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Louis

Ta-dan! Nuovo capitolo tutto per voi!
Ci tengo a lasciarvi alcune postille su questa storia, così, sia mai che qualcosa non risulti chiaro:
- la storia si svolge nella piccola cittadina di Wilton, nello stato del Maine, circondata dalle montagne e sulla riva di un bacino naturale, il Wilson Pond. Tutti i luoghi e i nomi citati esistono realmente e non sono frutto di fantasia;
- è ovviamente scritta in terza persona, ma SOLO dal punto di vista di uno dei due protagonisti, a seconda del capitolo (ecco il perché dei titoli);
- sia Harry che Louis sono figli unici e i nomi dei familiari sono volutamente cambiati.
Se doveste avere altri dubbi o curiosità, sono qui apposta :)
Un bacio,
MB

Louis strascicava i piedi scalzi sul pavimento tiepido della sua stanza. Avanti e indietro, avanti e indietro. Camminava con il telefono tra le mani, e il pc acceso sulla scrivania. Da un lato, Sir Edward e i suoi compagni lo chiamavano a gran voce, i tamburi della guerra che rimbombavano furiosi e tetri dal campo di battaglia. Dall'altro, la guerra infuriava proprio dentro di lui, sull'orlo di una crisi di nervi.
Il giorno precedente era stato lo stesso. Ore e ore trascorse a ponderare se inviare quello stupido messaggio al ragazzo più bello dell'universo, il ragazzo che finalmente aveva notato la sua presenza e gli aveva rivolto la parola.
Non poteva tergiversare ancora. Crollò pesante sul letto e sbuffò. Era solo un sms, mica la sua condanna a morte.

Ciao. Sono Louis. x

No, per l'amor del cielo. Niente x, niente baci. Il fatto che gli sarebbe saltato addosso ogni secondo della giornata, non era necessario che Harry lo sapesse.

Ciao! Sono Lou :)

Ma per favore. Cancellò lo smile con una smorfia. Non aveva mica cinque anni. Non ne aveva nemmeno quaranta però! Che cavolo.

Ciao, sono Louis. Ti amo dal primo giorno in cui ti ho visto. Sposiamoci e adottiamo trenta bambini.

Non si azzardò a scriverlo. Se avesse sfiorato per caso il tasto di invio, un biglietto di sola andata per la giungla del Borneo non gliel'avrebbe negato nessuno.
Grugnì ed affondò la testa nel cuscino. Il soffice tessuto attutì il suo urlo di frustrazione.
Udì la porta aprirsi cigolando ma non si voltò. Sua madre gli si sedette accanto ridacchiando e gli accarezzò la schiena.
"Ancora niente?" Chiese, sorridendo delle paranoie di suo figlio. Era tutt'ora incredula della timidezza e della goffaggine sociale che Louis aveva sviluppato in quegli anni. Ricordava un ragazzino spigliato e spontaneo, dalla battuta pronta e dalla risata contagiosa. Sapeva bene che quel ragazzino era ancora lì, nascosto da qualche parte. Sperava con tutto il cuore che presto o tardi, Louis incontrasse qualcuno in grado di farlo di nuovo sentire se stesso.
Per il momento, c'era soltanto lei, e come madre, doveva almeno provare a prendere il toro per le corna.
Louis non badò neppure al fatto che la donna gli aveva preso il telefono, troppo occupato a mordicchiare la federa imprecando sotto voce.
"Voila', fatto!" Esclamò sua madre, giuliva, una luce negli occhi che non prometteva nulla di buono. Il fatto che suo figlio per lei non avesse segreti, spesso le dava la libertà di essere un po' troppo ficcanaso.
Afferrò il telefono sgranando gli occhi e spalancando la bocca.
"Mamma!" Urlò disperato.

Ciao, sono Louis. Domani sei libero? Magari ci vediamo e buttiamo giù qualche idea per il progetto. Buona serata!

Beh, non era poi tanto male. Perfetto, se paragonato alle mille idiozie che aveva tentato di scrivere lui stesso.
"Mamma!" Gridò ancora, ma questa volta di gioia, allacciando le braccia dietro il suo collo.
"Prego, tesoro. Adesso vado al lavoro, ci vediamo domattina, okay?" Si alzò con un sorriso che regalò al figlio, quasi commossa che una cosa così piccola potesse renderlo tanto felice.
Era davvero curiosa di poter finalmente posare lo sguardo sul celeberrimo Harry Styles che aveva rubato ogni facoltà mentale di suo figlio.
"Grazie grazie grazie," gongolò Louis, saltellando come un coniglio per la stanza.
Arlene scosse la testa divertita e lasciò la casa, diretta all'ospedale pronta ad affrontare un altro turno di notte.

Trenta minuti. Un'ora. Un'ora e mezza. Due.
Louis aveva la faccia incollata allo schermo del cellulare, gli occhi gonfi di sonno e disperazione. Harry non rispondeva. Aveva visualizzato, ma non rispondeva. Perché visualizzare e poi non rispondere? Perché gettare Louis in uno stato catatonico di ansia e prurito cerebrale?
Rotolò su un fianco, portando il telefono con sé. Era un illuso, ecco cos'era. Il fatto che dovessero condividere un progetto di scienze non implicava certo che potessero anche diventare amici. E poi magari sposarsi su una spiaggia delle Hawaii.
Louis era uno sfigato. Non importava quanto decidesse di ignorare le scritte sui muri del bagno. Erano lì, e dicevano il vero.
Harry invece era il bello e impossibile, quello che tutti volevano e uno come Louis non avrebbe mai avuto.
Il trillo improvviso del telefono lo fece sussultare. Dalle labbra gli sfuggì un urletto degno della migliore majorette, mentre con dita tremanti apriva il messaggio che Harry gli aveva appena inviato.

Ciao Lou! Scusa, ma appena ho visto il tuo messaggio sono dovuto entrare in piscina. Domani va benissimo, ci vediamo nel parcheggio dopo le lezioni? Se vuoi andiamo da me, x

Una x. Una x! Per poco Louis non svenne. Una x, maledizione! Harry gli aveva mandato un bacio. Non volle nemmeno pensare al fatto che probabilmente lo inviasse a chiunque. Quel bacio era suo. E Dio solo sa che se lo sarebbe tenuto stretto.
Deglutì rumorosamente, desiderando che sua madre fosse ancora lì per evitargli una figuraccia.

Come vuoi tu, io ho casa libera.

Premette invio prima di urlare di nuovo. Cosa aveva fatto?
a) non era vero che avesse casa libera. Sua madre sarebbe stata lì, a spiare ogni loro mossa;
b) poteva sembrare più maniaco sessuale di così? Risposta: no.

Perfetto! Allora andiamo da te. Ci vediamo domani, Lou, buona notte! xx

Due baci. Due. E se il secondo fosse stato con la lingua, Louis non si sarebbe lamentato.
Okay, questa storia del maniaco sessuale stava diventando inversamente proporzionale alla sua idiozia.
Il suo stomaco vuoto ribollì di protesta. Quel pomeriggio la trepidazione era stata il suo unico sostentamento, mentre ora il suo organismo reclamava qualcosa di più appetitoso.
Abbandonò la camera da letto e si diresse in cucina, guidato dall'imbarazzante brontolio sommesso del proprio ventre. Aprì il frigorifero alla ricerca di qualcosa di unto, e grasso, e pieno zeppo di calorie. Poco gli importava della silhouette; ahi lui, nessuno avrebbe visto i suoi cosciotti nell'immediato futuro.
Ridacchiò fra sé. La sola compagnia della madre lo stava lentamente portando ad essere più donna di quanto eticamente consigliato.
Alzando le spalle in un gesto di stizza, planò sul divano addentando una fetta di pizza fredda e stantia.
Decise di attendere il momento doccia per espletare quell'altro bisogno.

Quando si aspetta tanto che accada qualcosa, pare che il tempo rallenti.
Per Louis fu esattamente il contrario. La giornata trascorse in un istante, e in un battito di ciglia si ritrovò nel parcheggio di fronte alla scuola, le mani sudate ed un fastidiosissimo tic all'occhio. Aveva sperato, immaginato, fantasticato di trascorrere un intero pomeriggio da solo con Harry, al sicuro nelle mura della propria casa, ma ora che quel momento era giunto davvero, l'unica cosa a cui riusciva a sperare, era di non vomitargli sulle scarpe.
Quando lo vide spuntare dal portone d'ingresso, sorrise in un riflesso involontario. Il sorriso di Harry era contagioso, e Louis non poteva che esserne affascinato ed attirato come un naufrago verso il canto delle sirene.
Si fermò sui suoi passi, esattamente come fece Harry, bloccato da un paio di amici.
"Styles, andiamo da me? Ci facciamo una partita a GTA," gli disse Brody, un altro atleta della squadra di nuoto. Accanto a lui, Scott teneva il braccio sulle spalle di Christie.
Harry scosse la testa.
"Non posso, ragazzi. Ho da fare per il progetto di scienze."
Scott sollevò le sopracciglia.
"Amico, stai scherzando? Dobbiamo consegnarlo per le vacanze di Natale, che cazzo fai già oggi?"
Christie, al suo fianco, annuì, scostandosi una ciocca di capelli biondi dal viso immacolato.
Louis vide Harry alzare le spalle e poi mettersi le mani nelle tasche degli strettissimi jeans neri.
"Voglio portarmi avanti. L'ho promesso a Lou-"
I compagni si unirono in una risata improvvisa.
"Merda, Styles. Sta' attento. Domani non tornarmi cambiato, la sfiga è una malattia," esclamò Brody fra le risate, spintonandolo appena.
"Ah, e occhio a non dargli le spalle," aggiunse, suscitando un'altra, più fragorosa risata.
Louis avvertì una fitta al torace.
Chi troppo vuole, nulla stringe, gli avrebbe probabilmente detto sua nonna. Non poteva certo aver perso la testa per un ragazzo bellissimo e pure gentile.
Quando Harry si voltò, i suoi amici già lontani, incrociò lo sguardo celeste di Louis. Il sorriso scomparve dalle sue labbra piene e si grattò la nuca, visibilmente imbarazzato.
"Lou, m-mi dispiace," tentò, spostando il peso da un piede all'altro, "ignorali. Stavano solo scherzando."
Louis non alzò nemmeno la testa, si strinse nelle spalle ed evitò persino di annuire a quelle sterili scuse.
"Ehm," Harry si schiarì la voce, rosso in volto, "io sono a piedi. Dobbiamo prendere l'autobus?"
Louis lo guardò per una frazione di secondo per poi tornare a puntare gli occhi acquosi al cemento.
Camminava ogni giorno fino a scuola da quattro anni. Pareva che Harry non si fosse mai accorto neppure di quello.
Aveva preso la patente l'anno precedente, ma non solo né Louis né sua madre potevano permettersi una seconda auto, tanto meno sarebbe stata utile per coprire il breve tragitto casa-scuola. Distavano a malapena quindici minuti a piedi, e a Louis passeggiare era sempre piaciuto.
Ricordava con gioia le lunghe camminate sulle rive del Wilson Pond, o attorno alle foreste che lo circondavano. Stare all'aria aperta, respirare la brezza che proveniva dalle montagne e sentirla pungere sulla pelle, l'aveva sempre fatto star bene. In pace con se stesso. Tutto d'un tratto, quell'hobby che aveva abbandonato, gli mancò immensamente.
Scosse la testa e cominciò a camminare, non prima di essersi sincerato che Harry lo stesse seguendo.
"Giornata pesante, eh? Il test di storia è stata una mazzata, no?"
Harry tentava chiaramente di intrattenere una conversazione senza comprendere quanto Louis ne avesse perso la voglia.
Se avessi studiato, sarebbe stata una cazzata. Si morse la lingua e non rispose, limitandosi a fare ancora spallucce.
"Non vedo l'ora che arrivi il weekend," provò nuovamente Harry, tornando a sorridere. "Vado a Portland. Con Scott. Ci credi che vivo qui da due anni e non sono mai stato a Portland?" Ridacchiò sommessamente per qualcosa che soltanto lui trovava divertente.
Louis non disse una parola.

Alla fine ce l'aveva fatta davvero ad ottenere la casa libera. Prima di andare a scuola quella mattina, aveva lasciato un biglietto per la madre, pregandola di andare a trovare la nonna, gli zii, chiunque, purché lo lasciasse solo con Harry.
In quel momento, gli parve l'idea più stupida che avesse mai avuto.
"Quindi i tuoi non ci sono?" Chiese Harry guardandosi attorno nell'ampio salotto. Quando posò lo zaino a terra, Louis non poté fare a meno di notare l'elastico dei boxer che gli fuoriusciva dai jeans. Deglutì e spostò immediatamente lo sguardo, sentendo una vampata di caldo.
Harry ed i suoi amici potevano anche essere degli stronzi, ma il riccio rimaneva pur sempre il ragazzo più sexy che Louis avesse mai avuto la fortuna di incontrare.
"Mia mamma è uscita. Non so quando torna," rispose facendo il vago, stringendosi nelle spalle. Non riusciva davvero a capacitarsi del fatto che Harry Styles fosse a casa sua. Con estremo autocontrollo, bloccò sul nascere l'ennesimo conato di vomito.
"E tuo padre?"
Louis raggiunse la cucina ed aprì il frigorifero. Rispose senza degnarlo di uno sguardo.
"Non c'è," tagliò corto. Sperò che Harry avesse compreso l'antifona.
"V-vuoi qualcosa da bere? O da mangiare?" Offrì poco dopo, la testa ancora infilata nel refrigeratore.
"Quello che prendi tu."
Prese due bicchieri e li riempì di succo d'arancia, facendo cenno ad Harry di prendere posto al tavolo.
Bevvero in quel pesante silenzio che aveva caratterizzato gli ultimi minuti.
"Lou, senti," iniziò il riccio, spostandosi la frangia dalla fronte, le guance più rosee del solito, "per prima, mi dispiace davvero-"
"Allora, ce l'hai già qualche idea per il progetto?" Lo interruppe Louis, alzandosi bruscamente dalla sedia. Non ne voleva parlare. Mai più. Gli piaceva credere e far credere di essere ormai immune agli insulti e allo scherno, ma in cuor suo sapeva bene quanto fosse distante dalla verità.
Harry si morse il labbro ed abbassò lo sguardo, rassegnato, o almeno così parve a Louis. Sembrava rammaricato, ma non volle prestarci altra attenzione.
"Ho alcuni vecchi libri di scienze in camera, magari possiamo prendere spunto da quelli."
Harry annuì mestamente e lo seguì al piano superiore, le mani di nuovo in tasca.
Okay. Harry Styles era nella sua stanza. Non era un sogno, non era fantasia. Non era nemmeno una delle tante storie che si divertiva a scrivere. Era vero, maledizione. E adesso Louis pregava silenziosamente che un terremoto o una qualunque catastrofe naturale colpisse Wilton in quel preciso istante. Magari un meteorite. Sarebbe stato per lo meno interessante.
"Lou?"
La voce di Harry lo distrasse dalle sue adorate passeggiate sulle nuvole.
Si voltò e lo vide scrutare attentamente alcune foto che decoravano la parete, accanto alla mensola dove conservava le vecchie medaglie che si era guadagnato anni prima.
"Non giochi più?"
Harry stava guardando gli scatti che sua madre gli aveva fatto sul campo da calcio, quando alle medie aveva trascinato la squadra della scuola alla vittoria del campionato.
Scosse la testa. "No," disse solamente, tentando di non far trapelare quella vena di nostalgia che gli stringeva la gola.
Harry lo guardò e gli sorrise.
Louis avvampò e spostò gli occhi dall'altro lato della stanza. Stupide fossette.
"È un peccato. Dicono tutti che fossi bravissimo."
Louis fece una smorfia, attento al fatto che Harry non la notasse. Gli era davvero difficile credere che qualcuno potesse fargli dei complimenti.
Di fronte alla libreria, cominciò a cercare i libri di scienze degli anni scorsi.
"È acqua passata. E poi a scuola non abbiamo nemmeno una squadra," mormorò, gli occhi che pizzicavano mentre tentava di sopprimere i ricordi.
Udì Harry attraversare la stanza e sedersi sul letto come fosse a casa sua. Con la coda dell'occhio, lo vide guardare fuori dalla finestra, lo sguardo verdissimo puntato verso l'orizzonte dove le montagne si stagliavano alte contro il cielo. La luce bianca lo colpiva di lato, illuminandone il profilo, mentre granelli di polvere dorati gli danzavano attorno come tante piccole fate. L'immaginazione di Louis era vasta e complessa, ma non avrebbe mai potuto eguagliare la bellezza della realtà.
Prese tre vecchi tomi e li posò sulla scrivania, cominciando a sfogliarne uno distrattamente.
"L'unica cosa che pensavo, è che dovremmo almeno lasciar perdere cose tipo vulcani o patate elettriche," suggerì. Non era un genio in scienze, malgrado gli ottimi voti, ma ci teneva davvero a realizzare un progetto degno di quel nome.
Harry ridacchiò. "Hai distrutto le sole idee che ho avuto," disse.
Per la prima volta quel pomeriggio, anche Louis gli offrì l'ombra di un sorriso.

I libri di scienze giacevano senza essere mai stato presi in considerazione sulla scrivania di Louis.
Harry, attratto come una falena alla luce di un lampione, aveva scovato l'X-box One, e gli era bastato sbattere le lunghe ciglia scure una sola volta perché il ragazzo con gli occhiali cedesse alla richiesta di abbandonare il progetto e dedicarsi ad una più produttiva partita a Call of Duty.
Non fu poi tanto male. Non dovettero parlare molto, e Louis quasi si dimenticò dell'ansioso brontolio allo stomaco che minacciava di fargli rimettere il pranzo. Si dimenticò persino che il ragazzo seduto al suo fianco sul divano in soggiorno fosse il celeberrimo, popolare e bellissimo Harry Styles, e che Louis fosse soltanto Louis, lo sfigato gay della Mt. Blue High.
"Se vuoi provo a sentire mia madre. Appena arriva ti riaccompagno a casa," gli offrì, sulla soglia della porta mentre Harry raccoglieva lo zaino e si infilava la felpa che la foga del videogame l'avevano costretto a togliersi.
Harry scosse la testa e sorrise di nuovo.
"Tranquillo, ho sentito Scott, sta arrivando lui," rispose, facendogli l'occhiolino.
La bocca di Louis si fece più arsa.
"Ehm, okay," borbottò, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Harry si sporse in avanti e gli si avvicinò, tanto che Louis dovette trattenere il respiro.
"Non porti mai le lenti a contatto?" Chiese. Era così vicino che Louis poteva specchiarsi nelle sue iridi di smeraldo. Non volle nemmeno pensare a quanto rosso dovesse essere il suo viso.
Si allontanò di qualche passo, tornando ad incamerare aria.
"L-le mettevo quando giocavo a calcio," bisbigliò, la vicinanza di Harry che gli aveva strozzato anche la voce.
"Beh, dovresti. Hai dei bellissimi occhi," disse con un'alzata di spalle.
Stupido Styles. Come faceva a dire una cosa simile come fosse la più normale del mondo? Il cuore di Louis fece un salto su fino alla gola per poi cadergli sotto i piedi. Quel ragazzo sarebbe certamente stato la causa della sua morte prematura.
Un clacson sulla strada lo fece sobbalzare. Harry si mise lo zaino in spalla ed aprì la porta.
"Grazie di tutto, Lou. E scusami. Non abbiamo concluso niente," sorrise con espressione colpevole.
Con un cenno della mano, Louis gli disse di non preoccuparsi.
Fatto qualche passo sul vialetto, mentre Louis lo osservava dallo spiraglio della porta socchiusa, Harry si fermò nuovamente.
"Ah, questo weekend vado a Portland, ma settimana prossima ci vediamo ancora, okay?"
Louis annuì, e una volta richiuso l'uscio, libero' quel sospiro che aveva trattenuto troppo a lungo.
Corse in bagno. Se per vomitare o per fare altro, ancora non lo sapeva.

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