Louis
Pare proprio che nel toto-storie abbia vinto questa. Bene!
In attesa di una copertina che possa definirsi tale, eccovi il primo capitolo :)
Come sempre vi ringrazio (alcuni commenti che mi avete lasciato su DD mi hanno fatto commuovere, sul serio) e vi mando un abbraccio!
All the love.
Louis Tomlinson è uno sfigato.
Era soltanto una delle frasi di scherno che annerivano la parete del bagno al piano terra, e per giunta, una delle più innocue.
Col tempo aveva imparato ad ignorarle, o forse aveva semplicemente allenato lo sguardo a non cadere, neppure per sbaglio, su quei crudeli graffiti.
Certo se lo ricordava bene quel giorno di tre anni prima, quando li aveva visti per la prima volta; quando, tornato a casa in lacrime, aveva raccontato tutto a sua madre e lei l'aveva trascinato nell'ufficio del preside, pretendendo che venissero presi provvedimenti contro i vandali che avevano offeso suo figlio. Se n'erano andati con un pugno di mosche, le sterili scuse del preside Fischer e la giustificazione che la scuola non aveva abbastanza soldi per permettersi di ritinteggiare i muri del bagno. Avevano finito per divorarsi un'intera vaschetta di gelato piangendo come due ragazzine di fronte all'ennesima replica di Ghost.
Si asciugò le mani sulla parte anteriore dei jeans e sollevò gli occhi turchesi, in parte nascosti dalle spesse lenti degli occhiali che era costretto ad indossare da quando era bambino. Sorrise, Louis. Mamma diceva sempre che la vita andava affrontata con un sorriso, e anche se spesso sembrava difficile, il più delle volte funzionava.
La campanella della prima ora avrebbe squillato di lì a pochi minuti, così uscì dal bagno e raggiunse il proprio armadietto. Ringraziò ancora una volta la Dea Bendata per avergli assegnato proprio quell'armadietto dopo che, al primo anno, per quello che doveva essere soltanto uno scherzo innocente, qualcuno aveva dato fuoco a quello assegnatogli all'inizio del liceo.
Inspirò profondamente e si voltò verso l'ingresso.
Eccolo lì, in tutta la sua gloria, la perfezione fatta persona, l'essere umano più bello che avesse mai calcato il suolo terrestre.
La mente di Louis tendeva chiaramente all'esagerazione, ma se anche voi aveste avuto la fortuna; macché, l'onore, di poter ammirare la bellezza angelica di Harry Styles, non l'avreste giudicato in maniera tanto severa per avere pensieri simili.
Alto, altissimo, gambe chilometriche e fasciate da jeans che parevano una seconda pelle; capelli ricci, morbidi e setosi come zucchero filato; occhi di giada, verdi come il risveglio della natura, intensi come un temporale d'estate; pelle chiara, di porcellana, e guance rosee, bucate da due profonde fossette che decoravano il paio di labbra più rosse che Louis avesse mai visto. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva fantasticato su quella bocca, ed avrebbe scommesso tutto l'oro del mondo che nemmeno il frutto più zuccherino e succoso della terra, potesse pareggiare la dolcezza delle labbra di Harry Styles.
Delle volte che aveva lasciato galoppare la fantasia sui suoi paesi bassi, il conto non ci aveva mai provato a tenerlo.
Gli passò accanto, lasciandosi dietro una scia di polvere di fata.
Louis fece una smorfia. Quella mattina la sua verve artistica si era svegliata di buon umore.
Raccolse in fretta un paio di libri e chiuse l'armadietto, mentre la campanella segnalava l'inizio delle lezioni.
Così perso nei propri pensieri, e nel bisogno di sfogare su un pezzo di carta tutta l'ispirazione che l'aveva colto, non fece nemmeno caso al piede di un compagno che, di proposito, gli faceva lo sgambetto.
Si spiaccicò a terra, riuscendo a fermare la caduta ad un centimetro dal pavimento, appena in tempo affinché non ci lasciasse anche i denti, lì in mezzo al corridoio del piano terra.
Lo vide distintamente, inginocchiarsi di fronte a lui tra l'eco delle risate, porgergli una mano per poi sollevarlo e prenderlo fra le braccia come se pesasse meno di una piuma. Farsi largo fra la folla ora ammutolita e trasportarlo fino all'ingresso come fosse la sua sposa, e prima di sparire all'esterno dell'edificio, baciarlo con passione sotto lo sguardo attonito degli altri studenti, mentre Louis, rosso in volto e felice come mai nella sua giovane vita, si aggrappava con più forza ai suoi ricci colore del cioccolato fuso.
La forza delle risa lo costrinse ad aprire gli occhi, e con un'altra smorfia, alzarsi da terra barcollando, da solo, senza la mano di Harry né di nessun'altro ad aiutarlo.
Tutta quella fantasia l'avrebbe ucciso un giorno o l'altro.
Le parole di sua madre riecheggiarono nella sua mente. Sorridi alla vita. Ma vaffanculo.
Nel pomeriggio Louis ritornò ad una casa vuota. Sua madre ne avrebbe fatto volentieri a meno se avesse potuto, ma vivere da sola con un figlio adolescente da mantenere, la costringeva spesso ai doppi turni in ospedale.
Erano molto legati, Louis e sua madre. Non si sarebbe vergognato di dire che la donna era la sua migliore amica, se qualcuno si fosse preso la briga di chiederglielo. Ammettere invece che fosse l'unica, quello era un tasto più dolente.
Si chiuse in camera addentando una merendina, ed accese il pc.
La scuola era cominciata da una decina di giorni, e con i primi compiti ed i primi test, aveva abbandonato il suo hobby preferito degli ultimi mesi.
Inventava e scriveva storie da che aveva memoria; spesso le leggeva a sua madre, e malgrado la donna si dimostrasse sempre entusiasta del talento del figlio, Louis sapeva bene come il suo giudizio non potesse essere davvero obiettivo. Così, all'inizio di quell'estate, si era iscritto ad un sito dove poter pubblicare gratuitamente le sue creazioni, ed era rimasto felicemente sorpreso delle visualizzazioni e dei commenti positivi che aveva ricevuto in così poco tempo.
L'attacco di ispirazione che l'aveva colto quel giorno non doveva e non poteva andare sprecato, tanto che si mise a digitare in fretta sulla tastiera, le parole che scorrevano come un fiume in piena dalla sua testa alla sue dita, mentre masticava rumorosamente la sua brioche alla marmellata.
Era dotato di grandi immaginazione, Louis, e sapeva creare le storie più disparate. Se qualcuno però si fosse messo a leggerle tutte quante, non avrebbe potuto non notare lo stesso, ripetitivo e quasi morboso particolare. Negli ultimi due anni, il protagonista era sempre lo stesso. Non importava che
fosse un agente della CIA, un medico, un soldato od un astronauta; l'eroe delle fantasie di Louis aveva lunghi ricci color mogano, occhi di smeraldo e due adorabili fossette sulle guance.
In quest'ultima storia, Edward, così si chiamava, era un cavaliere. Figlio di una nobile famiglia inglese, a Louis bastava chiudere gli occhi per immaginarlo a cavallo di un nero destriero, i capelli al vento e la spada in mano, grondante del sangue dei suoi nemici.
"Boo?"
Così immerso nel processo creativo, non si era nemmeno accorto del tempo che passava, completamente intento a dar voce alle gesta eroiche del suo Sir Edward.
Alzò la testa dal computer sbattendo le palpebre, gli occhi gonfi e arrossati dalla stanchezza e dalla luce bianca dello schermo, notando solo in quel momento il sole che tramontava sulla linea dell'orizzonte fuori dalla finestra delle sua stanza.
"Tesoro?"
Il volto sorridente e stanco di sua madre fece capolino nella camera da letto.
Louis si voltò roteando sulla sedia girevole e le sorrise a sua volta.
"Nuova storia?" Chiese la donna, avvicinandoglisi e scostandogli dolcemente la frangetta dalla fronte.
Louis annuì e chiuse il pc con uno schiocco, stiracchiando le braccia verso l'alto.
"Non trascurare i compiti però," lo redarguì, puntandogli un dito contro.
Era sua madre, e doveva dirlo, ma non era qualcosa di cui si fosse mai dovuta davvero preoccupare. Louis era sempre stato uno studente brillante, ottimi voti in ogni materia e una deduzione costante all'istruzione.
"Sì, ma'," rispose quello alzando gli occhi al soffitto.
La donna fece finta di non vederlo e lanciò un'occhiata all'orologio che portava al polso.
"Boo, alcune colleghe mi hanno invitato ad uscire per cena, ma se non vuoi, sto qui con te e ci guardiamo un film."
Louis sorrise e scosse la testa.
"Vai, mamma, divertiti. Io mi ordino una pizza."
La donna gli regalò un sorrisetto amaro e vagamente turbato.
"Sicuro? Non è importante, posso riman-"
"Mamma! Vai!" Ridacchiò il figlio spingendola fuori dalla propria stanza.
Rise anche lei, ringraziando chiunque ci fosse Lassù per averle dato un figlio come Louis.
"Ti lascio i soldi per la pizza in cucina, okay?"
Louis annuì distrattamente e richiuse la porta dietro di sé, sospirando. Tutto ciò che voleva era tornare ad immergersi nel mondo lontano e fantastico della sua immaginazione, dove tutto andava sempre secondo i suoi piani e avrebbe vissuto per sempre felice e contento con il suo bellissimo cavaliere.
"Boo Bear?"
Il viso di sua madre comparve ancora una volta sulla soglia, una luce furba negli occhi celesti.
Louis la guardò incuriosito.
"Come è andata oggi con Harry?"
Il ragazzo sentì le guance scottare all'improvviso.
Fece spallucce ed una mezza smorfia.
"Come al solito. Non sa che esisto."
La donna tornò ad avvicinarglisi e gli lasciò un tenero bacio sulla testa.
"Non sa cosa si perde."
Louis teneva il vassoio fra le mani, fermo in fila con espressione annoiata.
Erano quattro anni che frequentava quella scuola, ed erano quattro maledetti anni che il cibo della mensa ricordava tristemente le orride razioni in un campo di addestramento militare.
"Ehi frocio, ti muovi o no?"
Una spallata lo scosse e lo ridestò dalle proprie considerazioni. Non si prese nemmeno la briga di guardare chi l'avesse spintonato o chi gli avesse rivolto quelle parole offensive, ma roteò semplicemente gli occhi. Pagò il suo pranzo e cercò un tavolo libero, ben attento ad evitare quello occupato dagli atleti della squadra di nuoto e dalle cheerleader.
Lanciando un'occhiata rapida alla sala gremita, vide una mano che sventolava in alto, richiamando la sua attenzione.
Con uno sbuffo, procedette a raggiungere gli unici studenti che in quella scuola lo degnavano di uno sguardo senza storcere il naso. Manco a dirlo, il gruppo dei derelitti, come gli piaceva definirlo. Tutti membri del club di scienze, due di loro facevano anche parte del club dei fumetti. Acne adolescenziale, occhiali spessi come fondi di bottiglia e maniglie dell'amore facevano solo da contorno a quell'accozzaglia di emarginati.
A Louis non interessava davvero dell'aspetto di quei ragazzi. Erano brave persone, gentili e disponibili. Ma erano noiose. Fino allo sfinimento. Non facevano che parlare di scuola, supereroi e di quanto patetica e triste fosse la loro vita da esclusi.
Anche quel giorno tentarono di coinvolgerlo in discussioni ed argomenti dei quali Louis avrebbe fatto volentieri a meno. Se avessero parlato di quanto Harry Styles stesse bene con quella camicia e quella bandana legata fra i ricci, allora sì che ne avrebbe avuto da dire.
Puntuale come un orologio svizzero, la sua risata cristallina eruppe nello stanzone e riecheggiò fra le pareti come un coro di angeli. Almeno alle orecchie di Louis.
Harry fece il suo trionfale ingresso seguito a ruota dall'inseparabile amico e capitano della squadra di nuoto, Scott Barrett, e da quella che, nonostante fosse ormai la sua ex fidanzata da mesi, continuava a ronzargli attorno come un ape al miele, Christie Nichols. Capo delle cheerleader. Ovviamente.
Dopo due anni di cotta epocale, il cuore di Louis pulsava ancora come il motore di un jet alla sola vista di tanta perfezione. Il viso scottava e la testa prendeva a sudare manco stesse correndo la maratona.
Da quando quella magnifica creatura riccia che portava il nome di Harry Styles si era trasferito nel piccolo paese di Wilton, Maine, il microcosmo di Louis non era più stato lo stesso. Era la sua ossessione. Occupava ogni suo pensiero razionale ed ogni suo volo pindarico incosciente. Sapeva che avrebbe dato qualunque cosa purché Harry si accorgesse della sua presenza. Si sarebbe tuffato nudo nel Wilson Pond a dicembre per un suo sorriso. Trascorreva ore intere ad immaginare come sarebbe stato parlare con lui, ad ascoltarlo con occhi sognanti mentre scandiva ogni parola con quella sua sensualità innata e quella voce profonda e lenta, che sapeva avvolgerti ed accarezzarti come una morbida coperta in una notte d'inverno.
Estrasse il taccuino degli appunti e si segnò quella metafora. Chissà mai che potesse venirgli utile per le sue storie.
Terminato il pranzo, si sistemò in fondo al l'aula di scienze, crollando stancamente sulla sedia, aspettando soltanto l'ingresso di Harry per poterlo ammirare di sottecchi senza sembrare un maniaco. Aveva scoperto dopo vari tentativi che il posto accanto alla finestra, nell'angolo sinistro della stanza, era il luogo migliore per guardarlo e fantasticare su di lui senza che anima viva se ne accorgesse. Inoltre sedersi nell'ultima fila contro la parete era un'ottima difesa contro quelle schifose palline di carta zuppe di saliva che gli venivano lanciate addosso costantemente.
L'ora di scienze era quella che Louis che preferiva. Non certo perché la materia gli piacesse particolarmente, ma perché Harry si liberava finalmente della costante e fastidiosa presenza dei suoi amici, che di solito lo seguivano come un'ombra manco fossero le sue guardie del corpo.
Per Louis non faceva davvero differenza. L'adone riccio, da solo o in compagnia, continuava a non avere la minima idea che Louis esistesse. Ma ehi, almeno sognare gli era permesso.
Harry sedette un paio di file davanti al ragazzo occhialuto, che ora aveva la possibilità di ammirare quella schiena da nuotatore ed immaginare a guance arrossate quanto morbida e calda dovesse essere la sua pelle d'alabastro.
L'insegnante fece il suo rumoroso ingresso nell'aula, picchiettando i tacchi sul pavimento e sbattendo il palmo piatto sulla scrivania per attirare l'attenzione degli studenti.
"Come già sapete, anche quest'anno la nostra scuola parteciperà alla fiera di scienze della Contea," esordì con un sorriso scaltro, quasi canzonatorio.
Una serie di grugniti e lamenti si levarono sulla stanza, costringendo la professoressa a richiamare il silenzio ancora una volta.
"Che vi piaccia o no, ognuno di voi presenterà un progetto che verrà valutato prima della fiera. Lavorerete in coppia ed avrete tempo fino alle vacanze natalizie per ultimare il lavoro. Quindi cercate di portare qualcosa di vagamente interessante," disse aggrottando la fronte. Girò attorno alla scrivania e prese posto aprendo il registro.
"Formeremo le coppie secondo l'ordine alfabetico. Allen e Bishop, Buchanan e Chang..."
Louis trattenne il respiro mentre cercava di calcolare la formazione delle coppie, l'eco del suo cuore nelle orecchie che sovrastava ogni altro suono.
"Styles e Tomlinson, Townsend e Vargas..."
Clinicamente morto. Se in quel momento ci fosse stato un medico, l'encefalogramma di Louis sarebbe stato piatto e lui dichiarato deceduto.
La stanza parve iniziare a ruotargli attorno mentre un unico, splendente fascio di luce bianca illuminava il sorriso di Harry, voltatosi verso il fondo dell'aula. E quel sorriso era per Louis, quelle fossette erano per Louis, quel corpo slanciato che ora si muoveva nella sua direzione, era per Louis.
"Ciao! Tu sei Lewis, vero?"
Il ragazzo con gli occhiali deglutì, incamerando quanta più aria poté.
"Si pronuncia Lou-eh, senza la esse."
Se avesse potuto farlo senza sembrare un completo psicopatico, si sarebbe preso a schiaffi da solo. La prima, la prima maledizione! La prima volta che Harry Styles gli aveva rivolto la parola, lui aveva pensato bene di correggerlo.
Allo stesso tempo, se non fosse stato tanto impegnato a cercare di rimanere vivo, avrebbe anche potuto sentirsi offeso. Da due interi anni frequentavano la stessa scuola e condividevano la maggior parte dei corsi di studi, ed Harry ancora non aveva idea di come si pronunciasse il suo nome. Ma infondo chissenefrega. Harry Styles gli stava parlando. E valeva più di qualunque altra cosa.
"Benissimo, Loueh senza la esse. Se ti chiamo solo Lou ti offendi?" Harry gli rivolse un altro sorriso da svenimento istantaneo.
Louis scosse la testa e deglutì ancora una volta. Per precauzione. Altrimenti gli avrebbe vomitato addosso.
"Pare che saremo compagni di progetto, Lou," disse Harry prendendo posto al suo fianco. Stiracchiò le lunghissime gambe sotto il tavolo e sorrise di nuovo.
Se non avesse smesso subito, Louis si sarebbe lanciato dalla finestra.
Non volle nemmeno provare ad immaginare la faccia da triglia che doveva avere in quel momento. Meglio godersi l'istante prima che finisse tutto in fumo e cenere.
"Ti lascio il mio numero, che dici? Così mi scrivi quando sei libero." Si sistemò la bandana in testa e gli fece l'occhiolino.
Louis avvertì un'ondata di calore risalirgli dalle dita dei piedi fin sopra i capelli, e quella voglia di buttarsi di sotto farsi più forte.
Annuì senza guardarlo, gli occhi bassi puntati sul banco.
"Anche se non sono più in squadra, ho gli allenamenti due giorni alla settimana. Per il resto sono libero, quindi devi dirmi tu quando preferisci," bisbigliò ancora Harry.
La combinazione di quel sussurro e della sua voce roca fecero venire i capogiri al povero Louis.
Aveva aspettato quel momento per anni, eppure ora una patata bollita avrebbe dimostrato più entusiasmo. Gli sembrava che ogni muscolo del suo piccolo corpo non ne volesse sapere di rispondere al suo controllo.
"Silenzio là dietro!" Intimò l'insegnante.
Harry sbuffò ed appoggiò i gomiti al tavolo, socchiudendo le palpebre.
Louis non lo guardò un'altra volta per tutto il resto della lezione. Aveva deciso di non voler morire così giovane.
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