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Harry

Avrebbe dovuto sentirsi in colpa, mentre sobbalzava seduto sullo scomodo sedile di quel treno dove si respirava un'aria stantia, guardando pensieroso il paesaggio che scorreva davanti ai suoi occhi verdi.
Avrebbe dovuto sentirsi in colpa per aver mentito. Aveva detto a Louis e ai suoi genitori che sarebbe andato a Portland con Scott. Aveva detto a Scott, a Chris e agli altri che sarebbe andato a Portland con i genitori.
Invece, su quel treno che si allontanava dalle montagne e sferragliava verso l'oceano e la città, era solo.
Dopo che il figlio era partito per il college, i genitori di Jamie avevano lasciato Wilton per trasferirsi a Portland, unico grande snodo dello stato del Maine. Anche per Jamie tornare dall'Arizona e raggiungerli lì, sbarcato in aeroporto, sarebbe stato più facile.
Da quando era partito, lui ed Harry si erano scritti di tanto in tanto. Nulla di che, gli auguri per i compleanni e le festività, qualche sciocco commento sotto alle foto che entrambi caricavano online. Jamie era tornato dalla famiglia già un paio di volte, ma Harry non aveva mai avuto occasione di rivederlo.
Questa volta, complice Facebook e troppe ore passate a studiare il profilo del ragazzo più grande, Harry aveva saputo che avrebbe trascorso un paio di giorni a Portland, e, trovato da qualche parte il coraggio di contattarlo, era partito a sua volta lasciandosi dietro una scia di bugie. Non aveva nemmeno idea di dove avrebbe passato la notte. Sperava segretamente che Jamie gli offrisse la soluzione.
Era agitato, Harry, fremente quasi. Due anni interi senza vedere il suo viso, ora più che mai gli parvero un'eternità. Era confuso, atterrito, mentre si chiedeva cosa ne sarebbe stato di quell'incontro.
Cercava di non creare castelli in aria troppo complessi, di non avere grandi aspettative, nonostante potesse quasi avvertire il sangue ribollirgli nelle vene. Sarebbe stato soltanto un fine settimana, poi Jamie sarebbe partito ancora una volta. Sarebbe stata solo un'insignificante parentesi nella vita di tutti e due.
Tentando di convincersi che sarebbe stato soltanto un altro piccolo segreto, provava a scacciare la tremenda sensazione che quello stesso segreto, sarebbe stato anche la sua condanna.  

Passeggiava distratto lungo il fronte del porto, la zip della felpa chiusa per proteggersi dall'aria umida e salmastra dell'oceano.
La gente più disparata gli passava accanto, ma Harry non ci badava, perso nei meandri della propria mente mentre attendeva. Non poteva nemmeno dirsi davvero nervoso, ma impaurito, spaventato, come di fronte ad un buco nero che avrebbe potuto inghiottirlo o dal quale qualunque strana creatura sarebbe potuta comparire. Non sapeva cosa aspettarsi, Harry, e due anni di congetture avevano solamente acuito quel suo stato d'animo.
Voltando le spalle alla lunga strada che costeggiava il porto, poggiò i gomiti sul parapetto del molo, lasciando vagare lo sguardo sull'infinita distesa blu agitata dal vento. Le navi mercantili affollavano l'orizzonte, riempiendo l'aria con il riverbero delle loro sirene.
Incrociò le braccia al petto, mentre un brivido freddo lo percorse da capo a piedi. Poi, d'un tratto, fu come se dal cielo grigio e denso di pioggia, dove cumuli scuri si rincorrevano veloci, un raggio chiarissimo e splendente di luce squarciasse la volta celeste. Sembrò che un peso opprimente gli venisse improvvisamente sollevato dalle spalle, e quello che poco prima era stato un fremito, si trasformasse in una piacevole e tiepida sensazione al centro del petto.
Gli dava le spalle, ma lo sentì.
"Ciao, ragazzino."
Il viso incupito di Harry parve sciogliersi dalla tensione che lo irrigidiva, fondendosi in un delizioso sorriso, le fossette che gli spaccavano le guance arrossate come due meravigliose macchie di luna.
Gli si gettò al collo, tornando a respirare il suo profumo e a sentirsi protetto dal suo calore. Così sopraffatto dall'emozione, non badò nemmeno alle braccia di Jamie, rigide e distese lungo i fianchi.

Camminavano vicini, ascoltando il vento frusciare fra le fronde degli alberi e tra i sottili fili d'erba che ricoprivano il terreno tutto attorno. Con l'autunno alle porte, le foglie delle querce e degli aceri cambiavano gradualmente colore, dando vita ad un spettacolo di colori caldi e vibranti, richiamando i turisti verso le coste del New England.
Viveva nel Maine ormai da due anni, ma Harry ancora non si era abituato alla straordinaria bellezza del mutamento della natura. Per qualche strana ragione, assistervi con Jamie al suo fianco, lo rese più speciale.
Mano nella mano, una coppia gli passò accanto, ed Harry non poté fare a meno di guardare le loro, vicine, solo a sfiorarsi.
Jamie gli raccontava del college, dei corsi che stava seguendo, dei compagni che aveva conosciuto e delle feste a cui partecipava. Harry beveva dalle sue parole come un assetato, guardando le sue labbra muoversi e richiudersi, cullato dal suono profondo della sua voce.
Cumuli di dense nubi nere si addensarono più fitti sul mare, riversando il loro cieco furore. Il rombo dei tuoni giunse fino alla terra ferma e alle loro orecchie, tanto che si videro costretti a tornare verso l'ingresso del Lincoln Park in tutta fretta. Non furono abbastanza veloci, perché la tempesta si abbatté su di loro e su Portland poco dopo. Si ripararono sotto la tettoia di un edificio nelle vicinanze, sperando che la pioggia se ne andasse rapida com'era arrivata. Il via vai di gente che affollava le strade si disperse in pochi istanti, lasciandole deserte e alla mercé del temporale.
Harry si guardò attorno, tutto d'un tratto come trasportato in un universo parallelo dove c'erano loro, e loro soltanto, zuppi d'acqua e più vicini di quanto fossero mai stati quel freddo pomeriggio. Controllando ancora una volta come una sentinella, quando si sentì davvero sicuro, si sporse verso il ragazzo più grande, poggiando le mani sulle sue spalle. Non avvertì le labbra di Jamie sulle sue, ma uno scossone che lo costrinse ad aprire gli occhi e vedere l'espressione seria e sorpresa dell'altro.
"Harry, no, ma che fai?" Chiese, allontanandosi di più. Scosse la testa, a metà fra l'incredulo e il collerico. "Ho un ragazzo adesso," aggiunse.
Un elefante di cinque tonnellate si sedette sul cuore di Harry, e ridotto in tanti piccoli pezzi, l'animale dovette averli scambiati per noccioline, perché li divorò facendone un sol boccone.
Avrebbe voluto poter dire di non essere più in grado di sentire alcun rumore, che l'eco del suo cuore fosse troppo forte, tanto da oscurare ogni altro suono, ma la voce di Jamie la sentì, eccome, ed ogni parola fu come una pugnalata gelida in mezzo al torace.
"Cristo, Harry! Cosa pensavi? Di venire qui e stare insieme per un paio di giorni? Nascosti da tutto e tutti? Ho smesso di nascondermi quando me ne sono andato," Jamie non era furioso come aveva erroneamente pensato. Era deluso, e quella scoperta fece più male.
"Credevo fossi cresciuto, che avessi accettato come stavano le cose, che avessi accettato cosa vuol dire-"
Fu allora che smise di ascoltare. Decise di non voler ascoltare. L'onta della vergogna, il peso del rifiuto e l'orrenda realizzazione di aver perso l'unica persona alla quale si sarebbe affidato, trascinò Harry lontano. Corse a perdifiato, sotto l'acqua battente, e si lasciò dietro la voce di Jamie; lasciò indietro il suo sorriso, il suo corpo virile e il suo profumo di muschio.
Si perse fra le strade di quella città sconosciuta, mentre la pioggia si mischiava alle sue lacrime.

Dopo quelle che gli parvero ore, intirizzito dal freddo, gli abiti fradici appiccicati al corpo tremante, Harry raggiunse finalmente la stazione dei treni dalla quale era arrivato. La bocca gli si riempì di un gusto amarissimo, e gli venne soltanto da ridere quando si accorse di aver smarrito il portafogli che conteneva i pochi soldi che si era portato e tutti i suoi documenti.
Jamie l'aveva chiamato costantemente, ma Harry aveva lasciato squillare il telefono a vuoto, la sola idea di sentire di nuovo la sua voce che gli faceva i rizzare i capelli sulla nuca insieme ai brividi gelidi che gli attraversavano la schiena.
Si sedette su una panchina lungo i binari, prendendosi la testa fra le mani. Non poteva nemmeno contattare i genitori. Avevano approfittato della partenza del figlio per lasciare Wilton a loro volta, e partecipare al matrimonio di un vecchio amico in Florida. Era solo, con il cuore infranto, zuppo d'acqua fino al midollo, in una città che non conosceva, senza un soldo in tasca. Voleva urlare, strapparsi i capelli dalla frustrazione, ma fu come se l'avessero prosciugato di ogni forza vitale. Se ne stette lì seduto, ad osservare i treni che andavano e venivano, ad ascoltare quell'assordante sferragliare, piangendo fino all'ultima goccia di lacrime.
Avrebbe potuto chiamare Scott. Sapeva che l'amico l'avrebbe aiutato, ma anche quel pensiero gli fece annodare lo stomaco. Non solo avrebbe svelato la sua bugia, ma molto probabilmente avrebbe dovuto raccontargli di Jamie. Ed Harry si era ripromesso che non l'avrebbe saputo anima viva.
Risolse di fare l'unica cosa che gli suggerì il cervello in tilt. Chiamò Louis.

Due ore dopo, Harry era sul sedile posteriore dell'auto della madre di Louis, arrotolato in una coperta di pile e, fra le mani, una tazza di caffè fumante, che la donna gli aveva comprato fermandosi ad una stazione di servizio lungo la strada.
Era stato a dir poco imbarazzante. Due quasi sconosciuti erano corsi a riprenderlo, percorrendo oltre settanta miglia sotto la pioggia battente senza fare domande. L'avevano fatto accomodare in macchina e l'avevano coccolato manco fosse un lattante, accendendo il condizionatore e sudando come animali purché lui rimanesse al caldo. L'avevano invitato a passare la notte da loro, gli avevano promesso una doccia risanatrice e dei vestiti puliti senza battere ciglio.
Harry sarebbe morto di vergogna, e probabilmente avrebbe pianto ancora, ma era così stanco che i suoi occhi rossi parvero chiudersi da soli.
Fece finta di non vedere gli sguardi affranti che Louis gli lanciava dallo specchietto retrovisore, e si addormentò poco dopo, risvegliandosi soltanto una volta giunti nuovamente a Wilton.

"Mi dispiace, ma non abbiamo una stanza per gli ospiti," disse Arlene, così si chiamava l'affettuosa madre di Louis, offrendogli un amaro sorriso.
Harry si strinse nelle spalle e scosse la testa. "Sta già facendo tantissimo per me, dormirò in terra," rispose in un sussurro, la voce greve ed ancora impastata dal sonno e dal pianto.
La donna fece un cenno con la mano. "Dammi del tu, caro, e non dire sciocchezze. Ti preparo qualche coperta ed un cuscino sul divano," gli sorrise ancora, dolcemente, con quei suoi brillanti occhi celesti che assomigliavano tanto a quelli del figlio.
"Lou, tesoro, prendi ad Harry dei vestiti puliti," ordinò al ragazzo, che annuendo, in un secondo sparì al piano di sopra.
Harry era fermo al centro del soggiorno, ancora avvolto nella coperta. Si morse il labbro inferiore stringendo le spalle, rosso in volto ed estremamente cosciente di sé.
"Mi dispiace causarvi tanto disturbo," mormorò, la testa bassa e lo sguardo puntato al parquet che ricopriva il pavimento.
La madre di Louis gli si avvicinò e gli posò una mano sulla schiena, accarezzandolo appena. "Nessun disturbo, Harry. Adesso pensa solo a rilassarti, okay?"
Quello annuì mestamente, spostando il peso da un piede all'altro.
"Domattina penseremo a denunciare la scomparsa dei tuoi documenti, ma per ora riposati. Ti consiglio una bella doccia calda. Allevia i pensieri e risana il corpo e lo spirito," ridacchiò la donna facendogli l'occhiolino.
Non appena Louis tornò di sotto con un pila di morbidi abiti di ricambio ed un asciugamano per Harry, quest'ultimo fece come gli era stato suggerito e si chiuse in bagno.
Quando ne uscì, con indosso dei vecchi pantaloni della tuta che gli coprivano a malapena le caviglie, vide Louis avvampare, il viso rosso come un pomodoro maturo, e scomparire dietro la porta della sua stanza. Se non fosse stato tanto provato, e dall'umore nero, Harry avrebbe sorriso. Avrebbe sentito il proprio ego gonfiarsi come un palloncino, ed una piacevole soddisfazione farsi spazio nel suo petto.
Ringraziando ancora una volta Arlene per la sua gentilezza, ed augurando buona notte alla porta chiusa di Louis, sciabatto' stancamente fino al divano in salotto.
Non gli servì a nulla sospirare, girarsi e rigirarsi con la coperta fin sopra la testa. La sua mente era affollata dal viso di Jamie, dalla sua espressione dura e dalle sue parole, che ancora scorrevano dentro di lui come veleno.
Pianse nuovamente, singhiozzando nel cuscino affinché il suono non riecheggiasse fra le pareti della casa buia. Avrebbe voluto trovare una soluzione, essere risoluto e provare a guardare avanti, dimenticandosi, magari per sempre, degli avvenimenti di quella giornata. Ma per il momento, tutto ciò che riuscì a fare, fu cullarsi del lancinante dolore che gli impediva di prendere sonno.

Con un altro pesante sospiro, abbandonò il suo giaciglio e tornò lentamente al piano superiore. Da sotto la porta della stanza di Louis proveniva una luce fioca, e questo gli diede coraggio. Quasi trattenendo il respiro, premette la mano sulla maniglia e sbirciò all'interno, schiarendosi appena la voce.
"Ehm, scusami," disse, passandosi le dita fra i ricci umidi.
Louis sobbalzò dalla sedia alla scrivania sulla quale era goffamente appollaiato e chiuse immediatamente il pc. Si alzò in piedi, giocherellando con le proprie mani, visibilmente nervoso.
"Harry, è-è successo qualcosa?"
Il riccio fece no con la testa, scivolando all'interno della stanza e richiudendo la porta dietro di sé.
"No, tranquillo. È che non riesco a dormire," ammise, guardandosi attorno per non incrociare lo sguardo imbarazzato dell'altro, "siccome ho visto la luce accesa, pensavo...non so, che magari non riuscissi a dormire neanche tu."
Louis annuì silenziosamente. Rimasero entrambi zitti per qualche istante, finché non fu il turno del ragazzo con gli occhi turchesi di schiarirsi la gola.
"T-ti va di, magari, se vuoi, di guardare un film?"
Dopo ore trascorse con le lacrime a rigargli le guance, l'ombra di un sorriso si dipinse sulle labbra rosse di Harry. Era francamente irresistibile quel suo modo di fare dolce e goffo.
Tornarono in soggiorno insieme, ma mentre Harry si risistemava sul divano, Louis si fermò in cucina. Quando lo raggiunse, gli porse una tazza di latte bollente.
"Tieni. Ti aiuterà a dormire," sorrise, arrossendo ancora una volta. "Mia nonna me lo preparava sempre quando ero piccolo e non ne volevo sapere di andare a letto," ridacchiò tra sé, perso nei ricordi.
"Ci ho messo un cucchiaino di miele, spero ti piaccia," aggiunse, una nota di panico improvvisa nella sua voce nasale.
Harry avvertì le fossette spaccargli in due le gote. Era adorabile. Annuì e ne bevve un sorso, godendosi il tepore della bevanda che gli scaldava le gola ed il corpo.
"È perfetto," bisbigliò, guardando Louis con la coda degli occhi. Lo osservò alzarsi nuovamente, muovendosi nervoso verso la libreria accanto al televisore.
"Che- che film vuoi vedere?" Chiese, balbettando nuovamente. Harry alzò le spalle senza che l'altro potesse vederlo.
"Quello che vuoi tu."
Non avrebbe davvero fatto alcuna differenza. Non gli importava quale film avesse scelto; decise semplicemente di godersi la sua compagnia e quella tazza di latte caldo che gli aveva preparato.
Lo osservò arrampicarsi sulle dita dei piedi ed allungare un braccio per prendere un Blu-ray dal ripiano più alto della libreria. La maglia che indossava si sollevò con lui, lasciando intravedere la sua sottile schiena dorata. Lo sguardo di Harry corse lungo la sua spigolosa spina dorsale, giù fino all'osso sacro, adornato da entrambi i lati da due magnifiche fossette di Venere; e poi proseguì il suo percorso, più in basso, verso quel sedere che non poté non guardare. Ce l'aveva davanti agli occhi, mica era colpa sua! E maledizione, da quando Louis aveva un sedere del genere? Da quando lo sfigato della scuola aveva il sedere più bello che Harry avesse mai visto?
Spostò immediatamente gli occhi, concentrandosi sulla tazza che reggeva fra le mani, deglutendo ed allontanando quegli stupidi pensieri.
Louis inserì il disco nel lettore ed il film iniziò poco dopo. Prese nuovamente posto sul divano, un buon metro distante da Harry, incrociando le gambe e stringendo in grembo un cuscino.
Non fecero nemmeno in tempo a terminare i titoli di testa, che gli occhi di Harry si fecero di nuovo liquidi. Jurassic Park era uno dei film preferiti di Jaime. Ricordi delle sere d'estate passate a guardare e riguardare quella pellicola gli inondarono la mente, esattamente come le lacrime inondarono le sue iridi di smeraldo.
Louis se ne accorse soltanto quando un singhiozzo sfuggì dalle labbra del riccio, il quale non provò nemmeno a nascondersi. Si sciolse in un altro pianto disperato, piegando le ginocchia al petto ed appoggiandoci la fronte.
Avvertì la mano insicura di Louis farsi strada lungo il suo braccio e risalire mollemente alla spalla, picchiettando nervosamente.
Trascinato dalla profonda tristezza che lo scuoteva dentro come un terremoto, Harry alzò il viso come a chiedergli il permesso, prima di accasciarsi fra le sue esili braccia. Louis lo strinse a sé, accarezzandogli la schiena e sussurrandogli rassicuranti parole all'orecchio.
Harry pianse con tutto il fiato che aveva in corpo, aggrappandosi a Louis come a uno scoglio nel bel mezzo dell'oceano, appoggiandosi a quel ragazzo che lo stava confortando senza avere la minima idea del perché. L'aveva aiutato, era corso da lui senza porgli domande, e ora lo cullava come fosse una cosa preziosa.
Si addormentò in quel caldo abbraccio, l'eco dello suoi bisbigli la più dolce delle ninna nanna.

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