Harry
Little Kittens, quale giorno migliore per aggiornare?? Ahahah, rido. Con la dovute scuse per essere sparita per mesi, ci tengo a fare una precisazione.
Sto vedendo e leggendo cose che non mi piacciono, e seriamente, mi spaventano. Ragazze, questa non è la vita vera. Louis, Harry, e tutti gli altri, loro una vita ce l'hanno, ma soprattutto, ce l'avete anche voi! Non lasciatevi condizionare da quanto succede dall'altra parte del mondo a persone che per noi non sono altro che idoli appesi ad una parete. La vita vera, quella vera davvero, è la vostra famiglia, i vostri amici, e tutto ciò che vi accade giorno dopo giorno mentre crescete e diventate le persone che volete diventare.
Queste sono solo storie, bellissime e divertenti, ma solo storie. Solo fantasia. Non smetterò di scrivere dei Larry, perché mi piace e perché mi piacciono, ma per Dio, ragazze, smettiamola di ossessionarci davanti ai social. Uscite, divertitevi, ridete, e vivete la vostra vita al meglio. Io questa sera la passerò con il mio fidanzato ed Axel (il cane, eheheheh) e non c'è tempo meglio speso.
Vi voglio bene, bellezze, ma tanto tanto! E voi siete più importati di qualsiasi boy band al mondo.
Un abbraccio,
Marta
Ps: dedica speciale a tutte. Quelle che leggono, quelle che no, quelle che boh.
24 ore prima
Sdraiato a letto, la musica dell'iPod a tutto volume nelle orecchie, riusciva ugualmente a sentire le urla dei genitori al piano di sotto.
Suo padre doveva lavorare e non sarebbe potuto partire per la Florida per la festa del Ringraziamento, con il risultato di far infuriare la moglie e la lite che andava avanti da una buona mezz'ora.
Harry aveva deciso di prendere la palla al balzo, ed approfittarne per rimanersene a casa con il padre, ma le urla di Evelyne l'avevano fatto desistere dal provare a sollevare l'argomento almeno per un po'.
Aspettava lo squillo di Scott, che di lì a pochi minuti sarebbe passato a prenderlo per un caffè che Harry aveva accettato non senza timore la sera precedente.
Nella sua mente però, in quell'istante, non c'era posto per altri se non Louis. Non aveva sua notizie da ore, e malgrado cercasse di scacciarlo, non riusciva a digerire quel senso di colpa che lo divorava lentamente dall'interno. Per quanto tentasse di sopprimerlo, il desiderio di udire la sua voce e rivedere il suo sorriso era sempre lì a tenergli compagnia come un ospite indesiderato.
Il trillo del telefono non si fece aspettare ancora, vibrando accanto alla sua testa poggiata al cuscino. Con un sospiro, che sapeva tanto di ansia quanto di rassegnazione, Harry spense il lettore mp3 e con passo stanco si diresse di sotto.
"Io esco," annunciò all'indirizzo dei genitori.
Quelli non lo degnarono di uno sguardo, ma continuarono a battibeccare come due bambini capricciosi.
Con un'alzata di spalle, Harry uscì nel gelido pomeriggio coperto da un cielo plumbeo e profumato di neve.
Prese posto accanto a Scott, concedendogli un sorrisetto titubante, sfregandosi le mani intirizzite ed evitando i suoi occhi scuri.
"Allora ti va un caffè?" Gli chiese, mentre Harry annuiva prima ancora che avesse concluso la frase.
Gli sembrò che quel sedile fosse fatto di spine, che pungevano e facevano sanguinare il suo senso di colpa. Dov'era Louis? Come stava? Aveva tolto il gesso? Gli aveva fatto male? L'avrebbe chiamato...
"Allora, che mi racconti?" Domandò Scott, un altro sorriso tutto denti mentre abbassava il volume dell'autoradio.
Harry si morse una guancia e si sfregò ancora le mani.
"Niente," borbottò, schiarendosi la voce, "niente in particolare."
Scott ridacchiò alzando le sopracciglia mentre si voltava appena verso la sua destra.
"Niente nemmeno col tuo amico Tomlinson?"
Ad Harry parve che quella domanda fosse un pugno dritto in mezzo allo stomaco. Si irrigidì sul sedile, prima di sentirsi estremamente cosciente di sé e del proprio corpo, e tentare in ogni modo di rilassare i muscoli affinché Scott non notasse il suo nervosismo.
"Che vuoi dire?" Chiese a sua volta, premurandosi che la propria voce uscisse squillante e sicura, e non tradisse invece quella sensazione di essere in trappola.
Il ragazzo accanto fece spallucce, sogghignando, lo sguardo puntato dritto davanti a sé e alla strada senza traffico che stavano percorrendo in quella fredda e grigia giornata d'autunno.
"Siete diventati molto uniti ultimamente, no?" E quella di Scott, malgrado lo sembrasse, non fu certamente una domanda.
Se all'inizio Harry aveva cercato di evitare Louis il più possibile tra le mura scolastiche, da quando le cose fra loro erano cambiate, non aveva semplicemente smesso di provarci, ma si era ritrovato a gravitare nell'orbita del ragazzo con gli occhiali persino più spesso di quanto avrebbe mai pensato. Era la forza inspiegabile di Louis, che attraeva a sé con quel suo fascino goffo ed incerto, ma altrettanto irresistibile ed adorabile. Erano quei suoi sorrisi genuini e bianchissimi, ed i suoi occhioni blu che nemmeno le spesse lenti degli occhiali riuscivano a nascondere; quei capelli setosi che rilucevano come fili d'oro alla luce del sole; quel corpo minuto, piccino, che sembrava creato per incastrarsi in quello di Harry, fatto apposta perché le sue mani lo accarezzassero e lo venerassero.
Si ritrovò a mal celare un sorriso condito con un pizzico di malinconia; accettare l'invito di Scott quanto meno era riuscito a convincerlo della necessità di dover sistemare le cose con Louis al più presto.
Annuì, ma, di nuovo, dovette lottare con le parole affinché lasciassero le sue labbra.
"Più o meno," disse, aggrappandosi al sedile senza nemmeno accorgersene.
Era come se il suo corpo e la sua testa e il suo cuore, e ogni singola parte di lui, lottassero in un tiro alla fune che non avrebbe decretato un vincitore. Avrebbe voluto urlargli di fermare la macchina per poter scappare via e raggiungere Louis, mentre un'altra voce nella sua mente gridava altrettanto forte di dirgli la verità, di smetterla di nascondersi e confessare a Scott e al resto del mondo il sentimento che lo legava al ragazzino timido e occhialuto.
Tutto ciò che riuscì a fare, invece, fu restarsene lì, in quel silenzio opprimente e terribile, lo sguardo liquido puntato verso le mani che teneva strette in grembo, ad ascoltare il battito del proprio cuore che gli ronzava prepotente nelle orecchie.
Sentì Scott armeggiare al suo fianco e lo vide abbassare il finestrino di qualche centimetro, prima di rendersi conto di ciò che accadeva.
"Fai due tiri?" Gli chiese il ragazzo che per due interi anni era stato una costante della sua vita, ma ora sembrava solo un ricordo distante.
Harry avvertì il panico farsi strada dal proprio stomaco su fino alla gola quando l'odore acre dell'erba gli raggiunse le radici.
"N-no, Scott, non mentre guidi, dai-" balbettò, guardandosi attorno come un animaletto spaurito.
Scott rise a bassa voce e svoltò in un parcheggio deserto poco lontano dal centro di Wilton. Gli offrì un mezzo sorriso tenendo lo spinello stretto fra le labbra screpolate.
"Ecco," annunciò, spegnendo il motore e puntando gli occhi scuri in quelli di Harry con un'aria soddisfatta, "adesso non sto più guidando."
Harry deglutì, sfregandosi i palmi sudati sul tessuto freddo dei jeans.
"Se-se arriva qualcuno-"
"Dio, Haz, rilassati. Da quando sei così paranoico?"
Gli porse lo spinello, alzando le sopracciglia con aspettativa. Harry allungò due dita tremolanti, mordicchiandosi una guancia.
Non gli piaceva bere e non gli piaceva fumare; tutte le volte che si era concesso quei vizi l'aveva fatto contro voglia, con il solo desiderio di confondersi e sparire in quella folla che pareva non aspettare altro se non un suo passo falso.
Si portò lo spinello alla bocca, aspirando lentamente senza incontrare gli occhi divertiti di Scott. Harry lo fece da solo, quel passo falso, attendendo soltanto che il fumo gli annebbiasse la mente e lo portasse lontano dai propri pensieri.
Le due ore seguenti volarono via veloci tra l'eco delle risate. Il caffè che avevano programmato si trasformò in due ciambelle ed una cioccolata con panna per ciascuno, ed Harry non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era sentito così leggero. A dire il vero, non ricordava proprio niente, ed era fantastico.
Non ricordava perché i suoi genitori stessero urlando quando era uscito, non ricordava perché sentisse quel peso che gli incurvava le spalle e gli attorcigliava l'addome. Non ricordava perché giorni prima avesse litigato con Scott; sapeva fosse successo, ma non riusciva a spiegarsene la ragione. E non aveva la minima intenzione di provarci; la sua testa galleggiava ed ogni pensiero appariva sfuocato ed impalpabile, esattamente come si era augurato.
L'appannamento dell'erba cominciò però a diradarsi, ed Harry ebbe il proprio brusco risveglio di fronte a casa, dove Scott l'aveva riaccompagnato e aveva tentato di baciarlo sporgendosi verso il suo sedile.
Nella semi oscurità della propria stanza e le pupille dilatate puntate ancora una volta al soffitto, Harry ripensava a come aveva spalancato gli occhi dopo quello che era parso un lungo sonno senza sogni, a pochi centimetri dalle labbra sottili di Scott che cercavano le sue. Rivide l'espressione confusa e vagamente malinconia dell'amico quando Harry si era allontanato borbottando parole incomprensibili ed era sceso rapidamente dall'auto, salutandolo con un cenno della mano e la promessa biascicata di rivedersi l'indomani a scuola.
Ripensava, e ora ricordava, e più ogni dettaglio tornava ad incastrarsi nella sua mente come tanti pezzi di un puzzle, più il gusto tremendo della bile risaliva acre ed amaro alla sua bocca.
Si addormentò quando il pallido sole del pomeriggio, nascosto da cumuli densi e pesanti di nubi, non era ancora sparito dietro la cresta delle montagne, senza accorgersi del messaggio che Scott che gli aveva inviato.
Domani a scuola ci sarà una bella sorpresa.
Harry si affrettò ad attraversare il cortile della scuola, stringendosi nel cappotto e voltando la testa in ogni direzione, con la sola speranza di incontrare gli occhi blu che avevano popolato i suoi sogni.
Fu Scott a trovarlo per primo, cingendogli le spalle con un braccio e trascinandolo verso l'ingresso prima ancora che Harry potesse aprir bocca.
Erano tutti lì, i suoi vecchi amici, gli stessi che adesso Harry quasi stentava a riconoscere, mentre cercava di dissimulare il rossore al viso incolpando il freddo.
"Haz!"
"Ci sei mancato."
"Chi non muore si rivede."
Lo accolsero con pacche sulle spalle e zuccherosi sorrisi, ed Harry non poté fare a meno di chiedersi se fosse il solo a percepire quella sensazione di inadeguatezza.
Christie gli riservò un'occhiata languida, sistemandosi i biondissimi capelli dietro l'orecchio, mentre Brody lo studiò con un sogghigno che gli fece accapponare la pelle.
Il loro litigio pareva cosa dimenticata, il suo allontanamento soltanto il tratto di un sentiero che riconduceva di nuovo al punto di partenza. Ma quella era una strada che non avrebbe più imboccato, ed Harry lo sapeva.
Si guardò ancora attorno alla ricerca di Louis, pronto a correre nella sua direzione non appena l'avesse scorto, ma fu di nuovo Scott ad impedirgli quella fuga segreta.
"Entriamo, c'è una cosa che devi vedere," mormorò vicino al suo orecchio. Harry aggrottò le sopracciglia, incuriosito è vero, ma con lo sguardo sempre puntato verso il cortile.
Quello che accadde negli istanti successivi passò come un turbinio di rumori e colori indistinti. Fogli, fogli ovunque, e le risate degli amici ritrovati, e finalmente, finalmente gli occhi di Louis, ma non così, Dio ti prego non così.
Con un sacchetto di ghiaccio poggiato sullo zigomo rigonfio, Harry se ne stava seduto con la schiena curva appena fuori dall'ufficio del preside, mentre Brody, e ciò ne che rimaneva del volto -Harry si augurava il meno possibile- era stato trascinato in infermeria.
Quando Evelyne richiuse la porta dell'ufficio congedandosi freddamente, ed intimò ad Harry di seguirla con unico sguardo terribile, il ragazzo seppe di non aver più davvero scampo.
La madre non gli rivolse parola fino a che non furono entrambi seduti in auto, mentre stringeva con rabbia palpabile le dita affusolate sul volante.
"Due settimane," iniziò, digrignando i denti, "due settimane di sospensione," si voltò verso il figlio con gli occhi spalancati, lucenti di collera, "si può sapere che cosa ti è saltato in mente?" Urlò, agitandosi sul sedile.
Harry deglutì rumorosamente, ignorando il dolore pulsante che si irradiava dallo zigomo lungo tutta la mandibola.
"Volevo difendere Louis!" Soffiò come un gatto spaventato.
Evelyne gli puntò un dito contro. "Causando una rissa? È così che lo vuoi difendere?"
"Ma-"
"Ma niente, Harry. Sta volta hai superato ogni limite," Evelyne gli puntò un dito contro senza distogliere lo sguardo dalla strada, "sei in punizione. Niente telefono, niente computer, uscirai solo per tornare a scuola quando sarà finita la sospensione. E scordati l'X-box."
"Ma devo vedere Louis! Devo parlarci-"
"Basta, Harry! Non voglio sentire un'altra parola. Finché continuerai a comportarti come un ragazzino, verrai trattato come tale."
Il ragazzo si strinse nelle spalle, rannicchiandosi sul sedile con il solo desiderio di appallottolarsi e sparire.
Avrebbe parlato con Louis, avrebbe sistemato le cose, e nemmeno la rabbia di sua madre gliel'avrebbe impedito.
Arlene chiuse la portiera dell'auto con il fianco, le mani occupate dalle borse della spesa. Non fece nemmeno un passo verso l'ingresso che un'ombra la distrasse e la costrinse a spostare lo sguardo verso il lato della villetta.
Le ci vollero solo pochi secondi per mettere a fuoco una testa di ricci fin troppo familiare, malgrado la scarsa luce del pomeriggio plumbeo e denso di nubi.
"Che cosa stai cercando di fare?" Esclamò, poggiando a terra le borse ed incrociando le braccia al petto.
Harry trasalì, colto in flagrante mentre tentava di nuovo l'ennesima arrampicata lungo la grondaia. Si grattò la nuca nervoso ed imbarazzato, mentre incontrava lo sguardo severo ed imbronciato della madre di Louis.
"Io, ecco..."
Arlene gli fu di fronte il momento successivo, le sopracciglia aggrottate e gli occhi celesti tremendamente minacciosi.
"Lou non vuole vedere nessuno, tanto meno te," iniziò la donna, voce calma e atteggiamento compassato, nonostante il suo sguardo ne tradisse tutta l'angoscia, "se non te ne vai immediatamente, giuro che chiamo la polizia."
Il cuore di Harry si strinse in una morsa, ma non permise a quella minaccia di trascinarlo lontano.
"La prego, non è come pensa, devo parlare con Lou!"
Unì le mani difronte al proprio viso come in preghiera, mentre un solitario raggio dell'ultimo sole squarciava la coltre grigia del cielo e lo colpiva in pieno volto.
Vide l'espressione della donna addolcirsi, anche se solo per un istante.
"Che ti è successo?" Mormorò, dimenticandosi forse della collera che aveva mosso i suoi passi nella direzione del ragazzo.
Lo sguardo di Harry cadde a terra, mentre soppesava le parole affinché queste non lo allontanassero ancora dal suo obiettivo. Scosse la testa, sconfitto, arrendendosi alla verità.
"Ho fatto a botte a scuola," bisbigliò, le guance arrossate dal freddo pungente e dalla vergogna, "ho spaccato la faccia a quel bastardo di Brody."
Ad Arlene non servì chiedere spiegazioni circa quel nome; Louis aveva già colmato quel vuoto con le sue lacrime.
Sospirò, stringendosi nelle spalle, sentendosi ancora una volta impotente difronte alla sofferenza del figlio, ma in qualche modo grata che ci fosse qualcun altro a prendersi cura di Louis, anche se nella maniera sbagliata.
"Entra dalla porta," disse rassegnata, indicando l'ingresso, "ma se Lou non vuole parlarti, non sono affari miei."
Il sorriso di gratitudine e gioia che Harry le regalò non avrebbe dovuto ricompensarla, ma lo fece, e per quanto cercasse di nasconderlo, si ritrovò contro voglia a pensare che, forse, Harry era davvero ciò di cui suo figlio aveva bisogno.
Attraversò il salotto in un lampo e salì gli scalini a due a due, ma quando giunse di fronte a quella porta chiusa, la fretta lo abbandonò, lasciando il posto ad un terrore che non ricordava di aver provato prima d'allora.
Abbassò la maniglia con le labbra strette tra i denti e lo stomaco in subbuglio, incapace di controllare il tremolio che lo scuoteva da capo a piedi.
"Mami, ti prego, lasciami dormire."
La voce nasale di Louis raggiunse Harry ovattata, resa più roca e profonda dal piumone che lo copriva fon sopra la testa.
L'unica fonte di luce proveniente dal corridoio si spense quando Harry chiuse la porta dietro di sé, proseguendo a tentoni verso il letto di quello che sperava con ogni fibra del suo corpo essere ancora il suo ragazzo.
Si sedette al suo fianco, sul bordo del letto, con il desiderio e l'altrettanta paura di toccarlo.
"Mamma," mugugnò ancora Louis, ed Harry si ritrovò a sorridere. Lo immaginò stropicciarsi gli occhi arrossati e gonfi dal pianto con quelle sue piccole manine delicate, ed il dolore che teneva il proprio stomaco in una morsa aumentò.
"Lou, sono io," la voce un sussurro spaventato.
Il corpicino appallottolato sotto le coperte si irrigidì d'un tratto, prima di agitarsi come in preda alle convulsioni.
"No, no, vattene! Vai via, vai via, vai via," gridò, ed Harry poté chiaramente udire i singhiozzi strozzargli la gola.
Si sporse su di lui combattendo il panico, cercando nel buio di afferrarlo e poterlo stringere a sé, come se quella vicinanza potesse riportare la pace che li aveva abbandonati.
"Lou, Lou, ascoltami, ti prego," implorò, mentre quello non la smetteva di dimenarsi sotto di lui, ed Harry lottava affinché la sua voce non lo tradisse ancora e giungesse forte e chiara alle sue orecchie, "non sono stato io, ti prego, Lou, devi credermi! Non sono stato io!" Urlò più forte, gli occhi che bruciavano malgrado l'oscurità ed il petto che si alzava e abbassava ritmicamente nel tentativo di incamerare quanta più aria possibile.
Forse quel grido lo spaventò, forse chissà, ma i movimenti sincopati di Louis diminuirono per un istante, dando ad Harry la possibilità di continuare prima che l'apprensione del rifiuto lo divorasse completamente.
"Te lo giuro, Louis, non sono stato io," ripeté, ingoiando un singhiozzo a sua volta, "ma mi sospenderanno per due settimane per avergli spaccato la faccia, e dovevo, dovevo per forza parlarti. Devo parlarti, Lou, devo assicurarmi che tu mi creda, perché non so cosa farei se non ci riuscissi," la sua voce scemò sul finire della frase, a corto di idee e di respiro, mentre il fagotto di coperte al suo fianco era tornato immobile come un pezzo di ghiaccio.
Quella che fu soltanto una manciata di secondi gli parvero ore, mentre i suoi occhi pizzicavano di più senza riuscire ad abituarsi al buio che avvolgeva la camera.
Un sospiro leggero lo fece voltare, e la vocina di Louis tornò a farsi udire da sotto il piumone.
"A-a chi hai sp-spaccato la faccia?" Quel balbettio, testimonianza del suo pianto convulso, parve ad Harry la più rosea delle speranze.
Con mano incerta, sfiorò la coperta, ed il calore del corpo di Louis gli entrò dentro come una scarica di scintille.
"A Brody," rispose in un mormorio sommesso, il ricordo dell'ira cieca e del sibilo dei pugni che ancora gli rimbombavano nella mente, "non avevo idea che ti avrebbe fatto una cosa del genere, Lou, devi credermi, devi..."
Le parole gli morirono in gola, strozzate da un altro singulto mentre la sua vita andava a rotoli di fronte ai suoi occhi stanchi e la persona che aveva tentato di proteggere, e che senza nemmeno accorgersene lo stava salvando da tutto ciò che non avrebbe mai voluto essere, si allontanava irrimediabilmente da lui.
Si sentì affogare, Harry, trascinato tra le onde senza l'ombra di un appiglio. Non ripensò neppure all'inutile promessa che si era fatto, ma pianse, sciogliendosi come neve al sole nelle tenebre della stanza, pianse accasciandosi al fianco di Louis senza poterne vedere il bellissimo viso.
Si agitò nuovamente, lasciando scivolare un braccio fuori dal piumone, tastando accanto a sé alla ricerca dell'interruttore della abat-jour, ma Harry quasi non ci fece caso, la testa incassata nelle spalle e le braccia a coprirsi il volto rigato di lacrime.
Se ne accorse soltanto quando la lampadina giallastra diradò il buio, ferendogli gli occhi con la sua luce.
Il corpo di Louis si mosse ancora, e sebbene gli desse le spalle, Harry lo percepì chiaramente mettersi a sedere al suo fianco.
"Non ho mai pensato che fossi stato tu, Harry."
Ancora in mezzo al mare, il moto delle onde parve ora una culla, e all'orizzonte, l'ombra di uno scoglio al quale aggrapparsi fece capolino.
"Avevi ragione," continuò Louis, mentre Harry tentava invano di fermare il fiume delle proprie lacrime, "hai fatto di tutto per farmi fidare te. E mi fido, Harry. Mi fido di te."
Se non avesse saputo con certezza che Louis gli era seduto accanto, Harry avrebbe certamente pensato che quella fosse la voce di una angelo.
Tirò su col naso e poggiò i gomiti al materasso, pronto ad incontrare finalmente quegli splendidi occhi turchesi, ma Louis fu più veloce, e si coprì il volto con le mani, scuotendo la testa.
"Adesso tutti lo sanno, adesso tutti conoscono il mio segreto," il suo pianto ricominciò, e la sua voce melodiosa si fece nuovamente angosciosa e disperata, "a-anche tu, lo-lo sai anche tu...e io, io...Dio che vergogna, non guardarmi, Harry, non guardarmi..."
Il riccio si precipitò in avanti con la volontà di sostituire le mani di Louis con le proprie, in modo da poterlo finalmente stringere, ma a pochi centimetri dal suo corpo tremante si fermò. Inspirò ancora rumorosamente, il naso congestionato e gli occhi gonfi, ma si sforzò di parlare.
"Lou, no," iniziò, soppesando ogni parola perché fosse quella migliore, "tu sei così...così intelligente, e hai un talento incredibile. A scuola sono degli idioti," gli venne quasi da ridere in quell'istante, spostandosi i ricci dalla fronte, "Cristo, io lo so bene, sono sempre stato uno di loro."
Gli parve una vita precedente, una vita nella quale Louis non era al suo fianco, e lui non era altro che uno stupido involucro vuoto senza sogni, né ambizioni e speranze.
Lentamente, lasciò che le proprie dita scivolassero sulla coperta e si poggiassero delicate su quelle calde ed affusolate di Louis, avvertendo il brivido che lo scosse.
"Non vedo l'ora di leggere tutte le tue storie, Lou."
Il ragazzo di fronte piegò le ginocchia al petto, coprendosi maggiormente il volto e scuotendo di nuovo la testa.
"No, no, non leggerle, ti prego, non leggerle!" Piagnucolò, agitandosi come un gattino in trappola.
Nonostante le lacrime bagnassero ancora le sue gote arrossate, il sorriso di Harry si fece più ampio, e le fossette gli spuntarono ai lati della bocca.
"Perché no? Te l'ho già detto," ed intrecciò ancora una volta le dita a quelle di Louis, "voglio conoscere ogni cosa di te, Lou."
Tirò appena, ma fu sufficiente perché la mano dell'altro seguisse la propria e si allontanasse finalmente dal suo viso. I suoi occhi erano esattamente come li aveva immaginati; gonfi e stanchi, ma meravigliosi, due pozzi d'acqua cristallina nei quali perdersi e bearsi.
Baciò il dorso della sua mano, bagnandola di lacrime, sentendolo più vicino di quanto mai l'avesse sentito. Louis lo guardava con le labbra dischiuse ed un'espressione di sorpresa confusione, come fosse una visione che da un momento all'altro dovesse sparire.
Harry sorrise, asciugandosi le guance. "Quell'Edward è proprio un bel tipo," disse facendogli l'occhiolino, guardando il viso di Louis colorarsi di sangue, "ma lo sai? Alla fine il mio personaggio preferito è William."
Louis aumentò la presa sulla sua mano, ma tornò a poggiare la fronte alle ginocchia, nascondendosi ancora.
"Dio, Harry, è troppo imbarazzante," mugugnò in un bisbiglio sommesso.
Harry fece no con la testa, malgrado non potesse vederlo.
"No invece. La cosa veramente imbarazzante è che io non mi sia mai accorto di quanto talento tu abbia, Lou," e dei tuoi sguardi silenziosi di questi anni. Non lo disse, ma la gioia che gli aveva squarciato il petto come una lama quando aveva scoperto di aver ispirato la fantasia di Louis, era una sensazione che si sarebbe portato dentro come un tesoro per il resto dei suoi giorni.
Lo sguardo gli cadde sull'orologio che ticchettava appeso alla parete di fronte. L'addome gli si contrasse, ma si sforzò di rimanere tranquillo.
"Lou, devo andare," sussurrò, "se mia madre si accorge che sono uscito mi ammazza per davvero."
Louis singhiozzò prima di asciugarsi le lacrime a sua volta.
"S-sei in punizione?" Balbettò, come ridestandosi da un lungo sonno.
Harry annuì ridacchiando. "Sarò sospeso per due settimane. Diciamo che i miei non l'hanno presa molto bene."
Louis parve davvero svegliarsi in quel momento. Gattono' sul materasso e poggiò due dita sullo zigomo livido di Harry.
"Hai davvero fatto a pugni per me?" Chiese, non il più piccolo accenno di rimprovero nella sua voce, ma di sincera preoccupazione.
Harry afferrò l'occasione per annullare la breve distanza che li separava e tornare ad assaporare quelle labbra che gli erano mancate da far più male di qualsiasi pugno.
"Ah, ma io gliene ho date di più," si vantò, sogghignando compiaciuto mentre ricordava il volto tumefatto di Brody.
"Harry," lo ammonì Louis, senza però riuscire a celare il sorrisetto che gli illuminava l'intero viso.
Il riccio sospirò profondamente, chiudendo gli occhi quando la fronte del suo ragazzo poggiò sulla propria.
"Ti passerò tutti gli appunti, e studieremo insieme," gli disse, rassicurandolo. Harry annuì e sorrise ancora.
"Lo so," ammise, e lo sapeva davvero.
"Ce la farai."
Sapeva anche quello.
"Ce la faremo, Louis."
Sigillò quella promessa con un altro bacio. Proprio come gli aveva insegnato Edward.
Ehhh niente, so che tutte quest'attesa non ne è valsa la pena, ma io ci ho provato. Spero di ritornare a scrivere qualcosa di decente nei prossimi giorni.
QOTC: ce la faranno davvero i nostri eroi?
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