Harry
Wow! Leggere i vostri commenti sul primo capitolo mi ha emozionato! Sono davvero felice di vedere quanto già vi piaccia questa storia appena iniziata.
Spero che anche questo non vi deluda, ma anzi vi dia una ragione in più per seguirla :)
Ah. Dedica speciale a julietdavis8. Perché sì. Lei lo sa.
Un abbraccio grande grande e buona serata!
MB
Harry si mise a sedere poggiando la schiena alla testiera del letto, lo sguardo basso verso le mani piegate in grembo.
Era sempre la solita storia. Dopo mesi che continuava a ripetersi, avrebbe dovuto sapere cosa dire e come comportarsi, ma la verità era che ogni singola volta la vergogna sembrava rubargli le parole di bocca e i pensieri dalla mente.
Con la coda degli occhi, osservò Scott saltellare per la stanza mentre si rivestiva.
"Ehm," Harry si schiarì la voce, stringendo il lembo del lenzuolo nei pugni.
"Se stai per dire quello che penso, risparmiatelo, Styles," lo punzecchiò l'amico, raccogliendo la maglia che aveva gettato nella foga sul pavimento. Prese le scarpe e si sedette sul bordo del letto.
"Se mi vuoi dire di non farne parola con nessuno, non lo farò. Esattamente come non l'ho mai fatto tutte le altre volte," aggiunse, senza mai voltarsi verso Harry.
Quest'ultimo annuì distrattamente ed allentò la presa delle mani sulle lenzuola.
"Lo so," ammise, sospirando, "scusa."
"Non scusarti," Scott gli rivolse finalmente un mezzo sorriso, "non sono stupido. Non voglio mica fare la fine di Tomlinson. Tra l'altro ho saputo che dovrai fare un progetto di scienze con lui. Che sfiga, amico," ridacchiò.
Harry aggrottò le sopracciglia, confuso.
"Che c'entra Lou?" Arrossì immediatamente e si corresse poco dopo. "Louis. Lewis. O come cavolo si chiama."
Scott si passò una mano fra i corti capelli castani e lo guardò stralunato.
"Come che c'entra? È frocio, e dopo che ha avuto la brillante idea di dirlo in giro, guarda che fine ha fatto," rispose allargando le braccia e facendo una smorfia quasi compassionevole.
Harry spalancò gli occhi verdi, incredulo e nuovamente a corto di parole.
"Credevo," fece un pausa, mordendosi il labbro inferiore, "credevo fossero solo voci. Credevo lo prendessero in giro e basta." Inconsciamente, scivolò sul materasso e si coprì il torace nudo.
Scott scosse la testa e ridacchiò ancora.
"Ma dove cazzo vivi, Styles?"
Afferrò la felpa che aveva posato sulla scrivania di Harry e si guardò allo specchio appeso alla parete. Mentre cercava di sistemarsi i capelli sparuti, parlò di nuovo.
"Tu non ti eri ancora trasferito, ma credimi, il primo anno lo sfigato che conosci, non era affatto così."
Harry era tutt'orecchi.
"Alla medie faceva parte della squadra di calcio, e cazzo, era bravo. Ha fatto vincere alla nostra scuola il campionato della contea," continuò Scott, lo sguardo concentrato mentre ricordava gli eventi di cinque anni prima.
"Iniziato il liceo, aveva quasi convinto il preside a fondare una squadra. Era popolare, e tanti ragazzi l'avevano seguito. Poi, vai a sapere che cazzo gli è passato per la testa."
Harry si accorse di trattenere il respiro.
"Pare che alla fine di un allenamento una ragazza gli abbia chiesto di uscire più o meno davanti e tutti, e quell'idiota l'abbia rifiutata dicendo che era gay." Scott scoppiò in una fragorosa risata amara, incredula quasi. Non aveva assistito personalmente all'accaduto, ma quelli che gliel'avevano riferito avevano mostrato la sua stessa faccia attonita. Più o meno quella che adesso aveva Harry.
Scott si alzò e si stiracchiò. "Ti lascio immaginare come è andata. La voce ha fatto il giro della scuola quel giorno, e in un settimana lo sapeva direttamente tutta Wilton."
Perché Harry sentisse d'un tratto un nodo alla gola e la voglia di coprirsi fin sopra la testa senza più vedere la luce per il resto del pomeriggio; non se lo seppe spiegare. Né ebbe voglia di provarci.
"Sarà meglio che vada, prima che arrivino i tuoi," disse ancora Scott, avvicinandosi alla porta della stanza.
"A domani, Styles."
Harry non fece nemmeno caso al fatto che non gli avesse lasciato il solito bacio a fior di labbra. Non fece più caso a nulla.
Si allungò fra le lenzuola e rotolò su un fianco, rannicchiandosi in posizione fetale. Si addormentò poco dopo in un sonno agitato.
Due anni prima
Harry sedeva a gambe incrociate sul piccolo divano in vimini sistemato sotto il portico, godendosi gli ultimi raggi del timido sole di fine estate.
In quel posto dimenticato da Dio non era raro che già ad ottobre ci fossero le prime nevicate. Per questo voleva sfruttare al massimo il gradevole e ancora breve tepore della bella bella stagione.
Trasferirsi a Wilton, nel Maine, a migliaia di miglia da casa, era stato difficile. Ricominciare da capo e sentirsi stappato dalle proprie radici l'aveva spaventato, ma l'inizio della scuola e tutte le persone che aveva conosciuto stavano rendendo il cambiamento meno traumatico e sorprendentemente piacevole.
Il volto sorridente ed appena abbronzato di una di queste comparve proprio di fronte a lui, nascosto in parte dalla luce arancione del tramonto che costringeva Harry a stringere gli occhi in due fessure.
"Ehi, ragazzino," esclamò Jamie con un dolce sorriso. Prese posto accanto ad Harry e gli scompigliò i ricci ridacchiando.
Il più giovane si unì alla risata, mentre una sensazione di calore diversa da quella provocata dai raggi del sole, si espandeva al centro del suo petto.
"Sei entrato in squadra. Complimenti," aggiunse Jamie, il figlio quasi diciottenne dei vicini.
I genitori di Harry avevano acquistato una bella villetta con un ampio giardino sul retro, affacciata sui picchi già innevati che circondavano la Carrabassett Valley.
La casa di Jamie Jensen, o JJ come lo chiamavano gli amici, confinava proprio con quella di Harry, nemmeno una siepe a dividere le due proprietà. Per fortuna il rapporto con il vicinato sembrava procedere a gonfie vele.
Harry non aveva ancora fatto in tempo a sistemare gli scatoloni nella sua nuova stanza, che l'aveva visto. Torso nudo e sudato, brillante nel chiarore del giorno, mentre aiutava il padre a rizzollare una parte del giardino distrutta dal violento temporale di pochi giorni prima. Harry era rimasto imbambolato ad osservarlo per quelle che parvero ore, poggiato all'infisso della finestra, le labbra appena dischiuse e la mente una coltre di fumo.
Quello stesso ragazzo ora era suo amico, e frequentava l'ultimo anno del liceo al quale Harry si era appena iscritto. Faceva parte della stessa squadra di nuoto per la quale Harry aveva da poco superato le selezioni, e non mancava di sorridergli ogni volta che i loro sguardi si incrociavano.
Non riusciva davvero a spiegarsi il motivo di quel miscuglio di emozioni contrastanti. Quel ribollire di sangue e sfarfallio di stomaco; quel formicolio che non gli consentiva di stare fermo un secondo e, se da un lato alimentava la sua parlantina come un'overdose di zuccheri, dall'altro gli annodava la lingua tanto da sembrare un completo idiota.
Jamie era uno come tanti, un bel ragazzo gentile. Solo un po' più grande dei coetanei a cui Harry era abituato. E magari solo un po' più muscoloso. E con uno sguardo ed un sorriso soltanto un pizzico più intensi. E forse, Harry si era ritrovato a volere quello sguardo e quel sorriso su di sé più di quanto sarebbe mai stato pronto ad ammettere. Solo un pochino.
"Preparati, perché durante gli allenamenti ti farò sudare, ragazzino," disse ancora, pizzicandogli un braccio.
L'intero corpo di Harry si riempì di pelle d'oca, mentre provava in ogni modo a non immaginare quello scolpito e già uomo di Jamie. Ne aveva avuto un assaggio proprio in quel giardino, e la notte lo sognava ancora.
Fece spallucce fingendosi indifferente. "Quando diventerò capitano della squadra, sarai tu a dover sudare," rispose.
Jamie sorrise e gli scompigliò la chioma riccia ancora una volta.
"Per quel giorno sarò già al college, piccoletto. Ne dovrai fare di strada."
Un anno intero scivolò veloce come un battito di ciglia ed Harry non divenne capitano. Al contrario, verso la fine del secondo semestre, dopo settimane trascorse a lottare con un dolore tremendo che non ne voleva sapere di andarsene, il tendine già malandato della sua spalla destra si ruppe una volta per tutte. Non servì a nulla sottoporsi all'intervento, perché la sua carriera di nuotatore era finita prima ancora di iniziare. Era affetto da una condizione medica congenita che rendeva i suoi tendini deboli, e nemmeno un'operazione chirurgica gli avrebbe garantito di poter proseguire l'attività agonistica senza il rischio di altri infortuni.
A malincuore lasciò la squadra, ma il coach insistette perché continuasse ad allenarsi con loro. Il nuoto era stato una parte importante della sua vita, e lui stesso non ne volle sapere di abbandonarlo completamente.
D'altra parte, Jamie si era diplomato, e presto avrebbe abbandonato il Maine per trasferirsi nella caldissima Arizona. Era stato accettato all'università grazie ai suoi ottimi voti ed alla cospicua borsa di studio ottenuta come membro della squadra di nuoto.
Fu nel luglio di quell'anno che Harry poté partecipare alla sua prima vera festa di liceali.
Si era fatto molti amici fra i compagni di scuola, ed aveva persino iniziato a frequentare una ragazza, Christie. Era carina, ed era una cheerleader. La vita di Harry procedeva a vele spiegate, eccetto che dentro di sé, nascosta agli occhi del mondo, seppellita da centinaia di falsi sorrisi ed ostentata indifferenza, una disperazione profonda lo teneva sveglio la notte.
Nessuno, nemmeno Christie, sembrava in grado di eguagliare l'intensità delle emozioni senza nome che Jamie sapeva fargli provare solo standogli accanto.
La sua imminente partenza, e l'invito alla sua festa di addio, l'avevano gettato in uno stato confusionale di scoraggiamento ed eccitazione insieme.
Era un caos di luci e colori, rumori e vociare indistinti. La serata trascorse rapida, disperdendosi nel buio della notte e nel fumo dell'alcol.
Harry si tenne in disparte, scambiando solo qualche chiacchiera di circostanza e sorseggiando the freddo. Per tre ore filate, evitò di incrociare lo sguardo di Jamie, troppo occupato ad ubriacarsi e a brindare con chiunque varcasse il suo campo visivo, troppo sbronzo per accorgersi dell'espressione cupa del suo riccio vicino di casa.
Mancava ormai poco all'alba quando attraversò scalzo il giardino umido di rugiada e lo vide, sotto il piccolo portico di legno grezzo, acciambellato sul divano e stretto in una felpa oversize.
Era estate, ma in quella stupida città anche nel bel mezzo di luglio l'aria delle montagne faceva crollare le temperature dopo il tramonto. Era in occasioni simili che Harry rimpiangeva l'assolata Florida che aveva lasciato.
Con le ginocchia rannicchiate al petto e le mani nascoste dalle lunghe maniche della felpa, non udì i passi strascicati di Jamie raggiungerlo. Lo vide soltanto quando gli fu accanto, un sorriso sghembo sulle labbra screpolate ed un sopracciglio alzato.
Prese posto al suo fianco, poggiandogli una mano sulla spalla.
"Te ne sei andato presto," gli fece notare a bassa voce, guardando dritto di fronte a sé.
Harry scivolò più lontano, mordendosi nervosamente le labbra.
"Avevo mal di testa," mentì.
Lo sentì sospirare.
"Ti conosco ormai, ragazzino," gli fece eco il sussurro di Jamie.
Gli occhi verdi di Harry si riempirono di lacrime. Si conoscevano da un anno, eppure il ragazzo sembrava leggerlo come un libro aperto. Forse perché era più grande. In ogni caso, Harry non l'avrebbe mai saputo. Anche in quel momento, aveva scoperto immediatamente la sua bugia.
Scosse la testa, tentando di disfarsi del groppo alla gola.
"Non voglio che vai via," mormorò, sentendosi davvero un ragazzino.
Jamie allungò una mano e passò le dita fra i suoi ricci, accarezzandoli lentamente come non aveva mai fatto. Dalle labbra di Harry sfuggì un singhiozzo.
"Starai bene, Harry."
Con forza, ma anche con estrema delicatezza, lo tirò nuovamente vicino e fece sì che poggiasse la testa contro la propria spalla. Non smise di accarezzarlo.
"Starai bene," ripeté.
Il pianto del più giovane si fece più forte. Provò a nascondere il viso dietro le mani, ma Jamie gli afferrò i polsi e li allontanò. Lasciò il divano per inginocchiarsi di fronte ad Harry e guardarlo negli occhi.
"Guardami," disse con tono fermo, e dolce, e rassicurante, e spaventoso. La mente di Harry era solo un ammasso di neuroni in cortocircuito.
Scosse nuovamente la testa. Aveva paura di puntare gli occhi nei suoi, paura di sentire ancora quella sensazione di calore che si concedeva di provare soltanto nella solitudine e nel buio della propria stanza.
"Guardami, Harry."
Quando la voce di Jamie parve una supplica disperata, Harry non poté che fare come gli era stato chiesto.
Trascorse un altro anno da quella notte, e ad oggi, Harry non era ancora in grado di dire se incrociare gli occhi nocciola di Jamie fosse stata una buona cosa. Se sentire le sue labbra sulle proprie l'avesse spedito in Paradiso o all'Inferno. Se quel bacio, il suo primo vero bacio, gli facesse battere il cuore di commozione o di vergogna.
Perché Jamie era un uomo. Perché Jamie se n'era andato e l'aveva lasciato. Perché Christie era una ragazza, ed era tutto ciò che il mondo si aspettava da lui. Perché baciare Christie non aveva lo stesso delizioso sapore.
Uscendo dall'aula e attraversando il corridoio, Harry camminava velocemente senza riuscire a levarsi dalla testa le parole di Scott a proposito del suo compagno di progetto. Ci aveva rimuginato su per tutta la notte precedente, eppure continuavano ad essere lì, a vorticare furiosamente nei meandri della sua mente.
Louis era gay e non l'aveva tenuto nascosto. L'aveva detto al mondo ed ora subiva le conseguenze del suo gesto tanto coraggioso quanto stolto.
Louis era stato in grado di accettare se stesso, rinunciando, forse per sempre, alla vita che quella confessione gli aveva tolto.
Lo scorse di fronte al suo armadietto, mentre armeggiava con la combinazione reggendo una pila di libri traballante. In due passi lo raggiunse e gli tolse alcuni dei tomi dalle mani, offrendogli un sorriso.
"Ciao!" Esclamò Harry, indossando ancora una volta la maschera che contraddistingueva la sua intera esistenza.
Lo vide agitarsi sul posto e boccheggiare alla ricerca di una risposta. Ridacchiò fra sé, Harry, per quella ridicola goffaggine.
Lo sentì schiarirsi la voce e lo vide sistemarsi gli occhiali sul naso.
"C-ciao," balbettò con quella sua vocetta nasale.
Il sorriso di Harry si fece più ampio senza che riuscisse a controllarlo.
"Aspettavo un tuo messaggio ieri," gli fece notare, poggiando la schiena all'armadietto vicino, i libri di Louis sotto braccio.
Sarebbe stato oltremodo bugiardo se avesse cercato di negare quanto quella situazione gonfiasse il suo ego. Assistere all'insicurezza che la sua presenza causava in Louis, vedere con i propri occhi il suo volto arrossato e sentirlo balbettare mordicchiandosi l'interno delle guance, divertiva Harry più di quanto avrebbe voluto. Era oltremodo soddisfacente sapere di avere un tale effetto su qualcuno.
Non pensò nemmeno un istante al fatto che anche Louis fosse un ragazzo, perché tutto ciò che ora occupava la sua mente erano i ricordi. Ricordi di come anche lui, all'inizio, fosse sembrato un completo imbecille al cospetto di Jamie. Di quanto imbarazzante fosse la sua presenza, di quanto riuscisse a farlo sentire piccolo e inadeguato, e allo stesso tempo un turbinio di emozioni che gli appesantivano le gambe.
"Ho avuto, ehm, ho avuto da fare," rispose Louis poco dopo, la testa bassa e gli occhi puntati al pavimento. Soltanto quando li alzò, per una frazione di secondo, Harry notò quanto azzurri, e verdi, e grigi, e acquosi, e brillanti fossero.
Poggiò i libri che gli aveva preso nell'armadietto finalmente aperto, e si mise le mani in tasca, raddrizzando la schiena.
"Oggi scrivimi, okay? Così ci mettiamo d'accordo," si allontanò di qualche passo, scorgendo il viso di Scott in fondo al corridoio. "Ci tengo a far bene questo progetto," aggiunse prima di lasciarlo lì, impalato come uno stoccafisso.
Voltatosi, Harry sorrise nuovamente. E non se ne accorse.
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