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Harry

Nella foto, l'outfit di Louis che ho immaginato per questo capitolo.

Ah. Chiedermi di aggiornare più in fretta, non mi farà effettivamente aggiornare più in fretta. Anzi. Sono una persona che si mette già abbastanza pressione da sola, se capite cosa intendo, ed in più, è un periodo in cui sono incasinatissima. Non fraintendete, adoro che adoriate questa storia, ma vi prego, soffro già d'ansia, e non voglio che la scrittura diventi un ulteriore motivo di apprensione.
   Detto questo, vi lascio, kittens, e vi ringrazio, perché sul serio, il  successo di questa storia a volte mi spaventa, ahahah.
   Alla fine, oltre alle QOTC, troverete una nuova cosina alla quale sto lavorando da un paio di giorni. Come sempre, ogni vostra opinione è più che gradita :)
All the love.
Ps: special dedication all'amore mio, lappi88 , perché quei brutti cattivi le hanno cancellato il profilo. Ma non disperate, riposterà tutto, voi però intanto schiacciate il tastino follow e il tastino stellina. Tutto ino. Oggi va così. #Emotional wreck.

"Lou, esci di lì!"
"No!"
"Louis!"
"No!"
"Guarda che ti prendo su di peso!"
"Ha! Dovresti sfondare la porta prima."
"Ti sfondo qualcos'altro se non esci!"
"Harry! Porco!"
   Il riccio sghignazzò coprendosi la bocca con il dorso della mano. Quel siparietto, per quanto esilarante, stava rallentando la tabella di marcia.
"Lou, ti prego, siamo in ritardo," ritentò.   
   Erano giorni che pianificava il loro primo vero appuntamento e voleva che fosse tutto perfetto. Per arrivare fino a Portland ci avrebbero impiegato un paio d'ore, non potevano aspettare ancora.
"Non uscirò mai conciato così!"
Urlò il ragazzo dall'altro lato della porta del bagno.
   Harry sospirò, passandosi le dita fra i ricci ribelli. "Lou, stai benissimo, come te lo devo dire?"
   Non ottenne altra risposta, ma il rumore della chiave che ruotava finalmente nella serratura. Il viso scarlatto di Louis spuntò dall'uscio, lo sguardo basso ed un broncio contrariato ad aggrottargli la fronte.
"Dio," mormorò Harry, mordicchiandosi il labbro inferiore. Se non fossero stati così maledettamente in ritardo, l'avrebbe trascinato a letto e tanti cari saluti.
"Sembro un twink di un qualche porno di serie B," si lagnò il ragazzo dagli occhi celesti. Harry ridacchiò nuovamente e lo strinse fra le braccia, costringendolo a voltarsi verso il grande specchio appeso alla parete del corridoio.
"Mi stai sentendo lamentarmi?"
Lo vide alzare gli occhi al soffitto e lo udì borbottare, malgrado fosse concentrato sul suo aspetto. Aveva scelto quei vestiti personalmente, e se avesse potuto, si sarebbe dato una pacca sulla spalla da solo.
"Stai benissimo," gli ripeté in un sussurro, indugiando accanto al suo orecchio fino a farlo rabbrividire da capo a piedi.
   Con un sorrisetto soddisfatto, lo prese per mano e sollevò le sopracciglia.
"Allora, andiamo?"
Louis fece una smorfia, ma annuì, seguendolo al piano di sotto.
"Oddio, Boo! Sei bellissimo!" Cinguettò Arlene quando vide i due ragazzi entrare in salotto. Gli corse incontro e gli baciò entrambe le guance, ridacchiando giuliva.
"Mamma, ti prego! Non ti ci mettere anche tu," disse lui, nascondendo il viso dietro i palmi aperti.
   Harry vide la donna voltarsi nella sua direzione e fargli l'occhiolino, prima di sentirla dire, "passate una bella serata, ragazzi. Guida piano, Harry!" Si raccomandò puntandogli il dito al petto.
Il riccio sorrise e fece sì con la testa. "Tranquilla, signora Tomlinson. E grazie," rispose, infilandosi il cappotto di lana.
"Arlene, Arlene, non signora Tomlinson," urlò la madre di Louis mentre Harry chiudeva la porta dietro di sé.
   Sorrise ancora, dopo aver ripreso la mano di Louis, tenendola stretta per le due ore successive.
   Era stato a Portland soltanto una volta, ed il ricordo bruciava ancora come sale su una ferita, ma per qualche ragione, con le dita affusolate del suo ragazzo intrecciate alle proprie, non gli passò neanche per la mente.

   Aveva pianificato tutto affinché fosse una serata da ricordare. E lo fu, eccome. Anche se di certo non per le ragioni che aveva immaginato.
Aveva trascorso un intero pomeriggio su Google, digitando in continuazione parole come "romantico," e "primo appuntamento a Portland", finché trovò ciò che pensava fare al caso loro. Uno splendido ristorante che si affacciava sul porto della città, all'ultimo piano di un grattacielo di vetro e cristallo e che offriva la vista panoramica più suggestiva dell'oceano e delle montagne che circondavano la penisola.
Erano partiti presto, in modo da poter ammirare i colori dell'autunno che si fondevano con il mare nel momento magico del tramonto, ma la superstrada stranamente sgombra aveva consentito loro di arrivare a destinazione prima del previsto.
Harry aveva colto l'occasione e lo aveva preso ancora per mano, trascinandolo per le vie del centro e fermandosi di tanto in tanto di fronte a qualche negozio.
Che Louis fosse timido non era certo una novità, ma che l'imbarazzo di essere insieme, mano nella mano, sotto gli occhi disinteressati di altri esseri umani, lo paralizzasse al punto tale di non emettere un fiato e lo costringesse a tenere la testa incassata nelle spalle con lo sguardo puntato al terreno, non era stato esattamente incluso nei piani mirabolanti di Harry per il primo appuntamento da favola.   
   Proprio come non era stata inclusa quella goccia che divenne una cascata, quell'evento dettato dal karma, o dalla sfiga, comunque la si voglia chiamare, che aveva inviato uno stormo intero di gabbiani Jonathan a svolazzare e starnazzare sopra le loro teste, e ne aveva scelto uno per bombardare la spalla di Louis come un missile aria-terra.
Che fare in una situazione simile, se non ridere a crepapelle, tenendosi le braccia strette al petto per calmare gli spasmi addominali? Ed Harry l'aveva fatto, piegato in due di fronte al viso scarlatto e furente e imbarazzato e rigido come un monolite di Louis, convinto che ogni altra forma di vita sul pianeta si fosse fermata per unirsi alla risata dirompente del riccio.
Risultato, la furia cieca del povero Louis l'aveva spinto a nascondersi nel primo bagno pubblico che avevano trovato, nel misero tentativo di lavare via l'onta maleodorante della vergogna, mentre Harry si asciugava le lacrime ed il sole tramontava indifferente delle disgrazie umane. E come a casa poche ore prima, tirare Louis fuori da quello stanzino si era rivelata un'impresa tutt'altro che semplice, mentre il buio della notte calava su Portland portandosi via gli ultimi spiragli di luce e la prenotazione al ristorante.
   Erano risaliti in macchina, le risate di Harry ormai echi lontani di una serata disastrosa.   
   Louis aveva gli occhi puntati fuori dal finestrino, o in qualunque altra direzione che non incrociasse quelli del riccio, un'espressione stralunata che Harry poteva scorgere dal riflesso sul vetro appannato dalla condensa.
   Picchiettava le dita sul volante, un fascio di nervi pronti a saltare, mentre cercava le parole giuste per interrompere quel lugubre silenzio.
"Lou?" Tentò a bassa voce, come avesse a che fare con un animaletto spaventato. Il ragazzo al suo fianco grugnì e sbuffò senza degnarlo di uno sguardo.
"Mi dispiace tanto, lo so che non è stata la serata che avevamo programmato-"
"Dici, Harry? Dici?" Lo interruppe, alzando un sopracciglio con quel suo fare sarcastico e quasi insolente.
   Harry puntò nuovamente gli occhi sulla strada, sopprimendo un sospiro rassegnato, malgrado di rassegnarsi non ne avesse alcuna intenzione. D'accordo, il loro primo appuntamento era stato un fiasco, ma non poteva certo finire così.
   Non appena vide una piazzola di sosta, sterzò e spense il motore, voltando tutto il corpo verso destra. Louis lo guardò accigliato e confuso da quelle manovra inaspettata.
"Che fai? Perché ci siamo fermati?" Chiese indispettito, controllando l'ora sul cruscotto, "voglio arrivare a casa il prima possibile e dimenticarmi di questa serata."
   Harry scosse la testa. "No," disse, e gli puntò un dito in mezzo alla fronte, costringendolo ad incrociare gli occhioni celesti.
"Ti chiedo scusa per aver riso, ma andiamo, Lou, fa ridere!" Esclamò, mordendosi le guance per non sorridere ancora.
"Ha! Certo che fa ridere, quel maledetto pennuto non ha scelto te come bersaglio!" Piagnucolò il ragazzo con gli occhiali, melodrammatico come suo solito.
   Trattenere un'altro isterico attacco di risa divenne via via più complicato, ma Harry ce la mise tutta per non cedere alla tentazione.
"Ti rendi conto almeno di quanto ci potremmo ridere su se la smettessi di essere Mr Perfezione?" Domandò il riccio, agitando le mani.
"Me Perfezione? Senti chi parla! Portami a casa, Harry" Gli fece eco Louis, voltandosi nuovamente verso il finestrino.
   Harry si passò una mano sul viso, sconsolato. Provò a giocarsi l'asso nella manica.
"Ci pensi, allora, a quanto ci potremmo ridere su quando la racconteremo fra qualche anno?"
   Lo vide irrigidirsi prima di tornare a girarsi lentamente verso di lui.
"Ci pensi, Lou? Quando racconteremo del nostro primo appuntamento? Nel frattempo avremo avuto un sacco di serate meravigliose, ma questa ce la ricorderemo per sempre," continuò, mentre gli occhi di Louis si facevano più liquidi.
   Quel discorso se l'era studiato nell'ultima ora, ma man mano fluiva dalla sua mente alle sue labbra, si ritrovò a pensare che quelle non fossero soltanto parole, ma auspici, sogni che Louis rimanesse al suo fianco, per molto tempo ancora.
   Gli prese la mano e finalmente sorrise, incontrando i suoi occhi verdi.
"Hai...hai detto qualche anno," mormorò Louis, sbattendo le lunghe ciglia umide di lacrime.
   Harry si sporse in avanti e catturò le sue labbra con le proprie, facendo ciò che aveva desiderato fare per tutto quel lunghissimo e grottesco pomeriggio.
"Certo che l'ho detto," sussurrò contro la sua bocca dolcissima dal sapore di burro cacao, "perché lo penso."
   Lo guardò sciogliersi in uno dei suoi meravigliosi sorrisi mozzafiato, tutto denti perfetti e rughette accanto agli occhi, ed il cuore di Harry batté un po' più forte.
"Tutto a posto, allora?" Gli chiese subito dopo per assicurarsi di essersi davvero lasciati alle spalle quel disastro sotto forma di gabbiano bombardiere.
   Louis annuì, ridacchiando appena, "ma il prossimo appuntamento lo scelgo io. Il più lontano possibile dai gabbiani."
Harry rise di nuovo, e questa volta Louis si unì a lui. Lo baciò di nuovo, passandogli la punta della lingua sulle labbra, prima di assaggiare l'interezza della sua bocca e soffocare un gemito di piacere.
   Lo voleva, lo voleva come un assettato, e bere dalle sue labbra sembrava non bastare più. Incastrò le dita nei suoi soffici capelli, tirandolo più vicino, desiderando toccare ogni centimetro del suo bellissimo corpo. Quando lasciò che la mano scivolasse lungo la sua coscia soda, Louis interruppe il bacio e abbassò lo sguardo.
"No, Harry, dai, siamo in macchina," disse trafelato, il respiro irregolare che tradiva la sua stessa eccitazione, "se- se si ferma qualcuno..."
   Harry si allontanò, poggiando la schiena al sedile ed annuendo.
"Scusami, adesso andiamo," mormorò, agitandosi sul posto per placare il calore che lo avvolgeva.
   Girò le chiavi e ripartì, la patta dei jeans più stretta e l'amaro in bocca.

   Quanto era passato? Due settimane? Cristo, due fottutissime settime dall'ultima volta che aveva sentito la pelle nuda di Louis accendersi sotto le proprie dita; quattordici orribili giorni dalla prima e ultima volta che aveva gustato il suo sapore e, Dio gliene scampi, aveva avuto un orgasmo come si deve.
   Eccolo lì, che mordicchiava distratto il tappo della penna, la luce della finestra che gli illuminava gli occhi celesti e riverberava sulle sue ciglia scure, facendole tremare appena, mentre gli occhiali gli scivolavano oh così lentamente sul ponte del naso sottile.   
   Nemmeno lo sapeva quanto fosse sexy, il bastardo. Certo che non lo sapeva, ingenuo ed innocente, concentrato sullo studio e, maledizione, non sulla bocca di Harry come avrebbe dovuto essere.
   Stavano insieme, per Dio! E a parte qualche bacetto, e qualche tentativo di esplorazione delle mani di Harry, mai andati a buon fine; non facevano che studiare, studiare, e ancora studiare. Avevano diciassette anni, nel pieno della vitalità e delle tempeste ormonali. Come minimo avrebbero dovuto rotolarsi nudi fra le lenzuola un giorno sì e l'altro pure. Ma niente. Nada. Nemmeno a parlarne. Se il detto fosse stato veritiero, Harry sarebbe diventato cieco in un paio di mesi.
   Era così semplice lasciare che la fantasia corresse selvaggia. Ogni qual volta lo incrociava per i corridoi della scuola, il suo primo pensiero era quello di trascinarlo nei bagni più vicini, chiudere a chiave la porta e fargli urlare il suo nome. O in momenti come quello, quando non facevano altro che stare seduti con la schiena piegata sui libri, ed il cuore di Harry sembrava pompargli tutto il sangue che aveva in corpo in mezzo alle gambe, ed immaginare di piegarlo con la faccia sul tavolo e strappargli di dosso i vestiti era piuttosto facile. Molto facile. Estremamente facile.
   Si alzò di scatto, rosso in volto e lo sguardo basso, stringendo le gambe affinché Louis non notasse la protuberanza che spingeva sulla sul dei jeans.
   Gli occhi turchesi del ragazzo al suo fianco lo seguirono incuriositi.
"Dove vai?"
   Harry si morse il labbro inferiore, mugugnando qualche parola incomprensibile con voce più acuta del solito. Corse al piano di sopra, sbattendo la porta del bagno dietro di sé ed imprecando. Sganciò il bottone dei denim, e non appena la sue dita affusolate scivolarono sotto lo stretto tessuto, gli parve di tornare a respirare.
   Di fronte al lavandino, la schiena inarcata e i denti che premevano forte sulle sue labbra rosse fino a bruciare, non osò alzare lo sguardo, con il timore di incontrare nello specchio il proprio riflesso che lo guardava giudice e canzonatorio.
   Il rumore di una mano dietro la spessa porta di legno lo fece sobbalzare.
"Harry, che succede?"
   La voce di Louis gli giunse alle orecchie come un suono distante ed ovattato, mentre lui era così vicino, così vicino...
"Ti senti bene?" Lo udì chiedere di nuovo.
"S-sì," balbettò in risposta, soffocando un gemito in un sussurro tremolante.
"Sei sicuro?"
   Alzò gli occhi al soffitto, rovesciando la testa indietro, mentre l'addome si contraeva sotto i movimenti sincopati della sua mano.
"Harry!"
   Fu meno di un secondo. Un terrificante, lunghissimo secondo nel quale avvertì il cigolio della porta che la fretta non gli aveva consentito di chiudere a chiave; un secondo lungo un'eternità nel quale la vide spalancarsi e rivelare lo sguardo turchese e vagamente preoccupato di Louis dietro gli spessi occhiali.
   Meno di un secondo, in cui il volto magro di Louis parve prendere fuoco ed Harry lo vide voltarsi mentre sussultava sbalordito e tremendamente imbarazzato. E parlare di imbarazzo per il riccio sarebbe stato davvero riduttivo, colto in flagrante con una mano nelle mutande ad un passo da quell'opprimente e dolorosa, ma magnifica, eccitazione spasmodica.
   Tremante e mortificato, spalancò gli occhi e deglutì rumorosamente.
"Ah, Lou-Louis, io..." Si rialzò i pantaloni, saltellando sul posto, con l'unico desiderio di essere inghiottito dalle buie profondità della terra e non dover affrontare il corpo sottile di Louis che ancora gli dava le spalle in un tetro silenzio.
   Che dire? Che dire per spiegargli la sua frustrazione?
"Mi dispiace da morire...Dio, che figura di merda," borbottò, scuotendo la testa, ritrovandosi a sperare che fosse tutto solo un sogno. Ma non lo era; gli zigomi pronunciati di Louis, cremisi come il suo intero viso, che lentamente tornava voltarsi, i suoi occhi lucidi, ora fissi nelle pupille nere e dilatate come voragini di Harry, i suoi morbidi capelli, lucenti come tanti fili d'oro nella luce affettata che entrava prepotente dalle veneziane, non erano un sogno. Se lo fosse stato, Harry non avrebbe più voluto svegliarsi, non quando il ragazzo più piccolo gli si avvicinò strisciando i piedi sul pavimento, le labbra tremolanti fra i respiri più rochi, le stesse che ora il riccio sentiva contro la pelle del collo, dove il volto di Louis si era fatto spazio, mentre le sue manine risalivano timorose lungo le braccia di Harry lasciandosi dietro una scia di brividi bollenti.
"M-mi dispiace tanto, ma-ma tu sei così sexy, Lou-" si interruppe quando la bocca di Louis passò languida e umida sulla sua mandibola, mordicchiandolo piano, "ah, Lou, m-mi fa impazzire..."
   Lo faceva impazzire sul serio, col suo continuo negarsi per poi sorprenderlo come in quell'istante, ma non appena gli si inginocchiò di fronte, tutto ciglia lunghissime e occhioni blu che gridavano innocenza, Harry giurò che il cuore gli potesse schizzare fuori dal petto.
"No, no, Lou, che fai," e non fu una domanda, ma un'esclamazione di puro stupore, e aspettativa, e Oddio lo sta facendo davvero, oddio, vengo prima che mi abbia toccato, oddio...
"Non devi farlo," ritentò, la voce un sussurro strozzato, mentre i suoi jeans tornavano ad abbassarsi e arrotolarglisi alle caviglie insieme ai suoi boxer.
   Non aggiunse altro. La forza, ed il desiderio di fermarlo perdute chissà dove sotto quello sguardo celeste più risoluto che mai. Le gambe di Harry parvero divenire gelatina, e se non si fosse appoggiato al lavandino, le ginocchia l'avrebbero tradito.
   L'aveva immaginato cento, mille volte, ma nessuna fantasia poteva pareggiare l'estasi della realtà. La bocca di Louis era così calda, così perfetta, affamata di ogni sua fibra vitale da farlo sentire sospeso in un limbo di piacere, mentre tentava invano di non lasciarlo esplodere.
   Imprecò e invocò tutti i santi del paradiso, e se ne sarebbe vergognato, ma in quel momento nel quale si sentì svenire e rinascere insieme, gli sembrò di essere più vivo che mai.
   Gli si accasciò difronte, un sorrisetto sghembo sulle labbra, incapace di controllare alcun muscolo, e lo baciò appena, sfiorando quella bocca che adesso sapeva di entrambi i loro sapori. Gli accarezzò una guancia, ancora rovente e rossissima, poggiando la fronte alla sua e cullandosi di quel silenzio, almeno finché diede voce ai propri pensieri in cortocircuito.
"Cristo, Lou," disse a corto di fiato, ipnotizzato dallo sbattere delle sue palpebre e delle sue ciglia scure contro la propria pelle, "quanto tempo dovrò aspettare prima di portarti a letto?"
Da rosso, il volto di Louis divenne livido. Si alzò in uno scatto, lasciando Harry a boccheggiare sul pavimento del bagno.
"No, Lou, aspetta!" Gridò, inciampando sui suoi stessi jeans. Si rivestì in tutta fretta e si precipitò al piano di sotto, imprecando ancora e maledicendo la sua stupida linguaccia.
In cucina, Louis stava raccogliendo libri e quaderni, gettandoli alla rinfusa nello zaino, un'espressione ferita e furiosa allo stesso tempo.
"Lou, scusami, ti prego, lo sai che sono un idiota," gli disse, provando a fermarlo, "non dicevo sul serio, io-"
"Ma l'hai detto! E sicuramente l'hai pensato!" Urlò il ragazzo con gli occhiali, la vena sul collo che pulsava di rabbia.
La testa di Harry girava, e quelle grida erano come lame dritte nelle tempie. Tentò di prendergli una mano, ma Louis svicolò dalla sua presa, mettendosi lo zaino in spalla.
"Lou, non fare così," lo implorò seguendolo in salotto, sospirando sconfitto.
Lo guardò infilarsi il cappotto, sentendosi piccolo piccolo sotto quello sguardo infuocato.
"Non volevi dirlo, Harry? Guardami in faccia e dimmi che non volevi dirlo," esclamò, sembrando più sicuro di sé di quanto il riccio l'avesse mai visto. Gli fece uno strano effetto, e quasi paura.
"È questo che vuoi? Portarmi a letto e nient'altro?" Lo incalzò, lanciando saette dagli occhi blu come l'oceano in una tempesta.
   Harry si passò una mano sul viso, imprecando per l'ennesima volta.
"No!" Disse, prima di mordersi una guancia, "cioè, sì, ma non così, lo sai. Voglio che sia una cosa importante!" Allargò le braccia, impotente di fronte a quegli occhi che giudicavano scettici ogni sua mossa.
D'un tratto, si sentì esausto. La sua vita stava cambiando, si stava trasformando, e tenere il passo si stava rivelando un'impresa titanica. Aveva smesso di nuotare, e finché i suoi voti non fossero migliorati, non avrebbe più messo piede in piscina; quelli che aveva chiamato amici fino a poche settimane prima, ora non gli rivolgevano la parola, e giorno dopo giorno, teneva nascosta agli occhi del mondo la sua relazione con Louis con il terrore che l'intera comunità gli voltasse le spalle come aveva fatto con il suo ragazzo.
Gli parve di non fare altro che chiedere scusa. Desiderava cambiare, voleva diventare una persona migliore, ma non poteva riuscirci in uno schiocco di dita, non poteva diventare qualcuno che non era, stravolgendo tutto ciò che era sempre stato. Non ne combinava mai una giusta, non con Louis, ma implorare perdono, giustificarsi per ogni suo sbaglio, gli parve il peso del quale avrebbe potuto liberarsi più facilmente.
"Com'è possibile che ancora non ti fidi di me?" Quella domanda fiorì spontanea dalle sue labbra, sorprendendo persino il ragazzo tanto intelligente che gli stava davanti.
Lo vide aggrottare le sopracciglia ed abbassare gli occhi, incapace di ribattere.
"Che cazzo devo fare perché tu ti possa fidare di me? Dimmelo, Lou!"
Incontrò i suoi occhi ancora una volta, prima di guardarlo uscire dalla porta e dalla propria casa, lasciandosi investire dall'aria pungente del pomeriggio. Rimase lì in piedi, di fronte all'uscio spalancato, ancora senza forze. Né voglia.

   Negli ultimi giorni il tempo era stato clemente grazie all'aria delle montagne che spazzava Wilton e l'imbrigliava nei suoi gelidi turbini, finora in grado di tenere lontano i cumuli densi di pioggia e neve sospinti dall'Atlantico.
   Il cielo sgombro convinse Harry ad uscire, la sciarpa legata al collo, la cuffia calata sulla fronte e le mani nascoste nelle ampie tasche calde del cappotto di lana.
   Aveva provato a dormire, aveva persino tentato di continuare a studiare, ma la sua mente in tilt gliel'aveva impedito, tenendolo troppo sveglio per riposare e troppo confuso per concentrarsi.
   Una passeggiata nel quartiere ed un giretto al parco vicino casa gli avrebbero schiarito le idee e magari, alleggerito la tensione che gli irrigidiva le membra dal momento in cui Louis l'aveva lasciato solo.
   Camminò e camminò, la testa china e lo sguardo fisso davanti a sé senza davvero distinguere ciò che i suoi occhi vedevano, ad eccezione dei rivoli di fumo e condensa che gli sfuggivano dalle labbra e si perdevano tutto attorno, bianchi e lucenti sotto la luce dei lampioni.
   Come uno spettro si aggirava per le vie del parco, i rombi delle auto ed il vociare di alcuni ragazzini che gli ronzavano nelle orecchie in una cacofonia di rumori indistinti, finché uno di questi non giunse a lui più chiaro e familiare degli altri.
"Haz?"
   Alzando la testa, incontrò il viso spigoloso e gli occhi scuri di Scott che lo guardavano sorpresi.
   Harry si strinse nel cappotto e tornò ad abbassare lo sguardo, puntandolo al terreno bagnato di brina.
"Ciao," borbottò da dietro la sciarpa, la voce ovattata e più ruvida del solito.
   Sorreggendo il sacchetto della spesa che teneva stretto al petto con una sola mano, Scott estrasse dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette, mostrandolo ad Harry.
"Mi fai compagnia?" Chiese, offrendogli un mezzo sorriso.
   Il riccio si morse il labbro e si agitò sul posto, ma si ritrovò ad annuire prima che potesse davvero rifletterci.
   Si sedettero su una panchina, la borsa della spesa poggiata fra i due come un monito di quel vuoto che nell'ultimo mese si era fatto largo fra loro.
   Una folata di aria glaciale costrinse Harry ad accartocciarsi su se stesso, rabbrividendo mentre provava a nascondersi negli ampi indumenti che indossava. Tra i fili di fumo che uscivano dalle sue labbra screpolate, vide l'ombra di un altro sorriso sul volto di Scott, ed un altro brivido lo percorse da capo a piedi.
"Ho pensato tanto alle cose che mi hai detto," lo sentì dire, attento a non staccare gli occhi dalle proprie scarpe, "e avevi ragione. Non ti conosco, Harry. Non ti ho mai conosciuto davvero."
   Il ragazzo dagli occhi verdi si accorse di trattenere il respiro con l'addome contratto. Si azzardò a voltarsi appena, soltanto per vedere che Scott guardava lontano, lo sguardo perso di fronte a sé mentre cercava di dare voce ai pensieri nella sua testa.
"E nonostante tutto," disse ancora, sghignazzando in un mormorio amaro, "mi manchi."
   Harry arricciò il naso e spalancò la bocca nascosta dalla sciarpa senza che ne uscisse alcun suono, il respiro mozzato da una fitta all'addome più dolorosa delle altre.
   Sarebbe stato tanto dannoso tornare ad essere il vecchio, stupido e rassicurante Harry? Quello impetuoso ed istintivo, quello che si circondava di facce e rumori per non vedere quanto nero e profondo e spaventoso fosse l'abisso della sua solitudine?
"Mi manchi anche tu."

QOTC: che cosa è successo ad Harry? Perché il suo atteggiamento è cambiato tanto nei confronti di Louis? E cosa ha scatenato in lui l'incontro con Scott?

Spoiler Alert!
Come promesso all'inizio, vi lascio un estratto della cosuccia alla quale mi sto dedicando da qualche giorno. Sarà una OS, che sicuramente dividerò in due o tre parti, e che non so assolutamente quando pubblicherò (molto bene). Ma, nel caso risvegliasse il vostro interesse, fatemelo sapere.
All the love, M.

Senza titolo (perché tutti quelli che mi sono venuti in mente facevano schifo)

Harry è un padre single, disilluso e oberato di lavoro, unica fonte di sostentamento per se stesso e la piccola Lily.
Louis è un uomo di successo, acuto e brillante, che nasconde la sua costante ricerca d'amore dietro un atteggiamento frivolo e in storie di una notte.
Una banale influenza li costringerà a condividere più di quanto abbiano immaginato, ed ad ammettere che spesso, le prime impressioni non siano altro che abbagli.

Dalla storia:

"Lou, te lo dico per l'ultima volta. No."
Louis prese un altro sorso di birra, gustandosi il sapore amarognolo che gli bagnava la lingua.
"Dammi una valida ragione."
Tom lo guardò esasperato.
"E' etero, ed ha una figlia di appena cinque anni. Ti bastano come ragioni?"
Louis sorrise, leccandosi le labbra.
"Lo sai che mi piacciono le sfide."
Gli occhi stanchi ed infossati di Tom si fecero imploranti.
"Harry non è una sfida, Lou. E' un bravo ragazzo, e non si merita le tue stronzate. Non merita quelle di nessuno, ne ha già passate abbastanza."

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