la voce della mamma, segno che aveva finito di essere impegnata. Un attimo dopo la vidi spuntare fuori dalla cucina.

<<Sei a casa.>> disse, come se mi avesse aspettato tutto il pomeriggio.

<<Sì, ho fatto solo un salto per le chiavi.>> gliele mostrai. Sapeva già quali erano i miei piani, avevo dovuto dirglieli con due giorni d'anticipo per garantirmi il permesso.

<<Dove credi di andare a quest'ora?>> incrociò che braccia al petto e per un attimo mi diedi il disturbo di esaminarla mentre rimanevo in silenzio.

Aveva la coda anche lei, simile a quella che portavo fino a pochi minuti prima.

Il suo tailleur grigio era perfettamente stirato, senza nemmeno una piega, anche dopo otto ore di lavoro. Mia madre era brava in questo, sapeva gestirsi e controllare se stessa e i suoi orari, senza spossarsi.

Aveva il mio stesso colore di capelli e per un attimo mi rividi nei suoi occhi stanchi. Ma aveva lo sguardo molto più spigoloso del mio, che al contrario, possedeva delle curve più morbide là dove c'era l'incavo della palpebra o la linea della mascella.

<<È il compleanno di Adrienne, ti avevo detto che saremmo andate a cena fuori.>> mentii. Avevo inventato questa scusa perché se avesse saputo i reali piani per la serata mi avrebbe proibito categoricamente di uscire.

<<Andate con la tua macchina?>> mi chiese indagatoria. Aveva ancora lo sguardo duro, come se non fosse per niente contenta dei miei piani.

Sapevo che era così, ma non poteva impedirmi di andare a mangiare qualcosa con la mia migliore amica. Era l'unica cosa sulla quale non le davo ascolto.

<<Preferisci che prenda l'autobus?>>

Sapevo quanto detestava i mezzi pubblici e giocandomi quella carta avrei ottenuto il suo permesso di andare con la macchina molto più velocemente.

Lei fece una smorfia disgustata, come avevo previsto. <<Va bene. Usate la macchina. Ma non ti allontanare. Dimmi, dov'è che vai?>>

Avevo pensato a tutto, ormai conoscevo mia madre.

<<Hanno aperto un nuovo ristorante italiano al centro. Adrienne si è offerta di pagarmi la cena.>>

<<Può permettersi di pagare la cena a un ristorante italiano?>> chiese, con il suo tono altezzoso che Adrienne sapeva imitare alla perfezione.

<<Mamma...>> cominciai a lamentarmi, ma lei liquidò le mie parole con un gesto della mano.

<<Torna entro le dieci e non ti attardare. Ti aspettiamo svegli.>>

Poi venne verso di me alzandomi una ciocca di capelli. <<Dov'è il tuo elastico?>>

Alzai il braccio, mostrando l'elastico nero appeso al mio polso. Lei me lo prese e andò alle mie spalle.

<<Quante volte ti ho detto che sei molto più bella con i capelli tirati su? E soprattutto, sembri molto più seria.>>

Alzai gli occhi al cielo durante tutto il suo trattamento sui miei capelli. Ormai mi ero abituata a queste sue manie. Non mi avrebbe fatta uscire finché non mi avesse vista come voleva lei. La conoscevo da diciotto lunghi anni, la sopportavo e ci convivevo.

Volevo molto bene a mia madre ma questi suoi lati possessivi mi avevano sempre messo a disagio.

Alla fine del suo lavoro, mi specchiai in soggiorno e vidi sorridere mia madre nel riflesso. <<Ora va molto meglio.>>

Feci per uscire, ma lei mi bloccò schiarendosi la gola.

Con un sospiro tornai indietro e le lasciai un bacio sulla guancia. Ancora mi trattava come avessi sette anni.

<<Torna per le dieci.>> ripeté, mentre chiusi la porta di casa alle mie spalle.

Trovai Adrienne con la schiena poggiata alla mia Porsche grigia.

<<Ce l'hai fatta, finalmente. Credevo che la belva ti avesse tenuto in ostaggio.>>

Le lanciai un'occhiatina d'avvertimento. Sapeva che mi dava fastidio quando chiamava mia madre la belva, o quando chiamava mio padre il mostro, ma lei continuava a farlo per poi scusarsi quando mi offendevo.

Questa volta fu uguale.

<<Sarà meglio sbrigarsi, non vorrei che cambiasse idea e decidesse di farmi restare a casa.>>

Adrienne si sbrigò a entrare dal lato del passeggero mentre io raggiungevo la postazione di guida.

Dopo aver guidato per meno di cinque minuti, la mia amica cominciò a saltellare sul sedile battendo le mani.

<<Lily, non vedo l'ora. Sono così emozionata. Secondo te è la scelta giusta? Ma certo che lo è! Mason vorrebbe tanto essere qui ma gli farò vedere tutto su FaceTime. Vedrai, verrà fantastico.>>

<<Adesso calmati.>> dissi, ridendo. <<Ti ho già detto come la penso basta che tu ne sia convinta.>>

Sbuffò. <<Guarda che non è la fine del mondo Lily! Non sminuire il mio entusiasmo.>>

<<Non voglio sminuire niente, semplicemente non approvo. Ma l'importante è che renda felice te.>>

Lei tornò sorridente. <<Infatti, sono felice.>>

<<Buon per te.>>

<<Ci pensi che tra meno di due settimane partirò per Boston?>> disse, nel suo tono c'era palpabile eccitazione.

Io produssi una smorfia. Era evidente che lei fosse più contenta di me all'idea di partire e di abbandonarmi. Io sarei rimasta lì mentre lei avrebbe inseguito il suo sogno accanto al fidanzato. Chi non sarebbe stato felice?

<<E tra due settimane precise andremo al college.>> dissi io cercando di imitare il suo entusiasmo, ma con scarsi risultati.

<<E tra meno di due settimane staremo lontane migliaia di chilometri.>> la sua voce non era più felice. L'aveva abbassava di almeno due tonalità e aveva scandito lentamente le parole, quasi fossero fatali da pronunciare. Mi girai verso di lei, con lo sguardo ferito.

Entrambe soffrivamo per la sua imminente partenza, ma eravamo relativamente contente.

Lei perché avrebbe proseguito sulla strada che si era costruita da tutta la vita, io perché sapevo che sarebbe stata felice.

<<Sai che mi mancherai ogni minuto di ogni giorno?>> Chiese, togliendosi la cintura per girarsi meglio verso di me. Io non potei fare altrettanto solamente perché stavo guidando.

<<E tu sai che chiamerò ogni giorno?>> le chiesi per risposta.

<<Anche due volte al giorno.>> rispose lei. <<Devo assicurarmi la tua sopravvivenza in quella casa.>>

Entrambe ridemmo, forse consapevoli che senza di lei le mie giornate sarebbero state tremendamente peggiori.

<<Basta deprimerci.>> dissi, cercando di mantenere un tono allegro.

<<Hai ragione. Domani compirò diciotto anni. Sono adulta, sono forte.>> allungò il braccio per accendere la radio e quando da questa partì una canzone delle Spice Girls, iniziò a cantare come una bambina.

Altro che adulta.

¤¤¤

Per ironia della sorte, l'unico parcheggio libero fu davanti a un ristorante italiano.

<<Sicura che si trovi qui?>> chiesi ad Adrienne una volta scese dalla macchina.

<<Proprio dietro l'angolo.>> rispose lei, incamminandosi.

Il quartiere mi sembrava tranquillo nonostante distasse qualche minuto in macchina dalla mia casa.

Camminai svelta dietro Adrienne che nonostante portasse delle zeppe ai piedi, sapeva tenere un passo svelto ed energetico.

Io mi ero svegliata presto quella mattina e avevo suonato il pianoforte per quasi tutto il giorno prima di incontrarmi con Adrienne.

Non è una scusa sufficiente, e sapevo che la vera colpa era della mia pigrizia, e nonostante portassi delle comode ballerine ai piedi, faticavo a starle dietro.

Adrienne svoltò un angolo, finendo in un vicolo buio e stretto. L'ambiente cambiò radicalmente. Da rumoroso e relativamente tranquillo, che ospitava perfino un ristorante italiano, a terribilmente silenzioso e ombroso.

Una porta addossata a un muro di cemento scuro si aprì di colpo e una ragazza su due grandi tacchi rossi uscì singhiozzando. Portava un vestito tigrato che le fasciava dal petto fin a sotto la linea del fondoschiena; tutto il resto era scoperto e quasi spalancai gli occhi alla sua vista.

Aveva i capelli dello stesso colore dei tacchi, tenuti indietro da una molletta ma comunque spettinati sufficientemente da far credere che si fosse appena svegliata.

Gli occhi erano neri e le guance rosse. Le era calato il trucco e adesso era sporca sul naso e lungo tutta la linea degli zigomi.

Inciampò un paio di volte incamminandosi verso la fine del vicolo ed io e Adrienne la guardammo andare via.

Sopra la porta dalla quale era uscita, una grande scritta al neon lampeggiava: TATTOOS BY TODD.

<<Non è qui, vero?>> chiesi con tutte le mie speranze indicando la porta.

<<Credo proprio di sì.>> fece lei, con aria titubante.

Fece un passo avanti e sbirciò dalla porta di vetro appannato. Si chiuse le mani a coppa vicino agli occhi e sussurrò qualcosa.

<<Che cosa hai detto?>>

<<Dovremmo entrate. Siamo arrivate.>> ripeté allontanandosi dalla porta quel tanto che bastava per allungare il braccio ed aprirla.

<<Non credo sia...>> cominciai, ma lei era già entrata.

Titubante la seguii.

Dentro c'era puzza di tabacco e della musica scadente, a un volume troppo basso, suonava da delle casse poste agli angoli delle pareti. Queste erano tappezzate di poster da colori scuri. Alcuni raffiguravano delle band punk rock, altri semplicemente scritte. Altri ancora raffiguravano una serie di segni, per la maggior parte in bianco in nero. Pensai si trattasse dei disegni dei tatuaggi che poi sarebbero stati realizzati sulla pelle di qualcuno.

Adrienne era diretta al bancone, spedita come non mai.

Ad aspettarci c'era un ragazzo, che sostava dietro una grande cassa nera. Aveva i capelli lunghi legati in un codino sulla nuca e i lati della testa rasati.

Aveva un giacchettino di jeans senza maniche e sotto una maglia nera. Portava un piercing al sopracciglio destro ma la cosa che più mi stupì fu la presenza di enormi macchie nere, grigie e colorate, lungo le sue braccia.

Era tappezzato di tatuaggi su entrambe le braccia, ma non sembrava averne in altri posti.

Quando si accorse della nostra presenza sfoggiò un gran sorriso e poggiò i gomiti sul tavolo.

<<Posso esservi utile? Vi siete perse? Il ristorante italiano è dietro l'angolo.>> per un momento temetti ci stesse prendendo in giro, poi capii come mi stava guardando. Di certo aveva intuito che non ero una ragazza che frequentava quei posti. Nelle mie ballerine bianche panna, nei miei jeans chiari e nella mia camicetta con sopra un golf nero, non sembravo ragazza da tatuaggio. Infatti non lo ero.

<<Vorrei farmi un tatuaggio.>> disse Adrienne, ignorando il commento del ragazzo che subito si girò verso di lei.

Poggiò anche lei le mani sul bancone e si alzò in punta di piedi.

Questo la scrutò con un sopracciglio innalzato.

<<Quanti anni hai ragazzina?>>

<<Diciotto.>> rispose pronta lei.

<<Posso vedere un documento?>>

Adrienne frugò nella sua tasca dei pantaloni e alla fine tirò fuori il documento, porgendolo al ragazzo.

Questo lo afferrò e si affrettò a controllare.

<<Qui dice che hai diciassette anni.>>

<<C'è scritto anche che ne compio diciotto domani.>> disse lei, sfoggiando il suo miglior sorriso. Si sporse ancora un po' oltre il bancone, cercando di mettere in mostra un po' della scolatura della maglia.

Adrienne era fatta così, flirtava per ottenere ciò che desiderava. E io assistevo, perché sapevo che il suo era un tipo di approccio innocuo. Amava Mason, non faceva mai sul serio con nessun altro.

Il ragazzo sorrise a sua volta forse capendo le intenzioni della mia amica. Ma presto le riconsegnò il documento.

<<Vorrà dire che ci vedremo domani, ragazzina.>>

Adrienne fece una smorfia. Non si aspettava un rifiuto. Era così sicura che si sarebbe fatta il tatuaggio che non pensò nemmeno per un secondo alla possibilità che glielo avrebbero negato perché legalmente non aveva ancora diciotto anni.

Adrienne stava per arrendersi, fare un passo indietro e uscire, e io non vedevo l'ora si seguirla. Il ragazzo si era già distratto, appuntando qualcosa su un foglio.

<<Aspetta.>> esclamò la mia amica, immergendo di nuova la mano della tasca dei pantaloni. Presto tirò fuori un foglietto ripiegato. Lo stirò e lo mostrò al ragazzo, che lo esaminò subito.

Mi avvicinai alla mia amica. <<Cos'è?>>

<<Il consenso dei miei genitori.>> rispose con un sorriso.

<<Ti hanno dato il loro consenso?>> chiesi, stupita. Sapevo che non erano d'accordo. Evidentemente avevo capito male.

<<In realtà ci sono solo le loro firme. Li ho convinti a firmare con l'inganno, non sapevano cosa stavano facendo. Poi ho scritto la liberatoria.>>

Ecco, Adrienne aveva sempre un piano di riserva. Avrei dovuto aspettarmelo.

<<Sono davvero le firme dei tuoi genitori?>> chiese il ragazzo divertito.

Adrienne annuì con vigore. <<Al cento per cento. Hai legalmente il loro consenso.>>

<<Sai ragazzina, dovrei spedirti a casa senza pensarci due volte ma questa tua vena ribelle mi spinge a chiudere un occhio. Farò finta di credere che questa non sia una liberatoria falsificata ma sappi che se avrò problemi con la giustizia, legalmente la colpa sarà tua.>>

Non potei credere alle mie orecchie. Quel ragazzo sapeva che Adrienne non poteva farsi il tatuaggio, non aveva avuto nemmeno il consenso, eppure glielo avrebbe fatto egualmente, a quanto avevo appreso.

La mia amica alzò le mani in aria. <<Mi prendo la responsabilità delle mie azioni.>>

<<Bene.>> il ragazzo piegò il foglietto e si appoggiò nuovamente al bancone. Scrutò Adrienne come fosse un succulento pezzo di carne e un ghigno già si formò sulle labbra.

<<Che tipo di tatuaggio vuoi?>>

Lei sorrise, entusiasta di star così vicina a realizzar il suo sogno.

<<Pensavo a una rondine qui, sul fianco destro. Ma vorrei che l'interno fosse lasciato vuoto così posso inciderci una lettera.>>

Non sapevo quale tatuaggio volesse farsi, non ne avevamo ancora mai parlato. Però mi aveva detto che voleva tatuarsi qualcosa che esprimesse la sua imminente libertà, il suo volo verso il futuro. Trovai la rondine adatta all'idea.

Solo un passaggio mi sfuggiva, la lettera che voleva incidersi dentro. Ma presto l'avrei scoperto e successivamente glielo avrei chiesto.

<<Tipico, scommetto che lo vuoi piccolo e non troppo visibile.>> commentò il ragazzo, stirandosi le braccia. I bicipiti, che sembravano ben allentai, guizzarono sulla pelle tesa.

<<Hai colto nel segno.>> gongolò Adrienne.

<<E tu?>>

Solo dopo che vidi la mia amica guardarmi capii che il ragazzo stava parlando con me.

<<Cosa?>>

<<Anche tu hai un foglietto illegale da mostrarmi?>>

<<Oh no, per me niente tatuaggi.>>

Il ragazzo annuì. <<Bene, allora puoi seguirmi nella sala.>> disse, rivolgendosi ad Addy.

Uscì dal bacone e s'incamminò aprendo una tendina nera e sparendo dietro. Adrienne mi afferrò per mano e gli andò dietro.

La stanza dietro la tendina aveva le luci soffuse che presto il ragazzo si sbrigò ad accendere completamente.

Adrienne si stese sul lettino al centro della sala e si alzò la maglietta indicando il punto in cui voleva farsi il tatuaggio. Il ragazzo si sedette su uno sgabello vicino al lettino, iniziando a preparare l'occorrente.

<<Ne sei sicura?>> chiesi rivolta alla mia amica. Questa prese di nuovo la mia mano e la strinse. Un gran sorriso si dipinse sulle sue labbra.

<<Mai stata più sicura.>>

<<Farà male.>>

<<Non poi così tanto.>>

<<Che ne sai?>>

<<Me lo sento. E poi posso sopportare un po' di dolore.>>

Strinsi anch'io la sua mano. <<Devo stare per forza qui, eh?>>

<<Mi serve del sostegno.>> disse, ripetendo le stesse parole che diceva ogni volta che la imploravo di poter andare via mentre si faceva il tatuaggio.

Sbuffai. <<Non sopporto la vista degli aghi.>>

<<Sei pronta?>> le chiese il ragazzo, facendo ronzare la macchinetta che aveva tra le mani.

Adrienne annuì svelta. Io chiusi forte gli occhi.

Quando la sentii sussultare, mi concessi di aprirli. Adrienne stava stringendo così forte la mia mano che vedevo le nocche bianche.

Commisi l'errore di abbassare lo sguardo e vidi l'ago, vidi l'ago entrare nella pelle della mia amica, macchiandola d'inchiostro e facendo uscire piccoli puntini rossi.

Quello era sangue. C'erano aghi e c'era sangue.

Stavo per vomitare.

<<Lily, ti senti bene?>> sentii chiedere dalla mia amica. Ebbi la forza solamente di scuotere la testa.

<<Sei pallidissima.>>

<<Puoi uscire un attimo, se vuoi.>> disse il ragazzo, indicandomi con il capo la tendina ma rimanendo concentrato sul corpo di Adrienne.

<<No, devo restare.>> obiettai, sentendo il battito cardiaco nelle orecchie.

Stavo anche per svenire, perfetto.

<<Lily, sembra che tu stia per vomitarmi addosso il tuo pranzo. Esci, prima di morire.>> disse Adrienne, mollando la stretta sulla mia mano.

<<A te non dispiace?>>

Lei addolcì lo sguardo. <<Ti preferisco viva e vegeta per la partenza al college piuttosto che morta per un po' di sangue. Avanti, ti raggiungo quando ho finito. E poi chi la sente quella belva di tua madre se ti facessi morire?>>

Questa volta non potei obiettare né arrabbiarmi, la stavo abbandonando. Ma mi sentivo male e non sarei davvero voluta svenire.

Uscii dalla sala e appena mi richiusi la tendina alle spalle mi sentii già meglio.

Subito dopo, da un'altra tendina posta dietro il bancone, un ragazzo uscì con le mani occupate a tenere una cassa di cianfrusaglie.

<<Todd, devo tonare a casa. Ci pensi tu allo smistamento?>> posò la cassa a terra senza alzare il volto.

Non seppi con chi stesse parlando, ma c'ero solamente io nella sala d'ingresso.

Poi camminò verso la cassa e l'aprì, prendendo qualche banconota.

<<Ti prendo in prestito anche venti dollari, mi servono per la cena. Te li ridò quando...>> Alzò lo sguardo e io impallidii. <<Tu non sei Todd.>>

Boccheggiai per un attimo, stava parlando con me. Invece di pensare a come rispondergli, restai imbambolata sulla sua immagine.

Portava una maglietta bianca con le maniche corte sporca d'olio di motore. I muscoli delle braccia risaltavano la sua forma massiccia e le sue ampie spalle.

Portava i capelli corti ma leggermente alti e ondulati sul capo, del colore dell'ebano. Aveva un piercing al labbro e il sopracciglio sinistro era tagliato.

Anche lui, come il ragazzo che stava tatuando Adrienne, aveva le braccia coperte di tatuaggi solo che a differenza dell'altro, i suoi continuavano fino ad allungarsi sul collo e attraverso la maglietta bianca, quasi trasparente, si vedevano anche quelli diramati sui pettorali.

<<Ti senti bene? Sei pallida.>> la sua voce mi riportò sulla terra e scossi la testa, guardando a terra.

<<Sì, no. Scusa. Ehm, sto aspettando la mia amica.>> feci segno con il capo verso la tendina.

Il ragazzo guardò in quella direzione e poi di nuovo me. Sentivo i suoi occhi scrutarmi, da capo a piedi.

Poi annuì. <<Todd è là dentro?>>

Non sapevo chi fosse Todd. Poteva essere il ragazzo che stava tatuando come invece poteva essere un emerito sconosciuto.

<<Non so come si chiami.>> ammisi.

Il ragazzo annuì nuovamente, camminando verso la tendina. Quando si spostò dal bancone, notai che portava dei pantaloni di jeans più larghi della sua taglia e un paio di scarponi. Aveva legata in vita una camicia scura e quando alzò le braccia per aprire la tendina, i muscoli sulle spalle guizzarono.

Era più alto di me più di una spana e mezzo; di certo aveva una gran bella massa muscolare. Mai avevo visto un ragazzo con tanti tatuaggi in tutta la mia vita.

Mia madre diceva che i ragazzi del genere era meglio tenerseli alla larga perché portavano guai.

Non avevo mai conosciuto un ragazzo con dei tatuaggi, anche se presto la mia migliore amica ne avrebbe avuto uno.

Camminai fino a una poltroncina situata nella sala d'ingresso che prima non avevo notato. Non sapevo quanto ci avrebbe messo Adrienne ma di certo non si prospettava un'attesa piacevole.

Il ragazzo ricomparve fuori dalla tendina e, dopo avermi inviato un'occhiata che mi fece fremere dentro, tornò dietro il bancone.

<<Fammi indovinare: paura degli aghi o repulsione per il gesto?>>

Quando sentii le sue parole alzai lo sguardo. Lo vidi impegnato a scrivere qualcosa su un foglio, e non dava segni di star parlando con me. Ma ero l'unica in sala.

Senza alzare gli occhi dal foglietto disse: <<Prima hai parlato perciò non sei muta e nemmeno sorda. Cos'è, hai paura di me?>>

Dopo la mia seconda esitazione, il ragazzo mi guardò.

Allora seppi con certezza che stava cercando di dialogare.

<<No.>>

<<No, non hai paura oppure no, non vuoi rispondere?>> Gli si formò un sorriso sulle labbra che durò poco e sembrò tutto tranne che amichevole. Stavo cominciando ad agitarmi. Deglutii con forza.

<<Non ho paura di te. E non ricordo la domanda che mi hai porto.>>

Per un attimo mi guardò e sembrò divertito dall'uso delle mie parole.

<<Ti ho fatto una semplice domanda.>> ripeté, più serio. <<Sei qui fuori perché hai paura degli aghi o semplicemente perché preferisci non assistere alla creazione di qualcosa che non condividi?>>

Mi chiesi perché mi stesse porgendo questa domanda. Non mi conosceva, eravamo sconosciuti, eppure lui stava cercando di trattenermi in una conversazione.

Sarei voluta uscire da quel posto ma non potevo andarmene senza Adrienne.

Non volevo parlare con lui, mi stava trattando come una deficiente. Parlava piano e scandiva le parole, e soprattutto stava facendo supposizioni su cosa condividevo e cosa no. Come se sapesse già tutto di me.

Nel suo tono traspariva arroganza, come fosse talmente sicuro di sé da avermi già inquadrato.

Il fatto che entrambi i motivi erano veri per me non aveva la benché minima importanza.

<<Non mi conosci.>> ribattei, cercando nella mia voce quella fermezza che mi facesse apparire sicura.

<<Tu conosci me?>>

<<Ovviamente no.>>

<<Neanche io conosco te, allora cosa c'entra con la mia domanda?>>

Era terribilmente serio, come non avesse appreso che non ero lì per discutere con lui su cosa condividevo e cosa no, su cosa avessi paura e cosa no.

<<Scommetto che non rispondi perché entrambe le motivazioni sono vere.>>

<<Non ho intenzione di parlarne con te.>>

<<Questo è un sì?>>

Quando non risposi, annuì a se stesso. <<È un sì.>>

Avrei voluto gridargli contro che si sbagliava, ma non potevo farlo perché avrei mentito. Incassai il colpo restando zitta e cercando di evitarlo.

Con la fortuna Adrienne avrebbe finito velocemente e noi saremmo andate via da quel posto che stavo cominciando a odiare con tutta me stessa.

<<Puoi dare questo messaggio a Todd quando ha finito?>>

Avrei voluto tanto evitarlo, ma lui camminò fino ad arrivarmi di fronte. Dalla mia posizione, seduta sulla poltroncina, avevo il suo bacino all'altezza della fronte.

Alzai lo sguardo, non potendolo evitare più di tanto.

La luce della lampada issata al soffitto gli creava un'aura dietro la nuca facendo riflettere i suoi occhi che sembravano chiari.

<<Non so chi sia Todd.>> dissi con voce talmente bassa che credetti non mi avesse sentita.

<<Il ragazzo che sta marchiando la tua amica.>> rispose semplicemente lui. Disse quel verbo, marchiare, con tanta intensità che mi ritrovai ad aprire un po' gli occhi per lo stupore.

<<Allora, puoi consegnargli il mio messaggio oppure è troppo per te interagire con uno come lui?>>

Mi chiesi a cosa si riferisse con "uno come lui". Avevo già interagito con quel ragazzo, per così dire. Non avevo nessun problema a dargli un messaggio.

Il problema era nel ragazzo che mi stava di fronte e che mi guardava dall'alto, sovrastandomi con la sua altezza e la sua pelle macchiata. Non mi aveva chiesto per favore, non aveva detto nemmeno una parola gentile nei miei confronti da quando mi aveva incontrata. Sono pur sempre una ragazza.

Non mi aspettavo un telo rosso, ma almeno qualche parola di cortesia.

<<Puoi chiedermelo un'altra volta?>> gli chiesi, sperando capisse dove volessi arrivare, e porgendogli la domanda lentamente, scandendo le parole e utilizzando il tono che aveva utilizzato lui con me. Ci stavamo trattando come dei bambini. Ma se era quello che voleva...

Mi guardò come fossi una pazza e fece un passo indietro. <<Non mi hai capito o non mi hai sentito?>>

<<Ho sentito e capito perfettamente. Solo che ti sei espresso male. Vuoi che ti faccia un favore, giusto? Esprimiti con più gentilezza e ci penserò.>>

Per un momento pensai che stesse per scoppiare a ridere, ma si formò solamente un sorriso tirato sulle labbra.

Fece un altro passo indietro.

<<Gesù... sei seria?>>

<<Hai chiesto a me se sono seria o a Gesù? Perché fino a prova contraria lui è un uomo.>>

Gli sorrisi ma senza audacia. Avevo le palpitazioni. Volevo mostrarmi forte e indifferente, ma dentro di me stavo per scoppiare in una crisi isterica. Mai mi ero esposta con così tanto coraggio verso un ragazzo, tantomeno uno pieno di tatuaggi e con quel tipo di muscoli. Avrebbe potuto schiacciarmi nelle sue mani in un secondo.

Ma pretendere rispetto dagli altri era una lezione che mi aveva impartito mia madre da quando ero piccola ed ero brava a farmi rispettare. Se solo me lo avesse chiesto per favore, io non avrei avuto problemi e avrei consegnato il messaggio al suo amico.

Il ragazzo scosse la testa e s'incamminò di nuovo verso il bancone con il foglietto in mano. Un alone di risata poco amichevole che ancheggiava nell'aria.

<<Sei incredibile. Senti, io lascio qui il foglietto. Sei sarai così gentile da avvertire Todd te ne sarò grato altrimenti, beh, sono affari suoi.>> afferrò un giacchetto nero da un appendiabiti dietro il bancone. <<Vorrei dire che è stato un piacere incontrarti ma lo definirei più come una sorpresa.>>

Alla fine uscì dalla tendina e scomparve alla mia vista.

Avrei voluto dirgli che non era stato né un piacere né una sorpresa incontrare lui ma non me ne diede il tempo.

Al contrario, subito dopo dall'altra tendina, Adrienne uscì con un sorriso da bambina sul volto. Aveva la maglietta alzata e una benda bianca le fasciava il fianco.

<<È bellissimo Lily, non puoi nemmeno immaginare.>>

<<È stato terribile come immaginavo?>>

Lei si limitò ad alzare le spalle e a incamminarsi verso la cassa, seguita dal presunto Todd.

<<Ricorda, devi tenerla fasciata per almeno quarantotto ore e se fa male applicaci la pomata che ti ho suggerito.>>

Adrienne annuì con vigore poi pagò.

Finalmente stavamo per lasciare quel posto e stavo per tirare un sospiro di sollievo.

Mentre ci dirigevamo verso la porta, mi ricordai del messaggio.

Il ragazzo non era stato né gentile né garbato, ma avrei fatto il favore a Todd. Poteva essere un messaggio importante e non mi sarei mai voluta tenere sulla coscienza la possibilità di non averlo avvertito.

<<Ehm, c'è un messaggio per te sul tavolo. Lo ha lasciato un ragazzo.>> gli dissi, prima di aprire la porta.

Todd prima guardò me e poi sul bancone. Lesse velocemente prima di alzare lo sguardo.
<<Grazie.>>


¤¤¤

<<Allora, questo italiano?>> chiese Adrienne mentre passeggiavamo per le vie del quartiere.

<<Non vorrai davvero mangiare italiano, spero?!>>

Lei alzò gli occhi al cielo. <<Volevo solo andare a mangiare qualcosa ma siccome con la belva hai usato questa scusa volevo rimanere coerente.>>

<<Come sei gentile.>>

Erano appena le sette di pomeriggio, avevamo ancora tre ore prima del mio rientro a casa e così andammo a magiare in una pizzeria dietro l'angolo.

Si chiamava Crost' N Go.

Quando entrammo, un forte profumo di pizza e fritto si espanse nelle nostre narici.

<<Allora, che tatuaggio hai fatto alla fine?>> le chiesi, una volta che avemmo occupato posto.

<<Lo sai, una rondine.>>

<<Sì, ma cosa ci hai iscritto dentro?>> Sapevo che voleva una lettera ma non sapevo ancora quale e non essendo stata presente nel momento in cui se la scriveva ancora mi era ignota. Per un momento pensai fosse una M per il fidanzato, Mason. Ma Adrienne non sarebbe mai stata così sconsiderata. Lei amava molto Mason, e così era anche al contrario, ma sapeva quanto il futuro fosse imprevedibile e aver tatuata la lettera di un tuo ex sarebbe stato non solo triste, ma anche tremendamente ridicolo.

<<Lo scoprirai quando lo vedrai.>> rispose, mordicchiando una delle patatine che ci avevano appena portato.

Quella sua frase voleva dire che avrei aspettato almeno due giorni e poi, addio mistero.

Quella sera, tornando a casa in macchina dopo aver lasciato Adrienne nell'appartamento dei genitori, mi ripetei il discorso a mente.

Mamma e papà dovevano essere ben elaborati per evitare che il mio colpo facesse meno danni del previsto.

Per chiunque altra ragazza il discorso sarebbe stato facile e assolutamente inutile perfino discuterne. Non doveva essere importante nemmeno per i miei genitori.

Eppure io mi stavo agitando perché li conoscevo, sapevo che poi il discorso sarebbe sfociato in tutt'altro.

Avvisarli che non avrei seguito il loro consiglio di vivere da sola li avrebbe fatti discutere su quanto io fossi una figlia obbediente. Di conseguenza su quanto sconsiderata, impertinente e magari anche sciocca; avremmo discusso, io avrei motivato la mia parte, ma loro avrebbero continuato a incolparmi di non badare al mio futuro. Loro sapevano cosa era meglio per me e stavano cercando di fare il possibile senza nemmeno essere ringraziati dalla loro stessa figlia.

Alla fine io avrei ceduto e loro sarebbero stati gli unici vincitori.

Questa volta era diverso. Questa volta non mi sarei piegata.

Il college doveva essere più importante per me che per loro e le decisioni spettavano a me.

Da quando Adrienne mi aveva comunicato di voler patire e andare a finire dall'altra parte del paese io avevo dovuto escogitare un piano per difendermi dalla vita di tutti i giorni.

Parcheggiando nel vialetto di casa, notai la luce del soggiorno ancora accesa.

Mancavano due minuti alle dieci e loro mi avevano avvertita che mi avrebbero aspettata svegli.

Lo facevano sempre.

Entrai in casa con lo sguardo chino, ripassando gli ultimi punti del mio discorso. Ero così agitata.

<<Sei a casa.>> sentii dire per la seconda volta oggi dalla mamma. Era poggiata al tavolo del soggiorno, scrivendo qualcosa su dei fogli. Portava la sua veste da notte e gli occhiali erano scesi sul naso.

Papà girò la testa verso di me. Era seduto in poltrona, leggendo il giornale con le ciabatte e la vestaglia grigia.

<<Vi devo parlare.>> dissi, senza allungarmi in convenevoli.

<<Va tutto bene?>> chiese mio padre, togliendo il giornale.

<<Potreste seguirmi in cucina?>> Dopodiché m'incamminai nella meta da me nominata.

I miei genitori mi seguirono, titubanti sul da farsi.

Mi sedetti a capotavola, il posto fisso di papà durante i pasti, e loro accanto e davanti a me.

<<Dicci che stai bene e che no dobbiamo preoccuparci.>> disse papà, molto più preoccupato della mamma, che rimaneva sul suo tono neutro e distaccato.

<<Sto bene e non dovete preoccuparvi.>> li rassicurai. <<Prima che possiate dire qualcosa sul tema che presto proporrò vorrei chiedervi di ascoltarmi fino in fondo e per bene. È una questione seria, che a me sta a cuore, quindi preferirei non essere interrotta ed essere presa seriamente.>>

<<Ma certo che ti prenderemo seriamente, abbiamo mai messo in discussione la tua serietà?>> disse mia madre, prendendo parola per la prima volta.

<<No, ma vorrei che prima che possiate controbattere qualsiasi cosa ci pensiate sul serio.>>

<<Così però mi fai agitare. Su, parla.>> disse nuovamente mio padre.

Presi un gran respiro e con tutto il coraggio che riuscii a trovare cominciai ad esporre il mio discorso.

<<Adrienne va via, a Boston, e per quanto possiate essere felici di questo, una parte importante della mia vita da qui a pochi giorni vivrà chilometri distante da me. Tra due settimane inizia il college, al quale mi sono già iscritta e al quale non vedo l'ora di andare, seguendo le orme di famiglia, ma con esso inizierà la mia prima vera libertà da donna adulta e responsabile. So di esserlo, come lo sapete voi, perché ho sempre avuto i migliori voti a scuola, ho sempre partecipato ad attività extrascolastiche, ho sempre dato ripetizioni a chi ne aveva bisogno e tutto questo nei miei interessi, perché apprendessi il vero senso di maturità. E adesso che finalmente l'ho appreso sono pronta anche a dimostrarlo con i fatti. So cosa mi avevate proposto, so anche che credete in me, ma preferirei gestire questa mia nuova vita in maniera più autonoma e questo vuol dire che andrò nei dormitori del campus piuttosto che farvi pagare per un appartamento tutto mio.>>

Restai a fissarli per qualche secondo dopo aver parlato. Loro sembravano sospesi nelle mie parole, immobili, guardando me ma non vedendomi per davvero.

Stavano pensando. Quasi sentivo il rumore dei loro pensieri contorti.

<<Questo vuol dire che non vivrai in un appartamento?>> ripeté mia madre.

<<Esatto.>>

<<E perché mai non vorresti farlo?>> chiese, chinandosi un po'. Ecco che iniziava ad alzare la voce.

<<Anne, non ti agitare.>> l'ammonì mio padre.

<<Ho già spiegato le motivazioni.>> dissi io. <<Voglio la mia indipendenza e vivere in un appartamento pagato da voi non rientra nei piani.>>

<<Vorresti pagartelo da sola, è questo che vuoi dire?>>

<<No.>> ribattei, chiudendo gli occhi e riprendendo fiato. <<Non voglio più dipendere interamente dai vostri soldi. Non per qualcosa di così importante. Non ho un lavoro quindi mi servirà un po' del vostro aiuto ma non così tanto da rendermi dipendente da voi. Preferirei risparmiare i soldi che vorreste investire nell'appartamento e quindi sacrificarmi andando nei dormitori.>>

<<Non devi sacrificarti.>> ribatté mio padre. <<Noi non lo vogliamo. Saresti molto più agevolata a vivere da sola con le tue comodità. All'interno del campus c'è sempre troppo trambusto, distrazioni.>>

<<Vogliamo parlare della tua possibile compagna di stanza?>> lo interruppe mia madre. <<Non sai come sarà. Potrebbe venire da una famiglia disagiata e maleducata. Potrebbe distrarti, farti fare cattive conoscenze, o peggio, rubare le tue cose.>>

<<Non sapete chi sarà la mia compagna di stanza, non potete giudicare sputando sentenze senza neanche sapere come sarà. Vi basate su dei pregiudizi.>>

<<Non parlarci così.>> m'interruppe mio padre.

Abbassai lo sguardo. <<Scusate.>> Sapevo non avrebbero capito subito, ma io avrei insistito.

<<Non voglio farvi arrabbiare ma volevo cercare un accordo con voi. Vorrei farvi capire quanto sia importante questo passo.>>

<<Non credi di diventare più indipendente mantenendo un appartamento tutto tuo?>>

<<Indubbiamente è un buon modo per diventare indipendente, ma non da voi. È questo il tipo d'indipendenza che cerco.>>

Mia madre batté la mani sul tavolo e si alzò in piedi. <<Siamo i tuoi genitori, come potresti mai diventare indipendente da noi?>>

Questa volta si era intestardita più di altre. Ribattei allo stesso tono. <<Indipendenza non vuol dire distacco o lontananza. Vuol dire che sto diventando adulta lentamente e ho bisogno della mia vita. Devo costruirmela da sola, non potete gestirmi tutto ancora adesso. Ho colto l'occasione e ho pensato che con l'arrivo del college finalmente avrei avuto una spinta in quella direzione.>>

<<Hai solo diciotto anni, credi di essere adulta?>>

Mio padre si alzò dalla sedia lentamente e cercò di far calmare la mamma. <<Anne, suvvia, non ci agitiamo troppo.>> Le posò una mano sulla spalla e lei abbassò lo sguardo subito, con aria ferita.

Poi mio padre parlò direttamente a me. <<Abbiamo ascoltato le tue motivazioni e ti prometto che questa notte ci penseremo affondo. Prometto che avrai il nostro giudizio il prima possibile e terremo conto di tutte le tue parole. Adesso però siamo tutti troppo stanchi. Una sana nottata di sonno ci può solo che far bene.>>

Mi alzai dalla sedia, pronta a uscire dalla cucina. Non avevo mai litigato così forte con mia madre e per cosa poi? Perché volevo alloggiare in semplici ed economici dormitori. Questa storia era assurda.

Mai mi ero opposta così tanto al volere dei miei genitori e non avevo intenzione di farlo in futuro, ma questo punto era come fuoco per loro e per me era importante.

Non avrei voluto litigare, avrei solamente voluto che capissero, come sempre d'altronde.












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Nuova storia, e chi se lo aspettava?
Perché ho deciso di pubblicarla, o anche solo questo primo capitolo? Perché è da un po' che sogno di scrivere questa storia è oggi, che è Natale, per redimere la mia anima nera ho deciso di buttarmi.
Piccola premessa: non sarà in fase di aggiornamenti brevi; anzi, non credo che aggiornerò con costanza. Diciamo che è un regalo a me stessa che porterò avanti solo ed esclusivamente quando avrò tempo serio da dedicarci. Per ora, questa piccola anteprima.
Grazie se siete qui a leggere le mie parole!
Buon Natale! (Anche se io lo odio 😉)
P.S. Scusate eventuali errori
Xoxo ❤

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