Harry
Ah, la doverosa premessa. Sto già sudando. Dunque, non vi chiederò perdono per l'assenza infinita (non aggiorno da marzo. MARZO. Che schifo), né mi inventerò mille scuse per questo lungo abbandono. Non vi dirò che il blocco dello scrittore è una mega cacca, non vi tedierò con il mio lavoro che mi ruba pure l'anima; non vi dirò che Louis è sempre più carino piccino piccio' e la deve smettere, o che il soldato Styles la deve smettere alla grande anche lui perché no, non ce la si può fare, Harry che cazzo fai, ma non ce l'hai un cuore?! Ecco. Non vi dirò tutto questo, ma mi limiterò a ringraziarvi. Se mi ricordassi i vostri nomi uno per uno potrei scrivervi un'elegia personale, ma ho un cervello grande come una noce quindi nada. Perciò dico grazie a tutti, grazie per i messaggi che mi avete mandato, ho pure pianto (ah, gli ormoni), per i commenti dolcissimi e perché nonostante tutto, siete ancora qui. Ad aspettare.
A tutti, tutti tuttissimi, ma lasciatemi fare una dedica speciale all'immancabile Galwaygirl269 , che mi sprona sempre e mi manda troppe, ma troppe, foto di Harry e anche se dico che la odio, in realtà la amo; a @franciigreen e a @Spyinglarry che mi hanno fatto emozionare con i loro messaggi.
Vi voglio bene,
Marta
Con piedi sul bagnasciuga, inumiditi dall'acqua ancora tiepida, ed il volto illuminato dal fuoco rosso del tramonto, gli occhi di Harry, stretti in due fessure, osservavano l'infinita distesa dell'oceano, mentre una brezza umida gli scompigliava i capelli.
Era una sensazione che non aveva dimenticato; una di quelle che ti rimangono dentro e si attaccano sotto la pelle. Quel sentirsi piccolo, insignificante, ma incredibilmente libero.
Per anni l'aveva inseguita, senza mai afferrarla di nuovo. Aveva creduto che il nuoto gliela potesse regalarle ancora una volta. Eccellere e spiccare il volo. Poi quella speranza gliel'avevano strappata, Dio, o il destino, o qualunque altra cosa, ed Harry aveva capito che niente gliel'avrebbe ridata. Che ogni sua decisione, anziché riportarlo indietro, lo trasportava più lontano dal punto di partenza. Più lontano da ciò che avrebbe voluto essere.
Jamie, poi Christie e Scott, i suoi genitori, la scuola...lì era iniziato il suo esilio.
Il rumore della risacca, il lento ed eterno infrangersi delle onde lo cullavano, così placido eppure così dirompente, tanto forte da sovrastare ogni altro suono.
Il mare sapeva. Il mare ricordava. Si portava via ogni sua memoria e la custodiva gelosamente, lasciandolo a fluttuare in compagnia del lento ed immortale sciabordio dell'oceano. Si portava via le urla ed i pianti di Evelyne, la voce graffiata e robotica di Darryl dall'altro capo del telefono, dall'altra parte del mondo, sempre distaccato eppure mai così distante. Si portava via i visi contriti dei suoi familiari, quell'espressioni amare che tentavano invano di nascondere la disfatta di una vita, piuttosto che arrendersi di fronte all'inafferrabile chimera di una promessa d'amore ormai estinto da tempo.
Si prendeva tutto, ma sulla cresta dell'acqua infuocata, dove l'ultima goccia di sole pareva sciogliersi e fondersi con l'oceano, una voce si alzava più acuta del rumore incessante del mare. La stessa che l'aveva accompagnato durante il viaggio, la stessa che aveva popolato i suoi sogni e che nemmeno la saggezza delle onde pareva riuscire a placare. Quella voce, e quello sguardo, blu, profondo ed infinito come il mare dai quali Harry non riusciva a fuggire. Dai quali forse non voleva fuggire. I quali, forse, potevano essere il suo nuovo punto di partenza. O di ritorno.
Si alzò a fatica, le gambe intorpidite e le ginocchia scricchiolanti dopo essere state tanto a lungo piegate.
Si strofinò i pantaloncini dalla sabbia, e coprendosi gli occhi con il dorso della mano, regalò un ultimo sguardo alla spiaggia. I gabbiani affollavano il cielo ed il bagnasciuga, tra mille schiamazzi e piume bianchissime.
Harry sorrise, le fossette sulle guance ed il vento umido fra i ricci.
***
Ogni squillo senza risposta gli mozzava il respiro.
Sdraiato a letto, il telefono incollato all'orecchio nell'oscurità della stanza, Harry ascoltava il battito del proprio cuore aumentare mentre tentava di deglutire la sensazione di aver perso l'ennesima occasione.
Quando una voce sottile preceduta da un rantolo assonnato risuonò dall'altro capo del cellulare, il mondo parve fermarsi, e le labbra di Harry distendersi nel più beato dei sorrisi.
"Haz?" Borbottò la vocina, quasi confusa.
"Ciao," rispose, morbido e dolce come il miele.
Non gli servì nemmeno chiudere gli occhi per immaginarlo, avvolto in un pigiama adorabile e l'espressione corrucciata di chi è appena stato strappato dalle serene braccia del sonno.
"Scusa," mormorò in uno sbadiglio, "mi ero addormentato".
Harry ridacchiò, felice. Così felice.
"Mangiato troppo?" Chiese, prendendosi ancora del tempo. Si mise comodo, perdendosi nella melodia meravigliosa che era la voce di Louis.
"Hai conosciuto mia nonna," gli disse, un vago tono di rimprovero che sapeva però soltanto di affetto.
Harry si ritrovò a sorridere ancora, ripensando ai momenti trascorsi nella grande, caldissima casa di nonna Margaret, circondato dal fuoco e dall'amore.
Annuì, sebbene Louis non potesse vederlo, ed ascoltò il proprio respiro farsi più pesante.
"Buon Natale, Lou," sussurrò, d'un tratto in imbarazzo, improvvisamente consapevole del tempo passato a rimuginare, atterrito dalla paura.
"Buon Natale, Harry," ripeté il ragazzo lontano migliaia di chilometri, ma che malgrado il resto, gli era sempre vicino.
"Lou, ascolta-"
"No, Harry, non devi," lo interruppe, la voce adesso più squillante ed agitata.
"Sì che devo," e lo disse forse più che altro a se stesso. Doveva, e glielo doveva.
Prese un respiro profondo, mentre dall'altro capo della linea il silenzio si faceva opprimente ed ansioso, ed Harry seppe di volerlo riempire con tutte quelle parole mai dette.
"Lou, mi dispiace," bisbigliò, ponderando di cominciare dall'ovvio, dal più facile, sebbene la voce iniziasse già ad incrinarglisi.
"Harry, non devi scusarti-"
"Lou, ti prego," lo implorò. Non era mai stato in grado di esprimere a pieno la profondità delle proprie emozioni, ma se ci fosse stato qualcuno che meritava i suo sforzi, quel qualcuno sarebbe di certo stato Louis. Louis, lo stesso che il cuore glielo aveva aperto nella maniera più sincera e genuina possibile, quello a cui erano bastate due parole, e due occhi intensi come il mare, per dire tutto. E far sì, ancora una volta, che Harry tornasse a scappare con testarda risolutezza.
Louis gli aveva detto "ti amo", ed Harry era fuggito a gambe levate. L'aveva lasciato con un regalo fra le mani e le lacrime sulle guance, correndo a perdi fiato e salendo sul primo aereo per la Florida senza voltarsi indietro. Pensarci adesso, a più di quarantotto ore di distanza, gli provocò una scarica di brividi gelidi lungo la schiena. Se Louis avesse lasciato squillare quel telefono a vuoto, se Louis non avesse più voluto rivolgergli la parola, Harry l'avrebbe compreso.
Invece Louis era ancora lì, ed attendeva, e se mai ce ne fosse stato bisogno, Harry seppe che avrebbe fatto qualunque cosa perché quegli occhi, splendidi ed infiniti come l'oceano, lo riguardassero con lo stesso amore.
"Lou, non voglio dirtelo per telefono, voglio dirtelo di persona," mormorò, annegando fra i ti amo nella sua testa e lasciandosi trascinare dalle vertigini alla bocca dello stomaco.
"Non- non devi...Harry, non dirmelo perché te l'ho detto io..." I bisbigli di Louis, prossimo ad altre lacrime, malgrado il riccio non potesse vederlo, gli giunsero alle orecchie come l'ennesima onda in piena.
"Lou, te lo dico perché è vero," si affrettò a correggerlo, "e perché avrei dovuto dirtelo tempo fa, ma sono un idiota."
Un singhiozzo ed una debole risatina gli parvero di buon auspicio per continuare.
"Non mi scuserò mai abbastanza per averti lasciato così," disse, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte sudata.
E di tutte le cose che il suo amore avrebbe potuto dirgli, che avrebbe potuto rinfacciargli, scelse la più strana, la più spacca cuore, la più dolcemente Louis di tutte.
"Mi manchi, Haz."
"Dio, Lou," sospirò, mentre l'addome gli si contorceva ed una solitaria gocciolina di sudore gli scendeva lenta e stanca lungo la tempia, "mi manchi anche tu, da morire." Poco importava fossero lontani da appena due giorni. Era vero, ed Harry non avrebbe più lasciato che parlasse il silenzio.
Un respiro più pesante, quasi strozzato nel tentativo di mascherarlo, così caldo che gli parve persino di sentirlo sulla pelle, giunse all'orecchio di Harry insieme ad una scarica di brividi.
"Vorrei...vorrei che f-fossi qui con me." Il balbettio di Louis si fece un sussurro, ed i fremiti del riccio uno stillicidio che gli apriva lento ed estenuante una voragine nel basso ventre.
"Louis?" Chiese, o disse, confuso, ricoperto di pelle d'oca. Un altro gemito fu la risposta che ottenne, e l'unica cosa che gli parve considerata, fu quella di precipitarsi alla porta della stanza buia, inciampando nei proprio passi, pur di sincerarsi in fretta che fosse ben chiusa.
Quando udì lo schiocco sordo della chiave, e non più la melodia bollente che suonavano le labbra di Louis dall'altro capo del telefono, sospirò sopraffatto, poggiando mollemente la schiena allo stipite.
Il suo intero corpo bruciava, mentre si disfava di quegli ingombranti vestiti saltellando sul posto, implorando Louis di aspettarlo soltanto un attimo. Solo un attimo in cui, seppur a centinaia di miglia, sarebbero stati di nuovo vicini.
Com'erano a giunti fin lì? Come, da una quasi confessione d'amore, dall'aprire il suo cuore, era invece arrivato ad aprirsi la patta dei pantaloni? Harry fece una mezza smorfia, liberandosi finalmente di quegli stupidi jeans. Louis si era appena svegliato. Doveva essere per quello. Non che gli importasse granché, infondo. Se il suo Louis, adorabile adorabile Louis, timido ed impacciato, con le guance rosse e gli occhi bassi, aveva deciso di essere meno disinibito, tanto meglio. Molto meglio.
Si premette una mano sui boxer, sfregando appena, un sibilo fra le labbra rosse strette fra i denti.
"Lou," mormorò, tornando a sdraiarsi sul letto, già madido di sudore, "dimmi- dimmi quello che vuoi." E mentre aspettava una risposta, il suo cuore batteva, e batteva, su fino alla gola.
"Voglio, voglio te, Haz. Vorrei...io-"
Harry avrebbe voluto pregarlo, avrebbe voluto urlargli di dire tutto, accompagnando la sua mano che si muoveva più veloce.
"Vorrei-vorrei che fossero le tue dita..." Le parole di Louis scemarono in un gemito roco; gli occhi di Harry invece si spalancarono ed il respiro gli parve morire tra le labbra. Strinse più forte il proprio sesso, duro e caldissimo, rovesciando la testa all'indietro.
"Oddio, Lou," ansimò, mordendo la federa del cuscino, lasciando che l'immaginazione galoppasse e riempisse la distanza che li separava.
Strizzò gli occhi e con il minimo sforzo lo vide. A cavalcioni sopra di lui, strusciandosi avanti e indietro, con quelle sue natiche tonde e sode e...
"L-Lou," balbettò, al limite.
"Harry, Harry, ah-"
Il riccio adesso vide solo tutto nero, qualche scintilla di luce qua e là sparsa tutto attorno, tremante fra le lenzuola con la schiena inarcata e l'addome bagnato.
Dall'altra parte del telefono si sentivano soltanto respiri logori, mentre le palpebre di Harry vibravano appena nell'aria immobile della stanza. Sorrise sereno, appagato, il cuore una gran cassa nel petto.
"Ehi, tutto bene?" Chiese. E forse piuttosto avrebbe dovuto chiedersi come poteva amare tanto, dopo essersi sentito un involucro svuotato; come poteva dimenticare ogni cosa e non desiderare altro al di fuori di Louis.
Preferì invece ascoltare la sua debole risatina, che non lasciava mai spazio ad altra mancanza, capace di riempire tutto il vuoto del mondo.
"Benissimo," rispose, e ad Harry parve quasi di sentirglielo nella voce, quel meraviglioso sorriso, che gli illuminava il volto manco si portasse sempre appresso una manciata di sole. "Ti amo."
***
William se ne stava accovacciato a terra, di fronte alle fiamme rosse che scoppiettavano crepitando nel focolare. Fu così che lo trovò il cavaliere, avvolto in una spessa coperta di pelliccia, reggendo fra le mani ossute uno dei tanti manoscritti che sgraffignava con dissoluta intraprendenza dalla biblioteca di Edward.
Sorrise, ripensando a quelle tiepide notti d'estate, passate tra fogli di pergamena e pesanti tomi minuziosamente ornati, tesori dei suoi mille viaggi, mentre Will muoveva i primi, insicuri ma entusiasti passi fra lettere e parole. Ricordò il suo volto confuso, le sopracciglia aggrottate in un broncio ostinato, ma anche i suoi occhi color del cielo, spalancati e sognanti, persi in quella meravigliosa vastità di dottrine, canti e leggende.
Ora Will non aveva più bisogno dell'aiuto del cavaliere, e leggeva spedito mimando ogni parola sulle labbra sottili. Malgrado fosse fiero di lui, faceva quasi male.
Si avvicinò di qualche passo e si schiarì la voce, osservandolo con agitata compostezza.
Will non si mosse, né alzò la testa per incontrare il suo sguardo. Si strinse invece di più nella coperta, piegando le ginocchia al petto.
"Ti donano gli abiti del Nord," disse Edward, combattuto fra il desiderio che quegli occhi si posassero su di sé e quello invece di continuare a contemplare la sua mite bellezza.
Ancora non staccò lo sguardo dal foglio che teneva saldo fra le dita, ma un vago sorriso gli dipinse il volto.
"Credevo mi preferiste senza niente addosso," ribatté, mentre una sfuggente sfumatura cremisi gli colorava gli zigomi pronunciati, "o almeno così mi avete detto la scorsa notte."
Edward proruppe in una sonora risata, prendendo finalmente posto di fronte a lui, una mano sul ventre a contenere invano gli spasmi delle risa.
Guardò la coperta scivolargli mollemente lungo le spalle, rivelando il caldo corpetto che indossava, di lana e seta finemente decorate e che pareva essergli stato cucito addosso dal più abile dei sarti d'Oriente.
"Quando sei diventato tanto ardito?" Gli chiese, lo sguardo smeraldino divertito e curioso.
Finalmente Will sollevò il capo, scostandosi dalla fronte i morbidi capelli chiari, su cui la luce delle fiamme danzava in chiazze di rame. Fece spallucce, arricciando il naso, prima di liberarsi della coperta e gattonare verso il cavaliere, muovendosi lentamente, sinuoso come un gatto.
Edward fissò gli occhi nei suoi, così puri, così giovani, mentre l'addome gli si accartocciava come pergamena tra le fiamme.
"Sembrate così stanco, mio signore," disse, strisciando le parole in un sussurro rovente, "un massaggio potrebbe esservi d'aiuto."
Non proseguì verso l'uomo che gli sedeva di fronte con il respiro falciato, ma lo guardò dal basso, sbattendo le lunghe ciglia scure. Così giovane.
Il suo viso parve trasformarsi, e in un attimo Will era tornato seduto, la coperta di nuovo avvolta attorno alle spalle ed un foglio di pergamena fra le mani.
"Oppure potreste farvi una bella dormita," annunciò, l'ombra di un sogghigno sulle labbra.
Così maledettamente giovane.
Edward rise di nuovo, mal celando il fiato corto. Scosse la testa, passandosi una mano sul volto, provando a ritrovare un'espressione compassata.
"Si può sapere che stai leggendo?" Domandò a voce alta, chiedendo invece solo a se stesso cosa tenesse lontana l'attenzione di Will.
Il ragazzo gli mostrò uno dei fogli che stringeva.
"La coltura ed il ciclo dell'uva spina" rispose, sbuffando sonoramente, "di una noia mortale."
Per la terza volta, la risata di Edward risuonò fra le spesse mura di pietra, e Will finalmente si unì a lui.
"Ma mi ricorda Arran," aggiunse poco dopo, lo sguardo distante, nostalgico, verso la grande finestra che rifletteva un cielo grigio, così chiaro nonostante il buio della notte, dove vortici bianchi di neve roteavano veloci ed ululanti nel vento che spirava dalle montagne.
"Mi manca," bisbigliò poi, quasi imbarazzato. Tornò a puntare gli occhi cerulei verso il cavaliere, come a sincerarsi che Edward non si potesse prendere gioco di lui, "a voi no, signore?"
La speranza, la delicatezza nella voce di Will parvero smuovergli la terra sotto i piedi.
Con un sospiro annuì stancamente, "mi manca di più ogni giorno che passiamo in questa gelida terra maledetta," ammise, liberandosi finalmente del peso che quelle parole gli procuravano.
William ora osservava il focolare, e le fiamme riflettevano rosse nelle sue iridi acquose.
"Potrei essere lì adesso, potrei essere ad Arran," parlò piano ma risoluto, in un bisbiglio immemore della malinconia che aveva accompagnato il suo sguardo, "ma sono felice di avervi seguito."
Si alzò stiracchiandosi verso l'alto come un gatto assonnato, e si fermò soltanto quando fu ad un passo dal cavaliere. Il suo viso si fece più serio, contrito.
"Ho disobbedito ai vostri ordini, e dovrei essere punito per questo," fece una pausa, stringendo forte i pugni, "ma voglio che sappiate che lo rifarei altre cento, mille volte per starvi accanto."
La sua voce, il suo volto, i suoi occhi più blu del mare, tutto quanto di lui trascinarono Edward in piedi, prima di farlo vacillare e cadere al suolo. Lo fece; si lasciò scivolare sulle ginocchia, prostrato di fronte al suo servo, le braccia cinte ai suoi fianchi sottili.
"È questo che vuoi, Will? Essere punito?" Chiese, la disperazione nella voce roca.
Non incrociò ancora il suo sguardo, ma poggiò la fronte contro il suo addome, lasciando che il suo respiro lo cullasse.
"Dovreste farlo," lo intimò il ragazzo, pacato nella sua profonda rassegnazione, "è giusto."
"Ciò che è giusto è che tu sia qui."
Le mani di William tremarono prima di sfiorare i capelli del cavaliere, leggere come il volo di una libellula sul pelo dell'acqua increspata dal vento. Tremarono, prima di aggrapparsi ai suoi ricci e stringerli saldamente fra le dita.
"Ti amo più della mia stessa vita, Will."
Lacrime copiose bagnarono le gote di Edward, ma gli piacque pensare che non fossero quelle gocce salate a riportarlo a terra, fra le sue braccia.
"E la mia, l'ho donata a voi," mormorò sulle sue labbra umide, "vi appartengo, mio signore."
Edward respirò il suo respiro, respirò la sua anima. "Torniamo ad Arran, amore mio. Torniamo a casa."
Harry bloccò lo schermo del telefono e lo ripose goffamente nella tasca dei jeans. Nell'ombra del crepuscolo, nessuno si accorse che le sue guance erano bagnate come quelle di Edward.
Con l'orizzonte alle spalle, e le miriadi di luci di Palm Beach che si specchiavano sulla superficie nera ed immobile dell'oceano, lasciò la spiaggia, i talloni sprofondati nella sabbia fresca.
Il mare avrebbe ricordato, ma Harry ormai aveva trovato il suo porto.
QOTC: Harry sembra essere finalmente venuto a patti con ciò che prova, e lo ha confessato a Louis (più o meno, lol). Quali credete saranno i problemi e/o le difficoltà che dovranno affrontare, ora che tutto pare andare a gonfie vele?
BONUS QUESTION: dato che scrivere le parti di Edward e Will mi diverte un sacco, avevo già annunciato un possibile spin off a loro dedicato. E quindi, domandona da un milione di dollari: elementi fantasy sì o elementi fantasy no? Ditemi la vostra :)
Vi ano.
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