Louis
Ragazze mie bellissime! Come avevo già detto sul profilo, credo che wattpad sia impazzito. So che a molte di voi è arrivata la notifica di un aggiornamento, e per il disguido vi chiedo scusa, anche se non è colpa mia, giuro!
Beh, rallegratevi, questa volta è vero :)
*spoiler alert* avevo voglia di fluff, e perciò fluff avrete. Ecco.
Vi ano. Sempre e comunque e di più ogni giorno che passa.
MB
Ps: special dedication to @Boo_is_Mine, perche sì.
Quando il fumo tutto attorno parve diradarsi, e la cacofonia di voci e grida farsi solo un'eco lontana, Edward sbatté le palpebre pesanti come macigni. Non aprì gli occhi, non ancora, ma lasciò che il tepore della stanza lo avvolgesse e penetrasse nelle sue ossa stanche. Fu di nuovo in grado di percepire il proprio petto che si alzava e abbassava; sentì nuovamente il formicolio che gli intorpidiva le gambe ferme da troppo tempo. Sentì ancora una volta il dolore tremendo che sembrava strapparlo in due metà, e malgrado la sofferenza, fu una piacevole sensazione.
Quando udì distintamente dei passi, si sforzò di aprire finalmente gli occhi, lasciandosi abbagliare dalla seppur debole luce del focolare che ardeva al centro della tenda.
"Bentornato fra noi, signore."
Una voce al suo fianco lo costrinse a spostare lo sguardo, procurandogli un delizioso pulsare alle tempie.
Regalò un mezzo sorriso al maestro guaritore, prima di tornare a puntare le iridi verdi verso il lembo scostato della tenda.
"Lui dov'è?"
Si stupì di udire la propria voce, così graffiante e roca, prosciugata dalla urla della battaglia. "Dov'è Will?"
Il maestro poggiò un calice sul tavolino di legno accanto al giaciglio del cavaliere e gli sorrise di rimando.
"Proprio qui fuori, mio signore," mormorò grattandosi la lunga barba bionda, punteggiata qua e là da peli canuti, "non ha mai lasciato il vostro fianco."
Edward si rilassò contro i cuscini, tornando a chiudere le palpebre stanche.
"Bevete questo quando il dolore si farà troppo intenso," aggiunse il maestro, indicando il bicchiere ricolmo di liquido chiaro, dall'acre profumo di semi di canapa.
Il cavaliere annuì mollemente, muovendo appena la testa affondata fra le soffici federe di seta.
"Fatelo entrare," bisbigliò raucamente, gli occhi sempre sigillati contro la luce che li feriva.
"Ma signore, dovreste riposare-"
"Fatelo entrare. È un ordine."
Non lo vide, ma il maestro annuì e, con un mezzo inchino, si dileguò a passo svelto.
Tornò ad aprire gli occhi solo quando sentì un respiro sincopato avvicinarsi, e li vide, quegli occhi di liquido cristallo, brillanti come due zaffiri nel sole del pomeriggio.
"Volevate vedermi, mio signore?"
William chinò il capo e parlò in un sussurro, le mani ossute strette in pugni.
Edward sorrise, prima di puntare i gomiti e con un gemito di dolore, provare a sollevarsi.
"Mio signore, no, che fate? Dovreste rimanere sdraiato. Siete gravemente ferito," la voce di William si fece più squillante ed il suo viso contrito assunse un'aria di sincera preoccupazione mentre allungava le braccia per impedirgli ogni movimento.
Il cavaliere scosse la testa, ridacchiando.
"È solo un graffio, Will," disse, tornando a sollevarsi e scivolando lungo i guanciali per mettersi seduto. Strinse i denti per celare gli spasmi che dal fianco destro si irradiavano alle membra e sorrise nuovamente.
"Siediti," lo invitò, incamerando quanta più aria poté in quel breve istante, "e raccontami della battaglia."
Will abbassò lo sguardo, ma non protestò oltre come avrebbe voluto.
"Abbiamo vinto, mio signore," iniziò, congiungendo le mani in grembo, "il nemico ha suonato la ritirata poco prima del tramonto. Stanno rintanati dietro le mura da due giorni ormai."
Edward sospirò, la consapevolezza di aver trascorso due intere lune privo di sensi che pendeva su di lui come un'ennesima lama.
Il ragazzo al suo fianco si mosse nervoso sullo sgabello di legno, mordicchiandosi le labbra.
"Signore," disse con tono greve, "volevo che sapeste che sono pronto ad affrontare qualunque punizione vogliate infliggermi per aver disubbidito ai vostri ordini."
Il cavaliere disteso lo guardò dritto in volto, non riuscendo ad impedire che due gioiose fossette comparissero sulle sue gote pallide ed incavate.
Non era trascorsa nemmeno una settimana dalla partenza di Edward, quando William aveva deciso di unirsi alla diligenza che trasportava viveri ai soldati accampati nelle gelide lande del Nord. Aveva viaggiato notte e giorno fra le provviste e gli animali pur di ricongiungersi al suo cavaliere, malgrado la promessa di aspettarlo ad Arran di ritorno dalla guerra.
Il tiepido sole spandeva i suoi raggi verticali sul campo di battaglia, e dopo ore di lotta sanguinosa, Edward torreggiava sul corpo morente di Ethon, figlio maggiore dei signori della contea.
Il sangue rappreso gli incrostava i ricci, mentre un taglio fresco sulla sua fronte ampia sgorgava fiotti rossi e caldi, colandogli lentamente sul viso e pizzicandogli gli occhi smeraldini.
Era stanco, era esausto, e le sue orecchie non facevano che ronzare di grida di dolore. Ogni suo muscolo si univa alle urla, ma il cavaliere non ci prestava attenzione, costringendo il proprio corpo a muoversi ancora, e ancora.
Così concentrato sul volto contorto dalle smorfie, sulle pupille dilatate ed imploranti del principe riverso a terra, non udì il soldato che strascicando gli era giunto alle spalle e aveva sguainato la spada.
Era stata la voce di William, il suo urlo disperato che dirompente era esploso sul campo di battaglia e aveva costretto Edward a voltarsi appena in tempo perché la lama gelida ed affilata del soldato squarciasse il fianco del cavaliere e non gli trapassasse il torace da parte a parte.
L'istinto e la paura l'avevano spinto a lanciarsi all'attacco, il clangore della sua spada che spezzava quella del nemico prima di conficcarsi nella sua gola scoperta dall'armatura. L'aveva guardato stramazzare al suolo, osservando il rivolo di sangue denso e nero scivolare dalle sue labbra mentre esalava l'ultimo respiro. Aveva alzato lo sguardo e aveva incontrato quello terrorizzato di William che correva nella sua direzione; aveva sentito il proprio, di sangue, zampillare e fluire dalla ferita sopra l'anca ed inzuppargli i gambali macchiando l'erba ghiacciata sotto i suoi piedi. Poi il buio l'aveva inghiottito, e le urla finalmente tacevano.
"Versami del vino, Will," chiese, tornando ad appoggiare la testa ai cuscini.
"Signore-"
"Il vino, Will. Ti prego."
Con un sospiro, il ragazzetto minuto si alzò stancamente ed afferrò la bottiglia che riposava sul tavolo intarsiato nell'angolo più distante del padiglione. Ne versò pochi sorsi in un calice vuoto e ritornò ad Edward con dita tremanti, osservando le sue labbra screpolate poggiarsi bramose all'orlo del bicchiere, il suo pomo d'Adamo alzarsi e abbassarsi ritmicamente mentre inghiottiva il dolce vino speziato del Nord.
"Raduna il maestro d'armi e i capitani di reparto," ordinò poco dopo, lottando con il torpore che si faceva strada fra le sue membra, "attaccheremo all'alba, e quelle maledette mura crolleranno prima che il sole segni mezzogiorno."
William sgranò gli occhi celesti.
"No."
Edward si accigliò, sollevando le sopracciglia.
"Come hai detto?"
"Ho detto no, mio signore," rispose schiarendosi la voce, lo sguardo risoluto in quello del cavaliere.
Dopo l'iniziale sorpresa, Edward si rilassò ed esalò una debole risatina.
"Siete ferito, e che lo vogliate o no, dovete riposare," continuò Will, deglutendo rumorosamente, "con tutto il dovuto rispetto, mio signore."
Edward sorrise per quella che gli parve la milionesima volta al cospetto del ragazzino.
Picchiettò il palmo sul giaciglio.
"Ai tuoi ordini, William."
"Si-signore, non intendevo-"
"Riposa con me, Will," allargò un braccio e scostò la pesante coperta di pelliccia che lo avvolgeva, "riposa con me."
La mano di Arlene si posò sul suo ginocchio appuntito e Louis chiuse il taccuino con un mezzo sorriso.
"Sicuro, Lou? Puoi stare a casa un altro giorno se vuoi."
Louis scosse la testa ed afferrò lo zainetto posato ai suoi piedi.
"No, tranquilla," le disse, schioccandole un bacio sulla guancia.
Quando fece per scendere, Arlene lo fermò.
"Dopo vai da Harry?"
Louis annuì, "sì, gli porto i compiti e studiamo insieme."
La donna sorrise distratta, spostandogli la frangetta dalla fronte.
"Per qualsiasi cosa, chiamami. Anche sul cerca persone."
Louis roteò gli occhi ma le diede un altro bacio.
La madre gli riservò uno sguardo orgoglioso e sincero prima di salutarlo e riaccendere il motore dell'auto, guardandolo sparire fra lo stuolo di studenti che affollava il cortile di fronte alla scuola.
Lo zaino in spalla ed un sospiro, Louis camminò a testa alta, ignorando gli occhi e lo voci che lo seguivano, raggiungendo il proprio armadietto senza accorgersi di aver trattenuto il respiro.
Si guardò attorno. Scorse Scott a pochi passi da lui, due ombre violacee ai lati delle narici. Quando aveva provato a strappare Harry dal corpo di Brody, si era beccato una gomitata dritta dritta sul naso.
La violenza non avrebbe mai dovuto essere la soluzione, ma guardandolo con la coda dell'occhio, Louis non poté celare un sorrisetto soddisfatto.
Gettando un ultimo sguardo al corridoio gremito, afferrò il foglio che teneva piegato nella tasca dei jeans e lo appiccicò sull'anta in metallo dell'armadietto, colpendolo con un pugno affinché non cadesse e riuscisse ad attirare maggiormente l'attenzione dei presenti.
Era lo stesso fra i tanti che un paio di giorni prima avevano dolorosamente addobbato le pareti della scuola, quelli per cui i compagni ancora lo deridevano, malgrado la sospensione di Harry fosse la notizia più succulenta e chiacchierata. Lo stesso foglio che lo ritraeva sorridente, lo stesso che recava i titoli delle tante storie che aveva scritto e ancora scriveva. Lo stesso al quale Louis aveva pensato di aggiungere un tocco personale, in un bell'inchiostro rosso e vibrante.
Se vi piacciono le mie storie, votatetele!
Erano davvero tante le cose in cui Louis faticava a credere.
Il ragazzo che costellava i suoi sogni e popolava le sue fantasie era diventato a tutti gli effetti il suo ragazzo, ed il suddetto era rimasto tale malgrado i suoi balbettii, la sua timidezza, le sue paranoie e la sua goffa presenza. Non era fuggito a gambe levate quando Louis era svenuto -era svenuto, maledizione- poco dopo il loro primo bacio; non era scappato urlando quando gli aveva confessato di vergognarsi del proprio corpo. Non era corso via nemmeno quando si era negato, insicuro e timoroso di compiere quel grande passo. No, Harry era ancora lì, e aveva spaccato la faccia ad un tizio per difendere il suo onore. E soprattutto, Harry era ancora lì dopo che il suo più grande segreto era ormai divenuto e di dominio pubblico. Harry era lì, e adesso lo guardava sorridendo da dietro il libro di matematica, dopo aver letto le sue storie, dopo aver scoperto di aver alimentato la sua fervida immaginazione.
Le aveva lette, e le aveva amate. Gongolava per casa, immerso nelle mirabolanti avventure di Edward e William, e assillava Louis affinché continuasse. Era stato proprio il riccio a costringerlo a scrivere negli ultimi giorni, minacciandolo quasi, perché Edward il cavaliere non poteva lasciare indietro il suo Will soltanto con una promessa, ma il loro amore era destinato a trionfare contro le avversità.
Louis aveva ponderato a lungo su quale finale dare alla sua storia. C'erano stati dei momenti in cui aveva persino pensato di non terminarla affatto; altri ancora in cui il mondo splendeva di luci e colori, e tutto sembrava così meraviglioso da convincerlo che anche Edward e Will meritassero quella bellezza. Altre volte, quando il cuore pareva sanguinargli, non riusciva ad immaginare altro finale se non il dolore straziante che provava lui stesso.
Adesso, beh. Adesso Louis non lo sapeva, ma gli piaceva pensare che ogni favola che si rispettasse, avesse un lieto fine.
"Ehm, Haz," disse, tracciando distratto la punta della matita sul foglio, arrossendo e mordendosi le guance appena le parole gli sfuggirono dalle labbra.
Aveva sentito Scott dargli quel nomignolo, e gli era piaciuto così tanto da volerlo provare lui stesso, ma non aveva idea di come Harry l'avrebbe presa.
Il sorriso che gli illuminò il volto e gli occhioni verdi spalancati gli diedero la più dolce delle risposte.
"Stavo pensando...tua madre è partita per la Florida, e tu sei rimasto qui con tuo padre..." Si grattò la nuca, la bocca arida di saliva, "e lo so che sei in punizione, ma insomma, se ti va...e me l'ha detto anche la mamma, farebbe piacere anche a lei, sì..."
Giocherellò con la zip della felpa, mentre sentiva lo sguardo di Harry bruciargli la pelle.
"Cosa stai cercando di chiedermi, Boo Bear?" Sogghignò Harry, sporgendosi verso di lui con quel sorrisetto da schiaffi.
Louis fece una smorfia e incrociò le braccia al petto. Ecco, quello era un nomignolo che non gli piaceva per niente.
Harry ridacchiò e gli prese la mano, baciandone il dorso, sfiorandolo appena con le sue labbra rosse e carnose. E Louis avrebbe voluto, l'avrebbe voluto davvero, essere quel ragazzo fermo e convinto delle proprie decisioni, ma ogni tocco, ogni bacio di Harry era come panna montata su un cono gelato, e lui come cioccolato nel microonde.
Sentì le guance scottare, mentre cercava di non sorridere.
"Mi-mi piacerebbe se passassi la festa del ringraziamento con noi," mormorò a denti stretti, facendosi piccolo piccolo sull'angolo del letto. Non avrebbe dovuto sentirsi tanto in imbarazzo, lui ed Harry si frequentavano ormai da settimane -oh, che splendide, splendide settimane - ma questo era diverso. La sua intera famiglia, la chiassosa riunione di un branco di parenti ficcanaso, e Louis non aveva mai portato un ragazzo fra le mura domestiche, ed Harry era Harry, bello da capogiro, e forse nemmeno avrebbe accettato, e adesso Louis stava iper ventilando...
Il riccio posò le labbra sulle sue in un bacio delicato come una piuma, accarezzandogli lentamente il viso scarlatto, e di nuovo, Louis parve divenire gelatina.
"Mi piacerebbe da morire," sussurrò contro la sua bocca, così vicino che Louis dovette incrociare gli occhi turchesi per poter guardare quelle magiche fossette comparire sul suo volto di porcellana.
"S-sì?" Domandò col fiato corto, mentre quello bollente di Harry gli faceva rizzare i capelli sulla nuca e stringere un po' di più la patta dei jeans.
"Da morire," ripeté l'angelo dai ricci color del mogano, spostandosi quel tanto che bastava per tempestargli il collo di morbidi baci, così lenti e sensuali e dolcissimi.
"Anche...anche se sei in punizione?"
Una mano di Harry si era fatta strada fra i suoi capelli, coccolandoli fra le dita affusolate, mentre Louis cercava di decidere cosa sarebbe stato meno imbarazzante. Se fare le fusa o gemere di piacere.
Lo vide fare spallucce, prima di allontanarsi e lasciarlo con l'amaro in bocca.
"Mio padre sa a malapena se esisto," disse, sistemandosi i ricci dietro l'orecchio, "non gli importa con chi passo il ringraziamento."
Il petto di Louis si contrasse, ma non si concesse di rimuginare su quelle parole.
Il mondo era di nuovo pieno di luci e colori.
***
Eccoli lì, davanti all'ampia veranda illuminata da luci soffuse che espandevano il loro calore giallognolo per tutto il giardino.
Per un attimo Harry gli prese la mano, e se Louis non fosse stato altrettanto nervoso, avrebbe giurato di aver percepito uno strato di sudore freddo sul grande palmo di Harry.
Varcò la soglia per primo, investito dal profumo del cibo e delle candele alla cannella che bruciavano allegre sparse per il salone.
La figura grassoccia e gioiosa di Margaret gli si presentò di fronte il momento successivo, il grembiule rosso legato in vita e le labbra dipinte di un rosa acceso.
"Piccolo!"
E le braccia di sua nonna lo intrappolarono prima ancora che potesse parlare, stringendolo in un abbraccio che sapeva di ricordi e tante notti trascorse al suo fianco mentre sua madre faceva i turni in ospedale.
"E questo bellissimo giovanotto dev'essere Harry," trillò ridacchiando, senza lasciare la presa sul corpicino di Louis.
"Nonna, ti prego," borbottò incastrato nell'abbraccio, speranzoso che quel breve avvertimento fosse sufficiente.
Nonna Margaret lo lasciò finalmente respirare per esaminare da vicino il ragazzo che Louis aveva portato con sé. Lo guardò da capo a piedi, studiando ogni dettaglio, mentre Louis pregava che quello strazio finisse.
"Louis lo dice sempre quanto sei bello, ma non immaginavo così bello," rise la donna, e se il nipote non si fosse coperto il volto con le mani, avrebbe visto il sorriso a trentadue denti di Harry.
"È un piacere conoscerla, signora."
Udì la voce di Harry, e lo vide allungare una mano insicura, ma nonna Margaret parve d'altro avviso. Strinse anche lui in un abbraccio trita ossa e gli stampò un bacio al rossetto sulla guancia.
"Dammi del tu, che sono già abbastanza vecchia, giovanotto."
Harry annuì ridacchiando, il volto arrossato e le fossette sulle guance. Louis si sentì un pizzico più tranquillo.
Arlene entrò in quel momento, rabbrividendo e strofinandosi le mani intirizzite.
"Mamma, lascia stare i ragazzi," la ammonì con un sorriso, "dai, ti do una mano in cucina."
La nonna roteò gli occhi ma fece strada, non prima di aver fatto l'occhiolino ad Harry prima e Louis poi.
"Sì, sì, me l'ha detto anche tua sorella, ma l'unica cosa che ha fatto da quando è arrivata è rimbambirmi coi suoi discorsi sulla fame nel mondo."
"Ti ho sentito, ma'," le fece eco una nuova voce, e gli occhi turchesi di Louis si illuminarono.
"Zia Jesy!" Le corse incontro e le saltò al collo.
"Mio dio, amore, come sei cresciuto!"
Un altro bacio ed un altro abbraccio.
Non vedeva zia Jesy da un paio di anni ormai, sempre impegnata a viaggiare per il mondo in lungo e in largo con il marito, i suoi vestiti da hippie e la macchina fotografica.
Era da sempre la sua preferita, -era anche l'unica, ma tant'è- gli portava sempre un sacco di regali dai suoi viaggi, gli mostrava le foto dei luoghi fantastici che aveva avuto la fortuna di visitare e lo coccolava con la promessa di portarlo con sé non appena avesse raggiunto la maggiore età.
"Beh, che fai, Lou? Non mi presenti questo tuo schianto di fidanzato?"
Oddio. Uccidimi.
Dovevano essersi messi d'accordo per umiliarlo.
Harry rise e le strinse la mano, sussurrando, "mi piace un sacco la tua famiglia."
Poi zia Jesy focalizzò la propria attenzione sulla sorella, che la guardava con aria scocciata dallo stipite della porta che conduceva nell'immensa cucina ad isola.
"Ciao sorellina."
"Ciao a te, Arlene," rispose, alzando un sopracciglio, "ti trovo sbattuta."
"Le persone normali lavorano, non viaggiano tutto l'anno a spese del marito."
Harry sgranò gli occhi e guardò Louis con panico evidente. Il ragazzo al suo fianco sorrise, scuotendo la testa.
"Le persone normali non mi sono mai piaciute," reiterò zia Jesy, sciogliendosi però in un sorriso che somigliava così tanto a quello della sorella maggiore.
Scoppiarono a ridere entrambe prima di stringersi in uno di quegli abbracci che sembrava non voler finire.
Louis alzò le spalle, come a dire, "visto?", mentre Harry guardava la scena ancora sbigottito.
Arlene aveva soltanto un paio di anni in più della sorella, e se per certi aspetti parevano somigliarsi, per altri non potevano essere più diverse. Eppure era sempre stata lei a spronare la sorella, lei a convincerla a mollare l'università e la vita nella quale si sentiva soffocare per inseguire il suo sogno. E così Jesy era partita, solo un grande zaino in spalla, alla scoperta delle meraviglie del Sud America e la foresta pluviale, ed era lì, sulle rive acquitrinose del Rio delle Amazzoni, che aveva conosciuto zio Emil, giornalista e fotografo arruolato nelle file di National Geographic. A sentir loro, era stato amore a prima vista, e nella romantica atmosfera fatta di zanzare e piranha, non si erano più separati.
Zia Jesy aveva chiesto a Louis di scrivere di tutte le sue storie, di farne una raccolta, e Louis l'avrebbe fatto, un giorno, gliel'aveva promesso. Per il momento si sarebbe accontentato di raccontarle ad Harry, ma quando si voltò per cercare il suo sguardo, notò che il sorriso del riccio era sparito, sostituito da un'espressione di vaga malinconia che Louis stava imparando suo malgrado a conoscere.
Lo guardò fissare il focolare, le fiamme crepitanti rosse e gialle che si specchiavano nelle sue iridi di giada, lontane, perse in chissà quali ricordi.
"Lou, perché non mostri ad Harry la casa?" Suggerì zia Jesy. E Louis seppe che l'aveva notato anche lei. Gliene fu grato, mentre annuiva e cercava la mano di Harry da stringere nella propria.
"La cena sarà pronta tra poco, intanto fatevi un giro, ragazzi," disse ancora la donna, lasciandogli un bacino sulla testa.
Louis la ringraziò silenzioso e strattonò Harry per condurlo al piano di sopra.
Non parlarono mentre salivano le scale di parquet scricchiolante, nemmeno quando percorsero lo stretto corridoio addobbato di fotografie, e neppure quando Louis spalancò la porta di vetro che conduceva sull'immensa terrazza scura in legno di noce.
L'aria gelida che spazzava la Carrabassett Valley li investì mozzando loro il fiato.
La neve si stava facendo attendere, tenuta lontana da un cielo nero puntellato di stelle, ma l'inverno alle porte stringeva Wilton nella sua morsa glaciale da giorni.
Louis rabbrividì, e gli spilli gelidi del vento gli punsero gli occhi. Si sarebbe preso un accidenti per essere uscito senza cappotto.
Strinse le braccia al petto dopo essersi sistemato gli occhiali sul naso.
"M-mi dispiace, la mia famiglia è-"
Le mani di Harry furono sul suo volto il secondo successivo, e le sue labbra anche, premute sulle proprie, e chi se lo ricordava più il freddo.
"La tua famiglia è perfetta," mormorò sulla sua bocca, gli occhi socchiusi mentre lo accarezzava teneramente, "non ci sono abituato. Scusami."
Il cuore di Louis batté un po' più forte. Doveva essere difficile passare il ringraziamento lontano dai propri cari, nell'autunno polare del Maine anziché nell'assolata Florida, circondato dal tepore del sole e dall'affetto.
"Ti mancano i tuoi?" Chiese titubante, provando ad immaginare i volti sconosciuti di quelle persone di cui Harry parlava solo raramente.
Il riccio alzò le spalle, senza scostarsi dal loro tiepido abbraccio.
"Sì e no," disse, alzando lo sguardo alla falce di luna che splendeva accanto a milioni di stelle, "noi non siamo...così."
E Louis comprese. Affettuosi. Uniti, forse. L'atteggiamento distaccato dei genitori di Harry era stata un avvisaglia più che sufficiente.
Poi Harry sorrise di nuovo, e nessuna luna, o sole o stelle poteva gareggiare con tanta luce.
"Ma vorrei che li conoscessi un giorno," aggiunse, poggiandogli le labbra sulla punta del naso.
Louis annuì, ridacchiando insieme alla farfalle che gli svolazzavano felici nello stomaco.
"Magari l'anno prossimo. Vieni con me in Florida."
I piedi sul bagnasciuga, bagnati dalle onde dell'oceano, le passeggiate mano nella mano mentre il sole infuocato tramontava sull'orizzonte bagnando il mare di scie arancioni; i falò sulla spiaggia, baci rubati tra un marshmellow e l'altro...la mente di Louis correva come un treno impazzito al ritmo del proprio cuore.
L'anno prossimo.
***
Se ne stavano seduti attorno alla tavola imbandita, il delizioso aroma del cibo che solleticava le narici, così vicino eppure così proibito. A chiunque avesse provato ad allungare una mano, sarebbe toccato il battesimo del famigerato cucchiaio di legno di nonna Margaret. Non si tocca finché il tacchino non è pronto, ripeteva come in una nenia, borbottando a bassa voce, gli occhi porcini puntati su Louis e la sua golosità.
La voce cavernosa ma meravigliosamente rilassante di zio Emil incantava i presenti. Zia Jesy si univa a lui per alcuni aneddoti divertenti, ma il racconto principale toccava a lui. Ed Harry pendeva dalle sue labbra, che fosse su una jeep nel bel mezzo della Terra del Fuoco, o a caccia di baleniere e straordinarie fotografie insieme a Greenpeace nel mare del Giappone.
Louis ascoltava con un orecchio soltanto, perché con l'altro era occupato a godersi l'angelica risata di Harry, a marchiarsela a fuoco nella mente e nel cuore; mentre il suo sguardo saettava dall'oggetto della propria adorazione ai suoi zii. Così, per non essere troppo ovvio.
Osservava il suo profilo, la sua pelle d'alabastro sulla quale danzava la luce tremolante delle candele, donandogli un'aura quasi spettrale, così bella da sembrare letale.
Andando e venendo dalla cucina, Margaret si univa di tanto in tanto alla conversazione, suscitando ancora e ancora la risata cristallina del riccio, mentre ricordava le sue fughe annuali con le amiche, ad Atlantic City prima e a Las Vegas poi, mai parca di particolari che riguardavano aitanti spogliarellisti ed infelici tentativi di baro al casinò.
Harry, ormai a proprio agio, complici i numerosi sorsi di vino che la nonna versava nei loro bicchieri ignorando le proteste di Arlene, si sentì tanto ardito da chiederle del marito assente, e oddio, no, adesso parte con la storia della sua vita. E fu proprio così, Louis che ingoiava un sospiro rassegnato assieme alla madre e alla zia, quando Margaret si lanciò nel racconto oh tanto mozzafiato del suo divorzio alla soglia dei favolosi anni sessanta.
Fu il timer del forno ad interrompere le sue divagazioni, e l'unico a rimanerne deluso parve essere Harry.
Con il succulento tacchino finalmente al centro della tavola, nonna Margaret si schiarì nuovamente la voce e prese la mano di sua figlia Arlene, invitando gli altri a fare lo stesso.
"Sei religioso, Harry, caro?" Chiese la donna, rivolgendogli un sorriso di melassa.
Louis vide il ragazzo arrossire, per poi incontrare la sua espressione d'un tratto costernata.
"Ehm, non proprio," lo sentì rispondere in un sussurro imbarazzato.
Nonna Margaret lasciò la sua mano per battergliela gioiosamente sulla spalla.
"Perfetto! L'ultima volta che ho messo un piede in chiesa è stato il giorno del mio disgraziato matrimonio."
Risero tutti quanti, Harry compreso.
"Niente preghiere, giovanotto, ma qui abbiamo lo stesso una tradizione da rispettare," gli disse.
Le fossette sulle sue guance chiare comparvero di nuovo, mentre intrecciava le proprie dita a quella di Margaret da un lato e a quelle di Louis dall'altro.
"È la festa del Ringraziamento, quindi ci piace ringraziare. Ringraziamo chi ci pare, tesoro, ma è il gesto quello che conta."
Gli fece un altro occhiolino prima di parlare ancora. Ringraziò le amiche del bridge, la sua splendida famiglia, il supermercato infondo alla strada che aveva assunto un gran bel pezzo di ragazzo, e persino Harry, per essere lì con loro.
Uno dopo l'altro, ringraziarono tutti, attendendo con silenziosa aspettativa il turno del nuovo arrivato.
Louis vide il suo bellissimo viso colorarsi ancora, e gli strinse la mano più forte. Forse non fu l'incoraggiamento più adatto, o forse sì, perché Harry si mordicchiò il labbro inferiore e si alzò lentamente dalla sedia, inspirando profondamente.
"Sembrerà banale, ma vorrei ringraziarvi tutti," iniziò, sorridendo come un attore alla platea, "grazie per avermi invitato. Sto passando una bellissima serata, perciò grazie."
Spostò poi lo sguardo su Arlene, che lo ascoltava attenta e con espressione seriosa.
"Grazie," le disse, la voce più bassa e roca, "grazie per avermi dato la possibilità di continuare a frequentare Louis," si grattò ossessivamente la nuca, spostandosi i ricci dalla fronte una, due, tre volte, "con tutto quello che è successo, non ci speravo davvero."
Arlene ridacchiò e bevve un sorso di vino, mimando con le labbra un "grazie a te," che non sfuggì al resto dei presenti.
Poi quei meravigliosi occhi di giada si posarono su di lui, verdi e dorati, profondi ed impenetrabili, ammalianti come sirene per un naufrago, purissimi come acqua di una sorgente.
"E soprattutto, voglio ringraziare te," e non riuscì nemmeno a terminare, che il cuore di Louis era già in vacanza.
"Grazie, Lou, grazie di tutto. Grazie del tuo aiuto, grazie di dire sempre la cosa giusta, grazie di essere così coraggioso, e forte, e intelligente, e pieno di talento ed immaginazione."
Il silenzio che regnava attorno al tavolo, ognuno in ascolto e contemplazione di quelle parole, parve acuire il battito del suo cuore. Si chiese se anche gli altri potessero sentirlo, e se potessero vedere i suoi stupidi occhi liquidi di lacrime.
"Grazie di tenermi al tuo fianco, grazie di esserti fidato di me, quando nemmeno io mi fidavo di me stesso."
Harry portò la sua mano, ancora stretta nella propria, alle labbra e ne sfiorò il dorso.
I fuochi d'artificio partirono nella testa di Louis.
"Grazie, perché da quando ti conosco, voglio essere migliore."
E ciao mondo.
Louis si alzò in un scatto e lasciò la sua presa, per poi correre fuori dalla stanza e nascondersi dietro la porta del bagno, il volto rigato di lacrime non salate, ma dolcissime.
Gli parve di udire la voce di sua madre mentre tranquillizzava il povero Harry, ma a quel punto non gli importava, perché il suo addome si contorceva e si attorcigliava, e la sua gola bruciava, tentando invano di fermare quelle due paroline che cercavano disperatamente di uscire.
Ti amo.
QOTC: foto nei capitoli. Yes or nah? E soprattutto, giunti a questo punto della storia, c'è qualcosa in particolare che vi piacerebbe leggere che ancora non è accaduto? E badate, ve lo chiedo per pura curiosità, tanto come va avanti lo decido io. Pappappero -inserire risata malvagia-
Un bacione bellezze!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro