Louis
Bellissime donzelle! Dopo l'ennesimo mese di attesa, eccomi qui. Non vi chiedo nemmeno più scusa, ormai è stantia. È un periodo così, pieno zeppo di cose da fare, e la scrittura ahimè, finisce in fondo alla lista delle priorità. Spero di farmi un tantino perdonare con questo aggiornamento.
Detto ciò, facciamo due chiacchiere. Siete anche voi appassionate come me di serie TV? Dio, quanto vorrei avere più tempo per guardarle tutte. Quali sono le vostre preferite? Ce n'è una sulla quale avevate tante aspettative, magari per sentito dire o per il grande successo, ma che invece vi ha deluse?
Fatemi sapere, e come sempre, vi mando un abbraccio e vi ringrazio dal profondo del cuore.
Dedica speciale a @Niallmyikigai_, perché mi ha lasciato un commento bellissimo; a whitedevil_ , perché è d'obbligo. Troppa dolcezza in un'unica ragazza, e dulcis in fundo, all'immancabile Galwaygirl269 , perché è speciale, nel senso più profondo del termine.
Il pavimento di pietra gelida improvvisamente era tiepido parquet e la fiamma che bruciava scoppiettante nel camino, un'abat-jour dalla fioca luce giallastra.
Il filo fra realtà e fantasia diveniva via via più sottile, perché quelle mani grandi e bollenti che ora vagavano sul suo corpo erano le stesse che vivevano dentro di lui, le mani sicure e nodose del suo cavaliere, le mani incerte e quasi impaurite di Harry. Anche quelle labbra, rosse, così rosse, che reclamavano le sue in un bacio affamato, infinito, da togliere il fiato e ridare la vita insieme.
Harry era ovunque e Louis andava a fuoco, e forse il punch alla frutta nascondeva di più di ciò che prometteva, ma tutti quei vestiti adesso erano di troppo, mentre Harry non era mai abbastanza.
Si aggrappò alle sue spalle, tirando, cercando di disfarsi di quell'ingombrante camicia mentre gemeva e gli mordeva le labbra, ed Harry gemette con lui, affondando le dita nella sua schiena sottile, poi giù, più giù, fino a raggiungere il centro del suo desiderio e sollevarlo con forza, facendo leva su ogni muscolo perché i loro corpi si appiattissero di più l'uno sull'altro e potessero entrambi godere di quella vicinanza.
Harry era ovunque, e Louis lo sentiva sulla pelle, ma non era abbastanza. Mai abbastanza.
"Lou, Lou, aspetta."
Con un pop sonoro, che aveva stranamente la voce arrochita di Harry, quella magica bolla scoppiò e gli ingranaggi della mente di Louis tornarono a stridere.
"Non-non dobbiamo farlo se non vuoi," aggiunse Edward, cioè Harry. Sì, decisamente Harry.
Sbatté le palpebre e si accorse di essere premuto contro la parete, una gamba del riccio fra le sue e la camicia sbottonata per metà. Gli sembrò di essersi appena ripreso da una sbornia colossale.
"Ehm..." Borbottò, eccitato e frustrato insieme, il volto arrossato ed una solitaria gocciolina di sudore che scendeva lenta lungo la schiena.
Harry lo guardava con espressione stralunata, ricci dappertutto e occhi lucidi; aspettava una risposta, ma il suo viso, e le sue mani ancora saldamente aggrappate al sedere di Louis, sembravano gridare il contrario.
Vaffanculo, pensò Louis. Quando gli si sarebbe ripresentata un'occasione simile? A lui, lo sfigato più sfigato della scuola? Di lì ad una settimana ci sarebbe stata la fiera di scienze, e chi gli garantiva che una volta finita, Harry non l'avrebbe gettato via come un fazzoletto? Tanto valeva sporcarlo, quel fazzoletto.
Non rispose, perché come cavolo faceva a rispondergli, sul serio. Probabilmente dalla sua gola arsa sarebbe uscito solo un patetico rantolo. Lo baciò invece, con la stessa foga di prima, quando non era nemmeno in grado di distinguerlo dal personaggio che esisteva soltanto nella sua testa, quel personaggio che nonostante tutto, non gli avrebbe mai fatto del male.
Sulla stanza cominciarono a piovere vestiti mentre si trascinavano a letto, lottando in ogni modo perché le loro labbra non si separassero.
L'aveva già sentita quella pelle candida come le neve ma calda come l'inferno, eppure gli parve di nuovo la prima volta.
Harry era ovunque. Lo baciava, lo toccava, lo ribaciava e lo toccava ancora, e si strusciava su di lui, mentre gli sfilava i pantaloni e li lasciava scivolare a terra. Gemeva, ansimava, quando le loro erezioni dure e turgide sfregavano l'una sull'altra, e gli occhi di Louis roteavano all'indietro per il piacere...per poi finire. Di nuovo.
Harry si era messo seduto, in ginocchio di fronte a lui, le mani che d'un tratto sembravano aver perso la fame ed ora tremavano solamente.
"Non...non è buio," disse, cercando un'altra risposta negli occhi di Louis.
"Cosa?"
Sgattaiolò giù dal letto e raggiunse la lampada che illuminava la stanza dalla scrivania disordinata. Louis lo guardò rabbrividire, completamente nudo eccetto per i boxer neri e tremendamente aderenti.
"Non è buio," ripeté.
Non era buio davvero, e finalmente, l'immagine di Edward svanì una volta per tutte. Rimase soltanto Harry, pelle pallida e d'oca, mani che tremavano mentre cercava di ripararsi dal freddo, in attesa.
Fu il primo vero momento nel quale Louis si sentì cosciente di se stesso, semi nudo e completamente esposto a quello sguardo verde come un prato in primavera.
Deglutì, stringendo le lenzuola stropicciate fra le dita sottili, e rannicchiò le ginocchia al petto.
"Non- non spegnerla," mormorò con un filo di voce, mentre l'onda calda che lo stava abbandonando tornava ad avvampare insieme ai passi strascicati di Harry che lo raggiungevano ancora.
Gli si sedette accanto, e le sue labbra ritrovarono quelle di Louis, meno affannose ma sempre dolcissime.
Si sentì nuovamente al sicuro, come William fra le braccia di Edward, ma impietrito come Louis di fronte ad Harry.
"Sicuro?" Bisbigliò il riccio, prendendo posto al suo fianco, sdraiandosi accanto a lui ed accarezzandogli la schiena lentamente. Le sue dita tremavano ancora, ed ora Louis non era più certo che il freddo ne fosse la causa.
Annuì appiattendosi contro il materasso, mentre il corpo bollente di Harry si sistemava fra le sue gambe, schiacciandolo di nuovo col suo peso meraviglioso.
"Non dobbiamo..." Iniziò, provando a non ascoltare la propria voce, ma concentrandosi solo sui suoi occhi di giada, "ci sono tante cose che, che possiamo...non per forza-"
Quella bocca rossissima lo interruppe, ancora una volta premuta sulla sua, esplorandone ogni anfratto in una danza lenta ed estenuante.
L'addome di Louis si contrasse, le sue gambe si strinsero attorno a quelle di Harry ed il suo cuore riprese a battere come una grancassa.
"Facciamo quello vuoi, amore mio. Quello he vuoi."
La voce di Harry, mentre gli torturava il collo di baci bagnati, gli arrivò dritta al centro del petto, come un dardo infuocato che gli squarciava il torace. Gli occhi iniziarono a prudergli, umidi di lacrime ed eccitazione, mentre cercava di strozzare il singhiozzo che minacciava di sfuggirgli dalla gola.
Affondò le dita nella schiena di Harry, così morbida e calda, prima di lasciarle scivolare più giù, e sollevare il bacino per incontrare l'oscillazione incessante del corpo che premeva sul suo, alimentando quel nodo fantastico che gli stringeva il basso ventre.
Harry era ovunque. E forse non l'avrebbe abbandonato come tanto temeva. Forse l'avrebbe tenuto con sé, stretto in quell'abbraccio che profumava di amore e di sesso. E forse Louis avrebbe dimenticato l'imbarazzo, e la paura, e si sarebbe lasciato trasportare da quelle braccia, non autoritarie e sicure come quelle di Edward, ma vere.
"Dimmi quello che vuoi, Lou," gemette Harry in prossimità del suo orecchio, strusciandosi su di lui, sfregando il proprio sesso sul suo e mozzandogli il respiro, "dimmelo."
Dischiuse le labbra ma non ne uscì alcun suono, perché quelle carezze erano fantastiche, ma non abbastanza.
"To-toccami," balbettò, sforzandosi di dare finalmente voce ai propri pensieri, cercando di allontanare il disagio e la vergogna che contemporaneamente gli procuravano.
Lo vide annuire e sorridere insieme, prima di chiudere gli occhi e lasciare che la mano di Harry si facesse strada fra i loro corpi avvinghiati, e gli abbassasse i boxer quel tanto che bastava per fargli desiderare di non rivedere la luce del giorno e morire in quell'amplesso.
Era abbastanza grande per sfogare il piacere di entrambi, abbastanza da passare ripetutamente il pollice sulla punta della sua erezione e bagnarla di liquido seminale, togliendogli il fiato con ogni movimento del polso. Le orecchie di Louis ronzavano e fischiavano, impedendogli di udire i propri gemiti, e persino quelli di Harry, i cui gesti lo portavano più vicino alla fine.
"Ha-harry," mormorò, affondando il volto sul suo collo sudato, mordendogli quel morbidissimo lembo di pelle appena sopra la clavicola.
Questa volta lo sentì, il suo gemito soffocato, e Louis fu certo di volerne ancora. Gli strinse i capelli fra le dita, tirando fino a che non lo udì nuovamente, profondo e sensuale, vibrante ed erotico come nulla che avesse mai udito prima d'allora.
"Ah, Lou, fallo ancora. Tirami i capelli."
Fu difficile ammetterlo, ma la voce di Harry che lo pregava, lo implorava digrignando i denti, fu ancora più maledettamente eccitante di ogni suo gemito. Non se lo fece ripetere, aggrappandosi con entrambe le mani ai suoi ricci scompigliati, e riprese a morderlo, marchiandogli il collo di tante macchie violacee, mentre l'onda cresceva, sempre più alta...
"Lou, oddio-"
Bastarono la sua voce, che riecheggiava nella stanza e nel suo intero corpo, ed un ultimo movimento della sua mano, stretta attorno al suo sesso e al proprio, perché quell'onda si riversasse in tutta la sua forza, trascinandolo al largo nell'oceano del piacere, e sporcasse i toraci di entrambi in scie bianche e bollenti.
Harry lo seguì pochi secondi più tardi, mentre le dita di Louis lasciavano mollemente i suoi capelli color del mogano ed atterravano pigre ed esauste fra le lenzuola. Le sue membra, altrettanto esauste, erano ancora scosse dai brividi, e dei bagliori accecanti riverberavano ai confini del suo campo visivo.
Chiuse le palpebre, incapace di muoversi e di pensare, in grado soltanto di ascoltare il ritmico alzarsi e abbassarsi del proprio petto, ed il battere incessante del proprio cuore, almeno fino a quando la mano di Harry non lo abbandonò ed un'altra scarica di scintille lo attraversò da capo e piedi. Tenne gli occhi serrati, udendo il suo ragazzo alzarsi a fatica ed afferrare il primo pezzo di stoffa capitatogli fra le dita, prima di ripulirlo alla bell'e meglio e tornare ad accasciarglisi accanto.
Gli regalò un debole sorriso quando gli depositò un piccolo bacio sulla punta del naso, e finalmente decise di muoversi, solo per accoccolarsi tra le sue braccia e lasciarsi cullare verso l'oblio.
"Dormi qui, quindi?" Ridacchiò Harry, scostandogli la frangetta dalla fronte sudaticcia.
Louis annuì, le gote arrossate e gli occhi liquidi.
"L'hai detto a tua mamma?" Chiese ancora, accarezzandogli la schiena, delicato come una piuma.
Fece spallucce, stringendosi a lui di più, il volto nascosto, schiacciato contro il suo petto.
"Gliel'aveva già detto prima di uscire," ammise, e la risatina sussurrata di Harry fu la più dolce delle ninnananna.
"Notte, Lou," bisbigliò, lasciandogli un altro bacio tra i capelli.
Louis si agitò sul posto, alla ricerca di una posizione più comoda che non comprendesse il doversi allontanare da Harry nemmeno di un centimetro.
"Haz?"
"Mmh?"
Il suo respiro si era già fatto più pesante, ad un passo dal sogno.
"Mi hai...mi hai chiamato amore." Il viso di Louis cuoceva a fiamma viva, ma per fortuna gli occhi di Harry erano ben chiusi.
Dovette essere meno addormentato di ciò che pensava, o sperava, perché le sue labbra raggiunsero quelle di Louis il secondo successivo, e le sue iridi di smeraldo brillarono nella luce fioca che nessuno dei due si era preso la briga di spegnere.
"Lo so."
Harry era ovunque.
***
Harry era nervoso. Si mordicchiava il labbro inferiore e si sfregava continuamente le mani sui jeans. Eppure era stato perfetto.
Aveva studiato, giorno e notte. Aveva ripetuto quella presentazione per ore e l'aveva imparata come una filastrocca. Non c'era davvero ragione per essere tanto agitati.
Era questo che continuava a ripetersi, malgrado quello che avesse appena trascorso una notte insonne fosse proprio Louis.
Dal fondo dell'aula, accanto al riccio che si agitava e saltava come una molla sulla sedia, Louis fingeva di ascoltare il resto dei compagni che poco a poco finivano di presentare i progetti per i quali avevano lavorato più di due mesi.
Non gli importava. Ciò che l'aveva tenuto sveglio, e che gli aveva procurato incubi spaventosi per i pochi minuti nei quali era riuscito a prendere sonno, era ben altro. Comprendeva l'ansia di Harry. Aveva bisogno di un buon voto in scienze più di chiunque altro, e nonostante la sua media fosse incredibilmente migliorata in quell'ultimo periodo, la consulente scolastica era stata chiara. Se desiderava una possibilità concreta di concludere l'anno con il diploma fra le mani, avrebbe dovuto sudarsi una C in ogni materia prima delle vacanze di Natale.
Non aveva dubbi che ci fosse riuscito. Era bastato davvero poco, in effetti. Solo un tantino di dedizione. E Louis ne era sinceramente felice. Harry meritava molto di più di ciò a cui si era pigramente abituato, e aveva tutte le intenzioni di continuare a dimostrarglielo. La domanda che gli frullava in testa da giorni era, Harry aveva intenzione di lasciarglielo fare?
La fiera di scienze segnava la fine di quella specie di contratto che avevano stipulato. Se Harry avesse rispettato le condizioni della signora Hais, e avesse sensibilmente migliorato la sua media scolastica, di un tutor non ne avrebbe più avuto bisogno. Sarebbe persino tornato ad allenarsi con la squadra di nuoto, e chi se lo sarebbe ricordato il piccolo ed insignificante Louis Tomlinson? Lo sfigato della scuola, quello che non aveva mai avuto uno straccio di amico; quello che i compagni deridevano ad ogni occasione, lo stesso che aveva un intero muro di insulti a lui dedicato.
Gli era stato utile. L'aveva aiutato e magari l'aveva pure fatto divertire. Ma tutte le cose belle prima o poi finiscono, ed Harry l'avrebbe lasciato indietro, per tornare ad essere l'irraggiungibile ragazzo popolare che Louis si era abituato a spiare da dietro l'anta dell'armadietto.
Quando anche l'ultimo degli studenti ritornò a sedersi, la professoressa Wood si schiarì la voce e si alzò stancamente, per poi appoggiarsi con fare scocciato al lato della cattedra.
"Avete tutti fatto un buon lavoro," esordì, con fare ben poco convinto, "ma solo uno dei vostri progetti parteciperà alla fiera della contea."
Louis si strinse nelle spalle, puntando i piedi a terra come se la sedia d'un tratto scottasse.
"Signor Green, signor Hill, complimenti."
Archie e Tim si sorrisero compiaciuti, mentre la prof sorrideva loro di rimando.
Louis aggrottò la fronte e piegò appena la testa di lato, incontrando gli occhi stralunati di Harry che cercavano i suoi. Avrebbe voluto prendergli la mano, sussurrargli che sarebbe andato tutto bene; che non importava partecipare alla fiera, perché si erano comunque guadagnati un buon voto.
Non fece nulla, ma rimase seduto con la schiena incurvata, evitando l'espressione agitata e confusa del riccio al suo fianco.
La campanella suonò pochi secondi dopo, ed il suo trillo allegro parve a Louis la più tetra delle condanne. Una marcia funerea alla quale non avrebbe potuto sottrarsi. Vide Harry scattare in piedi e dirigersi a passo spedito verso la cattedra, probabilmente per conoscere l'esito del loro impegno, ma nella testa di Louis solo per mettere la parola fine a quella meravigliosa storia iniziata due mesi prima.
Lo seguì con lo sguardo puntato a terra, il peso del mondo sulle spalle.
"Ah, Styles, Tomlinson, ottimo lavoro, ragazzi," esclamò l'insegnante, di nuovo seduta alla scrivania e le dita intrecciate sul registro.
Gli occhi già grandi e lucidi di Harry si spalancarono di più, e Louis non poté non notare come dischiuse anche le labbra per parlare, prima di optare per un altro silenzio confuso e nervoso.
"Complimenti soprattutto a te, Harry. Si vede che ti sei impegnato molto," gli concesse un mezzo sorriso la Wood, "ben più del solito comunque," aggiunse poi, alzando le sopracciglia con fare saccente.
"G-grazie," la voce rauca di Harry uscì esitante, mentre Louis cercava in ogni modo di sopprimere l'istinto di stringergli la mano e non lasciarla per il resto della giornata.
"Se posso, prof," cominciò nuovamente il riccio, grattandosi un braccio ossessivamente, "perché non possiamo prendere parte alla fiera?"
Louis rimase sorpreso dall'insistenza del ragazzo. Avevano fatto un buon lavoro, presumibilmente si erano guadagnati un ottimo voto. Partecipare alla fiera sarebbe stato un impegno ulteriore. E da ciò che ormai ben sapeva, Harry non era uno al quale gli oneri scolastici andavano particolarmente a genio.
Quando una lampadina stava finalmente per accendersi nei meandri bui e assonati del suo cervello, l'insegnante parlò di nuovo.
"Il vostro progetto sull'aerodinamica è interessante, ma se vi foste presi la briga di passare in rassegna quelli degli anni passati, vi sareste accorti di quante persone hanno avuto la vostra stessa brillante idea."
La Wood ridacchiò sommessamente, scuotendo la testa.
A Louis parve mancare la terra sotto i piedi. Come aveva fatto ad essere così stupido? Come aveva fatto a dimenticarsi di consultare gli archivi con i vecchi progetti? Harry sembrò pensare la stessa cosa, quando incontrò ancora i suoi occhi con espressione sbalordita.
È colpa mia, avrebbe voluto dire, sistemandosi gli occhiali sul naso, ma la Wood lo precedette nuovamente.
"Vi avrei dato volentieri una A+, ma la scarsa originalità mi costringe ad una B. Spero che vi sia di lezione," la prof tornò ad alzarsi, e quel gesto, insieme al suo sguardo, furono un congedo più che sufficiente.
Annuirono e ringraziarono entrambi, lasciando l'aula in un greve silenzio.
"Dio, Harry, mi dispiace-"
Le braccia del riccio che lo stringevano in un abbraccio da boa constrictor lo interruppero. Gli occhi si riempirono di lacrime, e non perché lo stesse soffocando.
Quando la presa si allentò, consentendogli di incamerare aria, le mani di Harry furono sul suo viso, sollevandogli gli occhiali sulla fronte ed asciugandogli quelle lacrime che adesso sgorgavano copiose e gli scivolavano le guance arrossate.
"Lou, piccolo, che succede? Perché piangi?"
Louis singhiozzò, incapace di rispondere, incapace di fare qualunque cosa se non specchiarsi nelle sue iridi verdi.
Il corridoio era ancora gremito, e nonostante in pochi sembrassero essersi abituati a quella strana coppia, gli studenti sfilarono accanto senza prestar loro attenzione. Malgrado ciò, a Louis parve di non riuscire ancora a respirare.
Harry gli prese la mano e lo trascinò nei bagni più vicini, chiudendo la porta dietro di sé prima di tornare a guardarlo da vicino con occhi preoccupati.
"Lou, parlami, cos'hai? Sei triste per il voto? So che di solito prendi una A, e ti giuro, ci ho provato, io-"
Questa volta fu Louis ad interromperlo, scoppiando in un pianto a dirotto, fatto di singhiozzi sincopati e patetici rantoli.
Harry era ancora lì, turbato dalla sua reazione, sguardo sincero e dita che lo coccolavano con delicatezza ristoratrice.
Scuotendo la testa, gli impedì di abbracciarlo ancora.
"Non-non mi interessa del voto, Haz," mormorò tra un singulto e l'altro. Si strinse le braccia al petto, nella vana speranza di sentirsi al sicuro, nell'illusorio auspicio che quel momento non finisse per lasciarlo solo ancora una volta.
"Allora cosa c'è? È per la fiera? Ci tenevi tanto, lo so-"
Lo zittì nuovamente, sopprimendo l'ennesimo gemito di pianto sulle sue labbra morbide. Se fosse stata la fine, avrebbe voluto ricordarla così, prima di immergersi nei labirinti infiniti della propria fantasia.
Quando si separarono, Harry lo guardava sorpreso, tutto occhioni e ricci di cioccolato, un angelo sceso all'inferno.
"Scusami," finì per dire Louis, tirando su col naso e spostando il peso da un piede all'altro, "ero solo nervoso. Avevo bisogno..." Si rimise gli occhiali sul naso ed abbassò lo sguardo, "avevo bisogno di sfogarmi."
Harry gli scostò i capelli dalla fronte, mentre le gambe di Louis presero a tremare. Fece per baciarlo di nuovo, ma il riccio si allontanò, imprecando fra i denti.
"Merda! Mi sono dimenticato di una cosa!" Esclamò, picchiandosi il palmo sulla fronte.
Louis aggrottò le sopracciglia, il nodo alla base della gola sempre più stretto.
"Cosa?"
"Ne parliamo dopo, okay? Devo andare, Lou!"
Corse fuori, lasciandolo impalato al centro del bagno, la campanella dell'ultima ora che rimbombava fra le pareti.
Harry era ovunque. Eppure adesso non c'era più.
***
Harry aveva saltato l'ultima lezione dell'ultimo giorno prima delle vacanze, sparendo nel nulla senza dare segni di vita per il resto del pomeriggio.
Louis non l'aveva chiamato, troppo spaventato e depresso per sentire ancora la sua voce. Era tornato ad una casa vuota e si era gettato a letto sprofondando la faccia nel cuscino, con tutta l'intenzione di chiudersi in camera e non uscirne per i giorni a venire.
Alla vigilia del proprio compleanno, alla vigilia della partenza di Harry per la Florida, era rimasto solo, con l'unica compagnia dei suoi mesti pensieri e quella voglia pruriginosa di buttarsi dalla finestra.
Harry e genitori sarebbero partiti e si sarebbero goduti il sole accecante di Palm Beach per le due settimane successive; quelle due settimane di lontananza che Louis temeva più di altra cosa. Forse tutto sommato, l'inizio della fine era giunto prima del previsto.
I suoi piani di autocommiserazione fallirono miseramente quando Arlene gli telefonò trafelata dall'ospedale, pregandolo di fare un salto al supermarket vicino casa per riempire la dispensa rimasta tristemente vuota.
Avrebbe preferito farsi amputare una gamba piuttosto che lasciare l'antro caldo e morbido del proprio letto, ed uscire al freddo e al gelo delle intemperie, ma a sua madre semplicemente non riusciva a dire di no. La prospettiva di riempire un intero sacchetto di cibo spazzatura lo convinse finalmente all'ardua impresa.
E allora eccolo lì, intirizzito e tremante come un pulcino bagnato, mentre varcava la soglia del piccolo negozio di alimentari, imbacuccato di tutto punto ma congelato fino alle ossa.
La neve non si era fatta attendere ancora, ma da quella mattina scendeva lenta in fiocchi grandi come noci dal cielo lattiginoso, trasportata dall'aria tagliente che sferzava la Carrabassett Valley da ovest, avvolgendo ogni cosa con il suo gelido manto.
Louis si tolse la cuffia, battendo i denti e scompigliandosi i capelli che gli erano rimasti attaccati alla fronte. Fece soltanto un paio di passi nel locale benedetto dal riscaldamento quando lo vide. Un uomo alto e longilineo, gambe lunghe e portamento elegante. Un viso perfettamente sbarbato, parzialmente nascosto dalla grande sciarpa che portava al collo, ed una risata familiare. Così familiare.
Il padre di Harry era lì, a pochi metri da lui, prima la mano sulla schiena, e poi le sue labbra su quelle di una donna che non era Evelyne.
Louis trasalì e sbarrò gli occhi celesti, impietrito. Rimase a guardarli per quelle che gli parvero ore, ma che furono semplicemente pochi secondi, prima di vederli sparire dietro un ampio scaffale ricolmo di cibo, e sentirli ridere nuovamente.
Si riscosse quando si rese conto di essere ancora fermo sulla soglia, lo sguardo della cassiera che lo studiava curiosa e vagamente divertita.
Abbassò lo sguardo, arrossendo, e sgattaiolò verso il fondo del negozio, la mente un nugolo di domande e confusione. Sbirciò prima a destra poi a sinistra, così rintontito da dimenticarsi di guardare proprio dritto difronte a sé. Fu così che finì per planargli direttamente tra le braccia, soffocando un'esclamazione di sorpresa quando Darryl ridacchiò e lo aiutò a rialzarsi sulle proprie gambe. Quell'espressione giocosa durò poco meno di un battito di ciglia. Lo riconobbe, ed il suo sguardo grigio divenne nero e livido; il suo volto liscio e chiaro, chiazzato di rosso.
"Ehm, ciao Louis," lo salutò, premendosi il palmo davanti alle labbra per contenere un colpo di tosse nervosa.
"Si-signor Styles," disse il ragazzo, il viso paonazzo, preda degli occhi tondi e sporgenti della donna del misfatto.
"Ehm," Darryl tossicchiò di nuovo, guardandosi attorno come un prigioniero senza via di scampo, "Laureen, questo è Louis. Un compagno di scuola di mio figlio."
Louis puntò gli occhi dritti nei suoi, ferito nello spirito e nell'orgoglio. Sperò che quella sua espressione fosse gelida tanto quanto il clima. Sperò che Darryl sapesse che lui sapeva. Sperò che nei propri vedesse la delusione, che si sentisse il viscido verme che era.
"Piacere," cinguettò la donna, allungando una mano perché Louis la stringesse.
Non lo fece, e l'aria glaciale che soffiava su Wilton parve irrompere nel negozio.
"Okay, noi andiamo," interloquì il signor Styles, d'un tratto frettoloso, "buona serata, Louis."
"Signor Styles?" Lo fermò il ragazzo, spinto da chissà quale forza, chissà quale coraggio. Forse tra lui ed Harry sarebbe finita; forse l'avrebbe abbandonato, partendo senza nemmeno un saluto, ma questo almeno glielo doveva. "Posso parlarle un attimo?"
Vide Darryl irrigidirsi, prima di concedergli un sorrisetto imbarazzato e congedarsi temporaneamente da Laureen.
"Senti, Louis-"
"Mi stia a sentire a lei, signor Styles," lo interruppe con voce sicura, osservandolo deglutire ed arrossire insieme, "non le dirò cosa deve o non deve fare. Non è certo compito mio," Louis prese un respiro profondo, lasciando che le parole fluissero risolute.
"Ho perso mio padre cinque anni fa," ricominciò, cercando di non lasciarsi distrarre dallo sguardo compassionevole che ora Darryl gli stava riservando, "è morto di cancro dopo pochi mesi da aver scoperto di essere malato."
Nel bel mezzo del corridoio, circondati da scansie ricolme dei prodotti più variegati, a Louis parve che il tempo si fosse fermato. Si ascoltava raccontare ciò che a nessuno aveva mai detto; sentiva quei ricordi, dolorosi ed opprimenti che custodiva gelosamente, sfuggirgli adesso dalle labbra come se non avessero aspettato altro. Darryl lo guardava, immobile come una statua, senza battere ciglio.
"È stato un buon padre. Ma poi gli ho detto che ero gay, e non è più stato lo stesso. Non mi ha più voluto vedere, nemmeno quando stava per morire."
Sospirò un'altra volta, quasi incredulo di aver dato voce ai fantasmi che vivevano segregati nella sua mente. Darryl dal canto suo continuava a non fiatare, come paralizzato, e Louis ormai non era in grado di leggerne l'espressione.
"Capisce perché le sto dicendo queste cose?"
L'uomo sbatté le palpebre, ma non rispose e a Louis venne quasi da sorridere.
"Non dia per scontato il tempo che potrebbe trascorrere con la sua famiglia," aggiunse, infilandosi le mani in tasca e facendo spallucce.
Fece per superarlo, e solo in quell'istante Darryl parve ridestarsi.
"Louis, aspetta-"
"Buona serata, signor Styles. E buon Natale."
Nemmeno le sua straordinaria immaginazione poté descrivere la gioia che lo investì insieme all'aria che spirava dalle montagne, quando difronte a casa scorse un'ombra che goffamente cercava di arrampicarsi per l'ennesima volta alla sua finestra. Un'emozione così intensa, da fargli dimenticare dell'incontro appena avvenuto, e di tutte le paure che covava da giorni.
"Ma allora eri fuori davvero! Credevo non mi volessi di nuovo aprire la porta."
Alla luce intermittente dei lampioni, il sorriso di Harry era più bianco dei fiocchi di neve che cadevano incessanti, più luminoso di qualunque stella oscurata dalle nubi.
Louis lasciò sul vialetto le buste della spesa e gli saltò al collo, non curandosi del gridolino imbarazzante che gli sfuggì dalla gola. Quando le mani di Harry si fecero strada sulla sua schiena, si sentì finalmente in pace. Finalmente felice.
"Ciao," ridacchiò il riccio, e gli lasciò il proverbiale bacino sulla punta del naso, quello che Louis adorava più di quanto avrebbe mai ammesso, quello che lo faceva svolazzare come una fatina ad un palmo da terra.
"Ciao," disse anche lui, il fiato corto che usciva in piccoli nugoli di fumo dalle sue labbra screpolate dal freddo.
"Entriamo, o ci congeliamo qui?"
Non rispose, ma lo prese per mano e lo trascinò verso l'ingresso. Dovette attendere che Harry afferrasse la spesa, perché Louis ormai non ricordava quasi di essere al mondo.
Non si preoccuparono di sistemare, più concentrati sulle labbra l'uno dell'altro, troppo invitanti per dedicarsi a qualsiasi altra cosa.
Fu Harry che lo fermò, sempre Harry che lo costrinse a rimettere i piedi sulla Terra.
"Aspetta, voglio darti una cosa," gli disse, togliendosi finalmente il pesante cappotto per poi estrarne un pacchetto fatto a mano.
"Cos'è?" Indagò, cercando di sbirciare dietro la schiena di Harry mentre quest'ultimo provava a lisciare le pieghe che increspavano la carta.
"Il tuo regalo di compleanno," rispose come fosse la cosa più ovvia del mondo.
Ancora una volta, a Louis parve che il suolo lo inghiottisse.
"Ma Harry! Avevamo detto niente regali!" Protestò, scuotendo le mani come un bambino capriccioso.
Il sorriso del riccio si fece radioso. E da schiaffi.
"Avevamo detto niente regali di Natale, non niente regali di compleanno."
Facendogli l'occhiolino, gli porse il pacco.
"L'ho incartato io," esclamò fiero, e malgrado il risultato non fosse dei migliori, gli occhi di Louis erano grandi ed acquosi, come se un Dio avesse aperto le mani e la sua luce potesse fornirgli il senso ultimo dell'esistenza.
"G-grazie...non so cosa dire, io-"
"Aprilo prima," rise ancora Harry.
Non se lo fece ripetere, e lo scartò con precauzione, attento a non rompere la carta sulla quale Harry aveva messo tanto impegno.
"Scusa se sono sparito oggi, ma era per questo," la voce di Harry accompagnò lo spuntare di un musetto bianco a strisce marroni e due tondissimi occhi chiari.
"È un gattino! Come te, vedi? Ha anche gli occhi azzurri," la risata di Harry era cristallina, mentre Louis rigirava il peluche fra le mani tremanti, ed i suoi occhi azzurri, quelli veri, si riempivano di lacrime per la milionesima volta da quando aveva incontrato quel ragazzo pieno di sorprese.
"Haz..."
"Aspetta, aspetta! C'è un'altra cosa, guarda nel sacchetto," intervenne prima che il pianto di Louis si facesse convulso.
Era vero. Tra la carta regalo spuntò una busta sigillata, e la curiosità di Louis crebbe in maniera proporzionale alla sua emozione. Non ci prestò così tanto riguardo, ma la strappò in fretta, famelico di leggerne il contenuto.
Aggrottò le sopracciglia quando vide una fattura di pagamento il cui importo era stato rimosso, emessa dalla Doubleday Publishing Group*.
"Ma cosa...?"
Le mani di Harry furono sulle sue, indicandogli l'indirizzo della casa editrice.
"Mia madre conosce un tizio che ci lavora. È già tutto pagato. Quando vuoi, potrai far pubblicare le tue storie. O un romanzo, o quello che vuoi insomma."
Gli sembrò che il cuore, il cervello, e tutti i suoi organi vitali smettessero di funzionare contemporaneamente. Gli sembrò di non capirci più nulla, mentre il resto iniziava a girare come su una giostra impazzita.
"Oddio," fu tutto ciò che riuscì a dire, i neuroni in cortocircuito ed il cuore ad un passo dall'infarto.
"Sei-sei contento? Non...non dovevo farlo, Lou?"
Le parole di Harry gli giunsero alle orecchie ovattate, distanti.
Gli aveva regalato una pubblicazione. Gli aveva comprato un libro. Il suo. Quel ragazzo che da anni osservava da lontano, sognandolo soltanto; lo stesso che quel giorno aveva temuto di perdere, ma che ora era lì, con il regalo più bello che avesse mai ricevuto.
Respirò affannosamente, provando a raggranellare dei pensieri coerenti.
"È...è la cosa più-più bella...io, Harry, io-"
Alzò lo sguardo, riflettendolo in quello del ragazzo che gli stava difronte. Il gattino di peluche era stretto fra i loro corpi, e la busta salda fra le dita di entrambi.
"Ti amo."
*Doubleday Publishing Group: curiosità. È la casa editrice che ha pubblicato il primo romanzo di Stephen King, "Carrie".
QOTC: Pensate che Louis dovrebbe dire ad Harry ciò che ha visto? E perché continua ad avere paura, nonostante le sue continue dimostrazioni d'affetto?
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