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Louis

Boh, io non so davvero che dire.
Scrivo perché mi piace, scrivo perché mi rilassa e scrivo anche un po' perché l'immaginazione è il posto più bello che esista. Ho sempre immaginato e scritto per me stessa, ma qualche giorno fa, un paio di voi mi hanno lasciato dei commenti che non solo mi hanno emozionato, ma mi hanno fatto riflettere.
Continuerò a scrivere per me stessa, ma con una nuova consapevolezza: scrivere anche per qualcun altro, è proprio una bella sensazione.
Un bacione, e alla prossima!

Camminava strascicando i piedi sul pavimento di pietra gelido, ignorando il dolore pulsante che dalla gamba risaliva per tutto il corpo come uno sciame di vespe velenose. Il rumore dei suoi passi echeggiava nel lungo corridoio, illuminato dalle fiamme tremolanti delle torce.
Era stato avventato, e per poco non era caduto dritto nella trappola dei suoi nemici, ma le alleanze che la sua nobile famiglia aveva stretto nei secoli travagliati dalla guerra, gli avevano garantito la salvezza.
Alcune spie erano riuscite ad informarlo prima dell'attacco, e grazie a loro era riuscito a sventare il massacro nel campo di fortuna che i suoi avevano allestito poco lontano dalle mura del castello di Dunure.
Edward era riuscito ad infiltrarsi nelle segrete, ma un dannato arciere appostato sui merli della torre di guardia aveva scoccato una freccia che l'aveva colpito proprio sopra il ginocchio. Stringendo i denti, Edward aveva proseguito, ma l'allarme era stato lanciato, e il suono del corno aveva rimbombato fra le colline.
Probabilmente William era già stato portato via, e l'immane sforzo profuso dal cavaliere l'avrebbe trascinato fra le nere mani della Morte, ma se quella missione suicida l'avesse condotto a rivedere lo splendido viso del suo amore, ne sarebbe valsa la pena.

"Louis!"
La voce di Arlene lo fece sobbalzare.
Chiuse il laptop con un clic e corse di sotto. Più o meno. Con quegli stupidi jeans anche il più semplice dei movimenti diveniva un'ardua impresa.
Schioccò un bacio sulla guancia della madre e prese la chiavi dell'auto. Uscì nella fredda aria di quel pomeriggio senza sole, stringendosi nella felpa e pregando che Dio gliela mandasse buona.

Tamburellava le dita sul volante, il fiato corto e la mente appannata. La musica hard rock che passava alla radio faceva il paio con le pulsazioni del suo cuore.
   Era una delle sue passioni segrete. Gli piaceva ascoltare canzoni melodiche, dal ritmo orchestrale e arricchite da testi poetici e quasi sibillini, tutti da interpretare; ma a volte, in giorni come quello, si ritrovava a desiderare soltanto l'iniezione di adrenalina dei suoni metallici del rock aggressivo.
In quel momento, tutta la tensione accumulata che lo stava divorando come un tarlo, parve scemare insieme alle note della chitarra elettrica.
   Mentre imboccava la statale ME-4 in direzione Avon, Louis provò a deglutire l'eccessiva salivazione e quel fastidioso quanto insensato senso di colpa. Aveva finalmente un appuntamento con un essere umano in carne e ossa, non frutto dei suoi castelli in aria, eppure non riusciva a smettere di pensare che quel pomeriggio stesse irrimediabilmente tradendo l'amore della sua vita.
   Scosse la testa. Lui ed Harry si erano avvicinati, persino più di quanto avrebbe mai osato sperare; avevano condiviso lacrime e segreti, uno spazio stretto e caldo in una tenda striminzita, dolcissimi abbracci e parole sussurrate. Ma Harry non era Edward, e lui non era William. Per loro non ci sarebbe stato nessun happy ending. Era arrivato il momento di convincersene e voltare pagina.
Colin sarebbe stato il suo punto di partenza.

Parcheggiò la vecchia Grand Voyager e, dopo aver gettato una rapida occhiata attorno a sé, si allacciò il bottone dei jeans. Dannata pancetta. Avrebbe dovuto comprare almeno una taglia in più, ma Harry gli aveva detto che stava benissimo...
Colin, Colin, Colin! Concentrati!
Scese dall'auto e si sgranchì le gambe, prendendo un profondo respiro. Si erano dati appuntamento di fronte all'entrata nord del centro commerciale di Avon, e come suo solito, Louis era in anticipo di un buon quarto d'ora.
Si passò una mano fra i capelli, come a controllare che quell'insolita pettinatura fosse ancora lì. Arlene glieli aveva spettinati con un po' di gel, e quando l'aveva visto indossare quei jeans attillati, era arrossita e, quasi commossa, gli aveva detto, "il mio bambino."
Louis si era coperto il viso con le mani.
Con il volto di Colin stampato nella mente, si mise a girovagare studiando la gente che entrava ed usciva dall'edificio. Cercava un ragazzo più o meno della sua età, lisci capelli castani, due profondi occhi scuri ed un viso chiaro e magrolino.
Guardò l'orologio, sospirando, lo stomaco attorcigliato nella morsa di un pitone reale.
Combattuto se darsela e gambe e tornare nella tiepida sicurezza della propria casa, o restare ed iniziare a vivere come una persona normale, che faceva cose normali come conoscere gente nuova, Louis si agitava sul posto, mordicchiandosi le unghie e picchiettando i talloni sul cemento.
"Louis?"
Una mano gli si posò sulla spalla, e quando si voltò, sussultando di terrore, si ritrovò di fronte quel ragazzo che aveva visto soltanto in foto.
Chi ben comincia...

Parlare con Colin si rivelò estremamente piacevole. Quasi dimenticato il paralizzante imbarazzo del primo incontro, davanti ad una tazza fumante caffè aromatizzato alla vaniglia, Louis riuscì a rilassarsi abbastanza da godersi quella chiacchierata.
La sua voce era lenta e melodica, e Louis non aveva potuto che identificarsi nel ragazzo con lo sguardo basso ed il volto arrossato. Lo vedeva avvampare ogni volta che i loro occhi si incontravano, e malgrado non fosse altrettanto goffo ed impacciato, Louis si riconobbe perfettamente.
Gli piaceva. Era di un anno più giovane, ma sapeva esattamente ciò che voleva. Uno studente brillante, con tanti interessi, ed il sogno di essere accettato alla MIT per diventare architetto. Adorava la lettura, e tra gli altri, Louis doveva essere sul serio uno dei suoi autori preferiti. Gli fece così tante domande a proposito di Edward e compagni, che la testa di Louis cominciò a girare. Nonostante tutto, fu estremamente gradevole discutere delle proprie passioni e sentirsi lodato da qualcuno che non fosse sua madre.

Avon era una cittadina persino più piccola di Wilton, e contava meno di mille anime. Essere l'unico ragazzo gay di quella microscopica area urbana nel mezzo del Mt Blue State, non era stato facile per Colin. Louis vide la sofferenza e la malinconia sul suo volto livido, e non poté fare altro che stringersi nella sua ampia felpa grigia ed ingoiare il gusto amaro della consapevolezza. Riusciva perfettamente a comprenderlo, e Colin comprendeva lui. Dopo tantissimo tempo, trascorso ad esplorare i meandri più remoti della propria fervida immaginazione, Louis ebbe la sensazione di aver trovato qualcosa, e qualcuno, di reale e tangibile.

Dopo un paio d'ore durante le quali si erano visibilmente rilassati entrambi, il momento del saluto acuì l'ansia che erano stati in grado di placare.
"Ehm," borbottò Louis, guardandosi attorno dietro i suoi occhiali. Ci aveva provato a mettersi le lenti a contatto, ma dopo tanti anni senza allenamento, aveva rischiato di cavarsi un occhio. Aveva mestamente rinunciato.
Accanto alla propria auto, il corpo minuto di Colin gli parve improvvisamente troppo vicino e troppo profumato di scadente acqua di colonia. Eppure era così carino.
"Spero di rivederti, Louis," disse, mordendosi il labbro inferiore ed arrossendo ancora.
Louis gli offrì un mezzo sorriso ed annuì, stringendo le chiavi dell'auto in pugno.
"La settimana prossima ci sarà una maratona di Ritorno al Futuro al cinema," aggiunse, gli occhi scuri puntati al terreno. Louis sgranò i propri, ma non lo interruppe.
"Pensavo che, sì insomma, se ti va..."
"Va benissimo!" Esclamò il ragazzo più grande, sentendosi tutto d'un tratto sotto pressione come nel bel mezzo di un esame.
Lo vide sciogliersi in un ampio sorriso, così luminoso da poter accendere il cielo violaceo che sfumava al crepuscolo, mentre l'aria pungente spirava dalle montagne e gli scompigliava i capelli in una danza elegante. Negli occhi di Louis, non si muoveva nemmeno una foglia.
"Allora ci sentiamo," mormorò Colin, "così ci mettiamo d'accordo. Sta volta vengo io, non mi va che tu faccia di nuovo tanta strada."
"Figurati, non è un problema," fece Louis, muovendo le mani davanti al viso.
"Insisto."
Louis annuì sconfitto. Non aveva davvero voglia di combattere. "Okay," bisbigliò, ed inconsapevolmente, si mosse verso la portiera.
"Ciao, Louis, è stato davvero bello conoscerti."
Louis lo guardò arricciarsi i capelli attorno alle dita come aveva fatto tutto il pomeriggio.
Era carino.
"Anche per me," rispose. Come un fulmine, si sporse e gli lasciò un piccolissimo bacio sulla guancia. Fece finta di non vedere il suo volto prendere fuoco e fece finta di non trarne un'immensa soddisfazione.
Ecco come doveva sentirsi Harry.
"A presto, allora," lo salutò e salì in auto, ingranando rapidamente la prima.
Non aveva ancora raggiunto la statale, che il cellulare vibrò sul sedile accanto.

Se non avessi avuto così paura di vederti scappare via, ti avrei baciato per davvero.

Louis sorrise. Ma quel sorriso non illuminò proprio un bel niente.

Harry si presentò a casa sua la domenica seguente, tutto ricci e fossette e l'ennesimo sacchetto di muffin.
La scadenza per il progetto di scienze si avvicinava pericolosamente, ma Harry lo splendido non sembrava preoccuparsene davvero.
Louis lo guardava di soppiatto, sbattendo le palpebre ogni qual volta lo sentiva sospirare. Se ne stava placidamente sdraiato a letto, i ricci sparsi sul cuscino, mentre Louis ponderava di nascondere quella federa dalla grinfie di sua madre e della lavatrice.
"Louuuu," piagnucolò, ribaltando la testa all'indietro e guardandolo al contrario.
Louis si prese il ponte del naso fra due dita e chiuse gli occhi, posando la penna sul foglio ancora intonso.
"Che c'è, Harry?"
Gli sembrava di avere a che fare con un bambino capriccioso di cinque anni.
Stava cercando di scrivere un saggio di letteratura da almeno un'ora, ma Harry non gli dava tregua.
"Facciamo qualcosa," disse quest'ultimo, rotolando sul fianco e sbattendo le lunghe ciglia.
Ah, povero sciocco, credeva davvero che sarebbe bastato uno sguardo languido affinché Louis dimenticasse i compiti e lo assecondasse?
Maledizione, sì. Chi voleva prendere in giro. Bastava eccome.
"Harry, abbiamo giocato con l'X-box, abbiamo giocato con la Wii, che vuoi fare ancora?"
Fingeva di fare l'adulto, Louis, ma quell'ironico scambio di battute, come due vecchi amici di lunga data, gli piaceva da impazzire. Harry avrebbe dovuto passare sul suo cadavere perché lo ammettesse.
Il riccio scattò in piedi e gli si parò di fronte con un sopracciglio alzato ed un sorrisetto di quelli che facevano venire voglia a Louis di gettarsi dalla finestra.
Si sporse in avanti e lo guardò negli occhi, mentre Louis ancorava i piedi a terra per non cadere dalla sedia.
"Facciamo qualcosa di divertente," bisbigliò Harry, strascicando le parole in maniera lenta e sensuale.
Louis deglutì e tornò ad abbassare il viso paonazzo verso il quaderno bianco. Un'altra parola sussurrata e sarebbe morto.
"Perché, ehm," deglutì ancora tutta quella saliva che minacciava di trasformarsi in rigurgito gastrico da un momento all'altro, "perché invece non ti metti a studiare anche tu?"
Harry ridacchiò, stiracchiando le braccia verso l'alto e tirando con sé la maglia, lasciando esposto quel lembo di pelle candida che conduceva dritto dritto al paradiso.
"Un'ora, ti chiedo solo un'ora," disse, di nuovo quel sorriso beffardo che nascondeva ben più di quanto mostrasse.
Louis socchiuse le palpebre. Com'è che si diceva? Ah già. Era fottuto.

"Dove stiamo andando?"
Seduto sul sedile passeggero nell'auto sportiva dei genitori di Harry, Louis si era fatto piccolo piccolo, stretto nelle spalle e le mani in grembo, mentre preoccupato guardava il cielo plumbeo e uggioso fuori dal finestrino.
"Se te lo dicessi, non sarebbe una sorpresa," Harry gli fece l'occhiolino, canticchiando a bassa voce sulle note della canzone che passava in radio.
"Non mi sembra di averti chiesto una sorpresa," ribatté Louis, aggrottando le sopracciglia.
Aveva un saggio da terminare, esercizi di matematica a non finire e due capitoli di storia da studiare per il giorno seguente. La compagnia di Harry cominciava a diventare deleteria per la sua brillante carriera scolastica. E non l'avrebbe scambiata per tutte le A+ del mondo.
"Mi ringrazierai."
"Ne dubito."
Bugia.

Era ufficiale. Aveva perso la testa per un criminale intrappolato nel corpo di un angelo.
"Tu sei pazzo!" Esclamò Louis, aggrappandosi al sedile mentre Harry se la rideva giulivo accanto alla portiera.
"E dai, l'ho già fatto un sacco di volte!" Tentò di convincerlo.
Louis scosse la testa. Per quello ci sarebbe voluto ben altro che un battito di ciglia.
"È violazione di proprietà privata, rischiamo l'arresto!" Protestò, incrociando le braccia al petto.
"Benissimo. Vorrà dire che ti ci porterò di peso," ridacchiò ancora il riccio, sporgendosi verso di lui ed allungando le braccia.
Louis squittì e saltò sul posto.
"Non ci provare!" Gridò, così poco virile da vergognarsene lui stesso. Harry rise nuovamente, prima di mettersi le mani sui fianchi e guardarlo con aspettativa.
"Allora porta quel tuo bel culetto qui e seguimi."
Bel culetto. Se mi vuoi morto, dillo e basta.
Borbottando, Louis scese dall'auto, mentre Harry gli regalava uno sguardo soddisfatto.
   Lo seguì sul retro della casa, tenendosi a debita distanza, facendo saettare gli occhi da una parte e dall'altra, alla ricerca di un possibile vicino spione. O di una volante di polizia che decideva di passare di lì per caso.
"Harry, ti prego, se ci vede qualcuno-"
"Shhh!" Gli fece quello, mettendosi il dito davanti alle labbra. Con un altro occhiolino, si mise a trafficare con il vecchio lucchetto che chiudeva il cancellino di legno. Dopo un paio di tentativi fallimentari, scattò, e la porticina che una volta doveva essere dipinta di bianco, ma ora solo dall'intonaco scrostato, si aprì cigolando.
"Dai, vieni."
Louis non poté nemmeno protestare, perché Harry lo prese per mano e lo condusse verso il giardino sul retro della grande villa.
Ogni parte che toccava, ardeva in una fiamma meravigliosa, bruciando la pelle di Louis con il suo sensuale calore. Harry non aveva ancora lasciato la sua mano quando si fermò di fronte al parquet in legno di tek che circondava una grande vasca idromassaggio illuminata tutto intorno da luci incastrate nel terreno.
"Ta-dan!" Esclamò il riccio, allargando le braccia.
La perdita di quel contatto lasciò Louis interdetto e malinconico.
Fece qualche passo in avanti ed aggrottò la fronte.
"Ta-dan, cosa?"
Harry alzò gli occhi al cielo.
"I signori Reed tornano sempre tardi. Io e Scott abbiamo approfittato molte volte di questa meraviglia," disse fiero di sé e delle sue azioni criminose.
Louis storse il naso. Non solo stavano infrangendo la legge, ma Harry pensava bene di tirare in ballo quell'idiota di Scott.
   Dovevano aver litigato davvero, come gli aveva detto. Gli ultimi giorni a scuola, Harry era rimasto in disparte, non facendosi nemmeno vedere in mensa durante la pausa pranzo.
"È tutto molto suggestivo, ma è la casa di qualcun altro. Lo capisci questo?"
Harry sorrise e si sfilò la felpa da sopra la testa.
"Quando è stata l'ultima volta che hai fatto una cazzata, Mister Perfezione?"
Louis sgranò gli occhi e si voltò immediatamente, mentre quell'infido si slacciava, oh così lentamente, la patta dei jeans.
"C-che st-stai facendo?" Louis si coprì il volto paonazzo. Tutta l'aria attorno si fece bollente e pressoché irrespirabile.
"Tu che dici? Mi faccio un bel bagno rilassante." Saltellò sul posto e scivolò fuori dai suoi strettissimi jeans, "e dovresti farlo anche tu."
Louis lottò contro ogni fibra del proprio corpo per non voltarsi appena e dare una sbirciatina.
Se si toglie anche le mutande, muoio.
Non se le tolse, ma accese i getti caldi dell'idromassaggio e balzò nella vasca come fosse la sua.
"Dai, Lou! La smetti di farti pregare?" Ridacchiò, perfettamente a suo agio in una situazione da potenziale arresto.
Louis continuava a dargli le spalle, sicuro che da ogni più piccolo poro della propria pelle uscisse del fumo.
"Cristo, Harry, se arriva qualcuno-"
"Ti ho già detto di averlo fatto un sacco di volte. I padroni di casa tornano sempre la sera tardi, non c'è pericolo."
Louis girò la testa quel tanto che bastava per vederlo avvicinarsi al bordo della vasca e poggiare il mento sulle mani piegate.
Trattenne il respiro per quelli che parvero minuti. Se pensava di aver visto tutto, dovette ricredersi in quell'istante.
I ricci bagnati attaccati alla fronte, il ciondolo che portava sempre al collo che riluceva nella fioca luce del giardino, illuminandogli il volto di riflessi argentei, assieme a tutte quelle goccioline che scivolavano lungo il suo torace nudo e scolpito, pallido come un raggio di luna; i suoi muscoli guizzavano, lucidi d'acqua, e i suoi occhi brillavano come due smeraldi mentre lo guardavano e lo privavano di ogni facoltà di pensiero razionale.
Con l'ultimo briciolo di senno che gli rimaneva, Louis si voltò ancora, altrimenti oltre all'espressione da gatto in calore avrebbe dovuto nascondere dell'altro.
"Lou," il bisbiglio sommesso di Harry giunse alle sue orecchie come un coro di angeli.
Decise di buttare al vento ogni sua più ferrea convinzione; persino il paralizzante pensiero di togliersi i vestiti e mostrargli il proprio corpo non lo smosse da quella pericolosa quanto eccitante idea.
Prese un respiro profondo e strinse la zip della felpa fra le dita tremanti, finalmente pronto a raggiungere la perfezione che lo aspettava e che lo chiamava a sé in rivoli di vapore che salivano verso il cielo.
Un paio di fari, accompagnato dal brontolio di un motore, abbagliò il giardino e gli occhi dei due ragazzi. Ancora con le mani al petto, Louis vide Harry immobile, rigido come un pezzo di ghiaccio che non si scioglieva nonostante il calore che lo circondava.
"Merda."

"Io ti ammazzo!"
Harry era piegato sul volante della propria auto, parcheggiata al sicuro da sguardi indiscreti nell'ampio vialetto della casa di Louis. Rideva come un pazzo da cinque minuti buoni, tentando invano di parlare prima di scoppiare in un'altra fragorosa risata.
Louis lo guardava torvo, stizzito e fumante di rabbia.
"Giuro, appena ti addormenti, ti soffoco con un cuscino."
Harry rise nuovamente, asciugandosi le lacrime che gli bagnavano gli occhi di giada.
"Dio, Lou, dovevi vedere la tua faccia," biascicò, scuotendo la testa per liberarsi dei ricci ancora umidi che gli cadevano sulla fronte.
Louis incrociò le braccia e gli lanciò un'altra occhiata funesta.
"Potevano farci arrestare, idiota! Tutto perché tu volevi farti un bagno rilassante," esclamò, incredulo di essersi fatto trascinare in una situazione simile.
   Il suo buon senso l'aveva abbandonato nel momento di maggiore bisogno, per colpa di quel cretino che gli sedeva accanto.
Maledetto, bellissimo cretino.
"Ma non è successo, no?"
   La noncuranza e la tranquillità che dimostrava lasciavano Louis esterrefatto.
   Il rumore che avevano udito, e i fari che avevano visto, si erano rivelati soltanto quelli di un'auto di passaggio, che faceva inversione proprio di fronte alla casa dei signori Reed ma questo non cambiava il fatto che avessero rischiato una denuncia per essersi introdotti nella proprietà di qualcun altro. Come faceva a non capirlo? Come faceva a sembrare tanto rilassato davanti ad una cosa del genere? Forse il bagno gli aveva fatto bene sul serio.
   Con una smorfia, Louis estrasse il telefono dalla tasca e digitò in fretta una risposta al messaggio che aveva ricevuto, ignorando l'ennesima sonora risata del riccio al proprio fianco.
"Si può sapere a chi scrivi ultimamente? Sei sempre attaccato a quell'affare, anche a scuola," chiese Harry d'un tratto, il sorriso che gli dipingeva le labbra rosse sempre in bella mostra insieme alle famigerate fossette.
   Louis arrossì ed abbassò lo sguardo, cercando invano una scusa plausibile.
"Non sarà mica il tuo fidanzato segreto?" Lo punzecchiò il riccio prima che potesse ribattere, picchiettando il gomito sul suo costato.
Louis si morse il labbro inferiore, sospirando.
"Non è il mio fidanzato! Siamo usciti solo una volta!"
Si morse la lingua. Il buon senso non l'aveva abbandonato. Se n'era proprio andato a quel paese.
Il viso di Harry parve incupirsi d'un tratto, fossette e sorriso spariti in un battito di ciglia.
"Oh," disse soltanto, tamburellando le dita sul volante.
Louis spostò lo sguardo, maledicendo se stesso e la sua dannata linguaccia.
"È uno della nostra scuola?"
Quando fece per incontrare i suoi occhi, vide che quelli di Harry puntavano dritti fuori dal finestrino.
"No, no," mormorò Louis. Sarebbe mancato solo quello alla lista dei pettegolezzi.
"Vive ad Avon," aggiunse, senza riuscire a fermare il fiume in piena delle proprie parole.
Harry tornò a voltarsi verso di lui, la fronte e le sopracciglia aggrottate.
"E come l'hai conosciuto uno di Avon?"
Ma cos'era, un interrogatorio?
Si strinse nelle spalle, mordicchiandosi l'unghia del pollice.
"È il figlio di due amici di mia madre," mentì. Il suo hobby segreto doveva rimanere tale.
Harry annuì, distratto, con l'espressione di chi non stesse prestando davvero attenzione.
"È per lui che facevi shopping la scorsa settimana?"
Louis trasalì.
"N-no, cioè..." Si strappò una pellicina al lato dell'unghia e mugugnò di dolore, "non-non lo so, forse."
Che razza di idiota. Sta' zitto e scendi da questa macchina!
   Harry gli poggiò una mano sul ginocchio appuntito, stringendo appena, senza incrociare il suo sguardo, mentre lo stomaco di Louis si attorcigliava in un nodo scorsoio.
"Non dovresti cercare di cambiare per gli altri," mormorò, poggiando la testa al sedile e socchiudendo gli occhi.
Louis spalancò i suoi, confuso.
"Ma hai detto che stavo bene!" Esclamò offeso. Se si era comprato quei maledetti skinny jeans era solo per lui.
Non glielo disse.
Vide l'ombra di un nuovo sorriso illuminargli il volto.
"Non ho detto che stai bene. Ho detto che stai benissimo."
Il viso di Louis parve squagliarsi come neve al sole.
"Intendo che dovresti cambiare solo se lo vuoi tu, non per piacere a qualcun altro."
Già, è facile per te. Tu sei bello da star male.
Non disse nemmeno quello, ma si limitò ad osservare le proprie mani in grembo, accarezzando il gesso che ancora gli fasciava le due dita fratturate.
"Lo rivedrai?" Domandò nuovamente il riccio dopo attimi di tetro silenzio.
"Penso di sì. Andiamo al cinema tra qualche giorno."
Harry annuì. "Quindi ti piace?"
Louis afferrò la maniglia della portiera, pronto a fuggire a gambe levate.
"Non lo so, credo di sì, ma te l'ho detto, siamo usciti solo una volta."
Non gli chiese più nulla, e Louis non seppe davvero dire se fosse un bene o un male.

Tornato nell'altro del buio e della solitudine, dove Edward si aggirava guardingo e madido di sangue nemico, Louis si girava e rigirava fra le lenzuola, agitato e nervoso per qualcosa a cui non era in grado di dare un nome.
   Colin gli piaceva, ma Colin non era Harry. Colin era carino, ma non era bello come il sole dopo giorni di pioggia. Era piacevole starlo a sentire, ma il cuore non minacciava di uscirgli dal petto come un missile ad ogni suo sorriso.
   Mentre tentava di rivivere il loro appuntamento, e concentrarsi sul prossimo, l'immagine di Harry seminudo, nel vapore di quella vasca, si ripresentava prepotente alla sua mente, scacciando ogni altro pensiero.
   Spense l'abat-jour grugnendo frustrato, ma un'altra lampadina si accese improvvisamente nella sua testa.
Afferrò il telefono che teneva sotto il cuscino e gli inviò un messaggio.

Harry, gli aerei di carta!

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