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Harry

Tutte queste foto dei Larry fetus mi fanno piangere. E anche qualcos'altro, ma sono una signora, e non specifico, vero Galwaygirl269 ?
Il successo che sta avendo questa storia è assurdo, ragazze! Ma quanto posso amarvi? Siete speciali, davvero! Grazie, grazie, grazie! E i commenti che mi lasciate sono meravigliosi. Vi ano. Sul serio.
Yours sincerely.
Ps: domanda a bruciapelo. Se poteste leggere una sola fanfiction per il resto della vostra vita, quale sarebbe? E perché?
Okay, due domande. Capitemi. Sono stanca.

"Aspetta, aspetta, fammi capire," Harry alzò le mani di fronte al viso, chiedendogli una pausa in quello sproloquio senza senso zeppo di formule e parole di cui non conosceva nemmeno il significato, "cosa c'entrano gli aerei di carta?"
Louis ridacchiò e scosse la testa.
Doveva trovarlo davvero in idiota.
   Non se n'era mai preoccupato, non molto almeno, ma da quando frequentava Louis, non passava giorno senza che Harry si sentisse un emerito cretino. La cultura di Louis era vasta, e sembrava esserci sempre spazio per altre nozioni ed interessi più svariati; il modo in cui sorrideva quando scopriva qualcosa di nuovo, la maniera incredibile che aveva di guardare al mondo e alle sue meraviglie, lasciavano Harry estasiato e a corto di parole. L'entusiasmo che dimostrava era contagioso, e plasmava nel riccio il desiderio di essere migliore.
Malgrado si fosse convinto di dover essere sempre fedele a se stesso, a dispetto delle opinioni altrui, c'era già stata una volta in cui aveva sognato di diventare una persona diversa...
"Harry, mi stai ascoltando?"
La voce nasale di Louis interruppe la corsa folle dei suoi pensieri.
"Mmh?"
Vide Louis sospirare infastidito. Se ne vergognò, ed abbassò lo sguardo.
"Mi devi stare a sentire, altrimenti non andiamo da nessuna parte," borbottò Louis, aggrottando le sopracciglia con un'aria da maestrina. Per qualche ignota ragione, Harry lo trovò adorabile.
"Okay, okay, scusa," bisbigliò. Puntò gli occhi dritti nei suoi come a dimostrargli la sua completa attenzione.
"Bene," annuì quello, voltando il laptop nella sua direzione ed indicandogli le prime righe del sito che stava consultando, "ci concentreremo sul concetto di aerodinamica. A partire dagli aerei di carta, dimostreremo come la grandezza dei modelli e l'attrito dell'aria in diverse condizioni atmosferiche e di pressione, influenzino il volo e la sua durata, fino ad arrivare alle leggi della fisica che controllano gli aerei veri e propri."
Harry sbatté le palpebre. Okay. Poteva farcela. Se magari Louis gliel'avesse spiegato ancora un paio di volte. Forse.
"È tutto chiaro?" Domandò il ragazzo con gli occhiali, appuntandosi numeri e formule su un foglio.
Harry si mordicchiò il labbro inferiore.
"S-sì," balbettò, sperando che si bevesse la sua menzogna. Era già abbastanza imbarazzante così, senza dover ammettere di aver compreso solo le parole "aerei" e "di carta."
"Boo! Tesoro!"
Arlene fece la sua comparsa dalla cima della scale, trotterellando allegra verso la cucina.
"Boo?" Harry sghignazzò coprendosi la bocca con il dorso della mano. Bastò l'occhiata furente di Louis perché gli passasse la voglia di aggiungere altro.
"Quali scarpe metto?"
Arlene gliene mostrò due paia, muovendole davanti al viso interdetto del figlio.
"Ma che ne so, mamma. Metti quelle che vuoi," bofonchiò, tornando ad abbassare lo sguardo sul foglio degli appunti.
Harry ritenne di poter essere finalmente utile, ma la donna lo anticipò.
"Sei l'unico figlio gay che non ne capisce niente di queste cose," ridacchiò scompigliandogli i capelli.
"Mamma!" Piagnucolò Louis, nascondendo il viso fra le braccia.
Harry osservò la scena da spettatore, come di fronte ad uno spettacolo comico. Sentì uno strano calore avvolgere la stanza ed entrargli dentro fino alle ossa.
Il rapporto che legava Louis a sua madre, l'affetto che poteva facilmente leggere negli occhi di entrambi, era qualcosa a cui non aveva mai assistito. Qualcosa che non aveva mai provato con la propria famiglia.
Quella consapevolezza improvvisa scacciò il tepore veloce com'era arrivato e lo sostituì con una profonda sensazione di vuoto e buio impenetrabile.
"Quelle blu le starebbero meglio," tentò a mezza voce, bramando di poter prendere parte a quella commedia anche solo per poco.
Louis ed Arlene lo guardarono con le sopracciglia alzate.
Con il volto arrossato, Harry si schiarì la gola.  "Sta bene con il bordeaux del suo abito, e poi va un sacco di moda quest'anno."
Tornò a scaldargli il cuore il sorriso che la donna gli riservò.
"Grazie, Harry! E dammi del tu," poi si rivolse nuovamente al figlio, scuotendo la testa, "visto, amore? Impara anche tu!"
Louis sbuffò e borbottò sotto voce, ma Harry vide quei suoi splendidi occhioni blu sorridere, sparendo tra le rughette che gli si formavano ai lati.
Arlene scomparve nuovamente al piano di sopra, lasciandoli soli ancora una volta.
Harry parlò senza davvero pensare. "Tua madre è fortissima. Non ce l'ha un fidanzato?"
Soltanto quando notò il volto di Louis rabbuiarsi comprese perché dovesse imparare a tenere a freno la lingua.
"No, non che io sappia almeno," mormorò l'altro, senza incontrare il suo sguardo.
Harry avvertì nuovamente le guance scottare.
"Scusami," bisbigliò imbarazzato, "dev'essere stata durissima per entrambi. Perdere un padre ed un marito intendo."
Ma allora sei deficiente!
Louis sospirò, facendo spallucce.
"Sì, ma erano già in crisi da tempo. Stavano formando i documenti della separazione quando mio padre ha scoperto di essere malato."
Harry si stupì della tranquillità, del distacco quasi, con cui Louis pronunciò quelle parole, così diverso dal ragazzo affranto che aveva visto sulle rive del lago solo un paio di settimane prima.
"Oh, capisco," disse solamente, seppure incuriosito da quello strano cambio di atteggiamento.
   Rimase in silenzio, intento ad osservare le dita magre e piccine di Louis impugnare la penna, quelle dita che aveva stretto la sera precedente, le stesse che gli erano sembrate perfette intrecciate nelle proprie.
Un brivido lo percorse rimuginando su quel ricordo. Era vero che aveva violato la proprietà dei Reed molte volte; era altrettanto vero che avesse passato splendidi momenti in quella vasca insieme a Scott; ma se l'idea di portarci anche Louis l'aveva usata soltanto come pretesto per sentirlo più vicino, beh, non era necessario che il sopracitato lo sapesse. Soprattutto non ora che stava uscendo con un altro.
Parli del diavolo...
Lo schermo dell'IPhone di Louis si illuminò in quell'istante, facendo vibrare la superficie del tavolo sul quale era appoggiato. Il ragazzo dagli occhi blu lo afferrò al volo, sorridendo appena.
Harry non riuscì a scorgere nulla se non il nome di un certo Colin. Doveva chiamarsi così il tizio.
Pff, che nome stupido.
"Ti dispiace evitare di usare quel coso mentre stiamo studiando?" Esclamò incrociando le braccia.
Louis lo guardò con la bocca spalancata, incapace di trovare una risposta adeguata. Posò il telefono ed annuì mestamente, ancora incredulo.
Harry dentro di sé si diede il cinque. Che poi, mica gli dava fastidio, era solo questione di educazione.
La madre di Louis interruppe il  suo personale processo di auto convincimento.
"Ragazzi, allora io esco," annunciò volteggiando sulle décolleté blu che Harry le aveva suggerito. Baciò la testa spettinata del figlio e si incamminò verso l'ingresso, prima di fermarsi sul posto e voltarsi battendosi una mano sulla fronte.
"Amore, quasi mi dimenticavo di dirtelo. Oggi è arrivata questa," prese una busta sigillata e la consegnò a Louis.
Harry fece solo in tempo a notare il logo di un'università che non riconobbe prima che Louis rompesse la busta e ne leggesse il contenuto.
Sua madre, appostata dietro di lui, proruppe in una risatina felice e gli stampò un altro bacio, sulla guancia questa volta, marchiandolo di rossetto.
Fece una smorfia e si ripulì con il dorso della mano, ma ridacchiava giulivo anche il ragazzo con gli occhiali.
"Complimenti, tesoro mio," disse Arlene. Gli sfilò la lettera dalle dita e la appese sull'anta del frigorifero, sotto una calamita a forma di cuore.
Harry nemmeno ci aveva fatto caso, ma su quel frigo c'erano già almeno altre tre o quattro lettere penzolanti, tutte di college diversi che recavano lo stesso lieto annuncio.
"Che c'è, Boo, non sei contento?" Chiese la donna, accarezzandogli dolcemente una spalla.
Louis annuì, ma abbassò lo sguardo.
"Certo che sono contento, ma lo sai che non è quella che aspetto," mormorò, giocherellando con una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Altro bacio di sua madre e altro sorriso gioioso. Lo stomaco di Harry parve chiudersi in un pugno.
"Arriverà, vedrai, e ti avranno accettato anche alla Brown*. Ne sono sicura."
Louis rispose al sorriso e al bacio, schioccandogliene uno sulla mano che lo stava ancora coccolando.
Con un ultimo saluto, Arlene lasciò la casa in una zuccherina scia di profumo, mentre Louis tornava col capo chino sui fogli.
Harry si schiarì la voce, alzandosi dalla sedia e riordinando le proprie cose. Se non fosse uscito di lì alla velocità della luce, sarebbe ancora una volta venuto meno alla promessa che si era fatto.
"Devo andare," disse soltanto, caricandosi lo zaino in spalla.
Louis lo seguì con lo sguardo, a metà fra la sorpresa e la preoccupazione.
"Di già?"
Non perse tempo ad infilarsi la giacca e raggiunse la porta.
"Scusami, mi sono ricordato di un paio di cose che avevo da fare. A domani, Lou."
Non attese una risposta, e non incrociò gli occhi che lo seguivano speranzosi.
Corse in auto, le lacrime che già gli bagnavano le gote arrossate.

"Siediti, Harry."
La signora Hais gli indicò la poltroncina con un cenno della mano ed un sorriso di plastica stampato sul volto.
   Harry si lasciò cadere goffamente sulla sedia imbottita, accavallando le gambe e guardandosi attorno. Non era cambiato granché dall'ultima volta in cui era stato in quell'ufficio il semestre dell'anno precedente. Forse ora appariva persino più buio, e l'espressione della donna che gli sedeva di fronte alla scrivania sommersa di scartoffie, ancora più fintamente compassionevole.
"Ho parlato con il professor Sanders," annunciò lei, sollevando un sopracciglio ed intrecciando le dita sul tavolo di legno intarsiato.
Harry bofonchiò. "Il coach."
"Già, il coach," gli accordò la donna senza staccare gli occhi dal ragazzo.
Harry scattò in piedi ed iniziò a gironzolare per la piccola stanza, fingendo di osservare interessato le foto che riempivano la parete. Ritraevano i successi -pochi- della Mt Blue High nelle attività più disparate, fiere di scienze, di cucina, gare di atletica e di nuoto.
Quando lo sguardo gli cadde su uno scatto in particolare, la squadra di nuoto al completo di due anni prima, tornò a sedersi senza sapersi decidere se essere più affranto o più annoiato.
"Lo sai perché sei qui, Harry?" Domandò la signora Hais con la sua vocetta stridula.
Harry sospirò. Lo sapeva. E ad ogni modo, ogni richiamo da parte della consulente scolastica, non era mai qualcosa per cui poter star tranquilli.
Annuì, il viso rivolto alla finestra e alle goccioline di pioggia che scivolavano e si inseguivano lungo il vetro.
"La tua media è gravemente insufficiente," iniziò lei, prendendo fra le mani il fascicolo che conteneva la sua intera carriera scolastica. Quante volte Harry aveva desiderato intrufolarsi in quell'ufficio e bruciarlo.
"Sai bene che non puoi prendere parte ad attività extra curricolari se i tuoi voti non migliorano," continuò la donna, sistemandosi gli occhialetti da lettura sul naso adunco.
Harry alzò gli occhi al soffitto e sbuffò nuovamente. Era sempre la solita storia, "ti devi impegnare di più, non puoi prendere la scuola sottogamba, e bla bla bla."
   Non stette nemmeno a sentire quello sproloquio trito e ritrito, preferendo invece, lanciare di tanto in tanto un'occhiata fugace alla foto sulla parete. Ogni sguardo era un tuffo al cuore, eppure non riusciva a smettere.
"Questo è il tuo ultimo anno, Harry. Vuoi davvero rischiare di vedere i tuoi compagni diplomarsi mentre tu rimani indietro?"
"Cosa?" Harry sobbalzò sulla poltrona e fu d'un tratto tutto orecchi.
"L'anno scorso te la sei cavata per un pelo, ma sta volta non sarà altrettanto facile. Rischi la bocciatura."
La voce di Mrs Hais si era fatta più imperiosa, o forse era soltanto il cuore del riccio che gli rimbombava nella cassa toracica e nella testa.
"La bocciatura? Ma siamo solo all'inizio dell'anno!" Protestò raddrizzando la schiena.
"Ti stai trascinando queste insufficienze da troppo tempo," spiegò la donna, allargando le braccia come a giustificarsi.
Ad Harry parve di vedere tutto nero. Un lungo, lunghissimo tunnel nel quale era intrappolato e dal quale non riusciva a scorgere via d'uscita, mentre le scure pareti si chiudevano lentamente su di lui.
"Sono costretta ad avvertire i tuoi."
Harry sgranò gli occhi. Ora anche l'aria parve farsi bollente ed irrespirabile.
"E dovremo affiancarti un tutor," conclusa la donna, rovistando fra i mille fogli che occupavano la scrivania.
"No, no, la prego, mi impegnerò,  glielo giuro-"
"Sono le stesse cose che hai detto l'ultima volta, Harry. E quella prima ancora."
Si tolse gli occhiali e gli rivolse uno sguardo angustiato, quasi gli stesse chiedendo perdono.
"No, glielo giuro!" Harry balzò in avanti, sporgendosi verso di lei con le mani giunte in preghiera. "La prego, si fidi di me!"
"La fiducia bisogna guadagnarsela."
"Le dimostrerò che posso farcela, la prego," piagnucolò ancora, davvero sull'orlo delle lacrime.
   Non aveva idea di ciò che avrebbero fatto se i suoi fossero stati coinvolti. Probabilmente avrebbero annuito, consapevoli e rassegnati dell'inettitudine del figlio, e Dio solo sa che avrebbe più male di una qualunque sfuriata. Non era una causa persa. Non completamente, almeno.
Si giocò la sua ultima carta, sperando che funzionasse.
"E se le dico che un tutor ce l'ho già?"

Con lo zaino mezzo vuoto che gli penzolava da una spalla, raggiunse il vialetto di casa ciondolando, perso nei propri pensieri e nella musica che gli soffiava nelle orecchie dagli auricolari.
Almeno aveva guadagnato un po' di tempo con la Hais, ma quella storia del tutor lo stava facendo impazzire. Aveva ponderato di chiedere aiuto a Christie, cercando la maniera più adatta per non creare fraintendimenti o darle false speranze.
Aveva pensato di domandarlo a Louis, ma l'idea di mostrargli così apertamente la sua innata idiozia, lo atterriva. Era già piuttosto imbarazzante avere a che fare con lui e la sua intelligenza per il progetto di scienze; se avesse anche dovuto fargli vedere fino in fondo che razza di stupido fosse, Louis probabilmente si sarebbe stancato e non l'avrebbe più guardato con gli stessi occhi.
Era così stupido da non riuscire nemmeno a comprendere perché gli importasse tanto che Louis non smettesse di riservargli quegli sguardi di imbarazzata ammirazione, che non smettesse di arrossire e balbettare quando puntava i suoi occhi verdi nelle sue limpide iridi turchesi.
Quando frugò nelle tasche della giacca alla ricerca della chiavi di casa, si accorse del ragazzo che lo guardava con le braccia incrociate al petto, seduto sui gradini antistanti l'ingresso.
Si tolse gli auricolari e sospirò, socchiudendo le palpebre.
"Che ci fai qui?" Chiese, piantandoglisi di fronte in tutta la sua altezza.
Scott si sgranchì le gambe rimettendosi in piedi, sorridendo appena.
"Non mi fai entrare?"
Harry lo superò ed infilò le chiavi nella toppa.
"No."
Scott ridacchiò e gli mise una mano sulla spalla, costringendolo a voltarsi.
"Voglio solo parlarti."
Harry alzò gli occhi al cielo, ma mantenne la calma, malgrado le mani iniziassero a prudergli.
"Hai avuto un sacco di tempo per farlo. Adesso ho da fare," rispose seccato. Provò a sfuggirgli ancora una volta, ma l'altro gli afferrò un polso.
"Haz, per favore."
Il sorrisetto sghembo che gli dipingeva le labbra era sparito, ed ora un'espressione contrita e stranamente sincera gli aggrottava la fronte.
Imprecando tra sé, Harry sospirò e gli indicò l'interno della casa.
"Entra," borbottò, maledicendosi subito dopo.
Scott lo sorpassò e varcò l'ingresso senza accomodarsi come faceva di solito, ma attendendo in piedi nel mezzo del salotto.
Harry lo raggiunse poco dopo, abbandonando a terra lo zaino e guardandolo torvo.
"Che vuoi?"
Scott sospirò rassegnato. "Haz, sono passati giorni, non sei nemmeno più venuto a pranzo-"
"Ah, ve ne siete accorti?" Sghignazzò il riccio. Non aveva voglia di parlare. Tanto meno con Scott. Lo innervosiva semplicemente trovarselo davanti.
"Haz, andiamo. Mettiamoci una pietra sopra, okay? Ti chiedo scusa," ritentò, avvicinandoglisi.
Harry lo scansò e si diresse in cucina, aprendo il frigorifero alla ricerca di qualcosa che nemmeno sapeva di volere. Strinse i denti quando si accorse che gli Scott l'aveva di nuovo raggiunto come un cagnolino bisognoso di attenzioni.
"Mi dispiace, che altro vuoi che ti dica? Volevamo solo fargli uno scherzo-"
"Lascia perdere. Non ne voglio più parlare," lo interruppe Harry, stanco di quell'inutile scambio di battute. Aveva ben altro per la testa.
"Come vuoi, ma vorrei capire che ti succede. Sei strano," insistette Scott, posandogli ancora una volta il palmo sulla spalla.
Harry si accigliò.
"Non sono strano. Non mi va che continuiate a torturare Louis."
Si versò un bicchiere di the freddo senza guardarlo in volto, ma la risatina di scherno da parte dell'altro lo costrinse a voltarsi.
"Torturare? Sul serio?" Ridacchiò, sedendosi sul ripiano della cucina. "Ti ci sei proprio affezionato a quello sfigato, eh?
Harry prese un respiro profondo.
"Non chiamarlo sfigato," gli puntò il dito indice in mezzo al petto con espressione minacciosa, "è molto più gamba di me e di te messi assieme."
La risata di Scott si fece più rumorosa.
"Cristo, Styles, datti una calmata. Cos'è, ti stai innamorando della checca?"
Harry vide rosso. Lo afferrò per il colletto del maglione e lo tirò a sé, digrignando i denti.
"Sarà meglio che te ne vada, o te la spacco quella faccia di merda che ti ritrovi," soffiò a pochi centimetri dal suo viso, scosso da un'ira improvvisa.
Vide Scott spalancare gli occhi scuri, mentre quel sorrisetto da schiaffi abbandonava una volta per tutte le sue labbra sottili.
Gli poggiò le mani sul torace e lo spinse poi lontano, massaggiandosi il collo.
"Porca puttana, ma sei impazzito?" Esclamò, osservandolo esterrefatto.
"Che cazzo ti prende, Harry?"
Il riccio si passò una mano sul viso, scostandosi i capelli dalla fronte, le tempie che pulsavano frenetiche.
"Vattene, Scott. Lasciami solo," mormorò tremando, sull'orlo di una crisi di nervi.
Quello parve non sentirlo, perché ancora tornò ad avvicinarglisi. Gli accarezzò una guancia ed Harry rabbrividì. Gli parve di esser sfiorato dalle spire squamose di un serpente velenoso.
"Haz, parlami. Non sei più tu," bisbigliò.
Il suo fiato caldo e dal gusto di menta giunse la pelle candida di Harry come il respiro gelido di uno spettro. Rabbrividì nuovamente.
Fu come se un fulmine squarciasse la volta del cielo, illuminando con le sua luce quello che fino a poco prima era avvolto nell'oscurità.
Harry lo guardò vedendolo davvero per la prima volta, sentendo la sua voce per la prima volta.
"Tu non mi conosci. Tu non sai niente," bisbigliò, stringendosi nelle spalle, arretrando fino a sbattere contro la fredda parete color burro.
Scott aggrottò la fronte.
"Haz, ma che cazzo dici? Hai bevuto?
Harry scosse la testa, gli occhi di giada che pizzicavano di lacrime.
"Parlami, Harry-"
"Io e te non parliamo! Io e te non abbiamo mai parlato!" Gridò il riccio, allargando le braccia, "io e te scopiamo, Scott! Scopiamo e nient'altro!"
Il ragazzo dai corti capelli scuri lo guardava basito, inchiodato sul posto da quella reazione tanto inaspettata quanto inspiegabile.
"Harry..."
"Vattene."
Harry gli indicò l'ingresso, lo sguardo basso e le spalle curve.
Non lo guardò mentre finalmente abbandonava la casa, ma salì pigramente al piano di sopra, chiudendosi nella propria stanza e massaggiandosi le tempie doloranti.
Nel tetro silenzio che regnava, si sentì immensamente solo, ma in qualche modo, libero.
Louis doveva essere al cinema con quell'imbecille, pensò sedendosi a gambe incrociate sul materasso.
Un'idea gli balzò alla mente, malgrado cercasse di seppellirla sotto altri pensieri. A Louis non sarebbe piaciuto.
Oh, non gli sarebbe piaciuto per niente.

*Brown: ci riferisce ovviamente alle Brown University, ateneo provato nella città di Providence (Rhode Island)

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